domenica 27 gennaio 2019

C'è sempre una scelta e ha sempre un prezzo terribile (che vale la pena pagare). Collaborazionismo e fanatismo tra stelle crudeli e la posta del cuore fascista.

 In quinta elementare la mia maestra di italiano ci fece leggere "La fattoria degli animali".

 Non fu una lettura estemporanea di un mesetto, ma un progetto portato avanti per l'intero anno dove ci venne affidato a ognuno di noi un animale presente nel libro.

 Non solo dovevamo recitarne le parti durante la lettura (che forse era la parte più divertente), ma dovevamo segnare ogni atto del nostro animale guida e cercare di capirne le motivazioni.

 Perché Palla di neve faceva questo e quello? Perché Gondrano (strana traduzione italiana di Boxer) si faceva vessare e continuava a testa a bassa a lavorare incessantemente? Perché le galline scioperavano?

 Cosa voleva dire secondo noi?

 Ovviamente nessuno di noi poteva avere lontanamente idea che stessimo parlando della rivoluzione russa e dei suoi protagonisti, ma alla maestra non interessava, non era quello il punto.

 Il punto era che anche noi bambini di dieci anni potevamo già intuire alcune dinamiche umane abbastanza complesse e trarne le dovute conseguenze (ovviamente con altalenanti risultati, ma eravamo sempre bambini di dieci anni).

 A me toccarono le pecore e, all'epoca, ci rimasi anche un po' male perché avevano una parte completamente marginale, o almeno così pensavo.

 Intervenivano poco, dicevano sempre le stesse cose e, in verità, erano forse l'animale più intuitivamente comprensibile per un bambino: le pecore erano la massa incapace di fare domande, in grado solo di ripetere gli slogan dei maiali dominanti, incapaci di un pensiero personale o di una vaga ribellione.

 Erano insulse, stupide, ottuse e irritanti.

 Mi consolavo pensando alla mia compagna di classe Eugenia a cui era toccata Mollie, l'inutile cavallina vezzosa e piena di nastri che andava a tirare il calesse per i vicini e che, dopotutto, molti di noi un po' comprendevano.

 Gli anni sono passati e viviamo adesso un momento storico in cui mi chiedo se i bambini di dieci anni non abbiano momenti di lucidità sconosciuti agli adulti.

 Siamo molto seri, il problema di quest'epoca non è avere un'opinione diversa gli uni dagli altri, il problema è che molti hanno abdicato alla volontà di avercela un'opinione e non è solo una cosa grave, è una cosa spaventosa.
 Così, quest'anno, ho deciso di dedicare il post della giornata della memoria al collaborazionismo perché ricordare questo fenomeno può gettare una luce più chiara sulle tenebre che su di noi s'addensano.

STELLE CRUDELI:

 Uno dei grandi errori forse della giornata della memoria, è presentarla come qualcosa di manicheo: il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. Intendiamoci, è OVVIO che sia così, ma privarla a mio parere di una certa complessità per chi la visse, dà la percezione errata che fare la scelta giusta fosse sempre semplice.

 Ci sono stati fulgidi eroi che DEVONO essere ricordati, a monito imperituro del fatto che quando si dice che "Non c'era altra scelta", in verità quella scelta, volendo, poteva esserci eccome. C'è sempre un modo per dire no, e questo è il messaggio più importante, ma quello che forse passa meno è il prezzo che fu pagato. 
La celebre foto dell'unico uomo che si rifiutò di salutare Hitler
tra centinaia di persone, ritrae August Landmesser, operaio che
a causa del suo matrimonio con una donna ebrea, venne più volte
rinchiuso in campi di detenzione. Sua moglie venne internata e
uccisa, le figlie date in affidamento ad altri e, infine, venne spedito
a combattere al fronte dove fu, infine, disperso

 Ci sembra ormai un concetto lontano il fatto che molti furono torturati e uccisi per le loro scelte, come un romanzo eroico che non riguardò fino in fondo persone in carne ed ossa, persone esattamente come noi, ma personaggi speciali, romanzeschi, irraggiungibili nella loro bontà e perfezione.

 E' importante, a mio modesto parere, parlare anche di quella zona grigia che potrebbe davvero scuotere la nostra coscienza, il famoso: se tu fossi stato al loro posto, cosa avresti fatto?

