venerdì 30 marzo 2018

"Il meraviglioso momento degli assaggi"! Un fumetto matrimoniale a base di cuortortelli, bonton della consuocera, tovagliato e galateo

 Ed ecco a voi una nuova puntata del fumetto sui preparativi dell'unione civile!
 Lo scorso fine settimana ho accumulato spunti per un'enciclopedia, ma su tutti ha avuto la precedenza il fumetto sui meravigliosi assaggi :Q_______

 Senza far troppe ciance, vi posto il tutto.

Ps. Su Fb ho postato un video sul mysterioso progetto, quando avrò tempo e modo lo spiegherò anche qui (ma se siete curiosi potete vedere i miei 4 minuti di vergogna lì!).

"Il meraviglioso momento degli assaggi" todo per voi!!








giovedì 22 marzo 2018

Piccole recensioni tra amici! "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi e "Non è te che aspettavo" di Fabien Toulmè un romanzo di formazione NI e una bellissima graphic su un papà e la sua bambina.

 Prima di passare il fine settimana a fare cose fondamentalissime come gli assaggi per il pranzo di nozze e appuntamenti diffusi vari (vediamo il lato positivo: presto nuovo fumetto in arrivo), volevo riuscire a portare avanti parte delle recensioni in coda, soprattutto quella, molto pasciuta su "Le ferite originali" di Eleonora C. Caruso.


 Purtroppo il tempo a mia disposizione, al solito, è very tiranno, quindi sono riuscita solo a finire decentemente questo piccole recensioni tra amici che mi trascinavo tra un po'.


 Martedì spero di presentarvi la recensione lard lard.


 Good lettura a tutt*!



TUTTA COLPA DI MIGUEL BOSE' di Sciltian Gastaldi ed. Fazi:

 Ero una tenera giovinetta squattrinata quando scroccai per la prima volta e ultima volta un libro intero alla fu Melbooks di Roma.

  Si trattava di "Generation of love" di Matteo B. Bianchi. Lo lessi lì in un pomeriggio, in piedi, appoggiata allo scaffale nel tentativo di non far sembrare che lo stessi leggendo proprio tutto tutto (so che non si fa, ma la povertà imperava), poi l'anno dopo lo comprai nella libreria del mio paese.

 Era uno strano libro, piccolo eppure folgorante, non aveva (non ha, è ancora in commercio) nessuna particolare trama eppure era impossibile smettere di leggerlo.

 Raccontava la breve infanzia e giovinezza di un ragazzo della provincia lombarda che si scopriva gay e aveva fondamentalmente una cotta monumentale per uno che non era mai riuscito a capire se fosse davvero bisessuale.

 "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi cerca con evidente ardore epigonico di entrare nello stesso filone, ma pur avendo dei momenti degni di nota, non riesce mai ad avere quel fuoco incantato del suo predecessore.

 La storia racconta l'infanzia e la giovinezza di Evandro, figlio bisex (rarissimi i personaggi realmente bisex, come i quadrifogli) di un militare e di una mamma sex e vaporosa, provvisto di due fratelli maggiori, uno fascistissimo e una cattolicissima.

 Il problema del libro, pieno zeppo di riferimenti anni '80 (come già dal titolo) è che alterna momenti di vita tragicomici, ad altri completamente esagerati, troppo esagerati, praticamente macchiettistici,

 Certo, è possibile nascere in una famiglia dove ti danno un nome strano (lo stesso autore non ne è immune) e dove tutti vivono in qualche modo estreme passioni, ma bisogna saperle raccontare, altrimenti si precipita a tratti in una sorta di farsa che letteralmente toglie smalto al libro.

 Un peccato perché comunque si legge in modo godibile (anche se io avrei sfoltito un bel po', soprattutto all'inizio va troppo lento per essere una ritmata commedia) e ci sono alcune scene particolarmente azzeccate.

 Il momento in cui, bambino, implora il padre di andare in palestra a fare pugilato (e la sua parvenza di eterosessualità campa poi per anni su quei sei mesi di protovirilità) o quello in cui dirotta scientemente la gita di classe del liceo per andare al Cassero (il primo circolo arcigay italiano) a Bologna, sono fantastici.

 Ed è un peccato si perdano in un pappardellamento spesso eccessivo o in scelte narrative un po' telefonate: la sorella cattolicissima che sforna un imprecisato numero di figli e diventa una fanatica senza che nessuno in famiglia dica niente, il fratello che si innamora di una ragazza di colore e lascia perdere il fascismo (bastasse quello, ne conosco di gente contro i migranti sposata con stranieri).

 Lo consiglio a chi ha voglia di leggere qualcosa di leggero (resistete duramente per le prime 100 pagine, poi ingrana), a chi ha nostalgia degli anni '80, a chi ha voglia di una storia lgbtq che non finisca in tragedia.



NON E' TE CHE ASPETTAVO di Fabien Toulmè ed. Bao Publishing:

 In libreria ultimamente c'è una grossa produzione di libri scritti da genitori sulla loro esperienza di vita con la disabilità di un figlio.

  A parte alcuni luminosi casi, come "Se ti abbraccio non aver paura" di Ervas (non per nulla scritto da uno scrittore di professione sulla base di un'esperienza non sua) o "Pulce non c'è" di Gaia Rayneri , le storie sono ricche di una grandissima umanità, ma non hanno un grande livello letterario (anche perché, in verità, la maggior parte, non aspira neanche ad averlo).

 Generalmente non amo molto questo genere di testi perché ne capisco la necessità e le motivazioni, ma mi sembra, devo dire, di essere sempre un'intrusa, come quando qualcuno che conosci molto poco decide di raccontarti un qualcosa di sé straordinariamente intimo a bruciapelo (mi riferisco, non alla disabilità propria o dei propri congiunti, ma alle sensazioni altalenanti interiori).

