lunedì 27 gennaio 2020

E non aveva mai visto un albero. Letture per la giornata della memoria 2020: le memorie indicibili di chi fu un bambino deportato.


 Ed ecco, come ogni anno che torna la giornata della memoria.

 Diciamoci il vero, le ultime due sono state abbastanza vissute con la morte nel cuore, come se la memoria dopotutto non fosse servita a niente e fossimo già pronti a ricominciare tutto.

 Lo dico proprio con lo sconcerto di chi non si capacita. 

Non è che dobbiamo avere tutti le stesse idee o andare per forza d’accordo, ma certe cose, come la condanna dell’odio e della discriminazione, il rispetto per gli altri, sono questioni universali alla base della civiltà e che trascendono il credo politico.

 Non capisco proprio e non capisco mai la base ideologica dell’odio, non ne vedo il senso, non ne capisco il motivo. 

 Tuttavia, se il fascino del male seduce, è compito di chi non lo comprende andare scoprirne le origini per estirparlo o, in alternativa, mettere coloro che, in astratto, lo trovano affascinante, davanti all’orrore che produce.

 E’ quello che per anni hanno fatto i sopravvissuti ai campi di concentramento. 

 Molti, spesso dopo un silenzio durato decenni, hanno poi iniziato a portare la loro testimonianza in giro per l’Italia.

 Tuttavia il tempo passa e ormai i sopravvissuti sono rimasti, per ragioni anagrafiche, pochissimi. 

Chi continuerà a parlare quando non ci saranno più?

 I libri.


 Perciò oglio solo fornirvi un elenco di possibili letture che hanno per protagonisti i più indifesi: coloro che furono deportati da bambini.

 Probabilmente tutti coloro che hanno letto "Se questo è un uomo" ricorderanno la terribile storia del piccolo Hurbinek, il bambino nato in un campo di concentramento. 

 Semiparalizzato, ma con uno sguardo vivissimo, era incapace di parlare perché nessuno glielo aveva insegnato. Non aveva genitori e lo tiravano su gli altri deportati, anche se l'unico che si diede la pena di seguirlo attivamente fu un ragazzo ungherese, Henek, che cercò di trarlo dal suo mutismo.

 Hurbinek morì troppo presto per riuscire a pronunciare una parola di senso compiuto, ma fino all'ultimo lottò per farlo. Non vide mai nulla fuori. Levi lo chiama, "un figlio della morte": 


 Decine di migliaia di bambini, non tornarono. I pochi che lo hanno fatto, hanno spesso voluto lasciare un ricordo. Perché il tempo, ostinato, passa, e la storia diventa una leggenda, un racconto crudele che non può essere esistito davvero. Ed è allora che i mostri tornano.

 Esiste un libro Einaudi, “La Shoah dei bambini” di Bruno Maida che racconta come fu uccisa l’infanzia di chi un giorno si addormentò bambino e il giorno dopo si risvegliò ebreo.

 Vegliate e meditate gente e leggete, anche quando si racconta l’indicibile.

 A voi.


TATIANA e ANDRA BUCCI:

 Tatiana e Andra Bucci (all’anagrafe Liliana e Alessandra) sono due sorelle che vennero rastrellate assieme a tutta la famiglia materna (di origine ebraica bielorussa, mentre il padre era cattolico italiano) per essere deportate ad Auschwitz.

  Lì, vennero separate, come accadeva di prassi, dalla madre e condotte in un kinderbloch, un blocco separato a parte, dove venivano sistemati i bambini che, tra le altre cose, fungevano da serbatoio di cavie umane per gli esperimenti del dottor Mengele.

 La loro fortuna fu quella di essere praticamente identiche: scambiate per gemelle, risultavano particolarmente preziose allo scopo. 

 Assieme a loro venne sistemato anche il cuginetto Sergio De Simone, figlio anch’esso di un militare, italiano e cattolico (sottolineo per mostrare quanto sia stupida l’indifferenza, tanto certe cose a noi non possono toccare né interessare).

 Per una serie di circostanze fortunate, tra le quali uno straordinario spirito di adattamento alle circostanze e una sorvegliante che le prese a benvolere, riuscirono a sopravvivere.

 Evitarono anche la trappola nella quale cadde invece il cuginetto. 

 Un giorno venne chiesto ai bambini: “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo in avanti”. Loro rimasero immobili.

 I venti bambini che caddero nella trappola furono infatti torturati nel laboratorio di Mengele e uccisi.

 Quando il campo fu liberato, rimasero un anno in un orfanotrofio di Praga, quindi spostate in un innovativo centro d’accoglienza inglese, dove alcune psicologhe le aiutarono ad elaborare i traumi.

