domenica 12 ottobre 2025

31 libri per Halloween, settimana I! Zone morte, glicini rampicanti, regine del brivido, terrori possibili, cose marroni e fiabe spaventose

 Sono ormai già cinque anni che su fb consiglio un libro al giorno adatto al mese di Halloween.

Alcuni li ho effettivamente letti, sono nel mio cuore e li consiglio con cognizione di causa e dovizia di particolari, altri mi incuriosiscono, ma non ho ancora avuto tempo, modo e denaro di leggerli (in questo caso ovviamente lo dichiaro e se qualcuno invece ne ha dato lettura, sono graditi feedback).

Quest’anno, dopo appena cinque anni, ho pensato: perché non fare un post settimanale in cui riassumo i consigli della settimana anche per chi non ha i social?

Ovviamente ci ho pensato con una settimana di ritardo, quindi finirà che li leggerete fino a novembre inoltrato, ma tanto come cantava Guccini:

“Cade novembre e le inquietanti nebbie, gravi coprono gli occhi, lungo i guardini consacrati al pianto si festeggiano i morti”.

Ergo saremo ancora in tema.

Let’s go!

LA ZONA MORTA di Stephen King:


Per questo romanzo qualche riga di Halloween non è abbastanza, sogno da tempo di farne un post elaborato e dedicargli pure un improvvisato gruppo di lettura one shot, ma da qualche bisogna pur cominciare.

 Scritto nel 1979, racconta sostanzialmente l’attuale deriva della politica americana, in un modo talmente preciso e inquietante da lasciare il dubbio che, al netto dell’incredibile volano dato alle destre di tutto il mondo dai social, non fosse poi così imprevedibile la trista deriva generale.

 La trama. Un professore buontempone e amato dagli studenti, dopo un bellissimo appuntamento con una sua collega, ha un terribile incidente e finisce in coma per anni. Quando imprevedibilmente si risveglia, scopre di poter avere delle premonizioni.

Intanto un politico senza scrupoli, amante dei colpi di teatro, dell’autoritarismo e della spettacolarizzazione inizia la sua scalata al potere nello sconcerto e nell’esaltazione generale.

A oggi, per me, l’unico libro che è capace di raccontare i nostri tempi con un anticipo spaventoso.

Se dovete leggere un solo libro questo mese, scegliete questo.

L’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI di Jack Finney:

Malgrado non si possa dire un vero capolavoro, penso a questo romanzo di fantascienza vintage con una certa insistenza.

 Poche cose sono più stranianti nel nostro presente della sensazione di assistere a un cambiamento repentino e inspiegabile da parte di persone a noi vicinissime, persone che credevamo di conoscere e che improvvisamente dicono e credono a cose che mai avremmo potuto immaginare.

E la stessa sensazione si prova davanti a un mondo che premia personaggi incomprensibili, lasciandoci con una persistente sensazione di estraneità: possibile che le stesse persone che inneggiano a questi personaggi siano le stesse che ieri credevano in un mondo migliore?

In una cittadina americana, un medico riceve la visita di una conoscente, convinta che un suo parente sia stato in qualche modo “sostituito” da un sosia.

Nei giorni successivi questa sensazione assale molte altre persone che lamentano di non riconoscere più i loro amici e parenti: sono loro eppure non sono esattamente loro.

Passano i giorni e la verità si svela più spaventosa che mai e forse in effetti un fondo di verità c’è.

Diciamo che con alta probabilità libro e realtà differiscono nelle motivazioni (a meno che non si sia alle prese col più grande colpo di scena della storia), ma pochi romanzi descrivono con tanta esplicita precisione lo spaesamento e lo sconcerto che tanti di noi vivono.

Chi sono davvero le persone attorno a noi? Sono sempre state così o qualcosa di inquietante si è sostituito a loro?

IL GLICINE RAMPICANTE e altri racconti gotico-femministi di Charlotte Perkins-Gilman ed. Abeditore:

Per anni una mia conoscente mi aveva tartassato affinché leggessi “La carta da parati gialla”, ma alla fine ho seguito il consiglio solo lo scorso anno grazie ai fantastici editori di Abeditore.

Una raccolta di racconti pervasi da una leggera inquietudine, sottili terrori della mente e visionarie critiche femministe. Dategli una possibilità.


LA COSA MARRONE CHIARO E ALTRE STORIE DELL’ORRORE di Fritz Leiber ed. Cliquot:


I racconti gotici per me rappresentano la vera essenza di Halloween.
Ogni anno quindi cerco di procacciare nuovi autor* a me ancora ignoti.

 Quest’anno le mie ricerche mi hanno portato ai racconti di Fritz Leiber, autore a quanto sembra amato da King e Campbell. Lo cercherò.

 (Anche se, come faceva notare una lettrice sulla pagina fb, potevano anche scegliere un altro racconto per dare il titolo all’antologia).


REGINE DEL BRIVIDO di AA VV ed. Blackie:

 Seconda raccolta di racconti di autrici classiche edite da Blackie dopo “Dark ladies”.

 Poiché non l’ho ancora letto, ve ne cito alcune: Mary E. Braddon, Marie Corelli, May Sinclair, Marjorie Bowen, Greye La Spina, Sophie Wenzel Ellis, Jessie Douglas Kerruish, Margaret St. Clair, Leonora Carrington.

LA REGINA DELLE NEVI di Hans Christian Andersen:

 Quando ero bambina possedevo due grandi volumi di fiabe classiche con splendide illustrazioni e finali non edulcorati. Mi piacevano molto anche se alcune storie mi mettevano una certa angoscia.

 Una era quella del soldatino di piombo e della ballerina e l’ansia era ingenerata principalmente dalla terrificante immagine finale con i due che perivano in un terribile falò.

 L’altra fiaba, che mi creava un’inquietudine assai maggiore, era “La regina delle nevi”.

 Non ero abbastanza grande per interpretarla come un’allegoria della morte infantile e dell’elaborazione del lutto nei bambini.

 Per me era la storia di un terribile sequestro ai danni di un bambino che voleva solo giocare in balcone con la sua adorata amichetta.

 Il fatto che la regina fosse rappresentata come una donna bellissima non cambiava niente, quello a cui pensavo era il bambino che non sarebbe tornato indietro.

 Ecco. Ho pensato a questi antichi ricordi perché volevo consigliarvi un libro di halloween per bambin*, ma non so se ci sono riuscita.


I PERICOLI DEL FUMARE A LETTO di Mariana Enriquez ed. Marsilio/Feltrinelli:

 Sono anni che mi consigliano questa autrice.

 Avevo provato a leggere “Le cose che abbiamo perso nel fuoco”, ma avevo abbandonato delusa.