 I buoni testi autobiografici però sono buoni per un motivo ossia riescono a scavallare questa sensazione d'intrusione. 

 Ti accolgono nel loro mondo e ti fanno sentire un amico che non spia, ma segue, rispettosamente, le vite degli altri.

 A lavoro ultimamente è arrivato "Non è te che aspettavo", un memoir di Fabien Toulmè, un giovane ingegnere francese, sposato con una ragazza brasiliana con la quale prima dei trent'anni aveva già due figlie, di cui la seconda nata con la sindrome di down.

 Quando si parla di disabilità l'editoria è molto netta: o siamo dalle parti dell'agiografia estrema (il Signore mi ha benedetto con questo figlio) o dalle parti della tristezza estrema ( "Zigulì" era un libro molto sincero, ma davvero molto molto forte). 

 Da una parte è comprensibile, dall'altra mi sono sempre chiesta quanto l'editoria giocasse un ruolo in questo scegliendo di pubblicare solo storie che raccontassero le due sponde estreme.

 "Non è te che aspettavo" è invece, forse grazie anche alla libertà data ancora dai fumetti rispetto alla narrativa, una storia molto più agrodolce, con momenti terribilmente agri, e momenti molto sinceramente dolci.

 La storia comincia senza mezzi termini: Toulmè ha il vero terrore che il suo secondo bebè nasca con la sindrome di down, specificatamente, tra l'altro, quella. 
 La moglie si sottopone a una quantità di analisi infinita (curiosamente non quella apposita per acclarare la sindrome) e tutto sembra regolarissimo. 

 Poi la bambina nasce e Toulmè vede la sua ossessione diventare realtà.

 Per i primi lunghi mesi non accetta la bambina, non vuole neanche cambiarla, piange sempre e anche sua moglie, sebbene in modo minore, non sembra averla presa benissimo. 

 L'unica assolutamente felice è la prima figlia, Louise, fuori di sé dalla gioia per la nascita della sorellina.

 La storia in verità diventa interessante perché non si concentra sulla bambina (io trovo sempre inquietante quando i genitori parlano per interposta persona dei propri figli), ma su quello che Toulmè si trova ad affrontare: da una vita regolare e tranquilla, passa a una vita in cui è necessario vedere specialisti, andare di frequente in ospedale (la bambina ha un problema al cuore) e cercare di cambiare, completamente, forma mentis.

 Se ne accorge quando vede le altre famiglie e piange sul quello che lui ritiene il suo triste destino, quando soffoca tutte le sere le lacrime nel letto e quando si accorge, con la figlioletta in ospedale per l'operazione, di pensare la cosa più brutta.

 E' un libro molto molto sincero, in certi momenti brutale, eppure sempre leggero, quasi allegro paradossalmente

 Non c'è l'agiografia né lo sconforto, e non c'è neanche la vita della figlia (io riprovo moltissimo i genitori che mettono in piazza la vita dei propri figli minori, è la LORO storia quella, non la TUA), c'è solo lui con le sue paure, i suoi terrori per il presente e il futuro, ma anche il suo coraggio e la voglia, la pretesa di continuare a essere felice.

 Toulmè si trasferisce in un bel posto (non è poi sempre vero che se sei triste dentro ogni luogo dove vivere è uguale) e ci mette un po' per capire che precipitare in una nuova non calcolata vita può essere difficilissimo all'inizio, ma solo perché è nuova, non perché peggiore.

 Delicato, lo consiglio a tutti e in particolar modo ai papà.

Ps. Leggevo che casualmente oggi è la giornata mondiale della sindrome di down. What coincidenza!



IL MARITO DI MIO FRATELLO II di Gengoroh Tagame ed. Panini:

 Non è una recensione, ma una segnalazione d'uscita visto che so che molti hanno letto la prima parte dopo il precedente post. 
 Ebbene, se siete curiosi di sapere come va a finire la visita di Mike in Giappone dal gemello del suo defunto consorte, avrete le vostre risposte. Preparate fazzolettame vario.

mercoledì 21 marzo 2018

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Pappagallini".

 Tentando sempre di non lasciare il blog al suo destino, vi posto la vignetta inedita che è diventata una stampa allegato per chi ha comprato (o chi comprerà, ci sono ancora delle copie disponibili) "Quanti dolori, giovane libraia!" da Wot- Waste of time a Milano.

 Come noterete dalla mia assenza si tratta di una vignetta contributo che doveva essere inclusa nel libro, ma è stata poi scartata per l'eccessiva lunghezza del libro.

 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Pappagallini"!


lunedì 19 marzo 2018

L'antipatia corre sul libro. I personaggi dei libri possono starci antipatici a pelle? Una recensione di "La mia estate d'amore" di Helen Cross, tra inseguimenti poliziotteschi, periferie degradate e ragazze molto interrotte.

 Circa un annetto fa, io e Dolcemetà ci trovavamo su un bus in mezzo a Milano.

 Era il solito normale bus che procedeva, a slalom e lento, di fermata in fermata ogni 200 metri.

 C'erano un paio di posti liberi, cosa in un paese come l'Italia in cui c'è un giovane ogni dieci anziani, abbastanza incredibile per quell'ora del pomeriggio. Dolcemetà si siede, ma io tentenno.

 L'altro posto libero era davanti a un tizio che non mi piaceva.

 Non aveva chissà che faccia o chissà che particolare mise, ma boh, c'era qualcosa in lui che mi inquietava e volevo solo stargli lontano, così decido di non sedermi e mi avvinghio a uno dei corrimano.
 Dolcemetà mi dà della pazza, ma abbozza.

