domenica 28 novembre 2021

La sindrome di Urashima Taro. Tornare a casa dopo anni e scoprire che il tempo non era rimasto fermo, ma solo noi ad essere stati via troppo a lungo

 In questo ultimo anno, in cui ho fatto fortunosamente ritorno alle terre natie, mi sono ritrovata più volte a pensare alla leggenda di Urashima Taro.

Chiunque sia appassionato di manga o letteratura giapponese ne ha sentito parlare più di una volta. Urashima Taro è un pescatore che un giorno esce per mare e salva una tartaruga maltrattata sulla spiaggia.

 Come ricompensa, la regina del mare lo ospita per tre giorni nel suo palazzo grandioso e quando infine lo congeda gli regala una scatola che non dovrà mai aprire.

 Urashima torna a casa, ma scopre che quelli che per lui sono stati appena tre giorni, sulla terra erano invece decine di anni e tutte le persone che conosceva sono morte.
 Disperato, apre la scatola della regina e invecchia di colpo: conteneva infatti tutti gli anni  realmente trascorsi.

 E' una leggenda di per sé molto affascinante, ma credo di averne colto in parte il significato solo nei mesi passati.

 Quando vivevo a Milano avevo sempre la sensazione che il posto dove mi trovavo e il mio paese d'origine si muovessero su due piani temporali diversi. 
 Non perché Milano fosse proiettata nel futuro e il paese mio che sta sulla collina no, era una questione più sottile.

 Tutte le volte che tornavo a casa avevo la sensazione di rientrare in un'altra linea temporale dove la mia vita precedente esisteva ancora in qualche modo, perfettamente o quasi congelata al momento in cui me n'ero andata via. Certo, qualcuno nel frattempo si era sposato e/o aveva avuto figli, si era trasferito o simili, ma fondamentalmente tutto sembrava scorrere allo stesso identico modo, congelato nel tempo, negli anni.

 Bastava prendere un treno e potevo tornare al momento in cui ero partita e, siccome le vacanze sono ingannevoli, mi sentivo anche la persona che era appena partita: bastava prendere un Frecciarossa e avevo di nuovo ventiquattro anni.

 Riprendevo il Frecciarossa per tornare a Milano e la me stessa adulta, con una faticosa e per carità, sicuramente più appagante di tante altre, vita adulta da affrontare e gestire.
 Questo parallelismo temporale mi ha sempre molto confuso e sicuramente i libri e i film hanno avuto un ruolo, come in verità ce l'hanno nell'immaginario di tutti noi.

 Nei film, solitamente natalizi e di buoni sentimenti, ma non solo, il protagonista che è partito verso la vita da lui/lei sognata nella grande città, finisce per tornare a casa, solitamente per i soliti tre motivi: qualcosa lo costringe (un lutto, un'eredità, malattia di qualche parente), perde il lavoro e l'unica alternativa alla strada è la casa dei propri genitori, c'è una qualche festività.

 In questi casi, tendenzialmente il protagonista parte diffidente: si diverte pazzamente nella big city ed ehi è arrivata la tanto sospirata promozione (a meno che non sia il caso del licenziato che vede andare in briciole la propria vita in 3 secondi netti) e torna al paese. Lì, tutto è immutato: i genitori litigano, gli amici sono sempre uguali e al massimo qualcuno ha messo su famiglia, tutti i negozi sono al loro posto e tutti sembrano sempre fare le stesse rassicuranti cose.

 Il setting è perfetto. Tuttavia, se nei film è DAVVERO così, cosa che solitamente convince il protagonista a mollare la sua vita perfetta per riscoprirsi vicino ai valori di un tempo e solitamente anche al manzo o alla gnocca di un tempo, nella vita è più semplice che si venga travolti dall'effetto Urashima Taro.

 Tu torni e ti accorgi che le persone che conoscevi non esistono più. Sono diventate altre persone e la linea temporale che ti sembrava rimasta immobile perché dopotutto dieci anni volano in un soffio e non sembrano davvero tanti, è andata tragicamente avanti.

