mercoledì 20 settembre 2023

Dove siamo finiti tutti? Una recensione di "Doveva essere il nostro momento" di Eleonora Caruso, tra colpe che è ora di prenderci, pensiero magico e sette in cui non sappiamo di vivere

 Anni fa, prima che Eleonora Caruso pubblicasse “Le ferite originali”, scrissi una recensione sul suo primo libro: "Comunque vada non importa", Indiana Editore.

 Il titolo del post “Dove eravate tutti” era risposta e domanda che veniva da una storia in cui finalmente qualcuno raccontava con una dose di verità l’adolescenza e la giovinezza di quella che pensavo e tuttora penso essere una parte consistente della società italiana: i millennial nati non benestanti.

 I non benestanti non sono “i poveri”, categoria invece amatissima da scrittori, registi e sceneggiatori che, quando non si occupano di gente che ha accatastato almeno 7 immobili di pregio, amano ravanare in vicende sulle soglie dell’indigenza, anzi peggio, dell’indigenza come se la immaginano.

 I non benestanti sono quella parte di società, di cui io anche ho fatto e faccio parte (ora non ho nessun immobile accatastato, comunque) e che prevedeva genitori lavoratori, ma senza aiuti, provenienti da un hummus sociale assolutamente non degradato, ma che già vedeva con difficoltà l’acquisto di libri per la scuola, scarpe nuove e l'affitto.

 Sono quella fascia sociale che è esistita, esiste, ma se ne parla poco da qualche decennio a questa parte, come se di colpo fossimo tutti diventati benestanti, non esistessero più le difficoltà finanziarie, fossero stati appianati i limiti economici, dalle cure allo studio, e lo stato del benessere potesse essere misurato su soli criteri fenotipici (che non a caso sono quelli che interessano gli ossessionati dalla fuga dal ceto sociale come vergogna e rivalsa, aka tutti quegli inutili orrori trapper, che oh sarò vecchia, ma voglio essere libera di dire che mi fanno schifo), come la macchina, il vestiario e le vacanze in posti esotici.

 Esistono i benestanti ed esistono gli indigenti, tutti gli altri sono spariti.

 Questa premessa è doverosa per capire questo libro che è estremamente generazionale, nei deliberati intenti, nel titolo, nello svolgimento e financo nel finale e conferma la domanda che feci nel titolo del post tanti anni fa.

Se prima mi chiedevo “Dove eravate tutti?”, ora mi chiedo “Dove siamo finiti tutti?” a livello di rappresentazione sociale, politica, letteraria e artistica.

Con “Doveva essere il nostro momento” Eleonora Caruso cerca di colmare ancora una volta questo vuoto.

 I trentenni (ormai talvolta quasi quarantenni) che leggiamo e vediamo su Netflix non siamo quasi mai noi.
 Non abbiamo quelle case, non abbiamo quei lavori e se anche li abbiamo non possediamo mai le disponibilità economiche mostrate perché gli stipendi sono irrisori anche a fronte di lavori iperqualificati, anzi, spesso in campo umanistico più sono iperqualificati, peggio sono pagati.

 I protagonisti del libro, che sono tre, rappresentano in tre diverse forme la pessima deriva di una generazione, quella dei millennial, nata con alcuni ottimi propositi inculcati con una certa veemenza sin dall’asilo: la pace nel mondo, l’uguaglianza, la fratellanza tra i popoli.

 Questi propositi sono diventati molesti a livello geopolitico all’altezza dei primi anni 2000, quando si sono intersecati con le crisi migratorie e una "globalizzazione" che in realtà era solo sinonimo di liberismo sfrenato e regolamentato in cui ingoiare alla cieca tutto il mondo.

 I ggggiovani non possono ricordarlo, ma noi non eravamo così. La gente già moriva in mare, ma non c’era l’idea che se lo meritassero e anzi c’era una certa propensione a volerlo affrontare questo problema, anche criticando il modello economico proposto.

 Poi catastrofi a catena. Genova, (ma non solo, Genova è stata la punta dell’iceberg della demonizzazione di un intero movimento politico e di pensiero), l’11 settembre, la crisi economica del 2008 e l’immissione pervicace di contratti precari sempre più fantasiosi e privi di diritti.

 Se ti trovi a 25 anni con una laurea e nel mentre ti hanno cambiato le regole sotto i piedi, la professione per cui hai studiato è sparita e il massimo che ti propongono per campare sono 300 euro di rimborso spese per 40h di lavoro, hai molto altro a cui pensare.

 Eppure, non sono giustificazioni perché è necessario ammettere che abbiamo solo subito e non abbiamo mai agito. 
 Abbiamo permesso che ci facessero tutto questo senza protestare, attendendo un immaginario turno che non esisteva, insultati da generazioni precedenti che avevano ottenuto con molto meno, incredibilmente di più.

 Insomma, siamo diventati una generazione che non ha saputo trasformare la rabbia in una protesta generativa, ma ha finito per soccombere a un livore tanto livido, quanto inutile. 

 Regà, ce la possiamo raccontare come ci pare, anche io dovevo portare la pagnotta a casa per vivere, ma il disinteresse per la politica istituzionale e il vivere tutto come un affronto e mai come un “ora mi sono rotto e FACCIO qualcosa che cambi le cose” è innegabile.

 Finalmente un libro racconta TUTTO questo: le nostre colpe generazionali, i tradimenti che abbiamo subito, la nostra incapacità di farvi fronte preferendo rifugiarci in una sorta di pensiero magico pericolosissimo in un eterno ritorno all’unico periodo carico di promesse che abbiamo vissuto: l’adolescenza.
 