 Il bus continua a procedere, finché un auto di colpo si piazza in mezzo alla strada e ne scendono due tizi.
 I due tizi corrono verso l'autobus e battono alla porta facendo segno al conducente di fermarsi.

 Siccome siamo nel periodo di attentati Isis, il panico inizia silenziosamente a serpeggiare, anche se sarebbe stata un'innovativa forma di dirottamento.

 Il conducente, apre.

 I due tizi salgono e si dirigono correndo verso il tizio che proprio non mi piaceva.

Milano regala anche questi momenti poliziotteschi
 Uno lo ferma e uno lo ammanetta, l'altro lo agguanta, poi, prendono, scendono, lo infilano in macchina e corrono via.

 Il tutto si svolge in meno di un minuto. 

 Io, Dolcemetà, il conducente e gli altri passeggeri rimaniamo discretamente sconvolti per circa due minuti, cercando di razionalizzare una scena che sembrava sbucata direttamente da un'altra dimensione.

 Non ho mai saputo, ovviamente, chi fosse il tizio ammanettato e cosa abbia spinto due, suppongo, carabinieri o poliziotti in borghese a tale spettacolare manovra, ma porto questo assurdo momento di vita quale testimonianza del mio sesto senso di ragno: il tizio a pelle non mi piaceva e, chiunque fosse, a quanto pare, avevo le mie ragioni.

 Nella mia vita poche cose mi sono chiare, ma una è certa: se una persona di primo acchito mi sta antipatica, non ci sarà praticamente mai verso che io possa cambiare opinione. E' matematico. 

 Non solo, tendenzialmente la persona a me antipatica, rivela poi un qualche tratto per cui la mia antipatia trova delle successive motivazioni (ovviamente non sono tutti delinquenti da ammanettare, magari scopro solo che abbiamo idee politiche radicalmente diverse o simili), quindi il mio sesto senso, rarissimamente sbaglia.

 E sbaglia raramente anche nei libri. 

 Se un personaggio mi sta antipatico, nulla potrà condurmi ad amarlo, neanche dovesse salvare il pianeta da una catastrofe, anzi, solitamente scopro anche qui di aver avuto le mie ragioni.

 Tale antipatia può raggiungere picchi tali da indurmi ad odiare un libro o a smettere di leggerlo.

 Per esempio, ho interrotto a metà "Straniero in terra straniera" di Heinlein perché il santone co-protagonista lo recluderei e non riesco a leggere la Nemirovsky o qualsiasi altro libro che abbia dei ricchi frignanti per protagonisti perché a me dei ricchi frignanti non me ne frega nulla e li ceffonerei a due a due (sono un po' drastica, lo so).

 Questo non vuol dire che ami i personaggi privi di mezzi, ma che abbia nei confronti dei personaggi le stesse antipatie che provo per le persone in carne ed ossa che commettono gli stessi errori e si comportano in un certo modo.

 Dove voglio arrivare? A "La mia estate d'amore" di Helen Cross ed. Fandango.

 Anni fa vidi il film che ne fu tratto (senza sapere che esistesse il libro), "My summer of love"e mi piacque abbastanza. 

 In realtà, come ho scoperto, il film migliorava fortemente la protagonista della storia dandole delle solide motivazioni per il suo insano comportamento e attenuando la follia dei suoi gesti da psicopatica.

 La storia è quella di Mona, una ragazzina della profonda provincia inglese (un posto che film e libri dipingono come una sorta di concentrato delle peggiori periferie italiane dove tutti non fanno altro che bere e, se sono negli anni '80, combattere per i minatori), rimasta da poco orfana di madre. 

 Ella vive con suo padre che gestisce un pub, la sua compagna e il figlio diciottenne di lei, un ragazzetto obeso.
 La sua sorella maggiore, dopo un'adolescenza ribelle, si è appena sposata con un supercristiano praticante e ha iniziato a sfornare bambini.

 Mona passa le sue indolenti giornate estive a bere a qualsiasi ora del giorno e della notte, a flirtare senza una reale consapevolezza con uomini più vecchi che vanno al pub, a rubacchiare in negozi e case e a giocare alle slot machine. 

 Voi direte, ce n'era abbastanza per mollare il libro. Invece no, io ho continuato perché ricordavo lo splendido film. Stolta.

 A un certo punto, appare Tamsin, una ragazzina di buona famiglia con la tipica buona famiglia che se ne frega di lei: la madre è un'attrice nevrastenica, il padre un riccone disinteressato alla prole, la sorella maggiore, pare, defunta per anoressia.

 Tra le due scoppia una sorta di amore

 Cioè sappiamo che Mona è innamorata, ma Tamsin è una psicopatica manipolatrice che Angelina Jolie in "Ragazze interrotte" te dico levete.

 Le due danno vita a una sorta di malefico due davvero malefico, infinitamente più malefico del film.

 Incolpano alla polizia un tizio per l'omicidio di una ragazza avvenuto qualche mese prima, staccano a morsi l'orecchio alla presunta amante del padre di Tamsin e altre cose varie ed eventuali.
 Intorno i genitori nicchiano.

 Ecco, io già alle prime tre righe avevo capito che Mona mi stava antipatica, come mi sono sempre e dico sempre state antipatiche le persone che in provincia non fanno altro che frignare sul loro triste destino, ma guai a fare qualcosa per sfuggirgli, è sempre tutto troppa fatica.
 Molto meglio perdere tempo a caxxeggiare e a dare la colpa a qualcun altro.

Ogni tanto, a tratti, mi veniva da giustificarla.