 Tutto è cambiato e ritornare ha una fatica non prevista, un ricavarsi nuovamente uno spazio che si dava scontato perché insomma ce l'avevamo, non pensavamo potesse sparire. Invece siamo semiestranei che tornano a inserirsi in un mondo che un tempo conoscevano bene e che è andato avanti facendo a meno di loro.

 Non che sia perdutamente tragico ed è sicuramente proporzionale al tempo che abbiamo passato, come Urashima, in fondo al mare, altrove. Tuttavia è solitamente privo di quella deliziosa magia per lo spirito dei film dei grandi ritorni a casa, in cui tutti sembrano non avere niente da fare che aspettare il ritorno di qualcuno che un tempo conoscevano molto bene.

 La cura esiste ed è la stessa di Urashima: recuperare tutti gli anni perduti, in un colpo solo, e lasciare che quella linea temporale che si credeva interrotta torni di nuovo a correre e recuperi tutti i giorni che credevamo fermi nel passato.

 Le linee del tempo si raccordano e noi diventiamo di colpo più adulti o anziani, a seconda di quanto siamo stati lontani, perché lo scorrere del tempo raggiunge ogni luogo, anche quello che credevamo salvo.

domenica 21 novembre 2021

La Dolcevita di Dolcemetà! "Il piennolo"

Nonostante sia alle prese con la mia venuta a Torino per ben 2 matrimoni decembrini (ma come mai a Torino vi sposate a dicembre? E' un'usanza locale?), sono riuscita a trovare il tempo per una nuova esaltante puntata della Dolcevita di Dolcemetà, questa volta alle prese con problemi ancora più a sud del Lazio!
"Il piennolo"!





giovedì 18 novembre 2021

Letture disordinate di estati ragazzine. I libri casuali delle mie estati interminabili dei tempi che furono tra Pocahontas, baby sitter, donazioni bolognesi e cover anni '70

  Innumerevoli miei post iniziano ormai da anni con la rievocazione delle mie estati in Sardegna. 

Tre mesi l'anno senza tv, all'epoca senza ovviamente cellulare o computer, insomma senza niente di niente: SOLO libri e quaderni e ovviamente mare. 

 Non lo dico per fare come le pagine di fb che ricordano tempi inesistenti in cui i bambini giocavano a calcio per strada mentre dalle finestre splendide nonne dalle crocchie lattiginose lanciavano loro piogge di Rossana e gelati Sammontana, ma per contestualizzare la vicenda.

 Per mia ENORME fortuna, nel posto dove passavamo l'estate, c'era una splendida libreria, ma ciò non bastava comunque a riempire le mie giornate visto che non avevo il budget di Rockfeller da investire in libri sempre nuovi. 
 Il risultato è che quindi per anni ho ingoiato letture completamente casuali e disordinate. 

 Molte erano frutto degli allegati di "Gente", giornale a cui mia nonna è stata storicamente fedele e che amava elargire libri con un dubbio piano editoriale (almeno dubbio per me, mai capita la ratio, se c'era), altre vennero da una donazione che ci fece la nostra storica vicina di casa bolognese.

 Era, la sua, una strana bibliografia per una bambina a cavallo tra gli anni '80 e '90, molto moraleggiante e quasi, devo dire, fantascientifica, ma si faceva leggere (e soprattutto, quando non hai niente da leggere, ingoi TUTTO). 
 In questi giorni ho ricordato una sua perla della quale avevo parlato eoni fa in questo post sui traumi infantili (il blog esiste ormai da taaaaaaanti anni e non lo avevo dimenticato): "Pel di carota".

Questo strano libro autobiografico in cui Renard ricorda la sua infanzia ai limiti dell'orrore,
all'epoca mi impressionò tantissimo ed ebbi, me lo ricordo precisamente, la sensazione che in verità non fosse davvero un libro per ragazzi perché raccontava tutta una serie di faccende con estrema crudezza.