 I protagonisti del libro, come dicevo, sarebbero 3, ma il protagonista vero è Leo, un millennial talmente tipico che ne conoscerete a bizzeffe anche voi, se non siete voi.

  Famiglia troppo modesta per riuscire a diventare un meme del Corriere della Sera in cui si spiega come con 10 euro (e 10 milioni di euro del papi) si è costruita la propria azienda, si è diligentemente laureato per finire in quella che Eleonora Caruso definisce il posto dove sono finite le migliori menti della nostra generazione: le agenzie di comunicazione di Milano.

 Lì, ha subìto quello che abbiamo subito in tanti (me compresa): si è bruciato a causa dell’superlavoro, dell’insensatezza ad esso connessa, dell’inutilità di un sistema che nutre idoli social che muoiono nel giro di qualche anno.  

 La storia prende le mosse dalla decisione di Leo di partire per la Sicilia alla ricerca di un suo vecchio amico, Simone, finito in una strana setta composta da millennial che hanno deciso di vivere come negli anni ’80-’90. 

 Vedono solo programmi e film di quegli anni, leggono fumetti e libri pubblicati fino a quel momento lì, tengono gruppi di lettura su “No logo” di Naomi Klein e ovviamente non hanno social, internet e tecnologia annessa e connessa posteriore al 2001.

 Il capo della setta è il misterioso Zan, un ex moderatore di contenuti social, lavoro che sfonda la distopia (ed esiste sul serio, ne avevo già letto su “La valle oscura” di Anna Wiener) e prevede che degli esseri umani guardino in loop video che non rispettano gli standard dei social (violenti, pornografici, pedopornografici, incidenti auto ecc) per poter nutrire l’algoritmo con i giusti input di discernimento (che a noi piace pensare ad esempio che le AI pensino, ma siamo noi che le nutriamo).

 Devastato da questa esperienza e comprensibilmente certo che tutto ciò che è accaduto dopo il 2001 sia da depennare come la catastrofe e il male, ha fondato questa setta in Sicilia. 

 Leo ci rimane qualche mese finché, a un certo punto capisce che è il momento di partire e se ne va per tornare al nord.

 Si unisce a lui Cloro, un’ex influencer bambina che, una volta cresciuta, non sta riuscendo a mantenere gli standard richiesti dai social e sta vedendo la sua stella declinare. 

 Completamente bruciata da un’esistenza sovraesposta, ha più strumenti per capire il mondo virtuale di quello reale, nel quale si muove a caso, con affanno e senza mai riuscire a decodificare realmente persone, rapporti e contesti.

 La storia, tra flashback personali e sulla setta, si svolge nel loro viaggio on the road dalla Sicilia alla Lombardia alle soglie del lockdown. Menzione d’onore peraltro ad un uso sensato a livello narrativo del Covid, evento che sembra praticamente non essere esistito, esattamente come la generazione dei millennial.

 Il romanzo, al netto della sua trama, finalmente dice quello che onestamente sono anni che spero qualcuno dica fuori dalla mia testa sulla nostra generazione, sui suoi sbagli, le sue paturnie, le sue inutili ironie social che sono tanto appaganti personalmente, ma assolutamente inutili a livello politico e collettivo.

 Racconta di venti anni perduti, in cui “doveva essere il nostro momento” e siamo solo riusciti a intraprendere una variante allucinogena della perdizione delle generazioni precedenti.

 Se genitori e (ormai talvolta anche i nonni) non sono riusciti effettivamente a cambiare il mondo è stato per quell’effetto Venditti che canta: “Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o lavori in banca pure tu?”.  
 Per dirla meglio: il sistema li ha assorbiti e da incendiari si sono fatti pompieri custodi dell’ordine.

 Ma la nostra generazione non ha fatto neanche quello. 
 Il nostro momento è passato e non lavoriamo neanche in banca, il sistema non ci ha assorbito perché gli costa molto meno opprimerci e sfruttarci, tanto stiamo zitti, maciniamo livore e non diciamo niente.

 Non siamo diventati socialmente e politicamente adulti, siamo ancora lì, nell’adolescenza ipertrofica che non riusciamo ad abbandonare.

 C’è un momento per me chiave nel romanzo che sembra quasi passare inosservato, ma per me dice tutto. 
 Leo sta per andare via dalla setta e va in cerca di Simone che sta tenendo un gruppo di lettura su “No logo”.
 Leo lo vede e Caruso scrive: 
"Potendo farlo, ognuno tornerebbe al punto della propria storia in cui è stato più felice. Per Simone quel punto era il liceo nel 2001, nonostante tutto, la foto di classe in cui indossavano la kefiah e i tentativi fatti di convincere sua madre a mandarlo a Genova per il G8. Diceva sempre che non esserci stato era il suo più grande rimpianto. Come si potesse rimpiangere di non essere stati torturati nella palestra di una scuola era un mistero per Leo, ma che ne capiva lui?"
 Ecco, siamo mentalmente incollati a quel momento, il più felice della nostra vita, quello in cui tutte le promesse tradite sono ancora intatte. 

 E rimaniamo aggrappati alla nostra adolescenza di fine anni ’90 in un loop eterno che ha molto a che vedere col pensiero magico di Didion: un giorno, sembriamo dirci, tornerà quel momento, quell’esatto momento, e noi saremo felici.