  Nel frattempo la madre riuscì, con molta fatica a rintracciarle (durante le loro visite al campo si raccomandava sempre che non dimenticassero i loro nomi e cognomi) e, infine, a ricongiungersi con loro.

 Hanno raccontato la loro storia in un libro, “Noi bambine ad Auschwitz” ed. Mondadori ed esiste anche un libricino per bambini “La storia di Andra e Tati” ed. De Agostini.

Per conoscere quale fu la tristissima e orribile sorte a cui andò incontro il loro cuginetto, reo di voler solo rivedere la sua mamma, c’è “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti” Proedi ed. che raccoglie le storie dei venti bambini barbaramente torturati.

Le sorella Bucci hanno anche reso onore alla memoria del cuginetto, scrivendo, assieme ad Alessandra Viola, "Storia di Sergio" ed. Rizzoli.


SAMI MODIANO:

 Ebreo italiano di Rodi, isola del dodecanneso dove si trovava una fiorente comunità ebraica di origine italiana, venne deportato assieme agli altri 2000 ebrei presenti sull’isola, nell’estate del 1944 quando i tedeschi ne presero possesso.

 Stipati in condizioni disumane su tre imbarcazioni, vennero condotti nei campi di concentramento Germania.

 Modiano, che all’epoca aveva quattordicenne  fu salvato dalla prontezza del padre già all’arrivo, quando, nelle file che conducevano i sommersi alle camere a gas, suo padre riuscì a trarlo nella fila dei salvati.

 Né il padre né la sorella ne uscirono vivi. Lui stesso deve la sua sopravvivenza alla bontà di alcuni compagni di prigionia. 

 Divenuto amico fraterno di un ebreo italiano, quel Piero Terracina scomparso da pochissimo, la cui famiglia venne completamente sterminata (si erano salvati dal rastrellamento del ghetto, ma vennero in seguito denunciati da una spia), rischiò di finire il suo viaggio nella marcia mortale da Birkenau ad Auschwitz, quando i nazisti ripararono dall’arrivo dell’armata rossa.

 Svenuto nella neve, fu tratto in salvo da alcuni compagni sconosciuti e in seguito ammassato tra i cadaveri ove si risvegliò. 

 Riuscì quindi a camminare fino ad un fabbricato del campo dove incontrò Piero Terracina e Primo Levi e una dottoressa russa si prese cura di lui.

 Dei 2500 ebrei di Rodi tornarono indietro 31 uomini e 120 donne. Modiano racconta che alla speranza della liberazione iniziale, subentrò un’altra sensazione: “ad un certo momento, quando stai in quell’inferno, ti rendi conto che da Birkenau non c’era nessun’altra via di uscita che la morte”.

Per questo in molti sceglievano di suicidarsi lanciandosi contro il filo spinato elettrificato. 
Suo padre, che alla morte della figlia prediletta perse ogni speranza, decise un altro modo: si fece ricoverare in ambulatorio. Chiunque vi entrava non ne usciva mai più.

Ha raccontato la sua storia nel libro “Per questo ho vissuto” ed. Rizzoli

Su Piero Terracina e altri deportati italiani potete cercare “La strada di casa” di Elisa Guida ed. Viella e “Il libro della Shoah italiana”  di Marcello Pezzetti ed. Einaudi.
 Inoltre esiste un libro con DVD: "Dopo il buio la luce. Piero Terracina incontra gli alunni dell'istituto comprensivo B. Bonfigli di Corciano" ed. Morlacchi.


ALBERTO SED:

 E' inimmaginabile anche la storia di Alberto Sed, ebreo romano deportato assieme alla madre e alle tre sorelle: Angelina, Emma e Fatina. 

Tra i pochi minori italiani sopravvissuti all’olocausto, Alberto, orfano di padre, riuscì a sfuggire al rastrellamento degli ebrei romani, salvo essere trovato (o più probabilmente denunciato) poco dopo.

  All’arrivo ad Auschwitz, sua madre e sua sorella Emma vennero uccise immediatamente nelle camere a gas.
 Sua sorella Angelica fu fatta sbranare dai cani poco prima della fine della guerra, l’altra sorella, Fatina, sopravvisse al campo, ma dopo aver subito gli esperimenti atroci del dottor Mengele che la segnarono profondamente. 

 Alberto riuscì a sopravvivere, ma ci si domanda quanta immensa forza debba aver avuto per riuscire a condurre infine una vita col ricordo perenne di quel che fu costretto a subire.

 Dopo decenni di silenzio si decise infine a parlare per portare la sua testimonianza nelle scuole, raccontando orrori che ci sembrano inimmaginabili. 

 Come l’ammissione di non essere mai più riuscito a prendere in braccio un bambino, neanche i suoi figli, per il terrore di quando le SS lo costringevano a lanciarli in aria per ucciderli, in un agghiacciante tiro a segno.