Eh, ma è abbandonata, è ma il padre non fa che mettersi in casa nuove donne, eh ma la madre è morta, invece il finale non lascia che la cruda certezza che una fatale combinazione di menefreghismo degli adulti, una certa malevola attitudine personale e noia possa dare esiti devastanti.

 E mi stavo, devo dire, amaramente pentendo di aver letto un libro così tetro e viscido direi, prima di leggere, oggi, l'articolo con le interviste ai genitori dei ragazzi che in un quartiere di Napoli, a Piscinola, hanno ucciso una guardia giurata per rubargli la pistola.

 Un mix di menefreghismo dei genitori, fancaxxismo, noia, cattive amicizie che sommate diventano malvagie, praticamente identico a quello del libro, relazioni amorose a parte.

 Così mi sono resa conto che non era per niente un brutto libro, era solo un libro che aveva per protagonista qualcuno che forse, se avessi incontrato su un bus, non avrei mai voluto vicino, anche se, all'apparenza, sembrava una persona tanto perbene.

mercoledì 14 marzo 2018

Gli altri eravamo noi. Sette libri e un film sull'emigrazione italiana all'estero per renderci conto che fino a pochi decenni fa eravamo noi a cercar fortuna nel mondo (e a subirne le conseguenze).

 Ora che la campagna elettorale è finita, ora che non sappiamo bene che governo ci aspetta, ma molti hanno votato a favore di partiti che promettono rimpatri, controllo dell'immigrazione e quant'altro, penso possa andar bene pubblicare questo post, che, in verità, volevo pubblicare negli sfortunati giorni in cui si sperò nello Ius Soli.

 Voglio essere molto sincera: non penso che in Italia ci sia un dibattito sano per quel che riguarda l'immigrazione. 

 Il dibattito non è sano perché sembra si possano avere solo due tipi di posizione: il razzismo estremo e l'accoglienza senza se e senza ma assoluta
 Posizioni intermedie, anche solo di dibattito puro, anche solo per tentare di capire le sfumature o le ragioni o le non ragioni da cosa sono dettate, sono impossibili.

 Non sono nemica di nessuno, ma ho abitato per un paio di anni in un quartiere periferico di Milano e penso farebbe molto bene a tutti per capire perché facciano breccia certe posizioni xenofobe. 
 Certe posizioni xenofobe fanno breccia per un motivo principale: la solitudine. Una solitudine che, se innestata in una situazione di difficoltà (e qui potremmo aprire un discorso sulle problematiche del capitalismo ma non basterebbero 10000 post) diventa ancora più profonda.

 Non mi stancherò mai di dirlo. 

  Nel momento in cui si crea una situazione eccezionale, serve una risposta eccezionale, altrimenti le persone si sentono abbandonate, vedono cose che non capiscono ed è lì che casca l'asino.
 Alcune persone, davanti all'incomprensione, fanno del loro meglio, altre per millemila motivi scelgono la soluzione più facile e soprattutto più strumentalizzabile da chi vuole usarti: sei diverso da me e ti odio.


 Eppure basterebbe capire che quello che noi vediamo adesso e che facciamo fatica a comprendere, è già accaduto nella storia, e noi non eravamo dalla parte dei Noi, ma dalla parte degli altri da odiare.
Minatori italiani in Belgio

 Non è successo neanche troppo tempo fa, ma emigravamo in masse disperate verso paesi che sembravano promettere meraviglie.

 E lì eravamo discriminati, uccisi, condannati, ritenuti responsabili di ogni nefandezza e delitto e qualche volta lo eravamo anche (ovviamente faccio la tara a quel piccolo regalo che ci abbiamo tenuto a esportare nel mondo chiamato MAFIA).

 Ho raccolto alcuni libri e un film su quella grande lacuna storica dell'emigrazione italiana.

 Una vicenda storica che sembra essere sparita dalla nostra memoria in un lampo, ma quello, come diceva già Pasolini nei suoi "Scritti corsari" è un vecchio vizio dell'Italia che non ci è mai passata:


"Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia 
L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni.Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero.Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale."
Let's go! 

"MACARONI!" di Thomas Campi e Vincent Zabus ed. Coconino:

 La storia della massiccia emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra rimane nella memoria collettiva per un'unica terribile tragedia: il disastro di Marcinelle. 

 In un incendio che si sviluppò all'interno di un condotto d'aria della miniera, morirono 262 operai, quasi tutti italiani.
 Per il resto, più o meno, l'oblio.

 Proprio per questo è molto interessante e molto straziante, questa graphic appena uscita, "Macaroni", in cui un padre preso da altre cose, porta il figlio per qualche tempo da suo nonno, un vecchietto italiano scorbutico che vive solo nella campagna belga coi suoi maiali.

 Il ragazzino non conosce molto bene il nonno e all'inizio lo trova fastidioso e rozzo. Parla ancora con molti italianismi, è squassato da una terribile malattia ai polmoni e racconta sempre di quanto fosse bella l'Italia, di quanto gli manchi, lo costringe ad aiutarlo nell'orto e coi porcelli.

 Poi pian piano, si instaura tra i due un rapporto d'affetto, nel quale in realtà il nonno non sembra cedere di un centimetro, ma il ragazzino inizia a capire perché è diventato così. 

 Era emigrato dopo la guerra dall'Italia al Belgio con l'enorme rimpianto di non essere stato assunto nelle ferrovie dello stato, costretto in tal modo a diventare minatore, a finire sotto terra, a respirare carbone, a non vedere mai la luce, a lavorare come una formica o uno schiavo.