 Il capitalismo l’ha capita questa cosa, e per tenerci buoni ci nutre di quest’illusione proponendoci solo il passato (merendine che tornano sugli scaffali, serie tv rifatte in mille salse, cinema che non inventa niente di nuovo): vieni, illuditi di poter tornare al momento più felice della tua vita e intanto, mi raccomando, non dare mai fastidio perché l’importante non è cambiare il mondo, ma aspettare supinamente la fine del mondo in cui non ti riconosci.

 Siamo nella setta di Zan ed era ora che qualcuno lo dicesse.


Ps. Sono perfettamente conscia che non è che siamo stati del tutto inermi e alcune cose, con le nostre possibilità, le abbiamo fatte. Tuttavia credo sia necessario ammettere tutto quello che NON abbiamo fatto e che ci ha portato ad accettare cose inaccettabili: lavorare senza essere pagati, contratti che avrebbero meritato le barricate, incapacità di incidere sulla politica istituzionale perché per vedere un* millennial che conta qualcosa in politica abbiamo dovuto aspettare il colpo di mano di Schlein all'alba del 2023. Se non partiamo dalla consapevolezza del fatto che "doveva essere il nostro momento" e non lo è stato anche per colpa nostra, non ne usciremo MAI.

mercoledì 6 settembre 2023

La versione di padre. Una recensione di "L'amica geniale" uscita direttamente dalla penna di mio padre

 PREMESSA

 Questo post è molto particolare. In questi mesi mio padre ha voluto leggere la tetralogia di "L'amica geniale" di Elena Ferrante.

 Aveva visto le prime due serie ed essendo lui napoletano si era incuriosito e mi aveva chiesto i libri.  Quando li ha terminati, come molt3, ha elaborato una sua teoria sul rapporto tra Lila e Lenù e più in generale sul significato del libro.

 Con un inaspettato colpo di scena, ha deciso di scrivere un post sulla sua teoria che ci teneva  a condividere. E' un post molto più stringato di quel che mi aspettavo, visto che a voce ha una soluzione a qualsiasi obiezione al riguardo. In caso di dubbi, però, risponderà nei commenti su fb (attraverso me).

 Ho trovato interessante questo desiderio paterno e mi sono chiesta quanta parte di quella generazione rimane fuori dal dibattito letterario, quanta necessità ci sarebbe di più luoghi di condivisione che non siano solo virtuali e di come si dia per scontato che la letteratura sia un gioco di tutti i lettori e le lettrici, ma di come in realtà non lo sia più.

 Cosa rimane oltre al virtuale per condividere un'idea e cominciare una discussione? E' un dubbio che mi pongo io a latere di questo post, che vi lascio leggere senza più rubare spazio.

 "L'AMICA GENIALE" una recensione di P. Mango

 Per comprendere le impressioni che ho avuto leggendo “L’amica geniale” e di conseguenza le riflessioni che farò, non si può prescindere dalla realtà italiana degli anni ’50 e ’60.

 Chi vorrà, potrà approfondire, l’analfabetismo era altissimo, spesso si veniva fermati alle elementari, pochi continuavano per la licenza media, pochissimi per il diploma e la laurea era appannaggio dei ceti abbienti.
 
 Veniamo al dunque. Leggendo “L’amica geniale” ho avuto come l’impressione che l’autrice abbia un po’ giocato sulla dualità di questa amicizia, lasciandoci credere che esistono due bambine, amiche, che crescono, che evolvono ognuna a modo suo, ma che continuamente hanno bisogno l’una dell’altra, ed è questo il punto. 

 Io penso che Lila in realtà non esista e che serva all’altra come fonte d’ispirazione per proseguire nella sua vita.
 
Lenù immagina, attraverso Lila, come sarebbe stata la sua vita se non avesse studiato, e da qui porta avanti due storie di vita parallele.
 
 Ne ha bisogno perché le radici non si possono dimenticare, ne ha bisogno perché per anni si sente inadeguata al nuovo ruolo che le compete per gli studi che ha portato avanti e perché al tempo non era facile un inserimento in ambienti culturali a loro modo chiusi.
 
 Pertanto fino a quando la protagonista (perché la protagonista è solo una) non farà quel salto culturale,(e ci vorranno anni, addirittura la maturità), ha bisogno di tornare a casa, al rione, al quartiere, alla famiglia d’origine.
 
Questo perché non è ancora pronta al salto definitivo di classe sociale, e quando alla fine lo farà, quella parte di sé stessa che nel libro è Lila, sparirà.
 
 In poche parole, Lila sparisce quando Lenù ha risolto la sua dualità, affrancandosi dall’ambito familiare e culturale in cui è cresciuta.
 

domenica 27 agosto 2023

I libri delle vacanze 2023! Parte I! "La zona morta" e "Dalia nera", un capolavoro e un romanzo da dimenticare

 E le vacanze sono finite. Ne ho già nostalgia, ma ammetto che quest'anno ho fatto delle ferie degne di questo nome e torno riposata e carica.

 A dimostrazione di ciò, ho persino già prodotto il primo post sui libri letti in spiaggia (spezzetto le recensioni altrimenti viene una cosa infinita) e inizio con un capolavoro e un romanzo di una noia mortale.

 Non tutte le scelte per l'ombrellone riescono col buco. Il secondo libro è stato abbandonato in un hotel a Rethymno.


LA ZONA MORTA di Stephen King:

 Stephen King lo leggo lentamente da molti anni un po' alla volta. 