 In questo contesto, vorrei parlare di due storie che pongono tutte l'accento sull'ambiguo sentiero del male, la famosa strada del diavolo che è lastricata di buone intenzioni, ma sempre all'inferno finisce.

Stella Goldsbach:

 Conoscevo già in parte la storia di Stella Goldsbach, da cui Takis Wurger ha tratto un romanzo appena edito da Feltrinelli, tramite un'altra storia esemplare dell'olocausto, quella di Felice Schragenheim, giovane ebrea tedesca che visse un'appassionata storia d'amore con Lilly Wust, giovane madre tedesca, fino alla sua deportazione Bergen-Belsen.

 Nel libro di Erika Fischer "La breve vita dell'ebrea Felice Schragenheim" Beit ed. (bellissimo, CERCATELO), in un capitolo, si raccontava la storia di questa bellissima ragazza ebrea, Stella, collaborazionista dei nazisti, incaricata di scovare quelli che venivano comunemente chiamati: U-boot.

 Gli U-boot erano gli ebrei che si erano rifiutati o avevano dismesso la famosa stella di David e giravano con documenti falsi per non essere identificati come tali dalla Gestapo.

 Uno dei metodi che la Gestapo aveva per stanarli era mandare in giro gente come Stella a RICONOSCERE gli U-boot facendo stilare poi loro identikit e indicazioni utili alla loro cattura.

 Perché Stella si prestava? Per soldi, ogni ebreo catturato grazie a lei fruttava parecchio denaro, per i suoi genitori, che erano stati catturati e deportati e di cui le era stata garantita la salvezza (anche se poi vennero uccisi comunque) e poi chissà.

 La sua storia dopo la fine della guerra è sospesa tra l'ambiguo e l'inquietante: catturata dai sovietici, scontò dieci anni di carcere, quando uscì si convertì al cristianesimo e divenne una fervente antisemita.
 Si uccise, ormai anziana, nella sua casa di Friburgo. La sua unica figlia, in una paradossale chiusura del cerchio, si era trasferita in Israele dove lavora come infermiera.

 Celeste Di Porto (conosciuta come Stella):

 Mentre cercavo info su  Stella Goldsbach, mi sono imbattuta in una storia molto simile la cui protagonista condivideva curiosamente il nome (nel suo caso il soprannome) con la sua omologa tedesca.

 Si tratta della storia di Celeste di Porto, detta Stella, una ragazza ebrea romana famosa nel ghetto per la sua bellezza che durante la deportazione degli ebrei fino all'occupazione nazista, collaborò col regime contribuendo, grazie alle sue soffiate, alla deportazione di altri ebrei.

 Svolgeva, sostanzialmente, lo stesso "lavoro" di Stella, e aiutò i fascisti a stanare degli ebrei nascosti durante il rastrellamento del ghetto ebraico romano e a scovare ebrei da sacrificare durante l'eccidio delle Fosse Ardeatine.

 In questo caso avvenne un episodio che definirei esemplare: proprio in occasione dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, salva suo fratello, inserito nell'elenco delle vittime da fucilare, offrendo in cambio il ventisettenne pugile romano  Lazzaro Anticoli, padre di una bambina, che, sulle mura della sua cella scrisse: "«Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste. Arivendicatemi»

 Dopo la guerra scappò a Napoli dove venne riconosciuta e rischiò il linciaggio, processata e infine amnistiata dopo pochi anni, tentò di tornare a vivere a Roma dove rischiò nuovamente il linciaggio. Convertitasi infine al cattolicesimo, vagò un po' per l'Italia per poi tornare nella capitale dove morì nel 1981.

 Entrambe le stelle si salvarono, ma a quale prezzo? Grazie al sangue di quante persone? Cosa fu la loro vita? Quale significato ebbe?

  E' facile immedesimarsi negli eroi, ma è qui il grande tranello: cosa avremmo fatto noi al posto delle due stelle? Avremmo sacrificato i parenti e gli amici di altri per i nostri? La vita di altri per la nostra?

 Perché, se vogliamo, la maggior grandezza di chi si oppose fu la capacità di porre la collettività prima dei propri interessi. 

 Chiunque si sia esposto, abbia combattuto, abbia salvato, lo ha fatto con un grande sprezzo del pericolo proprio e dei propri familiari (pensiamo anche solo alle famiglie che hanno nascosto gli ebrei) in favore del bene di persone altre.