 Poi la settimana scorsa, dopo un deludentissimo giro da Tiger (un tempo l’oggettistica di halloween era molto meno dozzinale), ho fatto un giro in libreria e ho voluto darle di nuovo una possibilità nonostante la copertina (il prezzo a 10 euro ha aiutato).

 Ebbene, davvero una raccolta di racconti inquietanti bellissima.

 Se vogliamo, si tratta dei racconti che causano il tipo di terrore peggiore: sono quasi tutti racconti strani e insoliti MA non impossibili.

 E il pensiero che da qualche parte qualcosa di così terribile possa essere successo o possa effettivamente accadere è la cosa peggiore da affrontare.

martedì 23 settembre 2025

Letture dell'estate. Parte I! Gialli scandinavi, gialli da lasciar perdere (?), romanzi alla Shirley Jackson e gli incubi di Stephen King

Scrivo pochi post, ma almeno miglioro coi tempi.

Lo scorso anno vi avevo proposto le recensioni dei miei libri estivi in pieno inverno, adesso siamo solo a fine settembre.

Sono rimasta sostanzialmente fedele alle mie abitudini estive: tanti gialli, autor* collaudat* e altr* nuov*.

Queste sono, (perché ovviamente amo fare le cose con ordine), le letture della seconda parte della mia estate, quella che ho passato sdraiata su un lettino in Grecia.

C’è anche una prima infatti, quella che ho passato a leggere pendolando sul treno dalla costa laziale a Roma in quel di Luglio (treno best posto dove studiare e leggere secondo me).

Arriveranno anche loro.


LA QUINTA DONNA di Henning Mankell:

Mankell è una certezza e il suo commissario Wallander ancor di più.

Tutte le estati mi concedo un suo giallo (e poi mi chiedo perché non li leggo anche in inverno) e non rimango mai delusa.

Qui la storia inizia in Algeria, quando un gruppo terrori

sta giustizia quattro suore francesi e una turista svedese che per uno scherzo del destino era andata a far loro visita.

Anni dopo, in Svezia, alcuni uomini vengono uccisi in modi molto peculiari e Wallander per i tre quarti del libro non sa, comprensibilmente, che pesci pigliare.

Un libro di piste sbagliate che apre le porte a quella che è una delle mie grandi ossessioni: quanto non sappiamo realmente degli altri? Quante porte oscure nascondono gli altri dietro esistenze impeccabili?

E quindi, il lato interessante di questo giallo di cui si conosce il colpevole sin dall’inizio è proprio questo: l’indagine nelle vite di uomini insospettabili che porta a passati coloniali, organizzazioni di estrema destra, secondi lavori poco puliti, a maltrattamenti e scomparse.

E alla domanda che più di tutte le altre è contemporanea: quanto vale davvero la vita di una donna?

Secondo me, uno dei più belli di Wallander.


TRA LA NOSTALGIA DELL'ESTATE E IL GELO DELL'INVERNO di Leif CW Persson:

Titolo poetico per un libro di cui sono riuscita a sostenere a stento 80 pagine.

 Allora, io lo so che i commissari/ispettori/investigatori dei libri, persone limpide e dall’invidiabile ossatura morale retta da una solidissima etica che tende al sol dell’avvenir e al bene della società sono creature immaginarie.

 So che assai più probabilmente i libri che li descrivono come persone diciamo di aree politiche non progressiste sono forse più realistiche. Forse, non lo so, diciamo che le forze dell’ordine non hanno nomea di essere iscritti in massa a Potere al Popolo.

 Tuttavia leggere un libro che in 80 pagine neanche fa partire la trama, ma infila una quantità impressionante di deliri sessisti-omofobi-fascisti e chi più ne ha più ne metta di seguito, ecco diventa un attimo insostenibile.

L’ho quindi abbandonato subito.

 Non prima però di essermi lasciata avvolgere da una serie di dubbi da lettrice: ha senso leggere libri che ci raccontino la realtà solo come piace a noi? Non dovremmo forse affrontare anche cose che non ci piacciono né ci piaceranno mai né ora né mai?

 Diciamo che ho risolto questo dubbio amletico in un modo molto da 2025: eliminandolo.

 Ero al mare e mi sono chiesta se davvero, sommersa di stanchezza, dovessi sprecare parte delle mie vacanze a leggere un libro orrendo per una questione di principio.

 Ho rimandato il dilemma a quando sarò meno stanca, se mai succederà. Anche perché mi sembra che a porci dubbi siamo rimasti in 3 persone in croce sul pianeta e quindi perché tormentarsi.


SHINING di Stephen King:

 Vabbeh è Stephen King. Vabbeh è uno dei libri più famosi di Stephen King. Come si fa a recensirlo?

 Inutile dire che prima ho visto, ormai molti anni fa, il film di Kubrick che indubbiamente interpreta il romanzo in un modo assai più complesso.

 Mentre il libro sposa convintamente la versione sovrannaturale e propone il topos della casa stregata che si anima diventando una trappola per gli incauti inquilini, il film preferiva invece la linea “Giro di vite” ossia: i fantasmi esistono o sono solo nella mente del protagonista?

 Personalmente trovo la seconda idea più affascinante, ma il libro è scritto ovviamente benissimo e amo sempre i personaggi sfaccettati come questi padri sospesi tra la cattiveria più cupa e l’amore più intenso per la prole.

 Mi verrebbe da dire che nei suoi romanzi, almeno quelli di un determinato periodo, King esorcizzava probabilmente il suo più grande terrore ossia la perdita di un figlio perché questi poveri bimbetti hanno sempre vite abbastanza complesse.

  Ci è riuscito molto bene.

 Assolutamente da leggere. Curiosamente in inverno lo avevo iniziato trovandolo molto lento e lo avevo rapidamente abbandonato. In estate l’ho mandato giù in un paio di giornate in spiaggia.

E’ forse questo il vero significato di “libro da ombrellone”?


LA BAMBOLA CHE UCCIDE di Ruth Rendell:

 In estate amo sperimentare nuovi autori e autrici, ma anche andare sul sicuro (più che altro perché se mi deludono tutti poi reperire volumi in lingua italiana all’estero non è facilissimo).

 Ruth Rendell è una doppia certezza: i romanzi sono sempre belli e li trovo sempre a 30 centesimi all’usato.

 In questo caso sono rimasta (piacevolmente) stupita.

 La quarta di copertina e la presentazione generale lo suggerivano come giallo #einvece no.

Si tratta di una storia da risvolti psicologici in pieno stile Shirley Jackson.

 Delia è una giovane sarta che si veste sempre in modo impeccabile, ma è stata condannata a una vita di solitudine da una grande voglia sul viso.