 Ormai avrò macinato parecchi titoli, ma siccome non ho mai passato un periodo della mia vita a leggere SOLO lui, è finita che con involontaria regolarità leggo 1-2 titoli l'anno. Questo mi permette di scovare ancora delle perle di un certo livello dalla sua bibliografia, anche grazie alla libreria dell'usato di fiducia.

Per qualche motivo questa estate molte persone hanno deciso per mia fortuna di disfarsi di "La zona morta" e gliene sono molto grata perché è un libro BELLISSIMO.

 Spodesta dal podio "Pet Semetary" non tanto per la scrittura, quanto per l'ingegnosità nella costruzione della trama.

  Il libro infatti si regge su un Mcguffin magistrale: tu leggi convinta che il libro stia andando in una direzione e invece King ti rifila un Mcguffin alla Hitchcock in piena regola.

 Il libro quindi parte come un racconto d'autunno di Bradbury, con questo luna park pieno di giochi fantasmagorici, affascinanti e inquietanti, cibo così saporito su carta che viene voglia di mangiarlo anche dal vivo, odore di fieno, e quell'immaginario che regala un'America scoppiettante e affascinante, provinciale e (pensando a come vivevamo in Italia negli stessi anni) futuribile, venata da una nostalgia tremenda, perché scomparsa.

 Cosa se la sia mangiata ce lo dice King nello stesso libro, a dimostrazione che i mali degli Stati Uniti non sono nati con internet, ma hanno viaggiato con altri mezzi per molti decenni: complottisti, circonvenzione di persone fragili, teorie contro gli ebrei, religione usata come arma politica.

 E King indovina anche, con decenni di anticipo, la valle finale di questo incubo: l'imbonitore che distruggerà l'America nutrendosi dei suoi stessi incubi, dell'irrealtà delle proposte, delle stupidaggini conclamate e affascinanti, dell'ignoranza.

 Nel libro King immagina un finale difficilmente applicabile nella realtà, ma per il resto disegna la degenerazione della democrazia americana dall'inizio alla fine.

 La trama, senza fare troppi spoiler, vede come protagonista un giovane e dinoccolato insegnante molto amato dagli studenti e dal nome significativamente anonimo: Johnny Smith.

 Di ritorno da una bellissima serata passata assieme a Sarah, la graziosa collega che intende sposare, ha un terribile incidente d'auto e rimane in coma per quattro anni. Nel frattempo Sarah si sposa e ha un figlio, sua madre precipita in una preoccupante ossessione religiosa con forti tendenze al complottismo e suo padre finisce per sperare che muoia per liberarli dall'attesa della sua dipartita.

 Invece Johnny si sveglia. E quando si sveglia scopre di poter vedere nel passato e nel futuro toccando semplicemente le persone.

 La trama promette quindi un romanzo scritto benissimo, ma dai temi sovrannaturali, e invece King finisce per scrivere un libro incredibilmente politico e, molto molto preveggente, proprio come il suo protagonista.

 King prevede con chiarezza impressionante la degenerazione del paese d'ottobre di Bradbury. La scomparsa di quell'anima sana e sognatrice della società americana: un mondo divorato dall'opportunismo, dall'ignoranza, dalla creduloneria, da forze malvagie che troppa gente ha deciso fosse compito di altra gente contrastare.

 Un romanzo incredibilmente politico, assurdamente contemporaneo. Da leggere, rileggere e straleggere, E regalare a chiunque in questi tempi inquietanti.

Ps. Se posso permettermi a me ste copertine nuove non piacciono, le trovo tutte uguali e spersonalizzanti.


DALIA NERA di James Ellroy:

 Sono da sempre dell'opinione che molt* scrittor*, perlopiù uomini, amino scrivere storie e soprattutto protagonisti che incarnano qualcuno o qualcosa che vorrebbero essere.

 La quantità di commissari e agenti delle forze dell'ordine/investigatori vari ed eventuali che sono sempre sexy, seducenti, pieni di donne (pure se soffrono per qualche oscuro trauma passato) e dediti a hobby solitamente molto virili, assieme ai loro bro, è piuttosto elevato e secondo me riconducibile a questo desiderio manco celato di immedesimazione.

 "Black Dalia", di cui mi avevano parlato benebenissimocapolavoro, straborda in questo senso. 

 La storia ha per protagonista un poliziotto, ex pugile (le prime 70 pagine sono solo sul pugilato, una noia mortale), ovviamente pieno di donne, che fa il poliziotto in coppia con un suo ex avversario che ora è il suo bro. 

 Una ragazza, che si scoprirà essere troppo facilina, viene trovata orrendamente uccisa e mutilata e loro iniziano a indagare.

 Metodo di indagine prediletto: menare la gente per farla confessare o andare a letto con la testimone di turno. Non importa se la testimone è lesbica, pure se è lesbica vorrà andare a letto col sexy poliziotto pugile (perché si sa, una è lesbica finché non incontra l'uomo giusto).

 La storia, nonostante potenzialmente abbia pure una trama complessa, è di una noia mortale, probabilmente per quel costante desiderio del protagonista di raccontarci tutto in modo carichissimo, come se stesse sempre incontrando la donna più gnocca, o pestando il criminale peggiore o incontrando la famiglia borghese più becera.

 E' tutto talmente hard boiled che finisce per essere una parodia dell'hard boiled (genere che a me piace molto) di una noia devastante.

 Lo eviterei come la peste. L'hard boiled è un'altra cosa. Prevede uomini che si scazzottano, femme fatale e amicizie virili, ma non prevede che il tutto sia una caricatura vuota atta a spargere virilità ostentata e compiaciuta su ogni riga. 