 Potete leggere la sua storia in “Sono stato un numero” di Alberto Sed. Ed. Giuntina.


 Sono certa vi siano molte altre storie, in primis quella della senatrice Liliana Segre, alla quale il padre chiese scusa per averla messa al mondo.
 Non dimentichiamo. Non dimentichiamo. Non dimentichiamo. 

Se è successo una volta, può succedere ancora.

sabato 25 gennaio 2020

Non è finita finché non è finita!! Un fumetto last minute in vista delle regionali in Emilia Romagna!

 Domani si vota in Emilia Romagna e Calabria e siccome ormai si è in silenzio elettorale non è che si possa giustamente più dir molto. Tuttavia un innocuo fumetto senza nomi, ma last minute nessuno vieta di darlo.
 A voi (tanto chi mi segue sa perfettamente come la penso non sono mai stata grigia o cerchiobottista)!






giovedì 23 gennaio 2020

"Glorie e rogne di madame schiscetta", un fumetto a base di pranzo, bento, organizzazione, colletti bianchi e marxismo.

Ed ecco che finalmente vede la luce il fumetto su una mia nuova conoscenza: la schiscetta.
 Molte cose potrei dire verso questa abitudine che vogliono farci passare per chic e per "una coccola di casa nostra", ma che nasconde ben altro!
Tuttavia ci ho fatto un fumetto apposta! Quindi, godetevelo!

"Glorie e rogne di Madame Schiscetta" un fumetto marxista!







venerdì 17 gennaio 2020

La giovane libraia (e Dolcemetà) invecchiano!

Ho visto che molte lettrici si sono un po' piccate perché ho insinuato di voler ampliare la mia platea tra le signore di mezza età. Non temete lettrici, io e Dolcemetà vi stiamo raggiungendo!


martedì 14 gennaio 2020

Grandi imperatrici alla corte di Vienna! Un viaggio tra i reali asburgici tra guerre, arcinemici, drammatiche tristezze, Romy Schneider e passioni lesbiche (Parte prima!)


 Mia nonna leggeva quintalate di settimanali.
Qui Meghan posa con un vestito farlocco che
forse però le sarebbe stato meglio

 Il suo grande cavallo di battaglia era “Gente”, a cui è stata fedele per decenni. Seguiva con meno passione “Oggi” e la capivo perché anche a me metteva meno allegria. 
 Poi mescolava il tutto con tutto quello che sono state capaci di darci le edicole: Chi, Dipiù, Diva e Donna, persino il settimanale sulla telenovela degli ultimi anni: “Il segreto”.
 Solo a “Novella 2000” e co. non ha mai ceduto o cedeva solo in estate, quando in Sardegna, prima dell’avvento di internet e senza tv per mesi c’era davvero poco altro da fare che stare sdraiati e leggere.

 Negli anni li ho letti appassionatamente anche io, anche se negli ultimi tempi, non seguendo più la tv era abbastanza difficile capire chi fossero i tanti divini e divetti usciti da reality e prezzemolate varie. 

Tuttavia,rimane il fatto che è a queste riviste che devo una delle mie grandi passioni: i reali.

Intendiamoci, non ho mai avuto la fascinazione tipica delle favole. Onestamente credo di non aver mai immaginato neanche per sbaglio di voler diventare una princess o simili, e trovo, come tutti, siano un'istituzione insensata e vetusta.
 Tuttavia mi ha sempre affascinato il loro infinito turbinare di matrimoni, divorzi, figli e beghe dello stato e dopotutto assistere anche al loro definitivo collasso è una lezione interessante.

 Probabilmente sono anche capitata in un periodo d’oro delle telenovelas monarchiche: i figli di Grace Kelly e Ranieri di Monaco in tre hanno collezionato una sequela di matrimoni, tradimenti, divorzi, disgrazie e figli assortiti che “Milagros” te dico fermete. 

 Senza contare il caos della principessa Diana (della quale non ho mai compreso il mito, ma forse perché ero troppo piccola quando è morta), dei vari reali nordici, le fidanzate di Felipe di Spagna, la tristezza protocollare di Masako del Giappone che dimostrava come non fosse tutto oro quello che luccicava. 

 Tuttavia gli articoli che più mi appassionavano al riguardo erano gli approfondimenti storici.

 Spesso c’erano questi excursus random sulle case regnanti che aprivano mondi. Al confronto la faccenda di Carlo e Diana e i matrimoni di Carolina di Monaco impallidivano. 

