martedì 26 gennaio 2021

"Il commissario Ricciardi", una fiction di fantastoria abbastanza riuscita. Fotografia da diesci, Guanciale da sette, Claustrofobia da zero e Fascismo non pervenuto.

 Ieri sera è andata in onda la prima puntata della fiction su Ricciardi, il fascinoso e tormentato commissario creato da Maurizio De Giovanni (qui il mio post sui suoi libri, bellissimi) la cui peculiarità, nella selva dei commissari, è quella di vedere i fantasmi dei morti di morte violenta nel luogo dove sono deceduti. Non solo li vede, ma li sente anche, finendo per vivere una tormentata esistenza al liminare tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

 Devo dire che quando la Rai ha deciso di trarne una fiction ero piuttosto preoccupata.

 "I bastardi di Pizzofalcone" era stato un mezzo disastro (per me ovviamente), nonostante i libri fossero praticamente stati scritti per essere la base di una fiction.

 I personaggi travisati, le situazioni ribaltate in stile "Occhi del cuore" e una Napoli noiosa come un paesello delle montagne svizzere, avevano messo una pietra tombale sulla mia fiducia nella tv generalista di riuscire a produrre un prodotto, non dico al passo coi tempi, ma almeno non al limite della telenovela.

 Ricciardi peraltro presentava due problematiche aggiuntive:

1) L'ambientazione in epoca fascista, alias la kriptonite della tv italiana.

2) Gli effetti speciali (che forse gli ultimi visti risalgono a "A come Andromeda") perché insomma, supponevo che nemmeno in Rai sarebbero giunti  a pensare che un figurante infarinato potesse essere credibile come fantasma.

 Ebbene, contro ogni aspettativa, la Rai è riuscita a sfornare un prodotto direi accettabile, superiore di sicuro a quello che mi aspettavo, con qualche punta di qualità e qualche evidente pecca.

 Ecco a voi la mia analisi minuto per minuto.


LE COSE RIUSCITE

LA FOTOGRAFIA:

 Se questa serie risulta più convincente di tante altre è perché, finalmente, la fotografia non è "Duccio smarmella".

 Il lavoro di luci e di atmosfere fa praticamente metà della fiction che nei suoi numerosissimi (se non tutti) interni, appare quasi una sorta di fumetto horror.

 Su fb in molti mi hanno fatto notare come la fiction avesse di certo preso a piene mani dal fumetto Bonelliano di Ricciardi (del quale ho letto un paio di numeri che mi sono parsi molto convincenti).



 In effetti Ricciardi è un protagonista molto fumettoso. Ha una sorta di superpotere, si aggira in una città oppressa, i co-primari sono tutti estremamente delineati. Inoltre l'epoca fascista e il fumetto horror hanno molte tinte in comune, quel grigio cupo, quel virare verso il verdastro, che restituiscono una certa tensione distopica, insomma, se il Ricciardi che vediamo è credibile è perché il contesto, più che storico, è riuscitamente fantastorico e la fotografia in questo gioco è stata fondamentale e credibilissima. Voto diesci.


I PERSONAGGI:

 Bisogna spezzare una lancia anche in favore del direttore del casting che, almeno in questa puntata, non ha dovuto cedere a nessuna starlette o attore di prima fascia, Lino Guanciale (che però è in parte) escluso.

 I personaggi, a mio parere, sono tutti molto azzeccati

 Lino Guanciale (dieci anni fa avrebbero dato il ruolo a un riluttante Scamarcio) in effetti ha le phisique du role per essere l'oggetto del desiderio di tutte le donne etero dentro e fuori lo schermo, esattamente come Ricciardi lo è per tutte le donne che hanno la fortuna di incontrarlo nel libro.

 Livia, che ricordavo bionda, ma tutti mi dicono sia mora, è molto bella, ha un viso antico il giusto e una certa regalità. Tutte cose che apprezzo moltissimo. Le manca forse quella nota un po' imprevedibile e felina che De Giovanni sottolinea numerose volte nei libri. Ha una certa freddezza che speriamo svanisca nelle prossime puntate.