 Molti penseranno che è il primo istinto di ogni persona: pensare prima a sé stessi che al prossimo, ma se tutti la pensassimo così cosa sarebbe della nostra civiltà?
 E' difficile essere fratelli e rimanere umani quando l'unico diktat è il "mors tua, vita mea", ma in realtà diventa terribilmente semplice quando riusciamo a pensare che un giorno potremmo essere noi l'altro che ha bisogno d'aiuto e di essere salvato.


DUCE!TU SEI UN DIO:

 Non è che Pupi Avati mi faccia impazzire, fa film di cui non sempre capisco bene  il fine se non la necessità di dirigere un film in media all'anno (i pupiavatiani mi perdoneranno), ma alcuni sono, in effetti, delle autentiche perle. 

 Uno dei più belli del suo ultimo periodo è "Il papà di Giovanna" (da cui ha anche tratto un libro), film che parte da una strana intuizione: ambientare un delitto nel periodo fascista.

 Diciamoci la verità, la narrativa italiana (e ancor più il cinema), a meno che non abbia specificatamente risvolti politici, fatica ad ambientare trame durante il periodo fascista. In effetti, in un paese che quel periodo non lo ha mai elaborato, per uno scrittore dev'essere come camminare sulle uova.

 L'unico esperimento interessante degli ultimi anni è il commissario Ricciardi di De Giovanni e, a mio parere, questo strano film che parte da un omicidio. 

 Una ragazza un po' strana, su cui il padre ripone altissime aspettative intellettuali, uccide una sua coetanea, bella e intelligente, l'unica peraltro a riporre in lei un qualche affetto. 

 Il padre a quel punto deve fare i conti con la realtà: sua figlia ha effettivamente qualcosa che non va, e forzarla ad una vita che non era in grado di affrontare, aveva aggravato la sua condizione fino a farla diventare un'omicida.
  In tutto lo sfilare di personaggi ce n'è uno che mi ricorda molti nostri connazionali allo stato attuale: una donnina iperfervente fascista, completamente innamorata del duce, che ascolta le canzonette fasciste alla radio con fare innamorato. Non pensa, non elabora neanche una qualche teoria personale sulla questione, non sembra nemmeno rendersi conto, marcia sul suo posto con fare stolido e la fiducia del fanatismo.
 Quel personaggio mi torna spesso in mente in questi ultimi tempi e lo ricollego a un libro che ho già citato qui, ma ho intenzione di continuare a citare: "Duce sei un dio!", una raccolta di lettere che gli italiani e le italiane, in un epoca presocial, sentivano il bisogno di inviare a Mussolini per dimostrare il loro ferventissimo ardore e la loro incomparabile fedeltà.
 Donne che avevano perso figli in battaglia pronti a offrirne altri, uomini in grado di scrivere lettere che manco al primo amore di gioventù, un delirio collettivo di adorazione mistica ai confini del fanatismo.

 Poiché, esattamente come Magneto, io ripongo pochissime aspettative nel raziocinio della masse, non mi stupisce minimamente che quello che accadde un tempo si ripresenti, in modo molto farsesco ma non meno pericoloso, di nuovo.
 Non mi illudo che la storia non possa ripetersi, ma mi illudo che forse, avendola vissuta non moltissimi anni fa, saremo in grado di porre, stavolta, una giusta resistenza preventiva. Forse.


 E' un post più strano degli altri per la giornata della memoria, ma penso che sia un momento storico in cui è necessario tornare a un certo livello di complessità.

 E' ovvio, neanche a me piacerebbe, tendenzialmente, arrovellarmi sui grandi dilemmi della vita o pensare ai grandi problemi del mondo quando anche i miei, che in confronto sono microscopici, mi sembrano già così insormontabili.

 Eppure è così semplice la tentazione di autoassolversi sostenendo che è talmente tanta la fatica di vivere che mettersi a pensare pure ad altro, agli altri, per giunta altri così lontani da noi, va oltre le nostre possibilità, ma nessun uomo come si dice, è un'isola.