 Perché se i reali moderni al massimo potevano sposarsi, divorziare e figliare nel solo, anche un po' anacronistico, biasimo generale, ma senza grandi conseguenze di sorta (mai capita la faccenda di Enrico VIII che fa uno scisma religioso per poter divorziare e sposare chi gli pare e poi un casino perché il divorzio tra Carlo e Diana pareva dovesse far crollare l’Inghilterra), gli intrallazzi di un tempo causavano vere e proprie crisi diplomatiche, guerre e paci.

 Senza contare lo psicodramma della nascita di questo benedetto figlio maschio che pareva il creatore mandasse apposta femmine a oltranza per dire quanto eravamo cretini.

 Tutta questa passione regnante che non ho mai abbandonato, è un po’ esplosa in questa fine dicembre-inizio gennaio quando si sono sommate un po' di cose.

 L’affaire Harry e Meghan (del quale potrei parlare per ore e che molti derubricano a cretinata mentre potrebbe essere un chiaro sintomo di una monarchia che diventa autocosciente di essere ormai obsoleta nel 2020), l'insensata ossessione per la canzone "Quando viene dicembre" del film Anastasia, mia nonna che mi manca tantissimo e il viaggio a Vienna, la città imperiale per eccellenza (che volevo visitare da anni ed è stata esattamente come la immaginavo: regale, elegante e barocca) hanno creato un cortocircuito difficile da ignorare.

 Parlerei di reali per mesi (e non è detto che non gli dedichi qualche post), anche perché, come sa chi segue il blog da anni, ho una certa passione per le biografie che trovo particolarmente interessanti.

 Mi illudo, come dico sempre, che cercando di individuare gli errori degli altri, io possa correggere i miei.
Esercizio che, ve lo assicuro, è interessante, ma ha una sua fallacia di fondo.

Ho deciso perciò di iniziare con le biografia asburgiche che in molti mi hanno suggerito dopo un mio accorato appello su fb.

  Pronti a danzare con me e la principessa Sissi? Avanti!

SISSI alias ELISABETTA DI BAVIERA, imperatrice d'Austria:

Chi da bambino ha evitato la visione di almeno uno dei tre film sulla “Principessa Sissi” è un miracolato.

Io, coi miei nonni, li avrò visti decine di volte. In particolare piacevano a mio nonno che si imbarazzava da morire quando nei film che vedevamo insieme apparivano scene “sconvenienti”.
 Sissi era a prova di bomba: addirittura non si vede neanche col pancione, scopre di essere incinta e due secondi dopo ha partorito.

 L’immagine che noi tutti abbiamo di Sissi è quella di Romy Schneider giovane e bellissima, allegra prima e poi intristita dalla corte di Vienna. 

 Tutti ti ripetono che OVVIAMENTE quella non era la vera Sissi, ma onestamente, dopo le mie visite viennesi ho scoperto che il film è invece molto accurato dal punto di vista della ricostruzione storica (gli abiti di Franz e Sissi quando scappano in montagna in Baviera per qualche giorno sono identici a due statuine che li ritraggono in abiti bavaresi per dire) e non è sbagliato in tutte le dinamiche: davvero l’arciduchessa Sofia la osteggiava, davvero Sissi si sentiva in gabbia alla corte di Vienna e, come i suoi fratelli e sorelle, per tutta la vita provò uno smodato attaccamento a Possnhofen, il castello tra laghi e boschi dove passava le estati della sua infanzia. 

 Inoltre ho rivisto il primo film in questi giorni, quello in cui viene scelta da Franz come moglie al posto della sua sorella maggiore, la predestinata Elena (altro fatto vero) e non mi è sembrato tanto romantico. 

 Lei è innamorata di Franz, sì, ma gli dice che non vuole sposarlo per non perdere la sua libertà e lui la mette davanti al fatto compiuto dandole il bouquet per cotillon e presentandola come sua moglie, sapendo che altrimenti “lei non avrebbe accettato”. Al momento dell'annuncio lei ha una faccia da funerale.

 Anche nella realtà andò in modo simile, con la differenza che, mentre i film ci hanno fatto sempre pensare che quello tra Sissi e Francesco Giuseppe fosse un amore corrisposto, ma reso difficile dalle circostanze, probabilmente Sissi nella realtà non era granché innamorata (lui, al netto dei tradimenti, sì).
  Ovvio, non è che ci si sposasse spesso per amore in queste corti europee che non facevano altro che incrociare cugini, (e a veder la faccenda degli ultimi zar di Russia forse combinare i matrimoni aveva un ché di lungimirante), ma se il cinema ci ha consegnato una vera mistificazione è stata quella del GRANDE AMORE.

 Le biografie, tante, presentano una Sissi che col passare degli anni, diventa sempre più eccentrica e particolare, sempre in fuga dalla corte viennese, (co benestare del marito che, appunto perché molto innamorata, era particolarmente indulgente). 