 Chandler, nei suoi delitti, sapeva essere anche commovente e profondo, amaro e umano. Qua oltre le scazzottate, le lesbiche convertite e il sangue un tanto al chilo, niente.


martedì 25 luglio 2023

Sabato 29 Luglio a Bracciano presentazione di "Come fu che organizzai la mia unione civile" alla Birreria dar Toro Seduto!

 Ultima presentazione estiva di "Come fu che organizzai la mia unione civile"!

Stavolta gioco in casa e sarà a Bracciano alla Birreria dar Toro Seduto (centro storico) dove si mangia e si beve magnificamente!

Sabato 29 Luglio ore 18:00!




domenica 23 luglio 2023

Le hit dell'estate 2023 parte II! Un'analisi non richiesta delle hit estive passate e spassate tra le radio tra falsi trapper, maestri di canto morenti, nugoli di trapper e amori indiani

Come dicevo nel primo post, per ragioni di lavoro sto ascoltando moltissimo la radio e mi sto facendo una cultura sulle hit estive di quest'anno e ho pensato di condividere i miei pensieri con voi.

Cosa ho dedotto? Sono praticamente TUTTE italiane, il livello è basso, pochi tormentoni, qualcosa di carino qui e lì. Mia opinione eh, ditemi la vostra!

Intanto godetevi la seconda parte!


VATTENE AMORE di TOFU (FIORELLO) e NINA ZILLI:

 Molt3 di voi saranno rimasti immuni all'ascolto di questa perla, ma posso assicurarvi che vale la pena conoscerla.

 A quanto sembra nasce boutade, ma vi giuro sembra una rivisitazione talmente convincente che non fosse stato per la mancanza di E aperte a profusione avrei scambiato Fiorello in versione trapper (Tofu) per Guè Pequeno. 

 Nina Zilli come troppe cantanti quest'anno si dimentica che potrebbe fare una canzone da sola e si presta a fare la vocalist.

 Certo lei ha più scusanti di Emma visto che magari è stanca per la gravidanza e comunque qua si presta a una canzone fake, però insomma una canzone cinquantamila lacrime dopo ce la aspetteremmo.


CI PENSIAMO DOMANI di ANGELINA MANGO: 

Ogni estate ha un* cantante giovane e fresc3 che ci ricorda quanto eravamo ingenui, spensierati e concentrati su cose meravigliosamente futili a quindici anni. 

Ci sono stati Benji e Fede, c'è stata Tecla Insolia, quest'anno tocca alla mia collega di cognome: Angelina Mango figlia del fu Pino.

 La canzone a me piace, senza impegno, e Dolcemetà la ascolta a ripetizione affascinata dal fatto che il cognome (solo quello) le sia familiare.


"BON TON" di DRILLIONAIRE, LAZZA, SFERA EBBASTA, BLANCO:

Come facevo notare nel post precedente, quest'anno i trapper o quello che sono, sono diventati talmente tanti da essere costretti a cantare a mucchi. 

 Il più numeroso è riuscito a sfornare una canzone che indovinate di che parla? Ma ovviamente di una donna malvagia!

 Il testo parla di una relazione tossica in cui onestamente il protagonista sembra avere un problema più con sé stesso che con una donna. Nel senso che lei fa robe randomiche tipo ubriacarsi e incaxxarsi e lui le dice "sembri me, sembravi me, sembri me". No figliolo forse SEI TE.

  Siccome comunque uno dei grandi insegnamenti della trap è che le donne sono sempre e comunque delle falzeh, non può mancare la frase "Poi ti cola il fondotinta perché sei finta".

 Un tempo c'erano le canzoni di drammi post amorosi, mò le canzoni del risentimento sempre e comunque.

"HOLLYWOOD" di IRAMA E RKOMI:

 Irama potrebbe essere chiunque visto che in realtà canta l'autotune. 

 Ogni volta che Rkomi canta invece, un maestro di canto muore.

 Chiaramente miracolato dai tempi e dagli eventi, Rkomi mi fa comunque simpatia perché (forse conscio del miracolo che sta vivendo) se la gode tantissimo e ha sempre quel giusto piglio entusiasta da "Massì finché dura spakkiamo!". 

 Canzone priva di qualsiasi nota, se non il momento Lou Bega inopinatamente vissuto da Rkomi: "sono uscito insieme a Paola, poi Claudia, poi nulla sono sparito di nuovo con Giulia".

 A little bit Monica in my eyes insomma.

 "AMORE INDIANO" di TOMMASO PARADISO e BAUSTELLE:

 A cosa devono sottoporsi i poveri Baustelle pur di farsi passare in radio: duettare con Tommaso Paradiso.

 Mentre gli speaker di RTL cinguettano di quanto sia bravo Tommaso, dimentichi dell'esistenza dei duettanti, è evidente che la canzone cambia completamente faccia e valore a seconda di chi la canta.

 Cantata da Tommaso Paradiso è una sorta di lagna sussurrata dove lo immagini guardare fuori da una finestra coperta di pioggia. Una canzoncina come le altre.

 Quando Bianconi e Rachele Bastreghi riescono a prendersi un minimo di spazio (troppo poco) la canzone diventa splendida, potente e raffinata. 

 Vogliamo la versione coi soli Baustelle (in inverno va benissimo perché non è una canzone estiva).

"LAMBADA" di BOOMDABASH e PAOLA E CHIARA:

Orfani quest’anno per fortuna di Alessandra Amoroso (scusatemi, ma io proprio non amo il tono vocale), dopo aver sfruttato Baby K (che ha partorito anch'essa un nuovo singolo) e Annalisa, quest’anno affidano il ritornello a Paola e Chiara.
 