 La trama, per chi non lo sapesse, parla di questo bambino dai capelli rossi che sua madre, per motivi non ben chiari, detesta a morte preferendo i suoi due fratelli maggiori che a loro volta lo vessano. Ovviamente il clima non proprio friendly della casa, tira fuori il peggio da questo bambino che si sente rifiutato e inizia a credere di essere DAVVERO cattivo dandosi ad atti discutibili come il maltrattamento degli animali. 
 C'è persino un pezzo sul finale in cui blandamente si accenna al fatto che tenta al suicidio e la madre, perfida delle perfide, commenta che lo avrebbe sicuramente fatto per attirare l'attenzione.
 Mi ricordo una seria sensazione di perplessità e malessere, e mi stupisco che questo libro sia ancora considerato un classico della letteratura per ragazz*.

 Comunque, ho deciso di deliziarvi con i miei ricordi più lucidi delle letture delle mie estati di isolamento insulare.

Purtroppo, tra i libri molto vecchi e la mia memoria molto labile, non sono riuscita a ritrovare tutti i titoli:


LA BIOGRAFIA DI POCAHONTAS:

Ho cercato di risalire all'edizione che lessi, ma con scarso successo. Posso dire che era l'allegato a qualche giornale ("Oggi" o "Gente") e aveva una copertina rossa con l'immagine di una donna, spero Pocahontas, al centro.

 Vagava per casa di mia nonna (facevamo vacanza in case tutte vicine) e lo lessi attendendomi la storia della Disney, una delle poche devo dire che non mi ha annoiata visto che, ve lo confesso, non sono mai stata tra le fan più sfegatate della Disney neanche da bambina.

In verità scoprii che la vita di Pocahontas che era davvero coraggiosa e ardimentosa del film, era stata assai più complessa.

 Dopo la famosa storia con John Smith infatti, la nostra aveva sposato un altro inglese (Smith infatti era tornato in Inghilterra per curarsi senza mai più far ritorno nelle americhe) ed era poi venuta in visita in Europa, in terra d'Albione, dove poi con un effettivo colpo di scena rincontrò il suo antico amico.

 Non conoscevo ancora molto del colonialismo, ma in generale avevo la sensazione che Pocahontas non avesse fatto un grande affare a lasciare la sua tribù originaria. Ben più del lato avventuroso della vicenda, mi colpì come in Europa la considerassero strana, un fenomeno esotico, e non come una persona vera e propria. La morte per una delle varie malattie non ben definite dell'epoca, mi convinse definitivamente che avrebbe fatto assai meglio a rimanere con nonna Salice e suo padre.


IL CLUB DELLE BABY SITTER:

 Collana che era famosissima in America, ma che credo e temo non abbia mai preso davvero piede in Italia, parlava di queste amiche, ragazze adolescenti, che per racimolare qualche soldo fanno le baby sitter. Per me, che all'epoca ero loro coetanea e non mi era permesso neanche di dormire a casa delle mie amiche, erano il simbolo dell'indipendenza e dell'emancipazione.

 Lessi infinite volte "Claudia e le lettere anonime" in cui la protagonista è alle prese con un'insufficienza in inglese, ma soprattutto con una specie di protostalker che le invia lettere anonime.  
 
Nonostante tutto lei non dice niente ai suoi e informa solo le sue amiche del club, quindi la storia va avanti al cardiopalma tra babysitteraggi in cui deve continuamente guardarsi alle spalle e improbabili cene coi bambini che le vengono lasciati in affidamento a base di pollo fritto e gelato.

 Pensavo che essere un'adolescente baby sitter americana fosse un sogno.

 Peccato che, visto il mio notorio savoir faire con i bambini, è stato uno dei pochi lavoretti tipici dei gggggiovani che non ho quasi mai fatto.


OTTO GIORNI IN UNA SOFFITTA di H. Giraud:

Libro di incredibili buoni sentimenti, lo rilessi a oltranza perché, esattamente come molti altri libri, mi colpì la straordinaria vividezza col quale veniva descritto il cibo (non credo fossero i motivi più nobili per farselo piacere).

 Una bambina, orfana, riesce a trovare rifugio nella soffitta di una famigliola quasi del mulino bianco. 