  In Italia dipingevano il Belgio come l'Eldorado, un posto bellissimo pieno di lavoro e ricchezza. Poi gli italiani arrivavano e finivano come topi in gabbia e sotto terra.
 Ma è ancora un altro il rimpianto terribile che squassa questo anziano senza pace e che anni prima distrusse per sempre la sua famiglia. Un altro incubo fatto di treni, lettere non spedite e torti mai perdonati.

 E' bellissima, l'unica pecca è forse la sottotrama con la classica ragazzina che diventa amica del ragazzino ma in realtà ne è innamorata ecc ecc Una roba rivistissima che onestamente non serviva alla storia. 
 Per ricordare cosa voleva dire quando eravamo noi a sperare nell'Eldorado.


"RIBELLI IN PARADISO" di Paul Avrich ed. Nova Delphi e "ALTRI DOVREBBERO AVER PAURA" di Sacco e Vanzetti ed. Nova Delphi:

 Storia celeberrima che diede vita a un meraviglioso film di cui consiglierei la visione a TUTTI, racconta l'incredibile storia d'ingiustizia di due anarchici italiani: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. 

 Sacco e Vanzetti si conobbero direttamente negli Stati Uniti, dove entrambi si trovavano da qualche anno, poiché frequentavano lo stesso gruppo di anarchici italo-americani. 

 Oltre al duro lavoro quotidiano, i due avevano una fervente attività politica e stavano proprio organizzando un comizio per protestare per la morte di un connazionale anarchico ingiustamente detenuto, quando vennero arrestati con l'accusa di omicidio.

 Vennero infatti accusati di rapina e di aver ucciso, durante la stessa, due persone. Da subito l'accusa sembrò campata in aria e ci fu, durante il processo, anche un reo confesso, ma i due vennero condannati a morte.

 Tuttavia l'intento politico del processo fu talmente evidente che ci fu una levata di scudi da parte dell'opinione pubblica che cercò, in ogni modo, di impedire la condanna.

A proposito di paure e incomprensioni, Sacco e Vanzetti rappresentavano due tipi di paure americane diverse e fuse insieme: la xenofobia e la paura del comunismo (sebbene i due fossero anarchici).

 L'ultima lettera che Sacco scrisse al figlio viene citata nel film ed è bellissima.
 Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso.
Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili."


"VITA" di Melania Mazzucco ed. Einaudi:

 Devo dire che non ho ricordi particolarmente sfolgoranti di questo libro che pure vinse il premio Strega, tuttavia penso sia tra i pochissimi romanzi italiani dedicati al tema dell'immigrazione italiana in America.

 Vita è il nome della protagonista femminile che a 9 anni sbarca sola, assieme a un suo compaesano di ben 12 anni Diamante, a New York, dove li aspetta il padre di lei.

 I due ovviamente si innamorano, ma la vita non va come si attendono e lui, ad un certo punto, torna in Italia, dove molti anni dopo lo ritroverà il figlio di lei.

 La storia è quella, vera, del nonno della Mazzucco. Ha un qualcosa di epico per essere un romanzo italiano i quali in genere difettano parecchio di epicità. 

 Tuttavia non ne ho un ricordo così impressionante se non per due scene: quella in cui le dame caritatevoli ft servizi sociali traggono Vita dal sobborgo in cui vive ammassata con tutti i suoi parenti e fanno sì che abbia un'istruzione e una vita più regolare (la cosa avviene abbastanza sbrigativamente e con modi spicci, ma mi colpì perché eravamo noi gli immigrati da "rendere civili"), e quella in cui Diamante torna in Italia e attraversa il secolo.

 Pensavo, se più gente fosse rimasta, come sarebbe andata? E' sempre una scelta sensata andarsene? 
Ma più che ai nostri nonni e bisnonni che morivano di fame, il mio cervello andava a quel lavorio continuo di gente che dice "Vattene dall'Italia". Li ho sempre trovati fastidiosi, come ho sempre trovato fastidiosi quelli che piangono dall'estero sul triste stato dell'Italia. 

 Andarsene è comprensibile, anche rimanere e combattere dovrebbe esserlo.


"CORDA E SAPONE" di Patrizia Salvetti ed. Donzelli:

 Forse è il saggio che meglio potrebbe turbare i sogni di chi si scaglia in modo violento e chiedendo metodi violenti contro l'immigrazione selvaggia.

 Lo sapevate che, durante le grandi ondate migratorie italiane, gli Americani erano scossi da un grande interrogativo? E lo sapete qual era questo grande interrogativo?

 Eccolo: gli italiani sono bianchi? O sono neri?

 Questa penisola attaccata all'Europa, ma in fondo così vicina all'Africa, turbava i sogni di una società che incasellava (e incasella ancora) i cittadini per gradazioni di colore. 
 Quindi, la questione non era così oziosa, perché un conto era considerarli bianchi, ok, sottoproletari e incivili, ma bianchi, un conto era considerarli neri, seppur meno neri di altri.

 Infine si decise di considerarli wop, una sottorazza dei wasp, bianchi ma non davvero bianchi, non davvero così civili, e comunque un disturbo da tollerare solo in ragione del fatto che potevano essere sottopagati qualsiasi lavoro facessero (lavori per i quali i lavoratori americani bianchi chiedevano altri trattamenti e altre paghe).

Ah, ovviamente, il tutto tollerandoli a malapena  e dando ragione a chi diceva che insomma, ok, questi lavorano e li sfruttiamo, ma ci danno fastidio, quindi farsi partire l'embolo e linciarli ci sta.

 Patrizia Salvetti ricostruisce le storie dei linciaggi degli immigrati italiani negli Stati Uniti e che potrebbe essere particolarmente calzante per il momento storico.

