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domenica 13 febbraio 2022

Il lavoro, questo sconosciuto. Tra Aggretsuko e "Un lavoro perfetto" di Kikuko Tsumura, la grande scomparsa del lavoro dai grandi temi della narrativa

 E' una strana faccenda quella del lavoro al giorno d'oggi.

 Pur essendo la cosa più pervasiva della nostra vita, il luogo (oddio adesso con lo smart working è spesso un metaluogo) in cui passiamo più tempo e che assorbe la maggior parte delle nostre energie, pur essendo ciò che sostanzialmente determina se mangeremo, se avremo un tetto sopra la testa e altre facezie similari, è forse uno dei grandi temi meno indagati dal mondo audiovisivo e letterario.

 Al cinema non ci sono vie di mezzo.

 Si passa da situazioni sociali di indigenza totale o a un mondo meraviglioso e completamente immaginario e probabilmente qualche trenta-quarantenne vive sul serio, ma non io e neanche le persone che conosco (che non sono neanche così poche, anche se mi rendo conto che la classe sociale fa molto).

 Apprezzo che non si attribuisca alla mia generazione quella nevrosi da matrimonio imposto che in effetti si è smesso di vivere, (da questo punto di vista siamo indubbiamente più tranquilli dei nostri predecessori e abbiamo imparato dagli orribili film di Muccino), ma quello splendido universo fatto di case di design, lavori fighissimi e un tenore di vita che adesso può permettersi solo chi è ricco di famiglia, non fa che aumentare quella sensazione di disagio che provo spesso.

 Mi chiedo sempre perché solo io sono molto arrabbiata per le condizioni lavorative in cui versiamo, strabilio quando la gente si mette a discutere con me quando dico cose ovvie come "Se uno lavora dovrebbe essere pagato" (infiniti i distinguo sul tema che vanno dal povero imprenditore che paga tante tasse all'importanza di formarsi in eterno per essere il lavoratore perfetto che un'azienda cerca per circa 3 minuti ogni 5 noviluni quando Venere è in quadrante), mi abbatto e al contempo ho istinti di rivoluzione bolscevica quando scopro che la gente non solo accetta di non ricevere un compenso, ma ha anche un certo moto di fastidio se le fai notare che spaccarsi la schiena per un rimborso spese non ha nessun senso logico.

 Mi guardo attorno e nessuno parla mai davvero di lavoro se non quando qualcuno ne muore. 

 E anche lì, sono mesi che seguo con molta attenzione la vicenda della giovane dottoressa morta in Trentino a seguito di presunte (scrivo presunte perché fino ai tre gradi di giudizio si passano i guai) vessazioni, mobbing e bossing sul posto di lavoro.

 Lo seguo perché in passato alcune di quelle cose sono capitate anche a me e ho provato a parlarne con qualcuno, ma lo scetticismo generale (oltre a un certo fastidio) impongono poi un silenzio imbarazzato.  Devi andare avanti. Se sei fortunat* ci vai. E io in effetti ci sono andata. 

 Ma questo mi ha reso ancora più arrabbiata verso chi dipinge una generazione travolta da lavori favolosi e fantasiosi che nella realtà sono spesso trappole con orari assurdi e stipendi da fame, solitamente in mano ad un'élite di persone per puro merito ereditario o comunque estremamente caldeggiato dal milieu sociale di provenienza.

 Per dare una misura dell'imbarazzo in cui la produzione letteraria e audiovisiva versa, l'unica serie in cui ho visto vagamente affrontare il problema delle sottili trame psicologiche che possono rendere la vita lavorativa un inferno è stata Aggrestuko (per chi non sapesse di cosa parlo, potete andare qui).

So che molti non hanno apprezzato la nuova serie e in effetti anche io l'ho trovata sul finale un po' stralunata come se l'autore non sapesse bene come uscirne. Per il resto però i passaggi in cui il direttore delle risorse umane, il capo ufficio e il CEO collaborano per indurre i lavoratori al licenziamento, è forse una delle cose più veritiere che ho visto produrre sul mondo del lavoro negli ultimi anni.

 Forte di un immaginario statunitense, il mondo del lavoro che vediamo narrato ha sempre qualcosa di estremamente fiabesco.

 Il lavoratore/eroe del racconto è vessato e poco apprezzato nonostante le sue potenzialità. 

 Di solito la colpa non è solo del capo malvagio, ma anche sua perché è troppo timido, non si impegna o osa avere una vita privata. Accade qualcosa che porta il lavoratore a decidere se soccombere o sopravvivere ed egli, facendo sforzi sovraumani, andrà oltre i suoi limiti e diventerà il lavoratore modello (o se è donna sceglierà la famiglia o un lavoro più consono all'equilibrio tra vita privata e lavorativa).

 Quest'idea che il lavoratore sia sempre in qualche modo co-colpevole del proprio disagio è inquietante ed è solo l'ultima delle evidenti prove che il capitalismo ha vinto perché ci ha, come ne L'invasione degli ultracorpi, letteralmente svuotati di noi stessi e trasformati in altro.