 Non ricordo bene da cosa fugge né come finisce nella soffitta, ma viene scoperta dai tre fratellini che abitano in casa e che stanno vivendo anche loro un drammatico momento nonostante gli agi: la loro mamma, un esempio totale di rara bellezza e virtù, è infatti malata. 

 I tre decidono che la bimba è degna di essere accolta quale sorellina e non denunciano a nessuno la sua presenza, bensì per otto lunghi giorni trovano il modo di nutrirla e di renderle più comodo il soggiorno con mille e più stratagemmi.

 Il finale ovviamente non è molto spoiler: la mamma torna, i bimbi confessano, la bimba è un incanto e una delizia e viene adottata. Malgrado la melassa lo ricordo ancora con affetto.


LIBRO AMBIENTATO IN UN COLLEGIO PER SIGNORINE:

 Ecco, questo libro, del quale ricordo la trama anche con precisione (ma niet, non sono riuscita a ritrovare il titolo), era all'epoca per me una sorta di mistero. Il mistero poi si è dissipato negli anni, quando mi è stato chiaro come fosse stato scritto chiaramente per ragazzine di un'altra epoca.

 La protagonista della storia è una ragazzina ricca e tutto sommato abbastanza normale per i nostri tempi. E' vivace, ha interessi che vanno oltre lo spazzolarsi i capelli, corre per casa ed è estroversa. 
 E' orfana di madre, figlia unica e ovviamente è la luce degli occhi di suo padre che le consente tutto FINCHE' la matrigna, che a quanto pare le vuole tanto bene e lo fa davvero solo per il suo bene, convince l'uomo a spedirla in collegio perché non è più una bambina e ha bisogno di un'educazione per signorine.

 Lei parte, ovviamente recalcitrante, e in collegio vive varie avventure dapprima alla Gianburrasca, poi col passare del tempo sempre meno concitate. Al termine della storia infatti, è stata addomesticata esattamente come voleva la matrigna ed è diventata la brava e dolce ragazza composta che tutti desideravano.

 Motivo di profondo mio sconcerto (oltre al lavaggio del cervello ovviamente) era la presenza della sua compagna di stanza: una ragazza del popolo, bella, buona, dolce, composta, un esempio di ogni virtù che con la sua influenza benevola finisce per portarla sulla retta via. La santa Maria Goretti della situazione sposa, infine, un professore assai più adulto (ma tanto vuoi che una diciassettenne cresciuta in un collegio per educande non sia matura? Ma che scherzi?) e la protagonista, ormai ragazza, torna dal padre.

 Sul treno, circonfusa da timidezza (che non conosceva quando è partita ed era una ragazza volitiva) e civetteria, incontra un tizio e insomma, il genitore vedendola arrivare si felicita che sua figlia sia diventata finalmente normale, la matrigna trionfa e probabilmente si stanno per spalancare le porte per un nuovo matrimonio post adolescenziale con un ignoto incontrato sul treno.

 Alcuni dettagli della trama potrei non ricordarli con esattezza, se qualcuno sa il titolo mi faccia sapere, fortunatamente non credo sia più in circolazione.


LIBRO PER RAGAZZE ANNI '70:

Questo romanzo del quale purtroppo ricordo pochissimo nonostante lo abbia letto millemila volte (non c'erano abbastanza traumi per incidermelo nella mente evidentemente) è probabilmente interessante come segno del cambiamento dei tempi e dei costumi. 

 Dai miei ricordi molto vaghi della copertina sono riuscita a capire che doveva trattarsi di un romanzo "per ragazze" delle ed. Malipiero.

Per farvi capire
 Se vi fate un giro su google capirete anche come faccia ad avere questa certezza: l'illutrastore o illustratrice dell'epoca ha fotografato alla perfezione la moda anni '60-'70, e io ho questo ricordo di una ragazza in abiti assai simili (purtroppo non mi è sembrato di riconoscerla in quelle che finora ho scandagliato nel webbe).