 Allontanata effettivamente dai suoi primi tre figli che vennero cresciuti (male) dalla suocera, le fu invece lasciata l’ultima figlia, la preferita, Maria Valeria, nata dieci anni dopo gli altri.

 Sembra che in generale la famiglia di Sissi avesse una certa propensione alla depressione, e di certo la corte viennese e i numerosi dispiaceri non le giovarono, ma tutti concordano col dire che in lei ci fosse una strana modernità, nel bene e nel male.
 Sfugge alla corte e alle ipocrisie, non riesce mai a trovare davvero interessanti il gioco delle parti e delle maschere in un mondo che lo impone, diventa una viaggiatrice instancabile, ma mai davvero appagata, sempre più aggrovigliata nei suoi pensieri.

 Viene da pensare, leggendo le pagine del suo giovane lettore di greco, Constantin Christomanos, che la conobbe all'età di sessant’anni, quando già troppo era accaduto nella sua esistenza ed era preda di un pessimismo cosmico molto leopardiano, che forse, se avesse avuto gli strumenti intellettuali e filosofici per elaborare le sue tristezze e le sue manie, avrebbe potuto gestirle meglio.

 Ma era un’epoca in cui la psicanalisi, peraltro proprio a Vienna, era lì lì per divenire, e la filosofia stava appena elaborando il concetto. 

 C’è dunque del vero nei film di Sissi, ma c’è anche un mistero che continua ad affascinare, una figura enigmatica che molti vogliono incredibilmente moderna nelle sue contraddizioni (la cura spasmodica per il corpo e al tempo stesso la volontà di celarsi agli occhi del mondo) e chi il simbolo di un’epoca al tramonto (il suo sottrarsi ai doveri d’imperatrice, ruolo che sente solo come una maschera e non come essenza di un qualcosa di più grande).
 Chissà. 

 Di certo, quando morì per mano di Luigi Lucheni (che, con un passato da bambino abbandonato e sventure varie, stupì quando il giudice gli disse che aveva ucciso una donna disperata), era assai più popolare l’imperatore suo marito, Francesco Giuseppe, il canto del cigno di una dinastia che collasserà pochissimi anni dopo la sua morte, giunta naturalmente alla fine di un lungo regno. 

 Ora invece la maggior parte della gente lo ricorda in qualità di Franz, lo scialbo marito succube di una madre assai più intelligente di lui, nella trilogia di “Sissi”. E questo qualcosa vorrà dire.

Libri consigliati:
"Elisabetta d'Austria" di Costantin Christomanos ed. Adelphi. Non una biografia, ma i pensieri dell'imperatrice, ormai sessantenne, riportati dal suo fedele lettore dal greco che ebbe accanto per un periodo.
"Diario poetico" di Elisabetta d'Austria MGS ed. Si tentò, l'imperatrice, a mettere le sue pene in poesia sul modello del poeta  Heine.
"Sissi", biografia di  Brigitte Hamann ed. Tea e "L'imperatrice Sissi" di Jean Des Cars LEG edizioni.
Sul suo assassinio esiste una pubblicazione basata sulle sue memorie: "Vita e morte dell'assassino di Sissi. Luigi Lucheni" di Corrado Truffelli Fermo editore
E ovviamente il cofanetto dei DVD dei film, che rivedere Romy Schneider è sempre un piacere.


MARIA TERESA D’AUSTRIA:

 A scuola si studiano fuggevolmente le circostanze che portarono, Maria Teresa d'Austria, una dei più famosi monarchi della storia europea sul trono: non nascevano maschi e il padre, invece di andare a cercare il bisnipote maschio di un pronipote maschio, decise che sul trono doveva andarci un figlio suo, maschio o femmina che fosse.

 Un maschio era nato in realtà, ma era morto quasi subito e dopo non erano nate che femmine. 

 Così Carlo VI emanò la Prammatica Sanzione facendola sottoscrivere alle varie forze europee per evitare una cosa in stile guerra di successione spagnola. 
 Sostanzialmente si diceva che qualora fosse morto senza un figlio maschio, la sua prima figlia femmina avrebbe valso come maschio e gli avrebbe succeduto. E quella femmina era Maria Teresa d’Austria.

 E’ curioso come lei, la regina Vittoria e l’attuale regina Elisabetta, pur essendo delle eredi designate, non abbiano ricevuto un’educazione degna del loro ruolo.