 

Forse non a caso, essendo il Giappone un posto dove esiste una parola (karoshi) per indicare la gente che muore di super lavoro, mi è capitato di leggere anche un libro dedicato al mondo del lavoro: "Un lavoro perfetto" di Kikuko Tsumura.

 Non ne avevo letto recensioni positive, ma a posteriori ho come la sensazione che molte di esse dipendessero più dalle aspettative sul libro che sul libro stesso.

 Se si parla di lavoro l'idea, probabilmente, è che l'argomento debba necessariamente essere affrontato con la gravità che gli compete.

 In realtà il lavoro è un macrotema, come l'amore o le relazioni, quindi meriterebbe non dico altrettanti testi, ma molti punti di vista differenti e anche racconti che ondeggino tra la satira, la commedia, il reportage sociale per carità, e la psicologia.

 Quindi non ho trovato strano che il libro avesse dei toni più leggeri del dovuto nell'affrontare in verità un punto molto interessante: è possibile vivere il lavoro in un modo non totalizzante?

 La protagonista, dopo un burn out, si mette alla ricerca di un lavoro che sia il meno impegnativo possibile dal punto di vista mentale. 

 In questo la aiuta una sorta di navigator (a quanto sembra in Giappone l'idea del navigator funziona) che le propone di volta in volta lavori potenzialmente molto semplici, ma sempre con un tocco un po' surreale: guardare video di videosorveglianza per scoprire dove si trovi la refurtiva nell'appartamento di uno scrittore, appendere manifesti in giro per il quartiere, recuperare persone perdute in giro per un parco pubblico.

 Devo dirvi che mi sono immedesimata tantissimo nella protagonista perché anche io ho vissuto dei mesi in cui l'ultima cosa che volevo era un lavoro che mi impegnasse a livello mentale. Attualmente sembra che l'unico rapporto di lavoro benvisto e possibile nei confronti del lavoro sia un rapporto di totale assorbimento.  

 Noi dobbiamo farci assorbire dal nostro lavoro, qualsiasi altra modalità è vissuta con sospetto e anche una certa nota di biasimo.

 Nonostante i suoi buoni propositi, la protagonista si trova impelagata in una serie di situazioni che rendono ogni lavoro potenzialmente stupido, di colpo molto più impegnativo.

 In parte sono le richieste aggiuntive che ogni datore di lavoro fa in modo più o meno esplicito, in parte però c'è anche la sua volontà e il fatto che sia una donna molto intelligente e intuitiva. Non sono solo le pressioni esterne a spingerla a rendere più impegnativo il suo lavoro, ma anche la sua intelligenza impedirle di vivere in modo automatico anche l'impiego più semplice.

 Una sorta di trappola perfetta, alla quale riesce a sfuggire di volta in volta solo chiudendo il rapporto lavorativo.

 I capitoli, ognuno dedicato a un lavoro diverso, sono sostanzialmente dei microracconti e il finale è molto consolatorio e giapponese.

 Tuttavia il punto a mio parere è stato centrato: è possibile decidere volontariamente quale sarà il nostro rapporto col lavoro? Non sottovalutiamo tutti i fattori che come esseri umani e non automi ci rendono da una parte fallaci e dall'altra spesso troppo intelligenti per mansioni che svolgiamo o veniamo costretti a svolgere? 

 Quanto controllo abbiamo sul nostro lavoro e quanto il lavoro e le persone che ne fanno parte hanno controllo sulla nostra vita?

 Sono questi grandi temi sui quali amerei leggere molti romanzi, oltre alle dinamiche del sole cuore amore, delle famiglie disfunzionali, dei dilemmi interiori che ci macerano.

  Il lavoro non è solo il casuale sfondo per qualche dinamica relazionale o il romanzo alla Zola con grande affresco storico e drammatiche lotte sociali. Non è neanche un tabù, come invece sembriamo trattarlo sia nella vita reale che in quella di finzione.

 Il lavoro deve tornare ad essere centrale nel discorso, in tutti i discorsi e nella narrativa.

 Narratori di oggi e di domani, ci siete?

 

martedì 7 gennaio 2020

La vita che riceviamo è vuota. I marosi flutti del destino, le grandi decisioni e i libri che ci parlano ma non sono di conforto. "Canada" di Richard Ford.

 Avevo iniziato le vacanze di natale con uno spirito a dir poco gioioso e le ho finite col morale sotto le scarpe.


So che non si leggono i blog per trovarsi partecipi involontari delle sventure altrui, ma è difficile celare lo stato d'animo al momento. 

 Sapevo che questo 2020 sarebbe iniziato in salita, con decisioni importanti da affrontare e problemi di certo non piccini, ma credevo che almeno avrei avuto la carica emotiva necessaria.

 Invece no.

 E non esiste corso di coaching che tenga, se hai appena preso un ceffone imprevisto in faccia, non sarà certo fingendo che il livido non esista che ti riprenderai.

 Per tutti questi motivi, durante queste vacanze, ho preso una decisione forse non molto da lettore forte: non ho praticamente letto. 

 Avevo in coda tanti fantastici libri che attendevo solo il momento di poter leggere con calma, ma avevo letteralmente il terrore che potessero aprire nella mia mente ancora più finestre di quelle che già si erano spalancate. 

