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domenica 20 dicembre 2015

Intervista a Federico Baccomo aka Duchesne! Da un tenero cane testimone di tristi vicende umane al mondo del lavoro italico, così poco raccontato, così incomprensibilmente ignorato.

 L'ultimo "piccole recensioni tra amici" che ho postato era, casualmente su tre novità.
Federico Baccomo
 Una di queste era un delizioso piccolo libro raccontato da un cane in modo canino: "Woody" di Federico Baccomo aka Duchesne.
 Ho sempre avuto un'istintiva simpatia per questo autore, in primis perché aveva avuto la voglia e il coraggio di svelare l'ipocrisia di un mondo per cui non provo molta simpatia (l'ambiente degli avvocati), in secundis perché anche lui, come me e ben prima di me, scriveva sotto uno pseudonimo per raccontare più liberamente un mondo altrimenti celato.
 In Italia non c'è una grande tradizione di racconto dell'ambiente di lavoro, forse non c'è tradizione, forse c'è un po' di (in parte giustificabile) timore, forse poca immaginazione.
  In ogni caso gli ambienti di lavoro vengono ritratti in modo spesso superficiale, (a meno che non si sia poliziotti o investigatori privati, lì si può scavare nell'animo umano a iosa pare), la maggior parte delle storie raccontate nei romanzi avviene fuori dall'orario lavorativo.Una mancanza un filino sospetta visto che passiamo molto più tempo coi nostri colleghi che con i nostri cari. I libri di Baccomo rimangono una testimonianza che "Si può fare"! Narrare le follie di un ambiente di lavoro può essere possibile, Fantozzi meriterebbe degli eredi, nonostante le inquietanti derive prese attualmente dal sistema.
 Detto questo, di seguito potrete trovare l'intervista che Baccomo mi ha gentilmente concesso e di cui lo ringrazio molto. 
 Ma bando alle ciance! Buona lettura!

Cosa leggevi da bambino?

La prima passione è stata Topolino, ci son storie di cui ricordo ancora i veri e propri sconvolgimenti che mi procurarono: dalla saga di “Storia e gloria della dinastia dei Paperi” a “Qui Quo Qua e il tempo delle mele”, e in mezzo le avventure di Carl Barks.

Ci sono dei libri che leghi in particolar modo a Natale?

Più che i libri, è il gesto della lettura che lego molto al periodo delle feste, soprattutto da ragazzino, quando andavo in vacanza in case senza televisione.

Quali libri regalerai (se lo farai) questo Natale?

Devo ammettere di non regalare molti libri, ho la sensazione di consegnare un piccolo obbligo. Per cui, più che scegliere con cura il libro, scelgo con cura i destinatari. E la maggior parte dei libri finisco per regalarli a me, per questo Natale: tanta fantascienza e narrativa di genere.

"Woody" è un piccolo libro che affronta una questione molto grande, quello della violenza domestica. Perché hai scelto proprio questo tema?

In realtà, in questo libro la sola scelta è stata quella degli occhi del protagonista: un cane.
 Volevo raccontare una storia guardandola dal basso, in uno stato di perenne stupefazione e purezza. Tutto quello che è venuto scrivendo, soprattutto l’episodio drammatico al centro della storia, è venuto fuori senza meditazione, semplicemente inseguendo quegli occhi fino agli angoli in cui andavano a guardare,

Pensi, da scrittore e da uomo, che gli uomini potrebbero e dovrebbero fare di più per sconfiggere il problema della violenza di genere?

Agli uomini è data la responsabilità più grande, quella di sconfiggere un modo di pensare che si trascina da millenni, una cultura che trova nella prevaricazione, soprattutto fisica, un nucleo tanto teoricamente inaccettabile quanto in pratica gradito.

Ci sono altri cani e gatti narratori nella storia della letteratura. Alcuni, come il gatto di Natsume Soseki sono profondi e arguti. Woody invece ragiona proprio come ci si aspetta ragioni un cane. Perché questa scelta? E come hai lavorato per riprodurre tanto fedelmente i pensieri canini?