 Codesti immigrati infatti erano in attesa di naturalizzazione, quindi non ancora cittadini americani, e formalmente sotto la giurisdizione del governo italiano che però non aveva, ovviamente, giurisdizione in America. 

 Presi in una trappola giuridica erano vittime di truffe, persecuzioni e linciaggi, il più violento dei quali vide la morte di 5 connazionali a Tallhula, vicino New Orleans e una crisi diplomatica, raccontati da Deaglio in un saggio "Storia vera e terribile tra Sicilia e America" ed. Sellerio.

 Il medico del paese era disturbato dalla capra di una famiglia siciliana, ne nacque un alterco che finì in un linciaggio violento e feroce della popolazione che uccise e appese come carni da macello i 5 italiani

Rimasero appesi, quale monito, alla stazione ferroviaria. 



"LA SIGNORA DI SING SING" di Idanna Pucci, Editrice Fiorentina:

 Era il 1895 e Maria Barbella, una giovane cucitrice lucana arrivata a New York due anni prima, uccideva, in una mattina d'aprile un suo connazionale, Domenico Cataldo.

 Gli americani pensano quello che penserebbero molti italiani anche ora: una triste storia di degrado degenerata. 

 Maria Barbella viene processata, ma si tratta quasi di un processo farsa, lei non parla inglese e neanche l'interprete se la cava, gli avvocati ovviamente sono quelli che sono e tutto volge non al peggio, ma al peggissimo: Maria è la prima donna condannata a morte sulla sedia elettrica e l'unica detenuta donna nel carcere di massima sicurezza di Sing Sing.

 E' spacciata, ma il fato che finora non le è stato amico fa sì che una ricca americana, Cora Slocomb, sposata a un nobile friulano, abbia notizia delle sue sventure e decida di aiutarla.

 Cora smuove mari e monti per far rivedere il processo e capire cosa ci fosse dietro quel delitto d'aprile.

 Ebbene, Domenico Cataldo era quello che Camilleri chiamerebbe un fimminaro, una cosa che adesso, se le donne sono consenzienti e felici, un po' chissenefrega, ma all'epoca se avevi lo sfizio di mettere nei guai delle ragazze, le mettevi nei guai sul serio. 

 Perché se una ragazza si concedeva era marchiata a vita: o chi l'aveva avuta la sposava oppure l'ignominia si abbatteva su di lei (oltre ovviamente al fatto che nessuno l'avrebbe mai più sposata).

 In più Maria si era concessa perché Domenico aveva promesso di sposarla, quando lui sapeva benissimo che non avrebbe potuto, avendo in realtà una famiglia in Italia.

 La relazione era andata avanti un paio di anni, il padre aveva disconosciuto Maria e il matrimonio promesso non arrivava. L'onta finale fu quando Domenico le disse che solo un porco l'avrebbe sposata. E insomma finì come finì.

 Per la cronaca Cora riuscì a salvarla e Maria, infine, si sposò.


"LA RAGAZZA CON LA PISTOLA" di Mario Monicelli:

 Non è un libro, ma un film, ma strameritava di finire in questo post perché è un film di tale rara luminosa intelligenza e modernità che farlo vedere nelle scuole (peraltro mi sembra anche un film che non potrebbe in alcun modo essere accusato di traviare le giovani menti, anche se i genitori odierni sono molto fantasiosi al riguardo) può ancora sortire dei benefici effetti (anche farlo vedere ai vostri conoscenti razzisti).

 La storia racconta la vicenda di Assunta Patanè, una giovane che vive in un paesello siciliano degli anni '60 che somiglia nei modi e nei costumi più o meno all'Arabia Saudita odierna (una versione light e poverissima diciamo). 
Le donne da una parte, gli uomini dall'altra, un codice di comportamento complessissimo per dimostrare di essere illibate e costumate, onore come se piovesse.

 Ella è segretamente innamorata di un bellimbusto Vincenzo Macaluso e un giorno viene rapita da alcuni suoi amici/scagnozzi perché la portino da lui (anche il corteggiamento è una faccenda complessa di giochi di potere, rapimenti e violenze).

 Lei, dopo una sceneggiata degna di nota, viene infine prelevata. Passa la notte con lui, ma la mattina Vincenzo le rivela che in realtà voleva rapire e sposare sua cugina e per questo la lascia sola e svergognata e se ne parte per l'Inghilterra.

 A quel punto Assunta, per preservare il suo onore, non essendoci uomini in famiglia, deve inseguirlo personalmente e ucciderlo. Parte così anche lei alla volta della terra d'Albione e l'impatto con la swinging London è una roba da manuale.

 Se non volete far vedere il film basta solo quel pezzo: lei che parte dalla retrogradissima Italia per approdare nella modernissima Inghilterra, una cosa che adesso nel 2018 ci sembra impossibile. 

 Davvero eravamo così? Davvero eravamo noi una volta gli altri? Quelli che sembravano venuti dal posto più lontano e antiquato della terra? Un posto di delitti d'onore, donne illibate
e che dopo perdevano valore, vestiti neri?

 Certo, la Sicilia non era l'Italia intera, ma è nell'Italia intera che esisteva il delitto d'onore, abrogato solo nel 1981, la violenza sessuale come reato contro la morale e non contro la persona, legge cambiata nel 1996 (!!!), è nel 1965 che Franca Viola, dopo essere stata rapita e violentata, rifiutò per prima il matrimonio ripatatore che assurdamente "estingueva il reato" (del resto chi non vorrebbe fare la moglie del proprio aguzzino per tutta la vita?). 
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lunedì 12 marzo 2018

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Plant power".

 Ed ecco che, nonostante il top della forma sia ben lungi dal divenire e continui a ciondolare in giro (e a ingerire poco o niente), finalmente sono riuscita a produrre una nuova vignetta!!