 Solo che. La canzone non è granché se non appunto il ritornello e Paola e Chiara come artiste ai Boomdabash je danno una pista. 

 Risultato? Si ricorda solo il ritornello di lambada malinconica e niente di quella specie di agitarsi rap salentino attorno. Forse era meglio costruire la canzone solo sul ritornello e lasciarla solo a Paola e Chiara.
 
"OBLADI' OBLADA'" di GHALI, THASUP, CHARLIE CHARLES e FABRI FIBRA:

 Nuovo nugolo di rapper-trapper con una canzone che miracolosamente non se la prende con una donna falzah, ma ha una specie di frecciatina a Marracash che fa tanto dissing.
 Del resto Ghali solitamente fa testi più complessi di "Lei mi ha lasciato nonostante il conto in banca" e lo dimostra anche qui.

 Purtroppo per lui ogni volta che lo sento cantare me lo vedo dare la mano a Beppe Sala. 
 Sindaco ansioso di sembrare vicino ai giovani e di trovare un volto pulito tra le periferie incontra uno dei trapper più beneducati, dalla dizione più pulita e i testi in assoluto migliori anche quando caxxeggiano in neomilanese (“Ti prego non mi uccidere il mood”).

  Peraltro non mi è chiaro perché la canzone non se la canta tutta da solo. Thasup, dirò questa cosa che mi qualificherà sicuramente come un'anziana, onestamente non ho capito perché canta. 
 Non si capisce niente, me lo vendono come un genio, le poche cose che ho sentito sono sempre supermisogine (ma no?), chissà. Qui comunque non tradisce e mantiene la sua pronuncia da re delle mele cotogne.
 Fabri Fibra bissa la presenza in radio, così, pour parler.
 La cosa principale che mi è rimasta impressa è comunque la frase in cui Ghali che sostiene di vivere ancora con la madre. Va bene che a Milano gli affitti sono alti, ma insomma.
 
MALATIA di CICCIO MEROLLA:

 Quest’anno, stranezza delle stranezze, manca la hit ispanica e/o sudamericana

 Nessun Alvaro Soler a far sognare ragazzine (pare si sia sposato), nessuna tamarrata in cui lui vuole matare il nuovo tipo di lei, nessun tradimento che promette di finire male. In compenso, emerge una bellissima hit napoletana dal retrogusto latino che è, a mio parere, una delle canzoni più belle di questa estate.
 
 Si capisce più o meno quanto lo spagnolo (a grandi linee, non tutto), cosa che amplifica la sensazione di esotismo, l’immaginario da salsa in spiaggia circondati da ibiscus e pappagalli c’è tutto, anche se la spiaggia è Acciaroli. Spero abbia successo.
 
"IL PRIMO PASSO SULLA LUNA" di LAURA PAUSINI: 
 
Canzone assolutamente non estiva, chiaramente scritta con un collage di commenti su fb e card social. 

Attacca dicendo che dopotutto è normale non avere le stesse opinioni e poi boh mette insieme frasi da principessa-guerriera tipo “Costantemente dare a chi non ci tiene” “E’ più facile che un sasso diventi piuma o fare il primo passo sulla luna”.
 
 C’è del rancore da pulizia kontatti, ma non si capisce contro chi, contro cosa, perché, ma soprattutto perché a Luglio.
 
RUBAMI LA NOTTE dei PINGUINI TATTICI NUCLEARI: 

Gruppo favorito di sorella YA, a me ricordano principalmente i due anni che ho passato a Bergamo visto che stillano bergamascosità da ogni poro.
 
 Fanno canzoni carine, e mi danno sempre l’idea del gruppo del liceo che inaspettatamente ce l’ha fatta. La canzone è una tipica canzoncina d’amore estiva, ma si capisce che è loro perché molte cose possono mancare nei testi dei Pinguini tattici, ma non il citazionismo. 

 Mi domando tra marche, modi di dire, brand vari ed eventuali, personaggi famosi, cosa capiranno i nostri nipoti di tutto ciò. 
 Li immagino imbattersi in un testo e cercare di fare un’esegesi degna di Dante. Per il resto, mi domando il motivo della perenne presenza della Coca cola nei testi.

E a voi quali piacciono?

Alla terza parte!


mercoledì 5 luglio 2023

Due presentazioni a Roma per "Come fu che organizzai la mia unione civile"! L'8 luglio a Bande de Femmes e il 13 luglio a Villa Ada.

 Continuano le presentazioni del rosaceo tomo (così ribattezzato in onore del mio primo libro "I dolori della giovane libraia" che per la sua vistosa copertina verde era "il verdeggiante tomo"): "Come fu che organizzai la mia unione civile" Asterisco Edizioni.

 Nelle prossime due settimane farò ben 2 tappe romane!

La prima sabato 8 Luglio alle 18:00 a Bande de Femmes (Pigneto) e la seconda giovedì 13 a Villa Ada.






martedì 4 luglio 2023

Le hit dell'estate 2023 parte I! Un'analisi non richiesta delle hit estive passate e spassate tra le radio tra mele cotogne, balere, misoginia, triplette, trapper, duetti lisergici e testi inquietanti

 Quest’anno per motivi di lavoro (motivi liminari: mi aiuta a concentrarmi) sto ascoltando moltissimo la radio. 

 Come molt3 sapranno non c’è periodo migliore per avere un occhio musicale sulla società italiana di quello estivo.