Pur sapendo che la mia sarebbe stata una finzione, cercavo di ottenere una finzione vera, credibile. Se davvero avevo intenzione di affidare la mia penna a un cane, dovevo regalargli la massima fiducia. 
 Sovrapporre la mia voce alla sua sarebbe stato un tradimento, al protagonista e alla sua storia. Così è nata da un lato l’idea di cercare di ragionare proprio come farebbe un cane, con un pensiero fatto di istinti poco meditati, di affetto puro, di astuzie primordiali, di paure incontrollabili; dall’altro, l’idea di adoperare una voce coerente, primitiva, essenziale. La sfida più grande – ho scoperto scrivendo – non è stata quella di sviluppare queste intenzioni, ma quella di tenere a bada la mia voce interna che ogni tanto mi diceva: “Usa questo aggettivo, fai vedere che sai scrivere”.

Cosa stai leggendo in questo momento?

Una splendida raccolta di novelle, La torre d’ebano, di John Fowles.

C'è un libro che, da ragazzo, ti ha cambiato la vita?

"It", di Stephen King, tutto il potere della giovinezza, del mistero e della scrittura.

Molti dicono che i ragazzi leggano poco. Hai suggerimenti per invitarli alla lettura?

È difficile trovare qualcosa di efficace. 
 Nessuno si sognerebbe mai di avviare una campagna di sensibilizzazione per il consumo di cioccolato o i tuffi nel mare in estate. Se non dovesse piacerti l’uno o l’altro, ci sembrerebbe impossibile, ce ne dispiaceremmo ma finiremmo per dire: peggio per te. Ogni tanto mi viene da pensare sia lo stesso per la lettura.

Progetti prossimi venturi?

Ci son nuove storie, la speranza è di dar loro la miglior veste.

Ben due tuoi libri sono diventati film. Com'è vedere il proprio libro trasformarsi in altro?

Una strana forma di perversione: probabilmente è il solo tradimento che ci si augura di subire spesso.

Nei tuoi libri precedenti tu fai un feroce ritratto della borghesia e della società delle apparenze, della gente che sta bene. E' un tema che, a mio parere, viene poco affrontato e spesso male nella narrativa italiana contemporanea, nonostante sia un punto focale del nostro malessere sociale. Perché avviene secondo te?

Confesso di non avere molti titoli per parlare della narrativa italiana contemporanea. Devo dire che mi sembra molto viva, articolata, ma è vero che a volte ho l’impressione che si rivolga a storie più individuali che non a ritratti sociali più ampi.
 Ogni tanto mi do una spiegazione che non so quanto sia sensata: forse una certa difficoltà a usare il registro ironico (o persino comico), il più utile a illuminare le storture sociali, fa sì che un certo tipo di letteratura fatichi ad affermarsi.

In principio hai usato lungamente uno pseudonimo, Duchesne, perchè?

Era lo pseudonimo con cui ho pubblicato per la prima volta i miei racconti in rete, nel blog “Studio Illegale”, per un po’ me lo sono portato addosso, un po’ coperta di Linus, un po’ schermo dietro cui nascondere i pudori.

L'ambiente lavorativo è adeguatamente delirante, anche se purtroppo, anche in questo caso, pochi romanzi ne parlano. Pensi anche tu che ultimamente alla fantozziana frustrazione italica si sia aggiunta l'inquietante componente del sistema da guru all'americana?

Son tempi difficili da interpretare, il lavoro si è preso buona parte del tempo e dei pensieri quotidiani, ma questo va di pari passo con quella famosa precarietà che ormai, da problema, sembra diventata un cliché. Qualcosa non funziona, l’han capito tutti, eppure ci si trascina, incapaci di capire dove trovare una soluzione.

Certe volte non hai la sensazione che lavorare bene, in certi ambienti almeno, sia ormai diventato secondario rispetto alla capacità di apparire social, spigliato e ovviamente, il famoso, leader?

Diciamo che a volte essere in gamba non è il primo dei requisiti, ma secondo me anche tra i preistorici c’era qualcuno bravo a ritrarre i mammut che ha dovuto lasciare la pietra a qualcuno più bravo a vendersi come incisore.

Sperando vi sia piaciuta, ringrazio ancora l'autore e date un'occhiata a Woody, specialmente se siete amanti del mondo canino! :)

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