 Anche a posteriori, per tutte e tre, non se ne capisce il senso logico: cosa pensavano i loro vari genitori (la regina Vittoria ebbe una storia un po’ particolare, magari ne parlo in quale futuro post)? Che si sarebbero affidate ai mariti vari ed eventuali? Che avrebbero avuto consiglieri? Che o la va o la spacca? Boh.
 Con Maria Teresa comunque la spaccò. Divenne regina all’improvviso, dopo la morte per congestione di suo padre, in realtà abbastanza fuori fase  già da un tempo per problemi, sembra, di depressione.
 Governò con fermezza e intelligenza (quasi sempre, non si può tacere ad esempio che non fu affatto amichevole con gli ebrei), cercò di trarre da una condizione di miseria e ingiustizia le fasce più basse della popolazione, fondò università, in un'incessante opera di riforme. Il tutto partorendo un figlio dopo l’altro, per arrivare alla considerevole cifra di 16.

 Altre cose la accomunano alla regina Vittoria ed Elisabetta II, come, fatto non secondario, un consorte amatissimo. 

 Sbalordisce (o forse in parte spiega) che ben tre grandi monarche abbiano avuto al loro fianco consorti adorati che pure furono molto attente a lasciar fuori dagli affari di stato non cedendo mai alla tentazione di un governo a due. 

 Francesco Stefano di Lorena, consorte di Maria Teresa, pur di sposarla rinunciò alla Lorena stessa che dovette essere ceduta a Federico II, il grande arcinemico della sovrana, che le diede grande filo da torcere invadendo la Slesia e dando inizio alla guerra di successione austriaca.

 Quando morì Carlo infatti, esclusa l’Inghilterra che provava una certa simpatia per sovrana e lo dimostrò sovvenzionandola e non alleandosi coi suoi nemici, praticamente tutta l’Europa si precipitò nel regno austro-ungarico sperando di prendersene un pezzetto.

 All’inizio Maria Teresa subì perdite pesanti, poi riuscì a convincere gli ungheresi (anche del reciproco rapporto di fascino tra imperatrici austriache e popolo ungherese ce ne sarebbe da dire) a farsi aiutare presentandosi da loro disperata e con erede neonato in braccio. La sola idea di decine di migliaia di rinforzi ungheresi fece desistere le forze europee.

 Iniziò quindi il grande regno di una grande imp
eratrice.

 Come in molti casi è particolarmente sugoso seguire i destini dei suoi numerosissimi figli che curiosamente, a sua volta, non preparò abbastanza per il loro futuro (soprattutto le numerose principesse elargite in mogli in giro per le corti).

 La più celebre rimane ovviamente Maria Antonietta, la sventurata sovrana francese che della sagacia materna aveva ereditato ben poco. 

 Meno nota eppur interessantissima è Maria Carolina che fu regina del regno delle due sicilie. Fu scelta come moglie di Ferdinando IV dopo che le precedenti promesse spose, (altre due sue sorelle) erano decedute a causa del vaiolo. 
 Data in moglie a un principe a dir poco scapestrato e assai poco incline al governo, on principio provò grandi simpatie per i rivoluzionari napoletani ed era orientata verso un dispotismo illuminato (anche più di sua madre), ma dopo la rivoluzione francese e la morte di sua sorella Maria Antonietta cambiò (e come non capirla), radicalmente idea.

 Esiste un film di Lina Wertmuller "Ferdinando e Carolina" che romanza molto il rapporto tra i due sovrani (che pure ebbero 18 figli). Inoltre presso la Biblioteca Nazionale di Napoli è conservata la sua biblioteca personale in lingua tedesca.

 Ci fu la bella Elisabetta che doveva sposare il re di Francia, ma, sfigurata dal vaiolo, finì in convento. E Maria Cristina, la figlia prediletta di Maria Teresa, l’unica a poter sposare l’uomo che desiderava (ovviamente nobile eh, non un ciabattino) e assai invisa alle sorelle, tra le quali, in verità sembra mettesse pure zizzania.

 Proprio lei fu l'oggetto del desiderio di sua cognata, Isabella di Borbone Parma, la moglie dell'erede al trono Giuseppe.

 La ragazza, che non godeva di ottima salute, era adoratissima dalla suocera Maria Teresa e, alla sua morte precoce per parto/attacco di vaiolo, anche il marito pianse sinceramente, ma celava un segreto: era innamoratissima della cognata Maria Cristina che coprì di piccoli doni e continue lettere di folle amore disperato (e che la principessa portò al fratello al momento della morte della sventurata ragazza).

 Se siete curiosi e conoscete il francese, esiste un libro che le raccoglie: "Je meurs d'amour pour toi..." di Isabelle de Bourbon-Parme a cura di  Elisabeth Badinter.


 Tornando alla nostra Maria Teresa, se volete leggere qualcosa su di lei: "Maria Teresa d'Austria" di Edgarda Ferri ed. Mondadori e "Maria Teresa d'Austria" di Jean Paul Bled ed. Il Mulino. 