Peraltro mi sentivo doppiamente in colpa visto che in questi giorni il blog ha raggiunto la ragguardevole cifra di due milioni di visualizzazioni!!!!

 Grazie grazie grazie, appena mi sarò rimessa penserò ad un adeguato modo per festeggiare (e a un messaggio alla nazione per farvi capire perché ultimamente il blog è peggio del deserto dei tartari e a cosa sto lavorando).

 Amo ricordare anche in questa occasione come, quando aprii il blog, dissi a Dolcemetà che, una volta raggiunto il milione, le avrei regalato un viaggio intorno al mondo.
Ancora mi attende al varco.

 Bene, dopo questo momento doveroso che però mi fa sentire una youtuber quindicenne, passiamo alle cose importanti: la nuova vignetta.

 Ebbene visto che qui si ama il pericolo (in realtà no) la nuova vignetta racchiude una parola pericolosissima: vegani.

 L'unica volta che ho provato a fare un post sui vegani ancora me la ricordo e non si ripeterà mai più perché voglio campare in santa pace.
 Ovviamente se la leggerete capirete che i vegani c'entrano solo di striscio (ma non potevo proprio censurare la pericolosissima parola) e che non ho idea del regime alimentare della signora in questione che, peraltro, è stata molto soddisfatta del mio consiglio.

 Vi lascio leggere. 
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Plant power"!




Ps. Per la cronaca "Il giorno dei trifidi" non è che ve lo consiglio ve lo STRACONSIGLIO

sabato 10 marzo 2018

Nuova presentazione a Milano! "Quanti dolori, giovane libraia!" il 15 Marzo alle 19:00 da Wot- Waste of time!

 Infine il lavoro ebbe il mio scalpo e invece di rotolare a tempo di libri o al cartoomics, è da ieri pomeriggio che riesco solo a rotolare sul letto con la borsa dell'acqua calda. 

 Dove andrò quindi ormai nell'unica giornata disponibile, è un dilemma che mi porrò questa notte (suggerimenti sono benaccetti).

Intanto vi segnalo la mia prossima presentazione: il 15 Marzo alle 19 da Wot - Waste of time in via Adige 7 (zona Porta Romana, vicino al chiosco di Giannasi, il re dei polli arrosto), MILANO.

 Chiunque acquisterà il libro in loco riceverà una stampa realmente avvenuta!

Ergo, accorrete numerosi!!


Ps. La locandina doveva venire in un modo un po' diverso, ma lo scanner ha deciso che il giallo evidenziatore con cui avevo colorato la W doveva rendere un giallo pastello gilet da neonato, quindi ho pasticciato un po' con paint (ebbene sì) ed ecco qui!

giovedì 8 marzo 2018

"Le testimoni", un fumetto di doti diplomatiche, Erasmus, party night, avvocati, amiche storiche e sorelle vendicative.

 Lo so, è nuovamente passata una settimana dall'ultimo post, ma il lavoro mi sta fagocitando sigh, inoltre il 5 sono stata alla Feltrinelli di Genova per una presentazione e ringrazio tutt* coloro che sono venuti a salutarmi.

 Già che siamo in tema di informazioni di servizio, avviso anche qui che il 15 marzo sarò di nuovo a Milano alla fumetteria WoT- Waste of time, in via Adige 7 (zona porta romana, la via vicino al chiosco del re dei polli arrosto Giannasi) alle 19!

 Avviso inoltre che chi verrà e ivi acquisterà una copia avrà anche una stampa fatta apposta per l'occasione!

 Detto ciò, passiamo al post! Questa volta si parla di testimoni! Come sono stati scelti? Chi sono? Perché lo sono?

 Il fumetto è abbastanza ciccione quindi non faccio eccessivi ricami alla questione, vi domando però quali travagli avete dovuto affrontare per scegliere i vostri e in quanti incidenti diplomatici siete incappati!

 Ah, per facilitarvi la lettura ecco una breve guida dei nomi:

MaryPy è la mia sorella young adult, alias minore (21 anni)
Nabiki Tendo è la mia sorella forever young, alias di mezzo (28 anni)
Fede è Dolcemetà

Non vi trattengo oltre. "Le testimoni", un fumetto di rare doti diplomatiche!








giovedì 1 marzo 2018

'O scrivemo strano? Le nuove mode della forma narrativa (e dell'uso del libro) tra autofiction alla francese, cell phone novel, libri da scrivere e coffee table books.

 Marzo, infine arrivò.

 Non so come sia possibile che autunno e inverno volino in questo modo indecente (e i mesi caldi non passino mai), ma siamo già di nuovo in primavera anche se con la neve tardiva non si direbbe.

 Da pochi giorni a Milano è finita la fashion week e voi direte chissenfrega, mi unisco al coro, ma mi è sembrata l'occasione per scrivere finalmente un post che volevo fare da tempo: quello sulle nuove mode in libreria.

 Non le mode nella narrativa (a cui vorrei dedicare un altro post), ma mode della forma narrativa.

 Avevo già fatto un post sui libri degli youtuber e sulle light novel (i romanzi tratti dai manga di successo)e per questo non li ho inseriti in questa rassegna che rimane comunque cicciottella.

 Curiosi? Cominciamo!

AUTOFICTION o AUTOBIOGRAFIA ALLA FRANCESE:


 E' sugli schermi, in questi giorni, un film francese tratto da un libro dell'autrice Delphine de Vigan "Da una storia vera": "Quel che non sai di lei".

 Ricordo che l'avevo leggiucchiato quando era uscito un paio di anni fa trovandolo carino, ma un po' sonnolento.

