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sabato 28 settembre 2019

Nel mio paese c'è un lago. Quando ci accaniamo contro Greta Thunberg siamo solo pigri o siamo proprio scemi? Una riflessione su #fridaysforfuture

Nel mio paese c’è un lago.


Se volete saperne di più trovate ogni link possibile qui
 www.parcobracciano.it
 Un lago di origine vulcanica senza nessun affluente. Si alza quando piove tanto, si abbassa quando piove poco. All'incirca da qualche millennio. E’ sempre stato un bravo lago, sin dal neolitico la gente ha abitato le sue rive trovando risorse per la propria sopravvivenza.

 Questo sventurato lago nei secoli ha però sviluppato un problema: sorge vicino ad una grande città con grandi problemi e poche intenzioni di risolverli.

Anzi, per risolverli solitamente le amministrazioni che si succedono cercano di non scontentare gli abitanti scaricando i problemi sui paesi limitrofi, come appunto, quello in cui sorge il lago.

Ad esempio c’è bisogno di una discarica? Perché incrementare la differenziata e fare qualcosa di serio contro il malaffare quando puoi piazzarla in provincia?

 Circa due anni fa c’è stata una grossa siccità. Visto che la nostra memoria a breve termine ultimamente funziona male, magari l’abbiamo già rimossa, ma c’è stata.

 Una di quelle estati infinite in cui si festeggia l’alta pressione eterna, urrà non piove mai, che bello passeggiamo e andiamo al mare? Beh, quell’acqua che casca dal cielo a qualcosa serve e l’estate infinita non è un sogno, ma l’incubo.

 L’estate eterna prosciuga le riserve d’acqua cittadine, soprattutto se gli impianti di gestione sono vecchi come il cucco e hanno dispersioni in ogni dove senza che nessuno se ne curi.

 E allora, se non vuoi razionare l’acqua ai cittadini, se non vuoi proprio spiegargli che non è un bene inesauribile, da qualche parte la devi prendere. 

 E dove vai? 

 Vai nel lago più vicino, quello da cui solitamente puoi pompare un tot e non dovresti pompare più di quel tot perché se poi vai sotto, sai com’è, un ecosistema millenario muore.

 Certo, non è facile spiegare ai cittadini che dovrebbero pretendere una gestione migliore delle risorse e zero dispersioni, magari un uso più razionale nel quotidiano che oh, l’acqua finisce. 

 Soprattutto perché alcuni di essi sono proprio come i capi che eleggono: ciechi, stolti, stolidi, ottusi, refrattari a qualsiasi ragionevolezza.

Non vedono oltre ciò che vogliono vedere. Un tempo la selezione naturale nella forma più pura dell’istinto di sopravvivenza, (se non sai valutare il pericolo ambientale e la mancanza di approvvigionamento bye bye baby la natura non perdona), avrebbe se non altro messo qualcuno in più sul chi vive. 

 Ma ormai siamo un mondo occidentale viziatissimo: pensiamo di poter ottenere tutto, di avere il diritto di ottenere tutto, che non ci siano mai conseguenze e che, se ce ne sono, la colpa è di certo di amministrazioni incapaci e non di problematiche oggettive.

 Quindi alziamo un casino se chiudono qualche fontanella, ma non ce ne frega una mazza se quella fontanella viene chiusa perché ohibò è in atto una siccità e l’acqua, tesoro bello, non c’è più.

Questa faccenda del lago, probabilmente perché l’ho vissuta da vicino, è emblematica a mio parere del livello globale di prosciuttamento sugli occhi o paese dei balocchi che ci porterà direttamente all’inferno.

 Se non sei neanche in grado di comprendere che non puoi pompare acqua da un bacino lacustre mandandolo al di sotto di qualsiasi ragionevole (e prefissata) soglia di emergenza.

 Se tu amministratore ostini a ricorrere al tribunale delle acque pur di non dover spiegare agli elettori che l’acqua quando manca deve essere razionata (o magari il gestore deve essere cazziato e trascinato in tribunale se disperde il prezioso bene per incuria della rete), se insomma non capisci una cosa che è vicina a te, come puoi comprendere un problema globale?

 I commenti su fb al riguardo erano la fiera della demenza: il lago è fatto per le nostre necessità, è lì apposta per noi, NON E’ VERO CHE STA SUCCEDENDO (che bastava prendere un treno per un’ora anche meno per sincerarsene con i propri occhi, ma sempre meglio pontificare incrostando il sedere incredulo alla sedia), l’abbassamento da siccità è un fenomeno normale (ovviamente, non lo è quando pompi a tutto andare in modo artificiale) e via discorrendo.

 Scuse, parole, idiozie atte a coprire la pigrizia e la totale incapacità di voler affrontare il tema.

Non mi stupisce perciò questo attacco idiota a Greta Thunberg, una ragazzina che ha solo fatto quello che gente ben più adulta e preparata di lei non ha saputo e voluto colpevolmente fare. Non piace a nessuno scoprire che no, non basta dire che il problema non esiste perché scompaia. 

 Puoi farlo a oltranza, puoi farlo fino a quando sarà troppo tardi, ma non svanirà.

 E allora ecco orde di barbari da ogni parte che ci dicono cosa è sbagliato in questa ragazza, ma non si occupano di quello che dice: Greta viene da un paese ricco, ha la sindrome di Asperger, è una femmina (eterno problema di metà del pianeta reo di non passare il proprio tempo a compiacere l’altra metà punto e basta), è manipolata ecc.