 Canzoni e canzonette ci accompagnano nelle meritate vacanze, sempre più care e sempre più per me all’insegna di un unico pensiero: quando aboliscono gli stabilimenti balneari e ci ridanno il pubblico demanio senza che io debba essere costretta a pagarlo?

 Comunque, data la quantità di canzoni che escono e che ascolto, ho deciso di monitorare testi e canzoni e di commentarli, come una qualsiasi sciura di paese, così almeno quello che penso lo metto nero su bianco. 

Andiamo!

“TAXI SULLA LUNA” di TONY EFFE e EMMA MARRONE:

 E’ in verità questa la canzone che mi ha fatto venire l’idea di commentare quello che ascoltavo. E’, per dirla carinamente, orrenda: nella musica, nel modo in cui viene cantata (se non hai una mela cotogna in bocca non sei un trapper, ThaSup re delle mele cotogne nelle guance), ma soprattutto nel testo.

 Non è che i testi debbano essere educativi e sappiamo che i trapper quando sono in buona hanno un’idea delle donne che è al massimo “Lei è la mia Queen, ha delle belle tette e un bel sedere e io la ricopro di borsette di Gucci e la porto in giro in Lamborghini” e quando è in cattiva (quasi sempre): “Lei è un p*****ana, pensa solo ai soldi (lui no eh), sta con me solo per i soldi, la Lamborghini e le borsette di Gucci”.

 Qui però trascendiamo, visto che lui all’inizio candidamente afferma di mettere “caramelle nel suo drink”.
 Chissà che ci mette questo cattivo ragazzetto nel drink di una che ha appena conosciuto e che manco si ricorda come si chiama (Vanessa? Martina?). Bene che va la stessa droga che ha assunto lui, male che va qualcosa che non la renda presente a sé stessa.

 L’apice della ridicolaggine si raggiunge quando lui si impegna a descrivercela “ha un sedere grosso, gioca bene a Fifa, è piccola”, e irrompe Emma Marrone con un ritornello che appartiene chiaramente a un’altra canzone, storia e scenario visto che parla di baci, alte maree, sole, cuore, amore.

 Perché Emma si sia prestata a fare la vocalist qualunque per una canzonetta trapper rimane un mistero glorioso. Certe volte, bisogna ricordare anche da cantanti, che si merita di meglio.

Ps. La cover del "singolo" è la cosa migliore, peccato non c'entri nulla.

"DISCO PARADISE" di FEDEZ, ARTICOLO 31 e ANNALISA:

Ormai Fedez, come dicono molt3, è più imprenditore che cantante. 

Sepolti i tempi in cui si lamentava che la vita ce l’avesse con lui, ora è passato a canzonette estive dal sicuro impatto, che intendiamoci non è che sia una cosa semplice, se lo fosse, lo farebbero tutt3.

 Cantanti vari ed eventuali si prestano a gorgheggiare con lui perché sono dineri facili e chi siamo noi per giudicarli.

 A me quella con Orietta Berti non era per niente dispiaciuta, sarà che la collego a un’estate felice. 

 Quella dell’anno scorso quasi non pervenuta, quest’anno appena sento Annalisa che attacca con “Ohohohoho” mi sembra di tornare a quando avevo 10 anni e guardavo Sailor Moon

 Diciamoci la verità, sembra, come buona parte delle canzoni di Tommaso Paradiso, una sigla dei bei tempi di Bim Bum Bam. Non è nemmeno un insulto perché le sigle erano fantastiche e danno una pista a molta produzione “seria” attuale, ma non so se per un cantante è un complimento.

“PAZZA MUSICA” di MENGONI ED ELODIE:

La canzone non mi fa impazzire particolarmente, ma apprezzo molto il tentativo di fare del groove, quando il groove adesso è una roba quasi mitologica.

 Invece di canticchiare robine leggere e di facile impatto, Mengoni ed Elodie cercano una via un po’ diversa, consc3 forse del fatto che dopo un po’ se fai sempre le stesse cose che due palle, dopotutto il bello di essere cantanti affermat3 è anche permettersi il lusso di provare a fare una hit senza i 3 o 4 ingredienti alla moda (e poi insomma le mode cambiano, prima o poi ci libereremo pure di questa malefica trap).

 I più originali fino ad adesso e da quello che sento dalle classifiche in radio, è anche stato un tentativo apprezzato.

“FRAGOLE PANNA E CHAMPAGNE” di ACHILLE LAURO e ROSE VILLAIN:

 Non si sa bene cosa sia successo ad Achille Lauro dopo la drammatica debacle dell’Eurovision con San Marino.
 Lo dico seriamente, a parte le ironie col cavallo meccanico, può essere che pensarsi artista internazionale e scoprirsi artista del grande raccordo anulare sia stato un trauma difficile da superare.

 Da quel momento è sparito, ha fatto un tour nei teatri (ma perché? Che senso ha?), e da una canzone oggettivamente bellissima come “Bam bam twist” (secondo me la più bella della tragica estate 2020 che pure a hit stava messa bene), è passato a “Fragole panna e champagne”, una canzonetta proprio canzonetta che serve giusto a dire “Ehi sono ancora vivo”. 

 Si evince un vago accenno ska sul fondo, ma probabilmente il testo da scuole medie pieno di bamboline e caramelle e Rose Villain (una che doveva sfondare 10 anni fa e ora sta cercando di recuperare con la rincorsa, ma non ha né voce né particolare apporto artistico da dare al mondo) che canta di gola e con tutte le E aperte non lo aiutano. Achille torna in te.