 Sua madre l’ha sempre molto protetta, sebbene le sue buone intenzioni abbiano finito per portare la ragazza a una vita ritirata e priva di amicizie, se non saltuarie frequentazioni di una sorta di club dell’occulto.

 Quando sua madre muore, tutto il suo mondo si riduce al padre, un uomo distratto che si mette quasi subito in cerca di una nuova moglie, e al fratellino, che sviluppa un’ossessione per lo spiritismo in cui trascina anche lei.

 Passano gli anni, il padre si risposa e il fratellino, ormai adulto, scopre le ragazze e abbandona i suoi vaneggiamenti spiritisti. Peccato che ormai Delia ci creda davvero e non riesca a liberarsene.

 Libro ben scritto, è in realtà un romanzo psicologico a tutto tondo.

 L’unico appunto che mi sento di fare è che PALESEMENTE la storia andava retrodatata all’epoca vittoriana (non serviva nemmeno particolare sforzo) dove sarebbe stata credibilissima.

 Rendell sceglie invece degli improbabili anni ’80 in cui però è davvero difficile collocarla a livello di immaginazione, a partire dalle sedute con gli ectoplasmi a finire col villain della vicenda.

 Chissà quali sono stati i motivi della scelta, se editoriali o meno.

 Lettura sicuramente da Halloween.


L’UOMO CON DUE VITE di Hakan Nesser:

 Giudizio sul libro in quanto giallo: non è un giallo.

 La trama gialla è talmente vaga che il poliziotto protagonista indaga letteralmente dal suo letto d’ospedale e appare più o meno a metà del libro.

 La cosa che rende il libro decisamente da leggere è la lunghissima intro di circa 150 pagine e mi ha molto colpito perché risponde perfettamente a una sorta di posto mentale in cui mi rifugio per rasserenarmi di tanto in tanto.

 Un cinquantenne al secondo infelice matrimonio, senza amici e senza interessi particolari, vince una grossa somma di denaro.

 La prima cosa che fa è quella che faremmo tutti: si licenzia.

 La seconda è quella che avrei fatto anche io: si compra una sorta di casetta nel bosco, in una radura autunnale meravigliosa, e lì passa il tempo a mangiare tramezzini, dormire, passeggiare e pensare.

 La famiglia ignora questo acquisto e lui finge di andare a lavoro tutti i giorni per mantenere una pace in cui nessuno può entrare.

 Poi un giorno una ragazza scappata da un centro di recupero per ragazze difficili arriva nel suo villino e tra i due nasce un’amicizia che verrà interrotta violentemente.

 Non vi dico il resto e non so neanche se lo consiglio. Io l’ho trovato molto commovente nella prima parte, nel tirare le fila di una vita che, come moltissime vite, si rende conto di essere arrivato molto in là senza riuscire mai a raggiungere quel barlume di felicità promessa.

 Se lo trovate in biblioteca, una possibilità gliela darei.

SOTTO LA PELLE di Doris Lessing:


Questa autobiografia nello specifico la iniziai anni fa senza finirla e
ci ho riprovato questa estate pensando di terminarla sotto l’ombrellone.

Contro ogni aspettativa non sono ancora riuscita nell’impresa (sono quasi 1000 pagine).

Ci sono parecchie riflessioni interessanti nell’ambito della militanza politica che vorrei condividere e lo farò appena riuscirò a terminarlo (so che sembra più una minaccia che una promessa).

venerdì 19 settembre 2025

Tre idee per cambiare il modo di condividere su blog e social. La seconda è: proviamo Substack!

 Questa estate, nel tentativo di distrarmi dai mille attuali doveri della mia esistenza, ho partorito tre idee per cambiare un po' il modo di comunicare sui social e sul blog.

 E' un po', tra gli orrendi rivolgimenti del mondo e probabilmente un cambiamento dovuto anche all'età, che sento di non trovarmi più a mio agio nel raccontare e condividere, soprattutto, in un certo modo.

 Il mondo involve e involve anche la voglia di parlare col prossimo apertamente, torneranno tempi migliori (forse, chissà, boh).

 Comunque, la prima idea se mi seguite su fb la conoscete già (e se non mi seguite non vi interessa perché riguarda quella piattaforma).

 La seconda idea invece riguarda proprio il blog. No, non chiuderà, ma è da molto che guardo con interesse Substack e vorrei capire come funziona un modo di comunicare diverso, forse più adatto ai tempi. 

 Poiché però non ho bene idea di come funzioni né se mi piacerà, continuerò indicativamente a pubblicare le stesse cose qui e attraverso Substack. E cercherò anche di pubblicare di più.

 Lo dico spesso, ma ultimamente il tempo di vivere, vivere in senso letterale, faccio davvero fatica a trovarlo, come tutti e tutte immagino.

Vabbeh, smetto di lamentarmi e vi lascio il link di substack se volete seguirmi: 

https://substack.com/@idoloridellagiovanelibraia






lunedì 5 maggio 2025

Tornano i fumettosi riassunti! "Uglies", una distopia in cui la gggente bella non si fa la guerra (e molte altre cose senza senso). Bonus track: votate per il referendum

 Un mesetto fa (forse meno, ultimamente lo scorrere del tempo non è lineare) ho visto su Netflix un film con una trama distopica talmente ridicola che se non ne stessimo vivendo una ancor più ridicola nella realtà mi sarei indignata, ma tant'è.

 Si tratta di "Uglies", una cosa degna della mancanza di senso logico di "Tre metri sopra il cielo" e proprio per questo molto fumettabile.

 In realtà avevo pensato di farne il primo post di un Substack che sto fumosamente pensando di aprire al posto del blog. Un po' però sono indecisa, un po' non ho (come al solito) tempo e un po' ho deciso di cambiare approccio a internet nell'attesa di capire comecosa modificare nel mio modo di usarlo nell'epoca del furto dati capitalistico.

 In questo caso, ho pensato fosse sensato condividere il fumetto qui affinché  quante più persone possibili possano anche scoprire che:

L'8 E IL 9 GIUGNO SI VOTA PER 5 REFERENDUM 

SU LAVORO E CITTADINANZA

Tutte le info qui: https://www.cgil.it

Ora dopo la pubblicità progresso, godetevi il fumetto!












E visto che siete arrivat3 fin qui: 



venerdì 7 marzo 2025

Essere o non essere (sui social)? Questo è il problema. Se sia più nobile andarsene o levarci a combattere contro orde di troll organizzati? Una riflessione amletica

 In questi tempi oscuri che durano oscuramente ormai da un decennio e che spero prima o poi compiano (come avviene per tutte le cose umane) una parabola discendente verso il raziocinio, ho passato, come molt3 di no, ormai un tempo considerevole su internet, ma soprattutto sui social.