Ok. Poniamo che sia tutto vero. Dice forse cose sbagliate? Non ha forse ragione quando sostiene che il risultato ultimo di un regime capitalista incontrollato è una crescita che per sostenersi finirà per succhiare anche l’ultima risorsa del pianeta?

Perché tante persone reagiscono così violentemente davanti a questa prospettiva?

Perché mutare le proprie abitudini in mondo che ti invita a pensare a te stesso, a viziarti, a vivere la vita che è solo una, a non farti condizionare se desideri qualcosa solo per te ecc. per alcuni è, non solo inconcepibile, ma anche minaccioso.

Non è un caso che l’ecologia venga da molti percepita come una lotta di stampo “femminile” e che venga osteggiata da capi di stato notoriamente dediti (e amati da parte del loro elettorato) per la loro virilità tossica. L’uomo non deve chiedere mai, l’uomo non deve farsi condizionare, l’uomo va avanti per la sua strada.
Il successo, il potere, il denaro sono la via per il successo, il resto è debolezza e vale ancor più se applicato alle nazioni.

Certo, ci sono tanti altri motivi per il disinteresse collettivo o la violenta campagna d’odio a cui viene sottoposta Greta: la totale incomprensibile mancanza di ragionevolezza di chi disserta di climatologia quando non è neanche in grado di decifrare un testo breve in italiano, motivi ideologici, soprattutto a sinistra, per i quali la lotta si fa dura e pura e totale oppure non è vera lotta (anzi, essi soli sono i sostenitori della lotta, gli altri sono mentecatti che non capiscono niente), quelli che la vita è tanto amara e allora perché preoccuparsi di qualcosa a cui tanta gente potente in fondo in fondo non crede (come se Trump e i suoi elettori white trash avessero, in caso di catastrofe climatica, le stesse possibilità di salvarsi) o quelli della coerenza folle: se davvero dei ragazzini ci vogliono dalla loro parte allora devono essere senza macchia , duri e puri come manco Gesù Cristo.

Ci sono anche motivi oggettivamente di comodo: perché allora diventerebbe evidente che parte delle migrazioni dal sud del mondo deriva anche dal cambiamento climatico e allora avremmo una responsabilità, (oltre alle numerose storiche), ineludibili nei confronti di chi arriva.

Altri la buttano sul benaltrista: le cosiddette tigri asiatiche non se ne occupano e comunque hanno ragione a non preoccuparsene perché ora è il loro turno di inquinare in nome della crescita incontrollata.
 Tesori belli, i disastri ecologici non seguono le logiche della turnazione economica storica, se il pianeta muore per noi, morirà pure per loro e per i loro cittadini che magari non hanno le stesse libertà di manovra per manifestare o che lo faranno con un ritardo di vent'anni, quando inizieranno a non respirare più.

 Io non dubito che cambiare il proprio stile di vita sia duro, soprattutto quando si pretende che lo stile di vita muti, ma il sistema industriale no.

 E’ inverosimile che una persona, magari con figli, che lavora 9-18, passi le ultime due ore della sua giornata a pellegrinare per i rari negozi plastic free, mercati rionali a km 0 e luoghi dove vendono cereali sfusi. Perché la rivoluzione inizi a compiersi il gesto del singolo dovrebbe essere parte di un sistema.

 Ed è questo a cui dovremmo mirare: una rivoluzione totale che renda la nostra vita su questa terra sostenibile. 

 Tuttavia questo non ci libera dalla responsabilità e dalla possibilità, mentre lo pretendiamo (e magari lo pretendiamo davvero, non che c’abbiamo altro da fare tipo insultare Greta e gli adolescenti che manifestano su fb), di fare qualcosa di diverso. 

Roma non si è costruita in un giorno e niente si ottiene subito e completamente, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.

Inoltre, anche se l’apporto dovesse essere minimo, è il fattore di responsabilizzazione che dovrebbe contare: solo convincendo i singoli che anche il loro più piccolo mutamento quotidiano possa entrare a far parte di una rivoluzione che smetterai di avere davanti gente che finge di non vedere il problema. Se non ti senti parte del tutto, quel tutto ti è estraneo.
Se volete mettervi paura, consiglio questa
distopia climatica in cui i migranti climatici
respinti in un pianeta ormai distrutto, siamo
proprio noi.

Non pensiamo sia tragicamente impossibile.

 L'acqua, quando andavo in estate in Sardegna, la razionavano sempre in estate. Si andava alla fonte a riempire le bottiglie. Erano gli anni ’90 non il cenozoico. Nessuno è mai morto, nessuno ha mai protestato o tempora o mores. Era estate, non eravamo in una terra notoriamente ricca d’acqua e sorgenti, e persino chi era in vacanza capiva che quella era la situazione, punto.

Non siamo poi così fragili, siamo solo viziati e, in parte, portati volontariamente a credere che nessuno nel suo piccolo possa fare la sua parte. Possiamo eccome se vogliamo tenerci laghi, mari, ghiacciai, un pianeta da consegnare ai figli che cresciamo con tanta cura, senza capire che anche la salvaguardia del pianeta fa parte della cura.

Ovviamente il problema è ancora più a monte. Il problema è il sistema capitalista.