Maione, sua moglie, Rosa, il prete, i gerarchi vari del commissariato sono tutti in parte, più o meno come li immaginavo. L'unico completamente diverso è il dottor Modo che, non so perché, ho sempre immaginato un signore pelato e con gli occhiali, ma quello è un problema mio.

 Bambinella, fantastico. Spero abbia più scene. Era bello il personaggio nei libri, l'attore è bravissimo e super in parte. Il migliore di tutta la fiction.


LE COSE NON RIUSCITE:

I PERSONAGGI:

 Se Lino Guanciale è di sicuro in parte, avrebbe però dovuto calcare meno la mano sull'estremizzazione di Ricciardi. Ci sono intere scene in cui è accigliatissimo, altre in cui è basitissimo, altre ancora in cui è al limite del vampirismo. 

 Certo, è interessante la possibilità che Ricciardi, avendo a che fare col regno dei morti, ne assuma anche alcune caratteristiche, ma insomma, una recitazione un filino più sfumata non è che guastava.

 Inoltre. Va bene che non sono state dedicate troppe scene alla caratterizzazione dei personaggi, (Rosa, personaggio fantastico nel libro, qui dice tre battute e una è sul ferro da stiro), ma Ricciardi, tipo, si cambierà ogni tanto, o no? Ha quell'impermeabile attaccato al corpo SEMPRE. Temevo che a un certo punto ci andasse a dormire.

 Enrica. Mi spiace ma è davvero l'unico personaggio che secondo me stona. 

 Lei troooooppo bellina, troppo moderna soprattutto. Non basta infilare gli occhiali a una ragazza graziosa per renderla una bellezza "interessante". Io la immaginavo molto diversa, non così bellina e non così moderna, una bellezza un po' antica diciamo, meno fine anche. E' l'unica che sembra provenire dal 2020 e non è convincente in un contesto fantastorico. Peccato.

LA CLAUSTROFOBIA:

Di sicuro ci sono dei motivi pratici ed economici che hanno portato la fiction ad essere una lunga sequela di scene piuttosto statiche, con poche persone, in interni molto ripetitivi. 

 Girare in interni costa meno che girare in esterni, e immagino che in parte sia stato girato in epoca Covid con tutti i limiti del caso. Soprattutto per questo, non me la sento di infierire su una regia statica che risulta più convincente di quella di Pizzofalcone per un motivo: sembra di leggere un fumetto.

 Le scene sono ampi riquadri con dialoghi e poi si passa al successivo. Ricciardi è fumettoso e ci sta, però manca così completamente un personaggio presentissimo nei libri di De Giovanni: Napoli.

 Napoli scompare, non c'è la vita, non ci sono le persone, i ritmi, i cibi, la vitalità, la fame, la miseria e lo splendore. Siamo su un set cinematografico o, appunto, nelle vignette di un disegnatore un po' pigro che non ha voglia di fare sfondi.

Spero che il problema fosse il Covid.

GLI EFFETTI SPECIALI:

Mio cognato
Una cosa bisognava fare: i fantasmi.

  Dico solo che l'ologramma di mio cognato che fa il cavaliere fantasma nel castello di Santa Severa, non solo è fatto meglio, ma fa più paura.

Inoltre Ricciardi è praticamente perseguitato dai fantasmi che vede ovunque quando cammina. 

Qui invece c'è il tenore ammazzato (che non capisco bene cosa dice, ma è un problema mio) e un fantasmino incontrato per strada. Per il resto Ricciardi cammina in strade deserte degne di un Lockdown ante litteram.

 Mettetecelo qualche fantasma in più, anche fatto male, se no Guanciale fa il tormentato senza motivo.


LE COSE BOH VEDIAMO COME VA:


IL PERIODO FASCISTA:

 Per ora tutto quello che ci riconduce al periodo fascista è l'aver intravisto sfocata l'immagine di Mussolini dietro al gerarca e la faccia disgustata di Ricciardi-Guanciale quando il gerarca fa velati riferimenti "A Roma". Fine.