"ARANCIATA" di MADAME:

 Credo sia sostanzialmente l’unica donna italiana che questa estate gorgheggia da sola.

 Per il resto solo duetti e voci maschili (sono talmente tanti i cantanti maschi che sono costretti anche a fare dei tripletti, ma di questo parleremo), e la canzone a me piace. 

 Un amore da giovanissimi, ricordi dell'adolescenza. Noi che non sappiamo lui come si chiami, ma conosciamo il nome di quella che dava le feste (Clara). Lui che se ne va. Una storia come tante altre, ma la resa è incredibilmente moderna.

 Secondo me è anche migliorata nel cantare visto che finalmente scandisce le parole e i testi sono davvero interessanti. 

 E’ uno di quei casi in cui è meglio separare l’artista dall’opera perché se la ascolti pensando che non ha ancora capito di non essere una perseguitata, ma che mentire sulla vaccinazione è reato, ti prende male e non ti godi quella che è una produzione artistica in palese crescita.

“LA DISCOTECA ITALIANA” di ROVAZZI e ORIETTA BERTI:

 E’ una boutade, come tutte le canzoni di Rovazzi. Lui ne è perfettamente conscio e questo rende l’operazione credibile e godibile. 

 La canzone è un inno ironico alle balere, e Orietta Berti, (regina di Romagna e di un immaginario fermo agli anni ’60 e per questo per noi tutt3 incantato anche se ormai sono passati 60 anni e tra un po’ non li hanno visti manco i nostri genitori), è assolutamente perfetta. 

 Infatti, bisogna dare a Orietta quello che è di Orietta, è stata lei che, a mollo sulla Costa Crociere durante Sanremo, aveva proposto a Rovazzi un duetto insieme.

 Il risultato è carino, forse meno d’effetto di quello che immagino dovesse sembrare in corso di produzione, ma a me fa simpatia per un motivo principale: Orietta gorgheggia come gorgheggiava mia nonna quando cantava le canzoni della sua gioventù.

 E’ un mondo che sta scomparendo e ci saluta con tutto l’entusiasmo di cui, ci piaccia o no, è stato capace e che forse dico forse dovremmo apprendere prima che sia troppo tardi.

"TILT" di ELISA e LA RAPPRESENTANTE DI LISTA:

 L’unico duetto di due donne è durato un paio di settimane, poi è sparito dalla circolazione. 

 E’ un tentativo vagamente lisergico che funziona solo a metà perché la Rappresentante di lista ha una voce effettivamente lisergica, mentre Elisa ha una voce splendida che però fa più pensare alle fatate rocche carsiche e non convince in queste variazioni. 

 Quindi per metà senti una roba che ti fa viaggiare per il cosmo mentre balli mezz3 ubriach3 e per l’altra metà stai ascoltando una canzone standard di Elisa ed esci dal trip. Peccato.

ITALODISCO dei THE KOLORS:

Per me finora la canzone migliore dell’estate. 

 I The Kolors forse per il nome da diario anni 2000, forse per il loro passaggio (dopo lunga gavetta però) da Maria De Filippi, non vengono mai presi troppo sul serio, eppure fanno belle canzoni.

 Si dedicano al loro mestiere senza svarionare (sì, sto pensando a le Vibrazioni) e fanno la loro musica senza prendere scorciatoie come duetti improbabili, ritornelli vintage e testi solecuoreamore.

 E’ una canzone estiva con tutti i crismi delle canzoni estive: spensierata, graziosa, leggera, ballabile. 

“PARAFULMINI” di ERNIA, BRESH e FABRI FIBRA:

 La sovrappopolazione di rapper, trapper e non si sa bene che altro, uomini è tale che questa estate in molti sono stati costretti a cantare canzoni in tre o quattro. 

Qualcuno dirà che sono tutti BRO io la chiamo saturazione del mercato

 Bresh, come tutte le anziane, non so chi sia, Ernia è quello che un paio di anni fa esprimeva il suo massimo amore dicendo che voleva menare il tipo della sua ex tipa anche perché loro due insieme erano come una finale di non so bene che coppa di calcio (complimentone).

 Fabri Fibra, l’unico vero rapper a mio parere che l’Italia abbia avuto, l’unico che è ancora incaxxato come una iena e che ha sempre giustamente cantato incaxxato come una iena, si presta quasi ogni estate a fare il terzo di un'improbabile canzone.

 In questo caso ovviamente ce l’ha con una tipa che non aveva creduto in lui e ora che ha sfondato è felicissimo di poterle dire: AHA, tipo Bart Simpson. 

 Visto che ha passato i 40 da un pezzo si suppone che queste rivincite da scuole medie debbano essere finite e anche i duetti-tripletti senza un testo degno di questo nome.

“DESTINAZIONE MARE” di TIZIANO FERRO:

Non posso dimenticare che nell’estate del 2009 Tiziano Ferro cantava “Ti do questa notizia in conclusione, notizia è l’anagramma del mio nome” stupendoci sulle possibilità di frasi assurde, ma arzigogolate all’interno di una hit estiva.

 “Destinazione mare” è una canzone evidentemente estiva, da ascoltare in macchina al tramonto quando torni impanato e salsedinato dal mare come una sogliola pronta da mettere in forno.

 Una canzone col tocco vagamente amaro ci vuole tutte le estati, a scanso di competitors, la palma quest’anno è sua.

A presto la seconda parte!

Ps Che gioia scrivere di nuovo un post vecchia maniera!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...