 Ma mi sembra abbastanza evidente che qua siamo ad un grado talmente zero della faccenda che non possiamo permetterci di passare qualche decennio ad analizzare con sofismi i modi migliori per distruggere un sistema che prospera indisturbato e che ci ha completamente assoggettati.

 Bisogna andare per piccoli passi verso la consapevolezza.

Intanto che capiamo come fare e magari la finiamo di perdere tempo a prendere per i fondelli una sedicenne svedese, rea di pensare che il mondo si possa cambiare, ecco un elenco di libri che possono aiutarci a cambiare il quotidiano (con brevi descrizioni che mi sono dilungata troppamente)!

NB Il post sui saggi seri un'altra volta, questi sono consigli per convincere con calma e sangue freddo qualcuno a mutare minimamente le sue abitudini.


POSSIAMO SALVARE IL MONDO PRIMA DI CENA di Jonathan Safran Foer ed. Guanda:

Premetto, non sono vegana e neanche vegetariana, ma sono una persona ragionevole che peraltro vuole possibilmente mantenersi in salute (anche se il fatto che mi piaccia mangiare non aiuta).

 Perciò non vivo come un drammatico diktat il fatto che dietologi, nutrizionisti e infine anche climatologi o chi per loro ci dicano che, come la metti la metti, la carne rossa benissimo non fa al corpo, per produrne grosse quantità bisogna disboscar foreste, sono comunque piene di ormoni ecc ecc.

 Insomma, limitarne il consumo non mi sembra sta roba impossibile da fare, anche perché se si compra meno spesso magari si può accettare di pagarla di più a macellerie e co. che usano allevamenti nostrani, magari non intensivi.
Idem le uova. Quale fatica costa prendere quelle di galline felici e con un contenitore di cartone?

 Non si sta parlando di rivoluzioni copernicane, ma di piccoli cambiamenti che possono essere apportati senza eccessivi psycodrammi. Insomma, convincere qualcuno a convertire le proprie costolette improvvisamente in braciole di tofu la vedo molto dura, convincerlo a modificare la dieta in modo da limitare alcuni piatti, è più fattibile e meno traumatico. 

Se volete delle buone ragioni per relegare vitelli e maiali a una tantum e poi, col tempo, a mai più, potete leggere il nuovo libro di Safran Foer.


VIVERE FELICI SENZA PLASTICA di  Janmejaya e Chantal Plamondon ed. Sonda:


 
L’ho detto sopra: finché il packaging non diventerà ecologico a sistema, limitare i danni sarà difficile, ma si può fare comunque qualcosa. 


La famosa storia delle borracce invece delle bottigliette, la verdura e la frutta prese sfuse invece che nei cestini di plastica (sponsorizzo grandemente la zucca intera invece che quella tagliata a pezzi: in proporzione la pagate molto meno e rende molto di più), piatti di carta o biodegradabili e via discorrendo. 


 Per avere un’idea delle opzioni da seguire con poco sforzo e massimo risultato, è uscito questo bel libro della Sonda ed. (ma in libreria, vedrete, iniziano a proliferare).


Il principio è sempre quello: a piccoli passi, ma costanti.


ANDAR PER BOSCHI:

 Di certo, immagino che qualcuno ci sia arrivato ben prima di me, uno dei motivi per cui fatichiamo a capire il peso delle nostre azioni sulla natura, risiede nel fatto che in parecchi ormai la natura la viviamo col cannocchiale, principalmente in estate e comunque in luoghi urbanizzati. 

Se magari si mettesse ogni tanto piede in un bosco o simili, ci renderemmo conto di quanto si possa stare bene in un posto silenzioso, tranquillo, fresco e meraviglioso. Ci sono delle mode attualmente sui boschi: gli asili nel bosco e lo Shinrin Yoku (troverete libri a pacchi).

Il secondo è la scoperta dell’acqua calda in salsa orientale per cui se cammini nei boschi abbassi lo stress (ma no?), il primo è una cosa oggettivamente incomprensibile a chi, come me, nei boschi ci andava già da bambina senza eccessive sovrastrutture: ossia portate i bambini nei boschi o fateli giocare con quello che c’è (il tutto con tante teorie pedagogiche dietro che mi mettono ansia, come mi mette ansia tutto quello che è semplice, ma deve diventare complesso per forza, ma è un’opinione mia). 

 Se ne potrebbero consigliare di libri, come “Italia selvatica” di Daniele Zovi della Utet, appena uscito, ma forse è meglio andiate sul catalogo Terre di Mezzo o Ediciclo o Le Guide o simili per scoprire quale libro dedicato ai percorsi nelle vostre zone è papabile.

L'aria buona pulisce i polmoni, abbassa lo stress, e poi insomma, sta per iniziare la stagione del foliage.

Si potrebbero dare altri milioni di consigli, ma quanto è già lungo questo post?? Forza e coraggio, possiamo fare tutti qualcosa, basta farla!

giovedì 26 settembre 2019

Piccole recensioni tra amici. Lo strano e paludoso "Cancello del crepuscolo" e "I trasfigurati" invasori di Wyndham

Eccomi, ebbene di ritorno su questi schermi, con una nuova doppia recensione.

 Ultimamente sono meno attiva sul blog per alcuni (buoni ve lo giuro) motivi: 

1) Dal primo ottobre inizierò un gruppo di lettura su libri a tematica Lesbica a Milano.