 Soprattutto nessuna parte della storia è slegata dal passato e dal futuro e l'indifferenza stanca che si è appropriata di noi, facili pecore che trovano meno stressante brucare l'erba che alzare la testa verso le stelle, un giorno la pagheremo cara, la pagheremo tutta.
 Il passato non scompare.


venerdì 18 gennaio 2019

"Quando un'astronave passa, bisogna prenderla" o anche "Ho cambiato lavoro" (ma il blog rimane eh), un fumetto pieno di pathos, alieni e addii.

Ed ecco che è arrivato il gran giorno del fumetto con la rivelazione sconvolgente e della sconvolgente rivelazione in generale.

 La farò molto breve: ho cambiato lavoro.

 E' successo in modo repentino e quel che sono andata a fare adesso è un lavoro un po' particolare che ha sempre a che fare coi libri (parte del tempo lavorerò in uno splendido archivio).

 La prima reazione delle persone attorno a me a cui ho dato questa notizia è stata: e ora il blog???

 E io che almeno su quel fronte mi sentivo tranquilla e continuavo ad avere la mia certezza, ho iniziato a dubitare: cosa diranno ora le persone che leggono e seguono il blog da tanti anni?

 I miei gusti in fatto di libri non cambieranno, certo cambieranno in parte i contenuti fumettosi, ma è anche vero che soprattutto l'anno scorso, con l'unione civile, era diventato pacifico che stavo iniziando a buttarla un po' in caciara o, per dirla meglio, "ad ampliare i miei orizzonti".

 Ovviamente lasciare un lavoro come quello della libraia che mi ha dato e insegnato tantissimo, ben oltre quello che credevo mi avrebbe dato e insegnato quando l'ho iniziato ormai nove anni fa, è stato difficile, così tanto che non riesco neanche a trovare parole per descriverlo bene, ma quando un'astronave passa, dice il detto, bisogna prenderla.

 Ho già parlato più di quel che avrei voluto, anche perché proprio in questa occasione in cui avrei dovuto cianciare in lungo e largo di tutto ciò che è stato per me essere una libraia, preferisco tacere e tenere questo cambiamento e la sua elaborazione solo per me (almeno per ora), e ho preferito affidare tutti le domande e le risposte al fumetto che ho preparato nelle mie ore libere della settimana.

 Vi anticipo, a scanso di equivoci per chi non volesse giungere al finale: IL BLOG CONTINUERA'.

 Intanto godetevi questo fumetto "Quando un'astronave passa, si prende".

Da leggere ascoltando (visto che io l'ho disegnato ascoltandole): "Over de rainbow" nella versione di Israel Kamakawiwo'ole e "La strada" dei Modena City Ramblers.










A scanso di equivoci: librai e bibliotecari che avete ancora perle, mandatemene pure, continuerò a fumettare i contributi. Il mondo deve continuare a sapere!


sabato 12 gennaio 2019

Una lezione di vera satira ai veri bomberisti. Una recensione di "Cinzia" di Leo Ortolani, la prima graphic novel lgbt italiana tra sensibilità, intelligenza e sconfinato orgoglio.

 Inizierò questa recensione con delle scuse.

 Scuse che devo a Leo Ortolani per averlo ignobilmente sottovalutato.

 Non che ignorassi fosse un autore divertente e sagace, salace e acuto, ma quando un uomo etero e bianco incontra un personaggio donna e trans, la prima cosa che ti viene in mente è: farà un casino.

 Non solo non lo ha fatto, ma ha prodotto con "Cinzia" una graphic splendida, meravigliosa e commovente, dimostrandomi che nessuno e dico nessuno è esente dal pregiudizio verso il prossimo

 A mia discolpa posso fare una premessa sul perché e percosa porta una persona che fa parte di una minoranza a vivere in una perenne e alla lungo, bisogna ammetterlo, dannosa, condizione mentale di difesa. 

  C'è questo fenomeno del webbe chiamato bomberismo.

 Non è un fenomeno inventato dal webbe diciamo, ma il webbe ha la colpa averlo aiutato a superare quell'unico limite che ha nella vita reale e che è stato da sempre la salvezza delle vittime dei bomberisti: lo spazio.

 Cos'è il bomberismo? Quell'atteggiamento mix di bullismo sociale e cafoneria giustificato dalla maggioranza al grido di "sò ragazzi" (anche se i ragazzi hanno 30 e passa anni) o "è solo uno scherzo", "è una ragazzata", "è una goliardata".