 Per il resto potremmo essere ovunque, in un tempo abbastanza indefinito. E in effetti, come detto sopra, che siamo a Napoli lo sappiamo giusto perché abbiamo letto i libri e appare una sfogliatella, altrimenti potremmo letteralmente essere ovunque. E infatti parte delle scene è stata girata a Taranto.

 Vorrei pensare che nella prima puntata non è che puoi affrontare bene il contesto, ma temo sia il solito modo italiano di fingere che una cosa controversa e vergognosa insomma vabbeh facciamo finta che non c'è veramente e facim ammuina.

 Beneficio del dubbio almeno fino alla seconda puntata.


E voi? Lo avete visto? Vi è piaciuto? Cosa ne pensate?

martedì 19 gennaio 2021

"Dolcemetà e i carciofi", un episodio perduto delle cronache dalla reclusione. Il dissing di Gennaio 2021

 In questi giorni, (immagino lo saprete, ma lo scrivo a beneficio dei posteri), grazie a un innocuo fumetto di Zerocalcare sui carciofi, vari fumettisti hanno risposto con fumetti a tema.

 Se voi posteri vi state chiedendo: avevate davvero tanto tempo da buttare? Sì, a gennaio 2021, con l'Italia quasi tutta in zona arancione e rossa, con la noia di un anno chiusi in casa, avevamo tempo da buttare in robe futili per non farci venire l'esaurimento.

 Sempre per questo motivo ho deciso di pubblicare un episodio perduto delle cronache della reclusione a tema carciofoso!

 "Dolcemetà e i carciofi" todo per voi!







lunedì 18 gennaio 2021

Le recensioni di mezzo. Se devi delirare, delira fino in fondo. "Nero ferrarese" di Lorenzo Mazzoni e la lezione di Pinketts.

  Come avrete notato in questi anni, sono una che legge molti gialli.


Li trovo rilassanti, ma ammetto che, finita l'epoca in cui passavo il pranzo assieme ai miei nonni a guardare la Signora in giallo facendo a gara a chi scopriva per primo l'assassino, non li leggo per scoprire davvero chi è l'assassino. 

 Mi piace l'atmosfera, l'idea che la trama vada a parare da qualche parte e, devo dire, anche quella dose di libertà creativa che li distingue dagli altri generi.

 Ad un giallo investigativo preferisco di gran lunga uno d'atmosfera, sempre che l'atmosfera non sia una scusa per non avere una vera trama però (come accade ad esempio nella serie di Precious Ramotswe di Alexander McCall Smith, in cui bello il Botswana, bello tutto, ma il giallo non c'è).

 I gialli d'atmosfera, dopo un certo numero di indagini permettono all'autore di scrivere quasi col pilota automatico.

 Per capirci, Camilleri alla fine aveva ridotto le indagini di Montalbano a una specie di processione tra case dove gli venivano offerte leccornie sicule, ma il contesto era talmente tanto codificato che capire chi fosse realmente l'assassino era diventato quasi superfluo. E in verità, anche quando l'indagine c'era eccome, come nel caso di Chandler, era il contesto a rendere tutto davvero speciale.

Il giallo di Lorenzo Mazzoni, "Nero ferrarese" ed. Pessime Idee, scivola un po' su quel declivio. Il protagonista, Pietro Malatesta, anarchico di nome e di fatto, fa il poliziotto controvoglia in quel di Ferrara, città un tempo fascista, poi comunista, ora, lo sappiamo, leghista.

 Tutto inizia con l'omicidio di un fascistello diciannovenne, poi, la posta progressivamente si alza. Si alza TANTISSIMO. Si alza, direi, troppissimo.

 Chiariamo, il libro è scorrevole e scritto bene, ha quella sorta di placida follia che apprezzo tantissimo, soprattutto nei gialli. Il protagonista è circondato da personaggi abbastanza deliranti e ha passioni abbastanza deliranti (come la Spal e il paese d'origine di suo nonno, Tresigallo).