 Proprio perché ormai i tempi sono oscuri da anni e bene o male quasi tutt3 abbiamo passato questo considerevole tempo sui social, mi stupisce sempre come esista così poca letteratura e come non sia perennemente al centro del dibattito urbi et orbi il modo in cui la propaganda detti il discorso tramite alcune tecniche ormai chiarissime.
 
 La bestia di Salvini, per citarne una, è fatto ormai noto e in verità non è che serva particolare genio per capire come eserciti di troll ben governati riescano a creare, alimentare e gestire il discorso sotto letteralmente qualsiasi post di politica venga pubblicato.

La propaganda è questa cosa che a sinistra abbiamo deciso che fa un po’ schifo,
malgrado se ne sia fatto ampio uso in passato e malgrado non se ne possa fare a meno.
 
 Voi pensate che a sinistra non la usino perché non sono capaci, ma in realtà è vero solo in parte. 
 La verità è che c’è una certa diffidenza verso la propaganda, un sentimento avverso che si alimenta anche dall’uso che la destra ne fa.
 
 Ossia, uno dei modi, pensano molti a sinistra, per differenziarsi da quello che ormai è diventata la destra, è rifiutarsi di usare le loro armi. La propaganda insomma è una cosa vista con un’accezione puramente negativa. 
 Solo che mentre ci si scervella su questi dilemmi morali, abbiamo a che fare con gente clamorosamente amorale che sta devastando la politica planetaria.
 
Per dirla con una massima del passato che abbiamo nascosto sotto il tappeto, andrebbe ricordato che “La rivoluzione non è un pranzo di gala”.
 
 Non lo è per la destra, e purtroppo manco per la sinistra.
 
 Ma sparare sul pianista, in questo caso i partiti politici di sinistra, è un esercizio troppo facile che ci dovremmo stancare di praticare. Questo perché è sempre molto semplice dare la colpa agli altri e non guardare mai le proprie.
 
 Quello che vorrei mettere al centro del discorso è un altro dubbio amletico che mi attanaglia da anni: ha senso o non ha senso stare sui social? 

 Ma soprattutto, ha senso o non ha senso cercare di partecipare e rispondere ai discorsi, ai commenti, alle illazioni, ai post pieni di bufale, alle fake news messe in giro da questa macchina di propaganda oliatissima di estrema destra?

  Non cito a caso la locuzione “dubbio amletico” perché qualche sera fa, mentre combattevo con la cena, mi sono ritrovata per l’ennesima volta a farmi il sangue amaro per un tizio che aveva attaccato briga sotto un mio commento su ig e per l’ennesima volta mi sono domandata: ma a me chi me lo fa fare che sono già oberata da un’ingente quantità di problemi e non ho certo bisogno di ansiarmi con un troll che penso, immagino, venga pure pagato da qualcuno (o programmato da qualcuno che viene pagato)?
 
 Da lì la mia mente, evidentemente capace di salti logici a me lucidamente insospettabili, si è improvvisamente agganciata al celebre monologo Shakespeariano: “Essere o non essere?”
 
 Per curiosità sono andata a rileggermelo ed effettivamente questa riflessione calza perfettamente al dubbio che percorre molt3 dopo il coming out trumpiano collettivo della broligarchia tecnologica mondiale: ma davvero ha ancora senso stare sui social (o anche qua su blogger) a dare i nostri dati a delle tecnocrazie per controllarci o per addestrare macchine che ci sostituiranno/controlleranno (a voi non sale il crimine quando vedete la gente baloccarsi su Linkedin con le AI invece di preoccuparsi? A me sì)?
 
 Per rinfrescare la memoria, riposto a vostro uso e consumo il testo integrale del monologo:

“Essere o non essere: questo è il problema.
 Se sia più nobile tollerare le percosse di una sorte oltraggiosa,
 o levarci a combattere tutte le nostre pene e risolutamente finirle?
 Morire, dormire… null’altro.
 E con il sonno dar termine agli affanni dell’animo e alle altre infinite miserie che sono l’eredità della carne.
 Ecco una fine da bramarsi devotamente!
 Morire, dormire… Dormire. Sognare forse.
 Ma qui è l’intoppo: perché in questo sonno di morte, una volta liberati di questa spoglia mortale, quali incubi ci perseguiteranno?
 Ecco cosa ci ferma!
 È proprio questa idea che ci fa reggere tanto a lungo la sventura di vivere:
 chi sopporterebbe altrimenti il flagello e le offese del tempo, l’ingiuria degli oppressori, la villania dei superbi, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lungaggini della giustizia, l’arroganza dei potenti e gli sfregi che subisce dagli indegni l’umiltà dei meritevoli, se è possibile liberarsene da sé con un solo colpo di lama?
 Chi mai vorrebbe portare sudando e gemendo il fardello di una logorante esistenza, se la paura di qualcosa oltre la morte
 – l’inesplorato mondo da cui nessun viandante fece mai ritorno –
 non trattenesse la nostra volontà, facendoci preferire i mali presenti ad altri che non conosciamo?
 E’ così che la coscienza ci rende codardi;
 così l’incarnato della risolutezza si fa pallido roso dalla riflessione.
 Anche le più alte e generose imprese vanno a finire nel nulla e perdono il nome stesso di azioni.”
 Diciamoci la verità, stranamente o forse non tanto, questo monologo racchiude molti dei dilemmi sulla questione.
 
 Ho discusso con tante persone in questo periodo su quale fosse più sensato comportarsi in un’epoca in cui le squadracce sono online e le intimidazioni sono segnalazioni di massa, ricondivisioni di screen e pubbliche gogne (attuate anche da politici).
 
Fondamentalmente, come si chiede Amleto:
 
"Se sia più nobile tollerare le percosse di una sorte oltraggiosa,
 o levarci a combattere tutte le nostre pene e risolutamente finirle?"
 
 Le risposte sono state varie, alcuni vogliono riuscire ad abbandonare i social (ma per lavoro è ormai difficile), altri si limitano a farne un uso privatissimo, altri ancora vorrebbero anche arginare questo dilagare propagandistico nero, ma poi gettano la spugna perché un singolo contro un insieme organizzato cosa mai può fare?
 
 Per quanto condivida e trovi sensate tutte le risposte, a me però il dubbio rimaneva ed è esattamente quello espresso da Amleto:
 
Morire, dormire… Dormire. Sognare forse.
 Ma qui è l’intoppo: perché in questo sonno di morte, una volta liberati di questa spoglia mortale, quali incubi ci perseguiteranno?”
 
 È abbastanza affannoso per un singolo opporsi al dilagare, ma quali incubi ci perseguiteranno per anni se abbandoniamo le nostre spoglie virtuali e ci arrendiamo?
 