 I protagonisti sono questi bulli testosteronici con fidanzate bulle quanto loro, le care alpha woman, che amano passare il loro tempo vuoto e vacuo cazzeggiando e prendendo di mira qualcuno per motivi random.

  Poiché sono menti malvagie e semplici (per non dire stupide), gli oggetti delle loro "ragazzate" fatte da insulti, scappellotti, allegri agguati in cui mazzolano qualcuno, prese per i fondelli per le vie del paese, nei bar, a scuola od ovunque amino pascolare le loro inutili vite, ecco gli sventurati oggetti presi di mira sono sempre gli stessi: chiunque per qualsiasi motivo sia ritenuto diverso dalla massa.


 Puoi essere quello più grasso, puoi essere gay, puoi essere troppo timido, puoi avere passioni poco virili o poco femminili, essere un maschio che fa danza, una donna che gioca a calcio, come possono esserci motivi vaghissimi che risalgono alla notte dei tempi e che hanno fatto di te lo sfigato della situazione.


 Prima da questa gente potevi sfuggire: cambiavi paese, andavi in città, ti allontanavi dalle loro squallide vite e miserabili esistenze fatte di nulla.
 Ora mettere tra te e loro quel migliaio di km di distanza, potrebbe non bastare: questa gente ti perseguita sul web, percula le tue foto che trova in giro, mette su shitstorming, minacce di morte, ricondivide su gruppi dove diventi non lo zimbello di un paese, ma di migliaia di paesi.

 E' il famoso bullismo online, solo che a mio parere è ancora peggio perché è attuato da persone grandi e grosse che dovrebbero trovarsi qualcosa di utile da fare nella vita.

 Una delle varie declinazioni del bomberismo è il malinteso concetto di satira.

 Siccome costoro si sentono perseguitati dal "politically correct", cioè da gente che dopo secoli ha deciso che "anche basta prendere per il culo quindi ti moderi", pensano di aver trovato lo scudo magico che permette loro di continuare a perculare impuniti: qualsiasi battuta da caserma, anche la più becera, è satira.

 Se ti offendi sei addirittura un nemico della libertà di espressione. 

 Se fai notare che curiosamente questa "satira" è sempre stranamente sessista, omofoba, transfobica, razzista e diretta verso le stesse identiche denigrate categorie che si sentono rivestire d'insulti dalle scuole elementari in su, sei uno che non sa stare al gioco, che non si "sa fare una risata" (io percuoterei con un randello chiunque pronuncia questa frase), è solo uno scherzo, una risata, l'ennesima presa per il culo dove gli altri ridono e quello di cui ridono sei sempre tu, l'eterno scarto.

 Per capire la gravità e la diffusione del problema diciamo pure che un partito di governo ci ha messo su una campagna elettorale perenne, con tanto di bacioni finali.

Adesso CHIARIAMO: NON ho mai manco lontanamente pensato che Ortolani avesse qualcosa a che spartire con questa disgustosa categoria.

 Tuttavia, vivevo in difesa e pensavo, come ho sempre pensato, che si possa fare satira, quella vera, su qualsiasi argomento, ma che se decidi di scegliere una delle categorie più prese di mira dai bomberisti di tutto il mondo, beh, devi essere un vero genio per farla funzionare.

 Ortolani lo è: Cinzia dimostra che "Ratman" che pure ha dato la gloria al suo creatore, ne ha frenato forse per anni il talento in altre direzioni.

 "Cinzia" è infatti una graphic novel stupenda, il primo vero fumetto lgbt italiano, in grado di fare ironia sulle idiosincrasie di un movimento molto diviso e molto cervellotico come quello lgbt(qhjshsklw) e sull'argomento "transgender", sostanzialmente la kryptonite dell'ironia.

 E' vero che l'ironia non abbonda nel movimento ed è forse il motivo per cui non abbondano neanche i fumetti sul tema (anche se qualcosa ogni tanto si muove), ma voi dovete immaginare gente costantemente attaccata e/o presa per i fondelli che deve trovare la forza di essere anche autoironica. Ci vuole una buona dose di coraggio e pure di energia.

 Era questo il motivo vero per cui non credevo che Ortolani sarebbe riuscito nell'impresa di trattare adeguatamente il tema E INVECE.

 La storia racconta le vicissitudini di Cinzia, personaggio ricorrente e amatissimo di "Ratman" qui in una versione assai poco fantasy e molto realistica.