 Possono essere gustose le lettere alle figlie piene di consigli matrimoniali (ne infilò più una in un matrimonio indesiderato e le ricopriva di consigli chiedendo, da brava nonna, copiosi ritratti dei nipoti): "Consigli matrimoniali alle figlie sovrane" ed. Passigli.

Su Maria Carolina esiste un libro della Franco Angeli che analizza il suo Journal "Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli" ed. Franco Angeli

Temo proprio che questo sia un fine prima parte perché sono riuscita a raccontare solo una miniparte delle figure che vorrei! Potrei quasi farci una rubrica: libri e reali (e ampliare così il mio pubblico verso le ambitissime signore di mezza età o le amanti di Jane Austen).

martedì 7 gennaio 2020

La vita che riceviamo è vuota. I marosi flutti del destino, le grandi decisioni e i libri che ci parlano ma non sono di conforto. "Canada" di Richard Ford.

 Avevo iniziato le vacanze di natale con uno spirito a dir poco gioioso e le ho finite col morale sotto le scarpe.


So che non si leggono i blog per trovarsi partecipi involontari delle sventure altrui, ma è difficile celare lo stato d'animo al momento. 

 Sapevo che questo 2020 sarebbe iniziato in salita, con decisioni importanti da affrontare e problemi di certo non piccini, ma credevo che almeno avrei avuto la carica emotiva necessaria.

 Invece no.

 E non esiste corso di coaching che tenga, se hai appena preso un ceffone imprevisto in faccia, non sarà certo fingendo che il livido non esista che ti riprenderai.

 Per tutti questi motivi, durante queste vacanze, ho preso una decisione forse non molto da lettore forte: non ho praticamente letto. 

 Avevo in coda tanti fantastici libri che attendevo solo il momento di poter leggere con calma, ma avevo letteralmente il terrore che potessero aprire nella mia mente ancora più finestre di quelle che già si erano spalancate. 

 Certo, la possibilità che dai libri venisse la risposta a tutte le mie domande era sempre una speranza concreta, ma sappiamo tutti che queste cose nel 90% dei casi avvengono solo nei romanzi o nei film fatti apposta per lettori forti.

 Ho quindi resistito eroicamente alla tentazione durante viaggi in treno avanti e indietro per l'Italia, in aereo, persino durante il soggiorno viennese (dove al massimo avrei concesso una possibilità alla biografia di Sissi o Maria Teresa d'Austria se fossi stata abbastanza previdente da procurarmene una), ma ho infine ceduto a un passo dalla fine. 

 L'aereo ha tardato tre quarti d'ora e mi sono ritrovata a leggere "Canada" di Richard Ford che era uno di quei libri che avevo in progetto di assaltare da parecchio tempo (l'altro che era in coda era "Martin Eden", ma sarà per la prossima volta).

 Ovviamente mi sono ficcata nella situazione in cui non volevo trovarmi: pensare di più, girare ancora più attorno agli stessi pensieri. 

Mi è sembrato di finire esattamente lì dove non volevo andare: in mezzo ad un libro che avrebbe potuto darmi degli strumenti per interpretare meglio il mio presente esattamente come in un romanzo abbastanza prevedibile per lettori forti.

 Questa cosa apre due possibilità.

 La prima è che io sia stata effettivamente toccata da una serendipità del destino.

 La seconda è che siamo portati a vedere nei libri ciò che desideriamo disperatamente trovare in quel momento. 

 E' il motivo per il quale ogni lettore, pur leggendo lo stesso romanzo, vede un libro completamente diverso. Ed è sempre lo stesso motivo per il quale, leggendo lo stesso libro in diversi momenti della vita, ci appare ora splendido ora insignificante.

 Il libro esiste come contenuto oggettivo e come oggetto, ma siamo noi a riempirlo delle nostre emozioni.

 In questo caso specifico credo sia stata una fortuita commistione dei due fattori.

 La storia, come è presentata nella quarta di copertina, ci presenta le vicissitudini di un ragazzino, figlio di un'improvvisata coppia di rapinatori di banche.

 Ovviamente le quarte di copertina sono nate per sviarci, come anche, in questo caso, la copertina, che suggerisce una storia assai più contemporanea di quella affrontata nel libro che si svolge all'inizio degli anni '60.

  Il narratore, Dell, è un ormai anziano insegnante canadese di origini statunitensi e racconta il modo in cui a quindici anni abbandonò forzatamente la sua patria e divenne canadese.

 O almeno questo è quello che lui dice di volerci raccontare.

 In realtà almeno per la prima parte si dilunga incredibilmente (e a posteriori anche giustamente) sull'evento che cambiò la sua vita all'improvviso: come fu che due persone incredibilmente normali, un ex aviatore bello e simpatico, e sua moglie, una seria insegnante di origine ebraica, decisero di commettere una rapina.