2) Sto cercando di organizzare qualche presentazione di “Lesboom”: preannuncio che il 5 ottobre sarò a Torino alla Nora Book (è pure il mio compleanno quindi se venite a portare cibo e auguri sono gratissima) e il 18 all’Antigone a Milano.

Tuttavia, anche col fatto che Ottobre è il mio mese favorito e tendo a leggere molto e molto amo consigliare libri autunnali, spero di riuscire a riprendere un ritmo decente nei post.

 Visto che è l’intro delle info, mi sento sospinta a tale buon proposito anche perché, grazie alla vostra amorevole pazienza, anche quest’anno sono tra i dieci finalisti ai Macchianera Awards come miglior sito letterario (se volete fare 31 potete votarmi al link  https://www.macchianera.net/2019/09/22/mia19vota/ , magari se vinco ho la scusa per cambiare casa e cercarmene una con un caminetto su cui esporre l’ambita statuetta).

Bene. Vi lascio con due cicciose recensioni che almeno, quando mi ci metto, mi impegno!


IL CANCELLO DEL CREPUSCOLO di Jeanette Winterson ed. Mondadori:

E’ strano per dire strano questo strano libro di Jeanette Winterson.

Per qualche motivo presagivo fosse materiale un po’ ambiguo quando uscì decidendo istintivamente di non leggerlo. 

Visto che quest’anno la smania di halloween cresce in me potente (diciamo che ogni anno poi ottobre vola così veloce che mi dico: dall’anno prossimo devo iniziare a trepidare prima), ho deciso per una bella infornata di libri a tema in biblioteca e ho dato una possibilità anche a questo.
Se ho fatto bene o no, boh, è ambiguo anche quello.

La storia racconta le vicende di Alice Nutter, bellissima possidente terriera ricca in virtù di una particolare tintura magenta che aveva fatto la sua fortuna tra i mercanti di stoffe e persino alla corte d’Inghilterra. 

 Siamo nel periodo post-elisabettiano in mano a re Giacomo, uno, per capirci, che fece bruciare in toto un’edizione della Bibbia conosciuta come “Bibbia cattiva” o “Bibbia degli adulteri” perché gli sventurati tipografi (che vennero buttati in prigione) dimenticarono un fondamentale “non” e il comandamento “non commetterai adulterio” si tramutò in una sorta di imperativo al libero amore. 

Un’epoca, insomma, un po’ fanatica e suscettibile.

 Ecco, in questo sereno periodo, nella campagna inglese, dove tutto è melmoso, umido, sporco, buio e decisamente cupo, triste e degradante, una famiglia di disadattati presuntamente dedita alla magia viene accusata di stregoneria e buttata in galera a subire torture di ogni genere.

Alice Nutter che, per carità (o forse per altri motivi), li ospita sul suo terreno, viene immediatamente sospettata di connivenza

 Del resto non invecchia mai, ha un potere che solitamente le donne si sognano e le sue terre fanno gola a parecchi uomini. Inoltre, è l’amante di un tizio coinvolto nella congiura delle polveri del quale si sono perse le tracce da parecchio tempo.

Insomma, la sospetteremmo pure noi.

Ecco. Il maggior punto di fascino del libro è che, al contrario di molti altri libri simili che raccontano una caccia alle streghe basata sulla paura del diverso, su un olocausto femminile di donne non conformi e via discorrendo, qui, in effetti, la magia c’è eccome. 

 E non una magia carina fatta di sacchetti di lavanda ed erbe officinali, ma di neonati uccisi, lingue di cadaveri, patti di sangue e demoni infernali. E’, insomma, una magia molto cruda, come in effetti dovrebbe essere la magia nera.

Il punto di debolezza del libro è che alcune parti, soprattutto quella iniziale, sono affrontate con poca convinzione, come se il livello di pathos violento non avesse la stessa forza (sembra per reticenza della scrittrice), come risulta poco convincente la storia d’amore tra Alice e il fuggiasco che appare come un “dobbiamo rendere la trama funzionale in qualche modo”. 
 Un’occasione un po’ persa perché rimane comunque un libro insolito.

 Non dubito che agli amanti del genere piacerà, ma non mi sento di dire che si tratta di un’impresa pienamente riuscita. Da leggere in Ottobre, almeno l’atmosfera autunnale aiuterà a passar sopra a certi momenti davvero tirati via.


I TRASFIGURATI di John Wyndham ed. Beat:

 E' sempre interessante leggere Wyndham perché possiede una dote rara nella fantascienza: dati due assiomi completamente opposti, è in grado di convincerti della bontà di entrambi.

 I libri di Wyndham tendenzialmente si reggono su un macrotema: l'invasione.

 Come possiamo aprirci al prossimo se il prossimo è potenzialmente cattivo?

 Al contrario di tanti libri che tentano di convincerti che il prossimo è sempre e comunque buono (anche quando sembra non lo sia, poi sotto sotto lo è), Wyndham fa pendere la bilancia ora di qua, ora di là.

Lo vidi alle superiori per caso una notte. L'ansia.
Ne "Il villaggio dei dannati" da cui trassero anche uno spaventosissimo film, l'invasione aliena avviene per inseminazione coatta: in un paesino dell'Inghilterra, un gruppo di donne di età diverse si ritrova misteriosamente incinta.

 Nove mesi dopo nasceranno dei misteriosi bambini, tutti identici, tutti intelligentissimi, e tutti inquietanti.

 Il paese li sente subito come una minaccia, ma essendo bambini non trova le forze di liberarsene salvo capire anni dopo che la questione deve essere risolta. E male.