 S’intende. La lotta online non è la sola lotta, anzi, per me la lotta online manco dovrebbe esistere, ma non prendiamoci in giro, nuovi mezzi di comunicazione hanno sempre fatto da volano a chi per primo li ha saputi sfruttare e non possono essere ignorati come se vivessimo ancora nel 1960.
 
 La riforma protestante non sarebbe avvenuta in quei termini senza l’invenzione della stampa a caratteri mobili e anche quella non è stata un pranzo di gala in termini di conseguenze.
 
 Vedo su questo punto una certa mancanza di riflessione collettiva. Cosa fare delle nostre esistenze online: essere o non essere?
 
 È sensato permanere e opporci con tutte le nostre forze? Ed è sensato, a questo punto, non pensare che sia necessario organizzarsi in un qualche modo per opporci a una macchina molto ben organizzata?
 
 Perché continuiamo a trattare quello che di fatto è un monopolio del discorso online che ha concrete ricadute sulle nostre vite come qualcosa di cui possiamo disinteressarci? 
 
 Vorrei che fossimo onesti su questo punto. Una parte di noi (al netto di quelli che se ne fregano proprio, ma sono un altro problema) lo fa perché probabilmente perché pensa sia troppo stressante e che la vita ci dia già troppi problemi (lo penso anche io il 90% del tempo) e un’altra parte perché lo ritiene, fondamentalmente, una parte non rilevante in modo sostanziale di tutto il tracollo generalizzato a cui stiamo assistendo.
 
 Questo atteggiamento rispecchia secondo me una sorta di errore di prospettiva storico.

Sempre per citare Mao, citato in realtà da Stephen King in quel manuale politico dei giorni nostri che è “La zona morta”
“Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”.
 
 Ecco noi ci troviamo in questa situazione. C’è una parte che sta usando i social come mulini a vento e una parte che si illude di fermare il tutto o costruendo qualche muretto o nascondendosi direttamente dietro.
 
 Del resto, sempre Amleto ce lo dice perché lo facciamo:
 
 “Chi sopporterebbe altrimenti il flagello e le offese del tempo, l’ingiuria degli oppressori, la villania dei superbi, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lungaggini della giustizia, l’arroganza dei potenti e gli sfregi che subisce dagli indegni l’umiltà dei meritevoli, se è possibile liberarsene da sé con un solo colpo di lama”.
 
 Fondamentalmente se spegniamo i cellulari e troviamo il coraggio di disintossicarci dai social non vedremmo più tutto questo. Se eliminassimo la nostra presenza online o ci confinassimo in qualche recinto ben custodito potremmo sicuramente sfuggire a ingiurie e villanie con un colpo di lama neanche troppo doloroso.
 
 O no?
 
O siamo al punto in cui se abbandoniamo la battaglia online presto ci troveremo ad affrontarne una molto più perigliosa e pericolosa dal vivo?
 
“Chi mai vorrebbe portare sudando e gemendo il fardello di una logorante esistenza, se la paura di qualcosa oltre la morte
 – l’inesplorato mondo da cui nessun viandante fece mai ritorno –
 non trattenesse la nostra volontà, facendoci preferire i mali presenti ad altri che non conosciamo?”
 
 Io per mia natura sono pessimista e ho sempre il retropensiero che i mali che non conosciamo siano assai peggiori di quelli di cui siamo a conoscenza. Finora la mia esistenza da millennial non mi ha smentito.
 
 E quindi cosa fare? Qual è la risposta tra l’essere o non essere online?
 
La risposta a mio parere è cosa facciamo di quell’esistenza in questo momento e se basti il modo in cui stiamo al mondo nel mondo virtuale. Per me no. Non basta più.
 
 Perché mentre noi ci scambiamo video su gatti e papere, su comici e Asmr, qualcuno lavora per inquinare e far sua ogni singola parte. Per distruggere quel mondo. E ci sta riuscendo.
 
 E io non penso che la soluzione sia attendere, guardare e sottovalutare. Penso che la soluzione sia prendere questa situazione sul serio e capire come affrontarla, non singolarmente, ma in modo organizzato.
 
 Chi deve organizzare? Eh, giovani, il problema sta tutto qui. I partiti un tempo l’ufficio di propaganda ce lo avevano e lo usavano senza farsi troppi problemi, ma adesso viviamo in un’epoca in cui qualcuno può permettersi tutto e manipola il discorso dando l’impressione che gli avversari non possano permettersi niente.
 
 Quindi chi deve fare qualcosa? Che si inizi a pensarci.
 
“È la coscienza che ci rende codardi”.
 
 O forse è la coscienza che pone scrupoli, umani, in tempi disumani. E forse non possiamo più permetterceli.

mercoledì 26 febbraio 2025

Ma non sarà che le forme della partecipazione sono un po' limitate? Un post che non è un alibi per nessuno, ma un tentativo di trovare una soluzione

Come scrivo qua e là, per ragioni burocratiche, sono stata costretta a iscrivermi alla scuola di specializzazione (no, non da insegnante).

 Siccome in Italia è difficilissimo cambiare comparto perché se prendi una decisione a diciannove anni poi devi pagarla per tutta la vita, ho appena sacrificato nuovamente un mese della mia vita (e molti altri soldi di tasse universitarie) china sui libri.

 Questo cappello di lamento (che era più lungo, ma siccome ci ho messo due settimane a pubblicare questo post nel frattempo ho tagliato 20 righe) è per introdurvi al fatto che comunque, malgrado il mio grado 0 di motivazione in questa ennesima avventura universitaria, poiché all’epoca la materia l’avevo effettivamente scelta per un motivo (quello palesemente sbagliato ossia non per i soldi, ma perché mi piaceva), ne ho cavato comunque qualcosa di utile e interessante.

 Qualcosa che non possa essere applicato solo ad archivi e biblioteche, ma anche alla vita reale, la nostra, tristissima, drammatica, allucinante, distopica che stiamo vivendo in questo momento.

 Nell’esame di Biblioteconomia e ricerca applicata alle biblioteche, per quanto strano possa sembrare, ho trovato una risposta possibile a un tema che mi tormenta (pensate voi come mi tormento io): la mancata partecipazione delle persone alla vita democratica.

 Allora, io lo so che per anni ci siamo detti che la gente è delusa, che la politica non dà risposte, che sono tutti uguali e via discorrendo, ma ormai da un paio di anni chi ci governa gode di un illogico sostegno che può essere solo ideologico. Illogico perché l’inflazione è alle stelle, le tasse pure, gli affitti anche, si boccheggia nella vita quotidiana senza via d’uscita.

 Quindi, considerando che siamo stati una nazione che negli ultimi trent’anni si agitava pure per gli starnuti facendo ondeggiare i sondaggi come canne al vento, permettetemi di pensare che qualcosa non vada.