 Solo che, non so se per la brevità del romanzo (che è, in verità secondo me troppo corto per il suo potenziale) o per una certa mancanza di coraggio, il delirio non è totale come dovrebbe essere.

 Per dare un attimo un senso a quello che sto dicendo, secondo me quando si decide di scrivere un giallo il cui contesto ha una certa dose di follia un po' satirica bisogna puntare (anche senza arrivare a tali estremi) a Pinketts.

 I libri di Pinketts, se li avete letti (se non li avete letti VERGOGNA FATELO), sono un esempio di nonsense lucido che coinvolge trama e lingua simultaneamente. Sono il trionfo dell'assurdo che però riesce a mantenere una sua sottile coerenza in grado di portare avanti la trama.


 Non definirei i gialli di Pinketts propriamente dei gialli, ma trovo interessante e significativo che abbia scelto nel suo percorso letterario di fare uso proprio di questo genere che è in effetti in grado, per sua natura, di contenere e sprigionare tutta la follia umana di questo mondo.

 Cosa c'è del resto di più folle di un essere umano che per folli e spesso futili motivi architetta strani piani criminosi con premesse altrettanto folli, futili e criminose?

 Nel caso di "Nero ferrarerese" le premesse e l'idea sono accattivanti e anche il protagonista, di suo, sarebbe in grado di reggere una trama complessa, ma manca un tocco di follia finale.

 Se si alza la posta criminosa in modo vertiginoso, ossia se il delitto è particolarmente grave, allora deve esserci o una robusta trama dietro o un'atmosfera folle che giustifichi l'esagerazione.

 Non so esattamente Mazzoni dove condurrà in futuro il suo personaggio che, soprattutto sviluppando meglio i personaggi secondari, può promettere un contesto già ben organizzato, ma spero in una trama più complessa, anche solo alla Verasani per capirci. 

 Oppure, se proprio è necessario sperare bene, che spinga meglio sul confine della follia: l'anarchia di Mazzoni, il figlio facile a strambi estremismi, il ménage familiare ai confini della sopportazione.

 Un po' di coraggio, i gialli più sapidi sono, meglio è per tutti.

martedì 12 gennaio 2021

Collegare le cose diseguali in un intero. La (mia) vita dopo un anno nel mondo parallelo tra "Canada" di Ford, la diserzione di Conrad e i pozzi di Murakami.

Ed eccoci qui, nel 2021.

Ill. by Victo Ngai

 In modo quasi incredibile il primo post di quest'anno è una sorta di naturale completamento del primo post dell'anno scorso,
quando paventavo un anno complicato e pieno di decisioni difficili senza peraltro che l'uragano covid si fosse abbattuto sulle nostre lande.

  Un anno dopo posso dire di essere sopravvissuta a tutte le mie decisioni, che sono state difficili, ma sono prese e che sì sono state complesse da affrontare, ma ce l'ho fatta pur con una pandemia in mezzo.

  Il post di un anno fa prendeva la sua riflessione da "Canada" di Richard Ford, un romanzo, meraviglioso, sugli ostacoli davanti ai quali ci mette la vita.

 Non si tratta di ostacoli per forza drammatici, ma il senso del libro, credo, fosse distruggere l'idea che siamo completamente artefici del nostro destino.

 In parte è vero, ma in parte siamo artefici del nostro destino pur sempre in base a ciò che il nostro destino ha in serbo per noi.

 Dell, il protagonista di "Canada" ha una vita tranquilla coi suoi genitori e la sua gemella quando un giorno, a causa di alcuni debiti, il padre decide di rapinare una banca con l'aiuto della madre. E' il gesto scellerato di una coppia più spaventata che criminale, ma avrà enormi conseguenze sui figli.


In attesa degli assistenti sociali, dopo che la sua gemella è scappata, Dell afferra un'occasione che lo porta dalla provincia americana al Canada dove vivrà alcune avventure picaresche prima di vivere un'esistenza tutto sommato ordinaria.