 La trama non la ricordo quasi per niente, come al solito mi sono rimaste impresse solo le cose che mi impressionarono. La protagonista, esattamente come nel caso del libro precedente, è una studentessa vivace e sfrontata, con poca voglia di studiare e, come si direbbe, un po' guascona.

 Ovviamente tutti cercano di insignorinirla con scarso successo e lei non trova mai la voglia di studiare nonostante le continue insistenze che riceve. Non ricordo neanche come si chiamasse MA aveva un paio di cugine odiose, di cui una si chiamava NIVES.

 Lo ricordo perché all'epoca non ero convinta si trattasse davvero di un nome. Non avevo mai sentito nessuno chiamarsi così (ammetto di non conoscere nessuno neanche ora) e non so perché ero davvero dubbiosa sul fatto che fosse un nome proprio di persona e non un soprannome o un cognome.
 Se qualcuno lo ricorda, mi faccia sapere.

 Ecco, queste sono le letture di ragazzina che ricordo con maggior definitezza, oltre ovviamente a Minnie & Company che stranamente i miei genitori comprarono di loro spontanea volontà in edicola.

 Credo che ogni tanto si sentissero rassicurati dal fatto che mi piacesse qualcosa considerato da femmine e in effetti Minnie & Company mi piaceva sul serio. 

Mi sembrava finalmente che Minnie e le varie personagge femminili avessero finalmente la loro giusta attenzione senza che la loro presenza fosse per forza subordinata a Topolino e Paperino (che del resto vivevano tante avventure a prescindere dalla loro esistenza, quindi non si spiegava perchè non potesse accadere il contrario).

 Se qualcuno riconosce le storie senza titolo di cui ho parlato faccia un fischio, mi piacerebbe ritrovarle, purtroppo quei libri sono andati perduti ormai anni fa!

lunedì 8 novembre 2021

Piccole recensioni tra amici! Letture a tema halloweenoso: "Il filo avvelenato" di Laura Purcell e "Mucchio d'ossa" di Stephen King

 In questi ultimi tempi di libri ne sto leggendo un bel po', se ne recensissi anche qualcuno non è che sarebbe male.

Cerco oggi di tamponare con bel piccole recensioni tra amici (casualmente a tema halloweenoso visto che ottobre è comunque appena passatoprima di tornare a disegnare un assolutamente non richiesto fumetto a tema archivistico mentre finisco "Squid game" (che riesco a guardare con molta difficoltà poiché va visto tassativamente quando Dolcemetà non è a casa essendo ella grandemente impressionabile). 

  A margine, dopo anni di manga giapponesi non è che io mi stupisca più molto e trovo anzi che questa storia, al contrario di molti manga in cui la violenza è assolutamente gratuita, abbia almeno un'interessante chiave di lettura: lo spietato mondo capitalista. 

 Tuttavia, poiché è una chiave di lettura un tantino raffinata per dei bambini delle elementari, mi domando quale folle genitore abbia lasciato che il proprio pargolo lo guardasse (mi riferisco all'episodio avvenuto in Piemonte in cui dei bambini di terza elementare hanno attuato una sorta di gioco imitativo). 

 Fatta questa bacchettonata (ma lo dico anche per i bambini, io lo avessi visto a 8 anni non avrei dormito per settimane, come mi accadde quando i miei cugini mi fecero vedere "Nightmare" a Natale, ancora li detesto), posso lanciarmi nelle mie recensioni!


IL FILO AVVELENATO di Laura Purcell ed. Mondadori: 

 Il primo libro dell'autrice, "Gli amici silenziosi", mi era piaciuto moltissimo. 

 Bella l'atmosfera gotica, interessante il finale, bella persino la copertina fatta apposta per suggerire il segreto della trama, avevo perciò grandi aspettative su questo secondo.

In gran parte non sono state disattese. "Il filo avvelenato" è una storia dickensiana che sembra fatta apposta per diventare una serie Netflix: Dorothea Truelove, giovane ereditiera rimasta orfana di madre da bambina, è una grande indagatrice dell'animo umano che sogna di cambiare le menti criminali grazie all'uso della frenologia.