 Al contempo, in "Chocky", un bambino inizia a parlare con una strana entità onnipresente, un misterioso essere femminile che sembra inviare la sua voce molto lontano nello spazio o nel tempo. Per tutto il libro siamo convinti sia malevola, ma poi salverà la vita al bambino.

 Ne "Il giorno dei trifidi", libro genialissimo, una nuova specie di piante, in grado di correre e comunicare, acceca tutti gli esseri umani tramite un polline velenoso ("Cecità" prima di "Cecità").

 I pochi che la notte dell'attacco pollinoso erano casualmente al sicuro, diventano le guide di una civiltà allo sbando e si rinchiudono in fattorie fortino. Le piante, schiavizzate, avevano per forza torto?
 La stessa cosa accade ne "I Trasfigurati".

 Se ne "Il villaggio dei dannati" vedevamo la storia dal punto di vista della popolazione "normale" alle prese con "i diversi", qui accade l'esatto opposto.
 In un mondo post apocalittico, gran parte del pianeta è inabitabile e i rari spazi rimasti a disposizione sono funestati ancora dalle conseguenze delle radiazioni.

 Il protagonista, un ragazzino di nome David, vive in un villaggio dove il fanatismo religioso si è saldato al terrore delle "deviazioni" da radiazione. Il fatto che nascano, secondo i religiosissimi abitanti, bambini deformi, animali strani o piante da bruciare, non deriva dalle conseguenze di una disastrosa esplosione nucleare, ma da una punizione divina.

 I campi devianti vanno bruciati, gli animali uccisi, i neonati sacrificati.

 Per ritornare alla normalità bisogna tornare alla purezza.

 E però cosa succede se la "deviazione" non è visibile? 
 David (che incidentalmente è anche il figlio del capo del villaggio) e un gruppo di ragazzini scoprono di essere telepatici e riescono a mantenere il segreto per anni, poi però gli eventi precipitano: una di loro si sposa con un ragazzo malvagio a cui inopinatamente racconta tutto e la sorellina di David si rivela una telepate dai poteri incredibili.

 Ovviamente sin dal primo momento parteggiamo per il gruppo di ragazzini: i concittadini e familiari fanatici sono spaventosi e inumani. Chi potrebbe voler uccidere qualcuno perché ha solo un dito in più, per dire?

 Più la storia va avanti e appaiono nuovi misteriosi personaggi (forse esiste una città oltre l'oceano dove tutti sono telepati o vorrebbero esserlo) più ci rendiamo conto che il terrore dei fanatici religiosi potrebbe avere un fondamento di verità: cosa li rassicura sul fatto che i telepati, una volta adulti, non cospireranno contro di loro? E come possiamo essere sicuri che l'ossessione per la purezza non sia ciò che finora li ha salvati?

 Il libro di Wyndham lascia con questa strana idea a frullare nella testa. 

 Certo, aveva visto la seconda guerra mondiale, fiducia nei vicini un inglese poteva averne ben poca, pur sforzandosi, ma cosa sarebbe diventato il mondo nel dopoguerra se non avessimo superato la paura?

 Wyndham sembra rimanere sospeso riuscendo a parlare al contempo al cuore degli uomini: hai paura ed è comprensibile, ma rifletti, nel bene o nel male su questa paura dell'altro.
 Ha senso? Puoi davvero proteggertene? E' ineluttabile? La difesa ti rende crudele o è un tuo diritto?
 Molto interessante.

domenica 15 settembre 2019

Noi siamo ricordi, non accidenti. "Febbre" di Jonathan Bazzi, una grandissima sorpresa tra Rozzano, ossessioni e anni '80.


 Ho sentito lungamente parlare di "Febbre" di Jonathan Bazzi e, dopo averlo letto, credo che se ne sia abbondantemente parlato per i motivi sbagliati.
Rozzano

 Mi era stato presentato come “il libro che finalmente riportava l’attenzione sul grande rimosso dell’aids”.

 Io e Bazzi, che più o meno abbiamo la stessa età, non abbiamo preso la grande ondata dell’orrore della scoperta del AIDS che deve aver travolto l’umanità tutta all’inizio degli anni ’80.

 Eravamo fortunatamente troppo piccoli (il virus è stato “scoperto” proprio l’anno in cui sono nata) per vedere amici morire a mucchi o finire nella paranoia del “se dovesse toccare a me” o nell’ondata di accanimento crescente verso la comunità lgbt.

 A casa mia si è sempre parlato poco di sessualità, nel bene e nel male. 

 Non credo di aver mai sentito i miei genitori dire una sola parola contraria, ma (prima del mio coming out) neanche positiva, verso gli omosessuali. Erano qualcosa che non li aveva mai riguardati e che, fondamentalmente, non conoscevano.

 Al contrario di molte persone che non conoscono qualcosa però, non hanno mai pensato né di denigrare la comunità né di lasciarsi andare a facili stereotipi. Non sappiamo chi sono e cosa fanno. Punto. Non sono buoni e neanche malvagi. 

Quindi che l’aids fosse stata “la peste dei gay” l’ho scoperto solo da adulta.

 In generale tutto quello che ricordo sul tema, fino all’età in cui ti convincono a usare i contraccettivi a tutti i costi se no finirai incinta o morirai male (dalle mie parti a scuola non andavano tanto per il sottile e ho avuto signore del consultorio a farci qualche ora scolastica di educazione sessuale sin dalle scuole medie, infatti non ho mai avuto una compagna di scuola incinta), si riduce a pochi sprazzi.