 Il sostegno ideologico è quello che è: difficilmente amovibile finché almeno parte delle persone non vede un altro carro del vincitore dove salire, Berlusca, Renzi, grillini, Meloni e domani chissà.

Il punto è la famosa gente che non va a votare.

Manifesto del 1948. Non è
per litigare, l'ho messo perché
noto che l'astensionismo un 
tempo era civicamente vissuto
in modo diverso
Non andare a votare per me è colpevolissimo, lo ritengo colpevole pure per chi lo fa con metodo, cioè non perché non si riconosce in nulla, ma in chi non crede allo strumento del voto e fa politica in altro modo. 

 Questo perché mentre fai politica in un altro modo qualcuno però fa le leggi e poi puoi pure fare tutte le manifestazioni del mondo sul ddl sicurezza, se chi è al governo ha i numeri (e li ha anche perché non sei andato a votare) il ddl viene approvato. Fallo abrogare poi.

 Io ogni tanto me chiedo se qualcuno prima o poi c’avrà tipo un’idea matta e penserà: ma perché invece di fare manifestazioni dove ce contiamo tra de noi, non andiamo in parlamento e facciamo le leggi che ce pare? Così, è un’idea che mi pare a destra abbiano assimilato, ma a sinistra per qualche motivo faccia ancora ribrezzo.

 In questo specifico post non voglio nemmeno parlare di chi non va a votare perché si sente come un cliente al ristorante: il menù non è di suo gradimento e non ordina. Peccato che in cucina ci dovrebbe stare pure lui perché non è un ristorante, ma una sala comune dove tutt3 hanno responsabilità e stare seduti oltre che irrispettoso verso gli altri è pure nocivo. Io ad esempio mai capito perché chi si sbatte a fare politica debba pure sorbirsi chi non la fa e si lagna.

 Per quelli che “la politica la fa chi ha tempo”, fatemi sapere quanto tempo avevano Di Vittorio, gli agricoltori pugliesi, gli operai e tutta la gente che oltre a lavorare si è fatta il mazzo per far approvare diritti su cui sputate perché è arrivato il padroncino di turno che vi rincretinisce di idiozie.

 Questa fazione politica che sta prendendo piede nel mondo ha molto gioco a che le persone si percepiscano come consumatori e non come cittadini. 

 Li blandisce, li coccola, sa che una parte di loro si farebbero comunque scrupoli a votarli e allora li tiene a casa, fa guidare il discorso social da un po’ di troll che dicono che non dovremmo andare a votare “perché se non andasse a votare nessuno allora sì che ci sentirebbero!” (chi ti deve sentire? Mica vivi nella Francia del re Sole).

  Insomma si indirizza il discorso verso l’alibi del “non è colpa mia, è colpa di chi ci è adesso” e grandissimo must “se vince la destra è colpa della sinistra”.

Voi avete mai sentito dire che se vince la sinistra è colpa della destra? Io no.

 Ma conviene blandire, coccolare, inebetire. Se non ti va di fare nulla perché hai altro da fare va benissimo, se ti disinteressi va benissimo, e se ti senti sempre più impotente va benissimo, così non ti può sfiorare manco per sbaglio l’idea che se fossi più attivo potresti in effetti cambiare qualcosa.

 Ma voi direte, se siete arrivati fin qui, ma che caspita c’entra questa invettiva contro l’ignavia con l’esame di biblioteconomia?

 C’entra perché, invettiva a parte, mi ha fornito una risposta sul perché la gente partecipa meno e su come, almeno chi ha una vaga motivazione ma non sa come metterla in pratica, potrebbe farlo.


 In questo convegno ideato a partire dalle cinque leggi della biblioteconomia organizzato a Milano da Chiara Faggiolani di cui vi consiglio caldamente l’ascolto (sono 7 ore, ma le valgono tutte, ma esiste anche il libro con gli atti del convegno "Libro città aperta. Le biblioteche e lo sviluppo umano. Cinque tesi" a cura di Chiara Faggiolani) ci sono stati alcuni interventi che mi hanno particolarmente colpito su spazio e tempo e su come l’attuale sistema economico stia divorando entrambi consegnandoci alla solitudine e a una sensazione di inebetente impotenza.

 Le città sono aggredite dal mercato, luna park per turisti paganti serviti da lavoratori sottopagati. 

 Le persone residenti non abbienti vengono espulse come se fossero scarti e tutto ciò che può essere massimizzato per il profitto lo è, smembrando di fatto interi tessuti sociali e portando anche seri problemi allo Stato che dovrebbe prima preoccuparsi del benessere dei cittadini e poi di quello degli imprenditori (sì, se affitti casa tua per farne un albergo sei un imprenditore non “uno che arrotonda”, chiamiamo le cose col loro nome, così magari le tassiamo anche come dovremmo).

 In questa simpatica gentrificazione, le persone, abbienti o meno, sprofondano nella solitudine.

 Non hanno più luoghi dove incontrarsi senza pagare o senza avere l’ansia del tempo che scorre.

 Io mai posso dimenticare uno degli episodi che mi ha fatto definitivamente capire che Milano non era più un posto dove stare: io che pago 20 euro un aperitivo e dopo 20 minuti 20 inizio ad essere assillata dai camerieri per consumare ancora altrimenti me ne devo andare. È stato un caso limite, ma è stato un caso in cui ho capito bene che la deriva attuale è: esisti se paghi, se non paghi devi togliere ogni disturbo.

 In questo marasma, l’intervento che mi ha dato una possibilità di risposta su come opporci a questa deriva che mette al centro l’umano solo in qualità di bancomat, è stato quello del professor Ezio Manzini.

 Nel suo intervento parla di partecipazione. Ma dice anche una cosa che appare ovvia e di cui pure si parla poco e ci si prende ancor meno cura: le forme della partecipazione.

 È innegabile che la sensazione generale, quando si va per la prima volta a qualche riunione associativa, di partito, di squadra, di circolo, di qualsiasi forma aggregativa, sia che esistono solo due modi per partecipare: farlo gettandosi anima e corpo o togliere il disturbo.

 La sensazione molto spesso (ok, non sempre, ma diciamo spesso) durante i primi incontri è sempre quella del momento di iniziazione: devi convincere le persone che sono già lì da tempo della tua buona fede, ma soprattutto del tuo desiderio di collaborare il più attivamente possibile. 

 In caso contrario, ammesso e non concesso che qualcuno ti rivolga la parola, la buona volontà è messa in dubbio, chi sta lì da tanto sottolinea come “se tutti facessero così non si farebbe nulla” e in generale, la già poca sensazione di familiarità (ovvia in tutti i contesti nuovi) si amplifica facendo sentire i nuovi venuti ospiti indesiderati.