 La nostra eroina infatti è immersa in una faticosa quotidianità: cerca lavoro, ma non riesce a trovarlo perché fino alla fine della transizione di genere non le cambiano i documenti (e pare che per un datore di lavoro sia estremamente importante che il genere sessuale sul documento e quello fenotipico coincidano, mai capito perché), non riesce a passare l'esame psichiatrico per la riassegnazione del genere (accennando al delirio legale/medicale che vivono le persone transgender) e non riesce a vivere un meraviglioso amore perché, quando fall in love, deve spiegare al suo oscuro oggetto del desiderio che, ebbene sì, "Ha 30 centimetri in più".
 Che Ortolani abbia studiato e raccolto testimonianze di persone transgender si evince dalla delicatezza e dalla consapevolezza con le quali Cinzia affronta le vicissitudini quotidiane.

 Il costante tentativo di Cinzia di vivere con dignità e fierezza quella che vorrebbe fosse solo una vita come tante e che è invece sempre sotto i riflettori dell'altrui giudizio è raccontato con encomiabile sensibilità e un tocco comico che, una volta tanto, non sconfina nel drammone esistenziale.

 La storia, come tante storie, inizia quando girl meets boy e che boy!

 Cinzia, dopo l'ennesima delusione lavorativa, incontra lui: il bel Thomas, perdutamente avvenente.
 In un tripudio di cuori e di canzoni di Aretha Franklin, decide di essere disposta a tutto per conquistarlo, anche a rinunciare a sé stessa  per presentarsi a lui come un uomo e a lavorare con lui in un'azienda dedita a combattere la pericolosissima ideologia ggggiender.

 Il gioco delle parti qui diventa particolarmente raffinato: ci troviamo davanti a una finzione che teoricamente corrisponderebbe alla realtà, ma questo solo perché siamo così ottusi da concepire come reale solo quello che PRETENDIAMO di vedere.
  L'azzardo sembrerebbe dare ragione e fortuna a Cinzia, ma poiché, anche se a molti non piace, il mondo è un posto assai complesso e variegato, si innesca un'inaspettata piega degli eventi...

 Non posso dirvi il finale ed è un peccato ai fini della recensione perché nasconde una delle intuizioni migliori del libro, ma non posso esentarmi dal fare chapeau anche su questo a Ortolani.

 Egli ha scelto di raccontare una sottigliezza che è ancora vaga nei cervelli di tanti: il fatto che identità di genere e orientamento sessuale NON sono la stessa cosa.

 Non solo non lo sono, ma non c'entrano niente l'una con l'altro.

 Esistono transgender MtF etero e transgender MtF lesbiche, FtM etero e FtM gay o bisex ovviamente, ma nel nostro mondo binario ed eteronormato è come se per molte persone fosse difficile ammettere un doppio passaggio.

 Tutto dev'essere semplice, PER FORZA e A FORZA, e se c'è qualcuno che in queste semplici categorie proprio non ci vuole stare ( e ci sarà sempre visto che il mondo non è un posto semplice), questi diventa una macchia da eliminare.
 Un libro meraviglioso che è un inno alla tenacia e al rispetto, quello che dobbiamo a noi stessi prima di tutto, perché c'è una cosa che Cinzia riesce a insegnarci:  mai rinunciare alla nostra vera natura per nessuno, mai, neanche se appare (e a volte lo è) la via più semplice.

 Abbiamo ali per volare sul mare sconfinato e su tutta la terra, librandoci facilmente, e nessun bomberista, nessun omofobo, nessun transfofobo può scalfirci se sappiamo davvero chi siamo.

Grazie Ortolani e cento di queste graphic!

In ogni caso, visto che non di sola fierezza vive chi è discriminato, io una leggina contro l'omofobia e la transfobia la gradirei.

 Consiglio cinematografico non richiesto: 

 Se avete amato la graphic, non posso non consigliarvi un film spagnolo che vidi qualche anno fa "20 centimetri" che ha molti punti in comune col fumetto di Ortolani.
 Se siete curiosi ecco un assaggio!


martedì 8 gennaio 2019

Piccole recensioni tra amici! "Tutto quel buio" e "L'inferno è una buona memoria" tra noir poco surreali e saggi su vecchie glorie del fantastico.