 1) Mia madre che mi fa fare il minimo sindacale delle vaccinazioni (genitori vaccinate i vostri figli) perché aveva 20 anni 20 e al consultorio l’avevano un po’ tanto spaventata dicendo che “In America c’era un nuovo virus che non si conosceva” e lei aveva pensato bene che quindi meno roba mi inoculavano, meglio doveva essere (ho avuto la pertosse a 15 anni e momenti mando all’altro mondo mio cugino neonato: VACCINATEVI).

2) Quelle agghiaccianti pubblicità in bianco e nero con la gente con l’aura colorata che se ti toccava morivi.

3) Le vignette di Lupo Alberto.

4) Una storia di Dylan Dog, “Dopo mezzanotte”, letta a casa di mio cugino, durante la comunione di un altro cugino, in cui Dylan, rimasto chiuso fuori casa vaga per tutta la notte tra omicidi, tossici, eroina e bassifondi in generale. 

 Ad un tratto finisce a casa di un tizio gay che si comprende essere malato di aids e, come succedeva in un’epoca prericerca e medicine ad hoc, era destinato a morire in breve tempo.

Fine.

Potrebbe forse essere sempre più di quello che un bambino/ragazzino medio potrebbe venire casualmente a sapere allo stato attuale.

Col tempo, infatti, la paura, ma anche la prevenzione, sono diventate una faccenda molto silenziosa. 

Esiste sì, ma nessuno ne parla se non sporadicamente, così, de botto, senza senso, senza un vero perché.

 Così, comprendo pienamente perché si sia parlato di questo libro principalmente per questo motivo: Jonathan Bazzi è un giovane autore di Rozzano che racconta di come ha scoperto di essere positivo all’hiv.

 Ad un certo punto della sua esistenza ha iniziato ad avere una febbre persistente e insistente.

Nulla sembrava farla passare, niente, innumerevoli analisi non davano risultati che riuscissero a isolare il problema. Finché.

 Onorevole esporsi fino a questo punto in una società che ondeggia tra un nevrotico politically correct (che nelle sue derive certe volte finisce per essere ridicolo) e una becera e cieca vocazione all’insulto e all’odio.

Tuttavia ammetto di aver letto le parti dedicate alla scoperta del virus con assai meno gusto di quelle, davvero bellissime, e che sembrano a tutti gli effetti un altro romanzo, che ricostruiscono la sua breve vita.

 Jonathan Bazzi racconta una piccola vita in una grande, rumorosa, difficile periferia.

 Nasce da una coppia di genitori molto giovani che si sposano con la cosiddetta rincorsa (negli anni ’80 era ancora usanza sposarsi appena si commetteva il fattaccio) e che divorziano con altrettanta rincorsa.

 Rimasto solo con la madre (il padre, poliziotto, rimarrà sempre presente, ma diciamo a fasi alterne), insieme tornano a vivere a casa dei nonni, dove vige una rigida gestione patriarcale della famiglia, col terribile nonno a capo di tutto. 

 Rozzano, la periferia milanese dove vivono, è un posto, a voler esser buoni, molto complicato: difficili convivenze tra tanti immigrati interni del sud, si uniscono a quel generale senso di abbandono che caratterizza molte periferie dormitori. 

 Tanta gente, pochi servizi, il benessere degli anni ’80, qui rappresentato dalla vicinanza con Milano 2 e il berlusconismo nascente che dà lavoro a tanti, compresa la madre di Bazzi, ma che lambisce appena famiglie che vengono ghettizzate e si autoghettizzano.

Come se non bastasse né Jonathan né sua madre sembrano essere persone facili.

 Sua madre trova un uomo peggio dell’altro, lui è uno di quei bambini, poi adulti, con dei tratti vagamente ossessivi: arde di passione per certe passioni futili che però, nell’immediato, gli portano conforto.

 Del resto, dovremmo provare a esser noi dei ragazzini gay in una periferia machista degli anni ’90.

 Ecco, la storia di questa sua vita è talmente scritta bene, talmente folgorante, talmente vera in un mare di finte vite fantasticate (poche cose sono irritanti come i benestanti che immaginano come debbano essere i poveri) da rendere questo libro davvero bellissimo.

 Il racconto della malattia è un pretesto quasi inutile e sbiadisce davanti alla splendida narrazione di un’infanzia e un’adolescenza di periferia di cui esistono tanti racconti falsi, ora troppo crudi, ora troppo edulcorati, ora troppo edificanti o didascalici, ora troppo pesanti e cruenti. 

 Tanto che forse l’unica parte debole del libro sono proprio le ultimissime pagine, quando quell'affresco di una vita come tante, così piccola eppure carica di dolore, forza ed energia, viene inghiottito dal racconto sul coming out della malattia.

 Se c’è una cosa che questo libro riesce a dire è che le persone sono definite da laboriosi ricordi e non certo dagli accidenti disgraziati e occasionali della vita, così il fatto che quel finale sull’Hiv/Aids venga considerato superfluo è una schiacciante vittoria.

 Al lettore non interessa niente del perché e del per come Jonathan abbia deciso di parlarne (anche se questo ovviamente non vuol dire sminuire la portata di un gesto enorme), vuole solo conoscerlo ancora ancora e ancora meglio.