  Questa stramba pseudoscienza prevedeva che dalla forma del cranio si potesse indovinare il carattere dell'individuo con tanto di inclinazioni malvagie e benevole.

 Per avere prove a sostegno della sua teoria, Dorothea si reca in un carcere femminile dove passa del tempo in compagnia di alcune detenute. E' qui che conosce la giovane sarta Ruth Butterham, accusata di aver ucciso la sua padrona tramite un lento avvelenamento.

 La storia di Ruth prende presto il sopravvento sulla narrazione. Una lunga serie di sventure, tradimenti e sfruttamento mangia la sua breve vita, ma la verità non è necessariamente quella che Ruth si racconta e racconta.

 La storia è molto appassionante, di certo adatta a chi ama i romanzi inglesi d'epoca vittoriana, tuttavia, dopo una lunga e particolareggiata progressione, l'autrice chiude un po' troppo frettolosamente, lasciando non tanto Ruth quanto Dorothea (che ha altri problemi, anche se non sapeva di averne) in sospeso.

 In ogni caso è davvero una lettura godibile. Bisognerebbe lanciare un appello affinché gli scrittori evitino di farci queste sorprese sul finale. Se leggiamo un libro, vogliamo un finale soddisfacente.


MUCCHIO D'OSSA di Stephen King:

 A proposito di autori che hanno problemi coi loro finali, ecco Stephen King che tuttavia in questo romanzo insolitamente violento, fa del suo meglio per non scadere nel solito trash anni '80.

 Su fb, in molti mi avevano messo in guardia contro questa storia (le mie letture di King sono guidate ultimamente da motivi poco studiati: a seconda di quello che trovo alla mia libreria dell'usato) che ritenevano non tra le migliori di King. 

 Stranamente invece, devo dire che mi ha preso subito nonostante la componente sovrannaturale sia sì presente, ma assolutamente secondaria agli orrori che la realtà può riservarci.

 La storia ha per protagonista, come in molti libri di King, uno scrittore Mike Noonan, che, a seguito della morte improvvisa della moglie, perde la sua vena creativa. Dopo qualche anno, nel tentativo di risollevarsi, decide di trasferirsi per qualche tempo nella loro residenza estiva nel Maine, uno splendido villino chiamato Sarah Laughs.

 Poco dopo essere arrivato, trova in mezzo alla strada una bambina di tre anni, Kyra, e la salva riconsegnandola a sua madre, la bellissima e giovane Mattie, vedova del figlio di un ricco e malvagio magnate dell'informatica che vorrebbe toglierle la figlia.

 Colpito dalla vicenda e attratto dalla ragazza, Mike decide di aiutarla nella battaglia legale e le procura un avvocato che inizia subito a lavorare al caso. Da quel momento in poi, la comunità del piccolo paese inizierà a isolarlo: tutti sono legati a Max Devore e in verità il passato di quella che sembra un delizioso luogo turistico da sogno, non è così limpida.

 Ci sono i fantasmi proprio come uno se li immagina a infestare case, spostare lettere dal frigo e lasciare aliti di vento gelido, ma l'orrore vero è crudo, reale e trova nella malvagità umana e nelle sue meschine vendette uno dei finali più agghiaccianti e terribili di King.

 Perché finché a far impazzire il protagonista o chi per lui è qualche arcano spirito degli indiani d'America, un'invasione aliena o uno mistico mostro proveniente dalle viscere del tempo, è un conto, ma quando la crudeltà è semplice e lucida malvagità umana, è completamente un'altra storia. 

Molto più terribile. Devo dire che a me è piaciuto moltissimo nonostante il finale sia una mazzata considerevole. Lo straconsiglio.

lunedì 1 novembre 2021

La Dolcevita di Dolcemetà! "I caloriferi"

Col favore dell'autunno e della pioggia, con Halloween ormai drammaticamente alle spalle, conto di riuscire a fumettare un po' di più. Ecco perciò per voi una nuova puntata di la Dolcevita di Dolcemetà, una serie di cui troppi episodi sono andati purtroppo perduti.

 "I caloriferi"!




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