 Mentre cerco di trovare il tempo per un fumetto importantissimo, (ma per questo fine settimana giuro che lo farò perché è davvero troppo importante), e rantolo dalla stanchezza, cerco di smaltire un po' di recensioni.


 E' un periodo molto stancante, un inizio anno che definire pieno di novità è fortemente riduttivo.


 Mi spiacciono tutti questi misteri, ma voglio dire tutto nel modo migliore possibile e penso che il modo migliore sia un fumetto.


 Godetevi intanto questo "Piccole recensioni tra amici"!


TUTTO QUEL BUIO di Cristiana Astori ed. Elliot:

 E' stata una piacevole sorpresa, anche se non quanto avrei sperato fino all'ultimo, questo giallo con venature horror di Cristiana Astori.

 Scovato per caso in un Libraccio dove ho preso l'abitudine di andare per preservare il mio stipendio e riuscire ad arrivare a fine mese (lo so, esistono le amiche biblioteche, ma ultimamente non esiste il tempo per andarci), mi ha incuriosito sin dalla quarta di copertina, una cosa, sottolineo, che non mi succede quasi MAI.

 La storia inizia in modo insolito: c'è la classica esperta che deve partire per recuperare l'antico vaso e portarlo in salvo MA stavolta l'antico vaso non è né un vaso né il solito libro o quadro maledetto.

 Si tratta infatti di una rara pellicola ungherese degli anni '20  svanita nel nulla e ricercatissima da danarosi, eccentrici e pericolosi collezionisti di tutto il mondo.

 Susanna Marino è una giovane esperta cinematografica che si arrabatta facendo la cameriera e prendendo, di tanto in tanto, commissioni per ritrovare perdute pellicole pericolose.

 Nel suo recente passato c'è un tragico lutto, nel suo tragico presente un problema di narcolessia e non solo. Il tutto condito da genitori che vorrebbero lasciasse Torino per tornare da loro in provincia e una cronica mancanza di denaro.

 Un giorno, un misterioso collezionista le commissiona il ritrovamento della pelicola Dracula Halalà, la prima che vedrebbe Dracula sul grande schermo e la copre di soldi e la spedisce a Budapest a cercarla.

 Lì, seguendo un flebile filo che s'intreccia con la tragica storia del '900, risale la corrente in un susseguirsi di cibarie ungheresi (che sembrano molto gustose), episodi horror al limite del sovrannaturale, morti, poliziotti non proprio sveglissimi e sexy violinisti.

 Allora.

 Inizio col dire che io muoio dalla voglia di leggere libri con trame simili, stile gialli all'italiana: trame inquietanti, con personaggi allucinanti e momenti di puro horror.

 Cristiana Astori rispetta tutto questo, anche troppo.

 Il debito che alcune sue scene hanno con l'immaginario dei gialli all'italiana, è anche troppo elevato, diciamo al limite della scopiazzatura. Il che va anche bene, ma bisognerebbe ricordare che nei gialli all'italiana certe robe estreme funzionavano perché l'intero film si reggeva su una totale surrealtà.
 Il problema del libro è che invece fa affidamento su un senso di irrealtà, quello che prova costantemente Susanna ogni qual volta accade qualcosa di strano, ma anche di particolarmente ordinario. 

 Tutto le appare irreale e ci tiene a ripeterselo e a ripetercelo, ed è la cosa più sbagliata del pianeta perché uccide l'atmosfera noir e un po' torbida che dovrebbe man mano crearsi.

 Se si vuole calcare la mano con episodi assurdamente crudeli o con pittoreschi omicidi, io sono la prima a essere concorde (non amo lo splatter, ma il perturbante sì), ma questi hanno senso solo se la trama e i personaggi coinvolti muovono tutti insieme in quella direzione.

 In parole povere: è un buon libro che sembra scritto col freno a mano, come se si temesse di andare fino in fondo.

 Grosso errore perché certi azzardi funzionano solo se si è violentemente coraggiosi, altrimenti resta il retrogusto amaro del "Vorrei ma non posso".

 So che la Astori ha scritto altri gialli con la stessa protagonista e sono molto curiosa di leggerli per capire se è proprio un suo modus operandi oppure se gli altri hanno quel tocco di vertiginosa follia e di spericolato coraggio che consentirebbe alle sue tante buone idee di diventare assurdamente grandiose.