Era anche abbastanza disturbante il fatto che, malgrado l'autrice fosse Delphine in persona, si lasciasse intendere qui e lì che tutto poteva essere accaduto davvero, ma anche no.

 Scoprii che si trattava di un genere letterario, nato in Francia qualche decennio fa, e conosciuto come autofiction o autobiografia alla francese: l'autore decide di scrivere un romanzo usando sè stesso come protagonista, ma attribuendosi fatti fittizi.

 Il tutto serve a dare un manto di ambiguità alla faccenda: questo sarà successo davvero o no? Questi episodi saranno reali o no? Lo avrà detto davvero o no?

 In realtà trovo qualsiasi giochino con la personalità dello scrittore, una furbata di cui la storia della letteratura non ha bisogno (che poi è lo stesso motivo per cui trovo ipocrita la scelta di Elena Ferrante o chiunque si celi dietro di lei).

 In ogni caso, se ben ci si riflette, è il solito furto in salsa francese, Dante ci aveva pensato molti secoli prima a inoltrarsi in prima persona in una selva oscura.


CELL PHONE NOVEL:

 Questa definizione probabilmente non vi dirà niente ed è effettivamente un genere che in Italia, almeno apparentemente, non ha ancora preso piede.

Di cosa si tratta?

 Di romanzi nati sul cellulare per essere fruiti sul cellulare. Non tablet, non portatile, proprio cellulare.

 Ne ho scoperto l'esistenza tramite un manga abbastanza trascurabile e abbastanza brutto, "Mission of love", una specie di shojo (manga per ragazze) un pochino-ino erotico, in cui la protagonista, Yukino, è una scrittrice di cell phone novel molto seguita.

 Il concetto è lo stesso dei vecchi romanzi a puntate e ne ha alcuni punti in comune: l'autore è quasi sempre nascosto da uno pseudonimo, ogni puntata termina con un hype, un momento di suspance, il tema è solitamente amoroso.

 Due però sono le grandi differenze: la lunghezza e il passaparola.

 Essendo romanzi per cellulare i capitoli assomigliano più a dei tweet che a dei capitoli di un romanzo, sono perciò brevissimi.

 Inoltre le cell phone novel viaggiano tramite passaparola, soprattutto, come si intuisce anche dal mezzo, tra un pubblico molto giovane.
 In una classe di liceo qualcuno inizia a leggerlo e zoom il romanzo può diventare virale, con la stessa potenza e la stessa casualità che caratterizza qualsiasi cosa provenga dal web.


 Non so se in Italia circolino effettivamente dei romanzi sotto questa forma, immagino in realtà di sì, come circola bene o male tutto, purtroppo dopo i 25 anni si apre un gorgo dopo il quale rimani all'oscuro di tutto.

 Tuttavia in libreria ci sono una serie di libri che corrispondono sia narrativamente che graficamente a questo stile.

Parlo dei libri di Massimo Bisotti e Antonio Dikele Di Stefano.

 Si tratta di romanzi, più o meno, composti da frasi brevissime concatenate, molto concise, molto d'effetto, molto da facebook (al quale, ad esempio Antonio Dikele Di Stefano deve la sua fortuna).
 Se dal libro li si mettesse a pezzi su un cellulare, funzionerebbero comunque e anzi forse, tornando a un mezzo a loro più consono, ne trarrebbero giovamento.


RACCONTAMI UNA STORIA:


 Visto che quest'anno non sono riuscita a scrivere il post sui libri che di sicuro avreste trovato sotto l'albero a Natale (sì, lo so che siamo a Marzo, è sconcertante), non avevo potuto rendervi edotti su questo nuovo trend: i libri da regalare a parenti e amici affinché li scrivano in prima persona.

 Avete presente quando vostra nonna inizia a raccontarvi le sue avventure di bambina e ragazza? Avete presente quando sospira dicendo "Eh, dovremmo raccogliere tutte queste storie"?

 Ecco, qualcuno ha pensato di farci un'intera collana e, visto che vendeva bene, qualsiasi casa editrice di "varia" l'ha imitata.

 Leggenda vuole che l'idea sia stata lanciata da una casa editrice toscana, la Sarnus, qualche anno fa, ma il boom nazionalpopolare si è avuto il natale passato e perdura tuttora.

 Ce n'è per tutti: mamme, papà, nonni, sorelle, amici, persino zie!

 Si tratta sostanzialmente di un quaderno creativo che si limita a dare un elenco di domande lasciando poi lo spazio per scrivere.
 Alla fine, l'idea vorrebbe che la persona a cui è stato regalato la restituisca, ricca di ricordi, al regalatore.


COFFEE TABLE BOOKS:

 Esistono credo dalla notte dei tempi, ma ho notato un picco di richieste di questi cosiddetti Coffee Table Books negli ultimi due anni.

 Si tratta di libri illustrati molto belli e di formato molto grande il cui scopo è principalmente d'arredo o di compagnia.

 Si pone su un tavolo di passaggio (studio, studio medico, salotto, sala d'attesa) e tu stai lì che lo sfogli senza voglia nell'attesa che passi il tempo.
Esempio dimostrativo

 Immagino che in un'epoca pre-cellulare avessero principalmente questo ruolo, ma adesso fatico a trovarne uno che non sia l'arredo puro e semplice, anche se immagino essendo principalmente libri d'arte, architettura o design, siano comunque un belvedere.

 Personalmente adotto la tecnica degli chef: non si mette mai nel piatto qualcosa che non va mangiato e non si tiene mai in casa un libro che non va letto.


 E voi? Avete letto delle cell phone novel? Tenete coffee table books in ogni angolo della casa? Testimoniate!
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