 Come spesso accade, le motivazioni che portano a compiere gesti devastanti e stupidi al tempo stesso, hanno premesse altrettanto devastanti e stupide.

 Una certa infelicità di fondo dovuta a un matrimonio casuale e insipido, una sensazione di scarsa realizzazione personale da parte di entrambe le parti, e un evento scatenante che col senno del poi avrebbe potuto essere gestito in modo assai più sensato.

 Il senno del poi però è la cosa più inutile del mondo e lo sappiamo tutti.

 Quando perciò la coppia di improvvisati rapinatori viene arrestata e tradotta in carcere, iniziano i guai per i due figli gemelli: il succitato Dell e sua sorella Berner.

 Li aspetta un orfanotrofio del Montana, ma loro decidono altrimenti e ognuno dei due, a quindici anni, prende la sua strada.

 Il romanzo assume quindi una piega picaresca e segue Dell nella sua fuga in Canada, ospite improvviso e improvvisato, di un avvenente americano che vive, per motivi apparentemente incomprensibili, oltre confine. 

 Siamo negli anni '60, ma sembra di essere in un romanzo di Defoe o di Dickens: lo sventurato protagonista alle prese coi rivolgimenti della sorte.

  Da romanzo quasi psicologico diventa di colpo una storia d'avventura ottocentesca, per poi tirare le somme in un finale che non rimette tutto al suo posto, ma cerca di dare un significato a una vita che per lunghi tratti è sembrata essere in balia degli eventi e in altri nelle mani del suo proprietario.

 Cosa ci promettono sorridenti venditori di illusioni del resto?
 Che tutto è davvero sempre nelle nostre mani.
 E cosa piace invece credere a chi non ha la volontà neanche di provare?
 Che tutto è affidato al caso e alla sorte.

 Ma la verità ci dice Ford, sta nel mezzo

 Sta nel non perdere mai il senso nel nostro continuo infrangersi tra i flutti del destino, sta nel tenersi saldi anche quando ogni cosa sembra perduta e tentare e credere sempre che si possa riemergere e trarre un insegnamento. 

 Non basta crederci intensamente per avere la vita che vogliamo, ma possiamo lasciarla emergere con pazienza nel caos a cui siamo incessantemente consegnati.

 Un ragazzino di quindici anni poteva prendere molte decisioni. Poteva, come sua sorella, scappare per vivere di comune in matrimonio fallito, oppure poteva ostinarsi verso il suo obiettivo: andare a scuola. E a questo suo obiettivo sacrificare la libertà e anche l'innocenza.

 Non possiamo mai sapere quale prezzo pagheremo per ottenere la vita che vogliamo, ma possiamo comunque ostinarci a rincorrerla. 

Anche perché, dopotutto, non c'è un altro modo onorevole per impiegare le nostre esistenze.

"Credo che quello che vedi sia quasi tutto quello che esiste, come ho insegnato ai miei studenti, e che la vita che riceviamo sia vuota. Così mentre il significato pesa, e molto, questo è il massimo che può fare. Quello che c'è sotto quasi non si vede.
Mia madre disse che avrei avuto migliaia di mattine per svegliarmi e pensare a tutto questo, quando nessuno mi avrebbe detto cosa devo sentire. Ormai sono molte migliaia. Quello che so è che nella vita hai migliori possibilità -di sopravvivere- se sopporti bene le sconfitte, se riesci a subordinare, come indicava Ruskin, a mantenere le proporzioni, a collegare le cose diseguali in un intero che protegga quanto c'è di buono, anche se bisogna riconoscere che spesso il buono non è semplice da trovare. Ci proviamo, come disse mia sorella. Ci proviamo. Noi tutti. Ci proviamo."

mercoledì 1 gennaio 2020

Buon 2020 meraviglioso e ricco di soddisfazioni a tutt*!

Buongiorno e buon anno a tutt*!
 Mi spiace enormemente per aver saltato gli auguri di natale, ho avuto dei giorni un po' difficili a livello personale.
 Il 2020 non inizia per me nel migliore dei modi, ma spero che, esattamente come il 2019 iniziava con le migliori premesse per poi rivelarsi un anno molto difficile e complicato, il 2020 si comporti inversamente: inizi con le peggiori premesse e poi si riveli sorprendente.

 Vi auguro un anno meraviglioso e soddisfacente e spero che anche a livello di società civile le cose migliorino drasticamente perché di gente che getta bile e odio h24 almeno io ne ho davvero abbastanza.
 Impegniamoci tutt* quanti!
 E dopo questo non richiesto discorso di Capodanno, buona giornata a tutt*!


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