 In caso contrario conto molto sulle prove future! Più libri su questo filone vi prego!!


L'INFERNO E' UNA BUONA MEMORIA di Michela Murgia ed. Marsilio:

 Va dato merito a Michela Murgia di aver contribuito a riaccendere la curiosità su Marion Zimmer Bradley, bravissima e controversa autrice di fantasy e fantascienza, autrice di decine di tomi, deceduta nel 1999.

 Ho scritto due post ultimamente sulla grandiosa e magnificente opera di MZB, quella saga di Darkover ricca di inventiva, umanità, personaggi meravigliosi e peculiari sperimentazioni sociali molto anni '70 adattate al mondo medievale e tecnofobo nato su un lontanissimo e gelido pianeta.

 Tuttavia qui da noi MZB è assai più conosciuta per "Le nebbie di Avalon", riscrittura, dal punto di vista della maga Morgana, del ciclo di Avalon.

 La Murgia ha dedicato a quel grande meraviglioso libro, questo piccolo saggio che, per dovere di cronaca devo avvisare: potrebbe molto comprensibile a chi non ha letto il libro di cui parla.

 Certo, nell'introduzione ci sono numerose pagine tratte dal libro per tratteggiare il personaggio di Morgana, piccola grande pedina di un destino che combatte per tutta la vita solo per vederlo compiersi.

 La Murgia, che ammette di aver letto il libro per assoluto caso (come per assoluto caso la maggior parte dei letttori si imbattono nei libri che cambieranno loro la vita), analizza i grandi personaggi femminili che compongono questa riscrittura in cui un potere nuovo, più crudele e meno lungimirante uccide simbolicamente e non solo un antico potere, comunque violento, ma con una sua logica.

 Molti personaggi affollano questa storia vividissima:
 Ginevra, la gattamorta del "vorrei ma non ci riesco perché sono una donnina tenerina deboluccia" che tiene avvinti a sé uomini avidi di zerbinaggio passivo/aggressivo.
 La perfida Morgause che dimostra come anche le regine, in nome del potere, possano compiere orribili nefandezze.
 Morgana, talmente impegnata a non farsi dire cosa deve fare della sua vita che, alla fine, ne vive una fatta di rimorsi e rimpianti.

 Un saggio che consiglio ai veri appassionati di MZB e a chi volesse lanciarsi nell'impresa, giusta e doverose, della nuova edizione de "Le nebbie di Avalon" dell'Harper Collins.
 Purtroppo rieditata in due volumi, (belli eh, ma big money) ha svelato a noi appassionati la sconcertante verità: nonostante  le precedenti edizioni fossero state tradotte dall'ottima Roberta Rambelli... non erano integrali!

E mi raccomando, state tuned! Questa settimana grande recensione su "Cinzia"!

domenica 6 gennaio 2019

"Babbo Natale vs Befana"! Un fumetto amarcord per celebrare la vecchina col carbone della nostra infanzia.

 In occasione della befana posto anche qui un fumetto che avevo prodotto a dicembre per il calendario dell'avvento dell'agenzia La Matita Rossa.

 Quella del complesso rapporto tra babbo natale e la mia famiglia è una storia che ho raccontato più volte, ma non l'avevo mai fumettata!

 La befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, vien vestita alla romana, viva viva la befana!
 Buona befana a tutt*!





mercoledì 2 gennaio 2019

"Immagini e momenti del Capodanno 2019", il mio primo dell'anno in faceto fumetto tra il Veneto, l'Emilia Romagna, la salama da sugo e il west.

 Innanzitutto: buon anno a tutt* quanti!

 Poiché come tutte le volte che c'è da fare qualcosa di importante si preferisce dare precedenza alle facezie per non doverci pensare, eccovi un faceto fumetto su come ho passato il capodanno quest'anno scorrazzando tra il Veneto e l'Emilia Romagna.

 Il fumetto sarà tanto più comprensibile se leggerete il suo predecessore sul capodanno 2018 visto che, nel frattempo, c'è stato un lesbodramma di un certo livello.
 Per il resto w la salama da sugo, w il Cassero, w Renato Zero e abbasso pompo nelle casse e la nebbia.
 "Immagini e momenti del Capodanno 2019", un fumetto faceto!

E di nuovo buon anno a tutt*!!










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