Ed è questo che fa la differenza tra un narratore occasionale e uno scrittore.

domenica 8 settembre 2019

Le mie letture estive parte I! "Martin Bauman" di Leavitt, l'orrido "Europa Blues", l'ironico Markaris e la gradevole Sue Monk Kidd

Ci sono mesi che sembrano durare 5 volte più degli altri. Sono eterni.

 Il gennaio di quest'anno è stato uno di questi, ma anche agosto non ha scherzato. 
 Le tre settimane di vacanze sono riuscite nella rara impresa di volare eppure di sembrare al contempo infinite, stipate.
Più appassionante di qualsiasi romanzo: le avvincenti nature
del governo italiano
  Probabilmente il fatto di aver iniziato agosto con un governo e averlo finito un mese dopo con un altro in una successione di eventi sempre più improbabili, ha dato al tutto quella strana sensazione di "come andrà a finire, se finirà e quando finirà?".

 E' ovvio che di fronte a una realtà che sfida le leggi del fantastico, il rilassamento rischia di andare a farsi benedire, ma in qualche curioso modo per il momento sembriamo essere sopravvissuti su tutti i fronti. Speriamo non sia un fuoco di paglia.

 Ma come sono andate le mie letture estive? 
 Abbastanza bene! Finalmente, nella pace, ho potuto leggere quanto volevo, non mi è parso vero e già rimpiango quei bei pomeriggi di assoluto nulla sotto l'ombrellone, col libro, l'oceano e la pina colada (quest'anno, crepasse lo stereotipo, l'ho fatto sul serio!).

  Dovrei riuscire a recensirli tuuuuutti in circa tre post (giuro, ci metterò meno di un mese anche perché devo iniziare i miei post halloween/autunno), ecco a voi la prima infornata!


MARTIN BAUMAN di David Leavitt ed. Mondadori:

Non avevo mai sentito parlare di questo libro di Leavitt e sono rimasta molto stupita quando mi è apparso sugli scaffali della biblioteca. Era ben pasciuto e sembrava molto adatto come lettura estiva e, in un modo o nell'altro, non mi ha deluso.

 E' sicuramente un libro particolare e non pienamente riuscito. 
 Non perché non sia scritto benissimo, anzi, si fa leggere e cattura, ma se avete letto anche altri di Leavitt vi accorgerete di una cosa fondamentale: il libro è un po' confuso e lo è perché racconta un periodo della sua vita in cui, assai probabilmente, doveva esserlo anche lui.

 Diceva Calvino ne "Il visconte dimezzato": alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.

 E' un po' quello che succede a Martin Bauman, palese alter ego di Leavitt, che racconta i suoi primi passi nel mondo letterario (similissimo per certi versi a quello italiano, nella parte editoriale, diversissimo nella parte autoriale).

 Martin inizia seguendo le lezioni di un famosissimo editor e, in teoria, Leavitt vorrebbe convincerci che il rapporto tra di loro sia il vero fulcro del libro, invece Stanley Flint non è mai un personaggio realmente tratteggiato, appare piuttosto come una sorta di archetipo editoriale: l'inaccessibile e antico e venerabile mondo dell'editoria vs giovane di belle speranze che spera di avere talento e ce la mette davvero tutta yeah.

 Quello che sembra interessare davvero Leavitt (ma che curiosamente sembra quasi non saperselo confessare nonostante ci stia scrivendo un libro sopra) è la devastante fine di un'amicizia della quale sembra non essersene mai fatta una ragione.

 Un po' lo capisco, ci sono alcuni rapporti che appaiono eterni e finiscono per avvoltolarsi nelle pieghe della giovinezza.

 Tu sei lì che cerchi di capire come essere felice e scopri che per esserlo devi perdere alcune tra le persone che ami di più, è una lezione abbastanza difficile da digerire.

 Così Leavitt tira fuori due "teste di morto" abbastanza ricorrenti nei suoi primi racconti: la prima grande storia d'amore che fondamentalmente era la prima grande palla al piede, e la prima grande amicizia che si rivela un tradimento di aspettative, di coraggio, di opinioni.

 Il libro dà il suo meglio nella parte centrale, quando Martin Bauman si trova a lavorare in una casa editrice tra episodi tragicomici, mentre sembra diventare un altro libro, completamente diverso e avulso dal resto della trama nella terza parte, quando cerca di spiegarsi una cosa che ancora palesemente non si è spiegato da solo: come fanno a mancarmi due persone che erano così incredibilmente sbagliate per me?

 Lo consiglio se amate lo scrittore o volete diventare scrittori, altrimenti rischia di annoiare.


DIFESA A ZONA di Petros Markaris:

Avevo abbandonato Markaris un paio di anni fa dopo aver letto tre libri di seguito, tutti un po' troppo simili tra loro.
 Quest'anno la biblioteca mi ha indotto a dargli una seconda possibilità fornendomi su un piatto d'argento "Difesa a zona" che appariva in una piccola gustosa edizione molto da viaggio (perché non fanno più libri così??).

 Il giallo, uno dei primi della serie, prende le mosse da una vacanza che il commissario Charitos sta facendo sulla moglie sull'isola di Santorini. 
 Un terremoto improvviso causa crolli e smottamenti e fa riemergere un cadavere ritrovato da alcuni giovani dottorandi europei che agli occhi del commissario sono tipo degli Hippie della peggior specie.