 Non ha scelto lui di cambiare vita e ha fatto una scommessa afferrando la sua occasione. Ci ha provato.

 Nel finale, secondo me, c'è un po' tutto il riassunto delle nostre vite e mi piace citarlo nuovamente perché ci ho pensato spesso quest'anno, e quella frase, "La vita che riceviamo è vuota", mi è risuonata in testa molte più volte di quel che avrei voluto.

"Credo che quello che vedi sia quasi tutto quello che esiste, come ho insegnato ai miei studenti, e che la vita che riceviamo sia vuota. Così mentre il significato pesa, e molto, questo è il massimo che può fare. Quello che c'è sotto quasi non si vede.
Mia madre disse che avrei avuto migliaia di mattine per svegliarmi e pensare a tutto questo, quando nessuno mi avrebbe detto cosa devo sentire. Ormai sono molte migliaia. Quello che so è che nella vita hai migliori possibilità -di sopravvivere- se sopporti bene le sconfitte, se riesci a subordinare, come indicava Ruskin, a mantenere le proporzioni, a collegare le cose diseguali in un intero che protegga quanto c'è di buono, anche se bisogna riconoscere che spesso il buono non è semplice da trovare. Ci proviamo, come disse mia sorella. Ci proviamo. Noi tutti. Ci proviamo."

 Diciamo che è stato un anno in cui volenti o nolenti tutti abbiamo fatto più conti col nostro destino di quanto avremmo voluto, ma in un modo o nell'altro ce l'abbiamo fatta. 

 Non mi illudo e non penso e forse non spero nemmeno che la prospettiva collettiva di un anno fa sia la stessa adesso. Ma penso anche che quando avremo passato questo momento saremo diversi. Non so se saremo migliori, mi viene difficile pensarlo, ma di certo qualcosa sarà cambiato.

Posso dire, dalla mia parte, che probabilmente senza Covid non avrei avuto il coraggio di cambiare la mia vita, anche se sentivo fortemente di averne bisogno.

 Come diceva Conrad in qualche modo "Il mio atto, per quanto avventato, aveva più le caratteristiche del divorzio, della diserzione quasi".

 Ma non ho divorziato, non temete. Semplicemente, ma anche incredibilmente, a causa del lavoro di Dolcemetà c'è stata la possibilità di venire a Roma e l'abbiamo colta. Messa così sembra una cosa semplice, ma dopo 11 al nord per me (e tutta la vita per la nordica Dolcemetà), con le incertezze del covid e il rischio di lasciare il mio lavoro, alla fine ci siamo davvero buttate nel vuoto.

 Se sarà la scelta giusta non lo so, avevo sicuramente bisogno di un cambiamento e desideravo da sempre tornare vicino casa, ma spesso, durante quest'anno, ho avuto come la sensazione di aver perso qualcosa di fondamentale e di aver afferrato qualcosa di altrettanto fondamentale, ma completamente nuovo.

 Per fare un ultimo paragone letterario, senza per forza voler ricorrere all'abusata frase sulla tempesta di Murakami, ho davvero la sensazione che hanno molti personaggi nelle sue storie.


 E' come se la pandemia fosse stata uno di quei mondi paralleli,
quelle realtà alternative nelle quali attraverso un treno, un gatto, un bosco, un pozzo, alcuni suoi personaggi scivolano per tornarne mutati.  Dove sono andati? Cosa ha fatto loro il periodo che hanno passato altrove? Sono davvero gli stessi?

 Ma penso che sia una sensazione che condivido con molti quest'anno, tutti coloro che si sono accorti di esserci effettivamente finiti in quel pozzo murakamiano abitato dall'uomo pecora e coronavirus.

Abbiamo avuto la nostra realtà parallela e abbiamo scambiato qualcosa di noi con qualcos'altro di completamente nuovo e misterioso.

 Il bello della vita è che avremo tempo (speriamo) per comprendere di cosa si tratta e sperare di "collegare le cose diseguali in un intero".

 Un brindisi a tutt* noi e che il nuovo anno sia migliore!

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