 Considerando che raramente si parte per partecipare armati da un invincibile fuoco pronto a superare ogni ostacolo, è fatale che molti e molte si arrendano dopo la prima volta o dopo la prima mail per chiedere timide informazioni.

 In parte è vero che se tutti partecipassimo a tempo perso non si farebbe nulla, ma è anche vero che non tutti abbiamo le stesse possibilità: c’è chi magari vive fuori città o lontano, c’è chi fa due lavori, chi lavora su turni, chi è genitore single e ha poca elasticità, c’è chi ha genitori anziani e via discorrendo. 

 Insomma, c’è tutta la vita che peraltro fluttua nelle proprie opportunità di anno in anno (esempio su di me: quest’anno con la scuola di specializzazione le lezioni si stanno divorando quasi tutto il mio tempo libero, lo scorso anno non era così).

 Se è vero che partecipare è impegno e impegno implica anche rinunce o comunque una selezione (per partecipare attivamente devi rinunciare a riposo o a fare altro) è anche vero che vi è una certa rigidità nelle forme di partecipazione e che forse, se fossimo più flessibili, sfruttando anche in parte le possibilità ibride date dai nuovi mezzi di comunicazione (che per ora vengono usati con più cognizione di causa da chi le utilizza in modo nefasto), si potrebbero intercettare molte più persone.

 Ciò che dice Manzini nel suo intervento è che si dovrebbero prevedere più forme di partecipazione e coinvolgimento.

 Se le possibilità non fossero così dicotomiche (tuttotutto nienteniente) sarebbe più semplice coinvolgere e sentirsi coinvolti, agganciare chi si sente solo e pensa di non poter fare nulla e di essere consegnato all’impotenza. 

 E, aggiungo, togliere di mezzo parte di quel mondo che si pensa partecipativo, ma è solo “adorativo”: seguire sui social militanti che pontificano NON è una forma di partecipazione, è una forma di influencing piuttosto subdola.

 La partecipazione non è passiva, ma attiva e ha poi il potere di rigenerare le energie: all’inizio si pensa di poter fare poco o di potersi mettere a disposizione un minimo, ma nel momento in cui ci si sente attivi e si vede che quel che si fa ha un senso e produce dei risultati siamo portati a fare sempre di più e a coinvolgere anche altri.

 Si scopre che non siamo impotenti e che forse, vediamo i complotti nelle capre volanti in cui hanno iniettato il 5g, ma non siamo capaci di accorgerci delle ovvietà: una massa che non partecipa è una massa governabile.

 Per quanto io comprenda appieno le difficoltà e anche l’astio di chi si impegna in prima persona e si trova pure a dover fare il missionario della partecipazione spandendo il verbo, continuo a pensare a quanto fosse pervasivo questo modo di fare negli anni ’70: lo strada per strada, il casa per casa, intendeva proprio questo, coinvolgere tutti.

 E se è vero che siamo pochi a coinvolgere e molti a voler essere coinvolti e convinti, in una sproporzione che rende questa via molto difficoltosa, è anche vero che, a mio parere, è davvero l’unica via: nuove forme di partecipazione, diverse, a misura di chi può 5 minuti e di chi può 5 ore.

 Eppure, e bisogna ricordarselo quando si dice “che la destra governa per colpa della sinistra”, questo processo non è possibile se le persone che si sentono escluse, sole, impotenti non si mettono in una posizione di ascolto.

Da una parte bisogna cambia comprendere che se non ti batti per te, non lo farà nessuno al posto tuo.

Alzati e fai qualcosa. Tutto può essere fatto, niente è mai perduto.




mercoledì 29 gennaio 2025

Le recensioni perdute. "La reputazione", la seconda wave di Ricciardi e "I figli degli uomini" di P. D. James!

 In questi ultimi tre-quattro anni in cui ho tralasciato un po' il blog, ho ovviamente letto molti libri, anche se meno di quelli che avrei voluto.

Lo studio si è preso tanto spazio, anche troppo, e non per mia volontà. Vorrei dire che sono una persona a cui piace studiare, ma in effetti non lo sono più. Sono in quella fase della vita in cui vorrei leggere solo quello che desidero e smetterla di stare sui libri, ma i parametri per le professioni culturali non sono d'accordo con me.

 Certo, forse se ai parametri richiesti corrispondesse uno stipendio adeguato, me ne farei una ragione, ma no, sto iniziando a convincermi che l'Italia non ama chi studia e cerca di punirlo in qualsiasi modo.

 Era una verità a cui era già arrivato brillantemente Sidney Sibilia col suo "Smetto quando voglio" mostrando laureati vari ed eventuali alle prese con vite precarie, vessazioni, povertà e umiliazioni. Ecco, quella non è una trilogia, ma un documentario e lo dico con un'amarezza che mi spiace trasmettervi. 

Nella mia prossima vita, farò un concorso pubblico basic a 20 anni e dormirò sogni beati sebbene poco retribuiti (ma almeno mi risparmio anni di tasse e notti insonni). 

 Volevo risparmiarvi questa intro, ma macino sconforto ormai da mesi e almeno qui ho pensato di potermi sfogare. Magari a furia di tediare il prossimo, il mondo mi apparirà migliore in questo foschissimo 2025.

 Comunque, dato che la mia fuga da ig e fb, riparte anche qua dal blog, sappiate che arriveranno ciuffi di recensioni di libri che ho letto e di cui non ho mai parlato. 

Forza che recuperiamo tutto!

LA REPUTAZIONE di Ilaria Gaspari, ed Guanda:

 A Roma, l'ho scoperto dopo aver letto questo libro, c'era negli anni '90 una curiosa leggenda metropolitana.

 Si raccontava infatti che nei camerini di un negozio di vestiario del centro per ragazzine, ci fosse una botola. Chi entrava lì dentro per provarsi una maglietta finiva dritta dritta dentro alla trappola e veniva rapita per essere avviata alla tratta delle bianche.

 Da questa suggestione (che ora coi social non voglio manco immaginare che piega prenderebbe), Gaspari costruisce un romanzo che avrebbe forse anche potuto intitolarsi "La calunnia" (questo è un post dove do suggerimenti non richiesti sui titoli dei libri).

 La protagonista è un po' insolita (finalmente) nel panorama delle protagoniste femminili italiche: Barbara è una studentessa non molto diligente, con le idee poco chiare per il futuro e fondamentalmente con uno spirito sfaccendato.

 Dovendo mantenersi, dato che non riesce a completare la sua laurea in filosofia, inizia a lavorare in una boutique per signore e ragazzine di Roma Nord (ossia di buona famiglia, tanto cash e anche un po' altezzose, regà è un riassunto non inviperitevi). 

 La gestisce un personaggio eccentrico e debordante, la bella e svagata Marie France, che porta avanti l'attività assieme ad altre due commesse.