 Il cadavere si scoprirà collegato ad un altro omicidio ad Atene, pochi giorni dopo. Com'è possibile? Cos'hanno a che spartire un arbitro di serie C e un imprenditore di successo ateniese?

 L'indagine è abbastanza complessa, ben suddivisa tra intrecci familiari e corruzione (uno dei grandi crucci di Markaris) e ha un'altissima dose di ironia che rende Charitos formidabilmente simpatico (perla uber alles il fidanzato della figlia laureato in agraria che il commissario continua a chiamare "Il fruttivendolo laureato").
 Se volete affontare un Markaris è quello da cui iniziare!


LA VITA SEGRETA DELLE API di Sue Monk Kidd ed. Mondadori:

 Non so perché, ma questa estate mi era presa una voglia pazza di leggere un libro in stile "Pomodori verdi fritti".

 Ho chiesto aiuto su fb e, tra gli altri titoli, mi era stato proposto questo che oscuramente ricordavo per via di un film con Dakota Fanning e Queen Latifah.

 In effetti l'ambientazione è proprio da "Pomodori verdi fritti": sud degli Stati Uniti, a noi parrebbe fine ottocento, ma in realtà siamo negli anni '50.
 Una ragazzina, Lily, orfana di madre, vive con un padre violento e menefreghista e viene sostanzialmente cresciuta da Rosaleen, una bracciante di colore che il padre ha messo in casa quale governante dopo la morte della moglie.

 Un giorno, a seguito di una rissa durante la quale Rosaleen viene picchiata da alcuni tizi ancor più razzisti dei razzisti, le due decidono di scappare e fuggono nell'unico posto che viene in mente a Lily: un paese a qualche ora di distanza, il cui nome è segnato dietro la curiosa icona di una Madonna nera, uno dei rari ricordi della genitrice defunta.

 In questo caso il cuore immacolato di Maria funziona e invece di finire sotto un ponte le due trovano ricetto presso la grande casa di alcune sorelle apicoltrici che, oltre ad avere i nomi dei mesi primavera-estate, tengono anche un curioso circolo religioso che mescola cristianesimo e sincretismo animista/matriarcale.

 Il libro è grazioso, mai ai livelli di "Pomodori verdi fritti", ma ha una sua poesia e una certa visionarietà in alcuni punti: gli incontri religiosi, il nascere dell'attrazione fisica di Lily verso un suo coetaneo di colore, la drammatica follia di una delle sorelle.
 Devo dire che mi è piaciuto, molto insolito rispetto alle immagini sempre identiche restituite dai libri statunitensi.
 Adesso sono curiosa di vedere il film.

EUROPA BLUES di Arne Dahl ed. Marsilio:

Ogni anno provo a dare una possibilità a un nuovo autore di gialli, meglio se scandinavo. L'anno scorso ho toppato alla grande con Asa Larsson, quest'anno l'ho fatto con Arne Dahl.
 Un libro incomprensibilmente orrendo da leggere, dall'inizio fino a ben oltre la metà inoltrata quando ho deciso di abbandonarlo.

 Una sorta di task force svedese i cui personaggi non sono mai tratteggiati come Cristo comanda (suppongo lo siano stati nei libri precedenti, ma di solito si ha il buon gusto di dire due parole anche ai poveracci che prendono la serie da un numero a caso) sono alle prese con una specie di gruppo di vendicatori (forse vendicatrici) che usano tecniche di tortura degne di un film horror di serie Z.

 Non so se per colpa dell'autore o del traduttore buona parte del libro risulta incomprensibile a causa di alcune fissazioni, come la parola "ghiottone" stante a indicare una specie di marmotta vorace che all'inizio divora il corpo di una vittima (che va bene, ma lo ripetono tipo 200 volte) o modi di dire come "femministe ninja" che non riesco bene a capire che caspita dovrebbero essere (sembrano delle terf con strane manie di vendetta, ma nel libro viene usata come espressione colloquiale accreditata che dovremmo capire).

 In più, a peggiorare il tutto, c'è uno di questi poliziotti che sta facendo una lunga vacanza in Italia coi soldi di uno zio defunto e che fa tutto quello che ti aspetti faccia uno straniero in Italia: affittare una villa nel Chianti, bere vino sotto il portico, coltivare erbe odorose in giardino e, già che c'è, collaborare coi carabinieri locali (che a quanto pare si offendono se non dividi della grappa con loro in ufficio) in indagini non ben definite su vendicatrici mascherate, tratta delle bianche e prostituzione nei centri di raccolta migranti.

 Un libro assolutamente illeggibile che non ha tensione MAI e appare solo grottescamente ridicolo.
Statene alla larga.

venerdì 6 settembre 2019

Ci si vede il 7 Settembre al Cassero per la prima presentazione di "LESBOOM!"!

Mentre stavo cercando di finire il primo post delle letture delle vacanze mi sono resa conto che, ehm, non ho mai messo qui la locandina con tutte le info per la presentazione al Cassero!!

 Per chi è a Bologna e volesse fare un salto ci vediamo domani Sabato 7 Settembre alle 18:30 al Cassero dove, oltre a ciarlare conmigo potrete anche trovare "LESBOOM!" il mio primo fumetto autoprodotto (di cui vado muy fiera!)!

 Accorrete!!



Eccovi intanto il tenero pargolo (attualmente fornito di fascetta e piccola appendice speciale).