 Il romanzo è occupato quasi interamente da questa figura che giganteggia, ammalia, fa, disfa e dissemina misteri, come la misteriosa figlia che nessuno ha mai visto. 

 Ma proprio quando il lettore si è convinto che si tratti della storia di una dandy d'altri tempi, irrompe la calunnia.

 Una ragazzina, con contorni che ricordano un po' il caso di Manuela Orlandi (una vera ossessione qua nella capitale), scompare e la calunnia inizia a correre: e se c'entrassero Marie-France e la sua boutique?

 Non vi dico ovviamente come finisce. Una scrittura molto corposa, ricca, visiva, che si prende tutto il suo tempo per descrivere ogni dettaglio. Consigliato a tutt* tranne ai minimalisti.


I NUOVI LIBRI DEL COMMISSARIO RICCIARDI di Maurizio De Giovanni, Einaudi:

 Nel tempo che ci ho messo a ricominciare a scrivere qua sul blog, Ricciardi è ormai tornato da circa tre libri.

 

 De Giovanni ha dunque riaperto la serie del suo commissario (che io avevo ipotizzato avesse chiuso perché un uomo che vede i morti di morte violenta e la seconda guerra mondiale rischiano di essere una combinazione inaffrontabile) con un piglio da una parte più angosciante, da un'altra più fotoromanzesco.

 Avevo pensato che avrebbe riaperto il filone usando la figlioletta Marta come protagonista. 

 Una venti-trentenne che indaga nel pieno del '68. Ci stava, anzi, De Giovanni se mi leggi (non sono una mitomane, è accaduto e ha persino commentato), pensaci che secondo me non è una cattiva idea!

 Invece la storia ricomincia a circa cinque anni dalla morte della povera Enrica.

 Ricciardi è un vedovo inconsolabile che si prende cura della figlia, assieme alla contessa di Roccaspina e ai nonni materni. Un'ombra però si è ormai stesa sull'Europa, le leggi razziali sono prossime e molti personaggi iniziano a posizionarsi di conseguenza. I figli di Maione si scoprono fascisti, con costernazione del padre, e altri, come l'untuoso Garzo, si trovano braccati e devono mettere in salvo la famiglia.

 Colpo di scena, anche Ricciardi non è immune da questa crudele caccia all'uomo perché si scopre che il padre di Enrica è di lontane origini ebraiche, cosa mette in pericolo tutta la famiglia, compresa Marta.

 Il commissario continua a indagare, Bambinella se la vede brutta, Marta ha ereditato qualche super potere paterno in effetti, ma un po' diverso e in realtà, in modo inaspettato, dopo il ritorno forzato in Cilento, la famiglia Ricciardi si allarga.

 In tutto questo purtroppo Livia è viva, vegeta e invece di starsene al sicuro, cortaggiata e canterina in Sudamerica, decide inopinatamente di tornare alla vigilia dello scoppio della guerra perché una stalker è per sempre.

 Devo dire che l'ultimo, "Volver", malgrado sciolga qualche nodo e spieghi un po' meglio il passato del commissario, ha davvero qualche contorno da telenovela turca. 

 Ma è anche vero che a me come scrive De Giovanni piace troppo, sono ore di puro relax, di lettura felice e perdono tutto, anche la commedia dell'agnizione.


I FIGLI DEGLI UOMINI di P. D. James:

 Nel luccicante 2006, (ma secondo voi i primi anni 2000 mi appaiono ora meravigliosi perché ero più giovane o in effetti il mondo era migliore? Io tenderei alla seconda) uscì il film "I figli degli uomini", (cho scoperto scrivendo questo post essere di Alfonso Cuaròn) che all'epoca mi colpì molto, mi stupì molto, ma fummo in tre gatti a vedere.

 Racconta di un futuro in cui non nascono più bambini e quindi la società si sta sfaldando, condotta a una decadenza inquietante.

 Non è, intendiamoci, che non nascono per scelta. Gli esseri umani non sono improvvisamente childfree, semplicemente, di punto in bianco, uomini e donne sono diventati sterili.

 La storia inizia quando gli ultimi nati hanno circa 20 anni. Sono una generazione nichilista, viziata e anche violenta. Da una parte infatti sono stati vezzeggiati e coccolati in ogni modo e dall'altra sono consci della loro rarità e preziosità e anche di essere gli ultimi eredi del mondo.

 Nel film Theo, è un ex attivista politico, che viene coinvolto dalla sua ex moglieJulian (ancora attivista) nel salvataggio di Kee, una giovane donna incinta, la prima da vent'anni. L'idea è portarla in salvo presso un misterioso gruppo di attivisti che si muove su una barca in mezzo al mare (una sorta di incrocio tra Greenpeace e una ONG).

  Il film aveva alcuni pezzi interessanti, ma poi come molta fantascienza, adesso è rovinato irrimediabilmente dal fatto che molta gente crede che le teorie del complotto che funzionano molto bene nei libri di fantasia, siano realtà. Se la realtà diventa distopica, per dirla meglio, la distopia diventa meno interessante.

 La cosa che mi colpì di più all'epoca fu comunque il fatto che il protagonista a un certo punto ha l'infelice idea di mettersi in infradito e scappa così per metà pellicola facendosi un male molto percettibile tra gli spettatori.

 Scoprii già ai tempi che era tratto da un libro omonimo che però è sempre stato abbastanza introvabile. Siccome le vie dei libri sono infinite, lo scorso anno l'ho reperito al bookcrossing del mercato coperto dove vado a comprare le verdure.

 Il libro, per circa la metà, è anche molto meglio del film. Ci sono delle frasi illuminanti, profetiche e contemporanee che rendono anche chiaro come l'autrice avesse un intento fantascientifico, ma con forti venature di critiche sociale. 

 Ci sono delle cose letteralmente profetiche, come il trattamento riservato agli immigrati (ha senso catturare, rinchiudere e rimpatriare in un mondo che morendo, tipo il nostro?) e anche una parte di dualismo politico che nel film non c'è.

 Se nel film tutta la storia ruota attorno a Theo e al gruppo terroristico capeggiato dall'ex moglie, nel libro è presente il personaggio del cugino Nigel, una sorta di premier plenipotenziario quasi dittatore.  proponendo un dualismo interessante dei due modi di affrontare una catastrofe: la rassegnazione e il delirio di onnipotenza.

 Purtroppo il romanzo si incarta un po' sul finale e posso anche capire perché Cuaròn abbia preferito fargli prendere la deriva complottara e anche un po' più speranzosa.

 Se lo trovate vale la pena. Piccolo appunto: avrebbe avuto molto più senso per una serie di motivi chiamarlo "I figli delle donne".


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