 Certo, la possibilità che dai libri venisse la risposta a tutte le mie domande era sempre una speranza concreta, ma sappiamo tutti che queste cose nel 90% dei casi avvengono solo nei romanzi o nei film fatti apposta per lettori forti.

 Ho quindi resistito eroicamente alla tentazione durante viaggi in treno avanti e indietro per l'Italia, in aereo, persino durante il soggiorno viennese (dove al massimo avrei concesso una possibilità alla biografia di Sissi o Maria Teresa d'Austria se fossi stata abbastanza previdente da procurarmene una), ma ho infine ceduto a un passo dalla fine. 

 L'aereo ha tardato tre quarti d'ora e mi sono ritrovata a leggere "Canada" di Richard Ford che era uno di quei libri che avevo in progetto di assaltare da parecchio tempo (l'altro che era in coda era "Martin Eden", ma sarà per la prossima volta).

 Ovviamente mi sono ficcata nella situazione in cui non volevo trovarmi: pensare di più, girare ancora più attorno agli stessi pensieri. 

Mi è sembrato di finire esattamente lì dove non volevo andare: in mezzo ad un libro che avrebbe potuto darmi degli strumenti per interpretare meglio il mio presente esattamente come in un romanzo abbastanza prevedibile per lettori forti.

 Questa cosa apre due possibilità.

 La prima è che io sia stata effettivamente toccata da una serendipità del destino.

 La seconda è che siamo portati a vedere nei libri ciò che desideriamo disperatamente trovare in quel momento. 

 E' il motivo per il quale ogni lettore, pur leggendo lo stesso romanzo, vede un libro completamente diverso. Ed è sempre lo stesso motivo per il quale, leggendo lo stesso libro in diversi momenti della vita, ci appare ora splendido ora insignificante.

 Il libro esiste come contenuto oggettivo e come oggetto, ma siamo noi a riempirlo delle nostre emozioni.

 In questo caso specifico credo sia stata una fortuita commistione dei due fattori.

 La storia, come è presentata nella quarta di copertina, ci presenta le vicissitudini di un ragazzino, figlio di un'improvvisata coppia di rapinatori di banche.

 Ovviamente le quarte di copertina sono nate per sviarci, come anche, in questo caso, la copertina, che suggerisce una storia assai più contemporanea di quella affrontata nel libro che si svolge all'inizio degli anni '60.

  Il narratore, Dell, è un ormai anziano insegnante canadese di origini statunitensi e racconta il modo in cui a quindici anni abbandonò forzatamente la sua patria e divenne canadese.

 O almeno questo è quello che lui dice di volerci raccontare.

 In realtà almeno per la prima parte si dilunga incredibilmente (e a posteriori anche giustamente) sull'evento che cambiò la sua vita all'improvviso: come fu che due persone incredibilmente normali, un ex aviatore bello e simpatico, e sua moglie, una seria insegnante di origine ebraica, decisero di commettere una rapina.

 Come spesso accade, le motivazioni che portano a compiere gesti devastanti e stupidi al tempo stesso, hanno premesse altrettanto devastanti e stupide.

 Una certa infelicità di fondo dovuta a un matrimonio casuale e insipido, una sensazione di scarsa realizzazione personale da parte di entrambe le parti, e un evento scatenante che col senno del poi avrebbe potuto essere gestito in modo assai più sensato.

 Il senno del poi però è la cosa più inutile del mondo e lo sappiamo tutti.

 Quando perciò la coppia di improvvisati rapinatori viene arrestata e tradotta in carcere, iniziano i guai per i due figli gemelli: il succitato Dell e sua sorella Berner.

 Li aspetta un orfanotrofio del Montana, ma loro decidono altrimenti e ognuno dei due, a quindici anni, prende la sua strada.

 Il romanzo assume quindi una piega picaresca e segue Dell nella sua fuga in Canada, ospite improvviso e improvvisato, di un avvenente americano che vive, per motivi apparentemente incomprensibili, oltre confine. 

 Siamo negli anni '60, ma sembra di essere in un romanzo di Defoe o di Dickens: lo sventurato protagonista alle prese coi rivolgimenti della sorte.

  Da romanzo quasi psicologico diventa di colpo una storia d'avventura ottocentesca, per poi tirare le somme in un finale che non rimette tutto al suo posto, ma cerca di dare un significato a una vita che per lunghi tratti è sembrata essere in balia degli eventi e in altri nelle mani del suo proprietario.

 Cosa ci promettono sorridenti venditori di illusioni del resto?
 Che tutto è davvero sempre nelle nostre mani.
 E cosa piace invece credere a chi non ha la volontà neanche di provare?
 Che tutto è affidato al caso e alla sorte.

 Ma la verità ci dice Ford, sta nel mezzo

 Sta nel non perdere mai il senso nel nostro continuo infrangersi tra i flutti del destino, sta nel tenersi saldi anche quando ogni cosa sembra perduta e tentare e credere sempre che si possa riemergere e trarre un insegnamento. 

 Non basta crederci intensamente per avere la vita che vogliamo, ma possiamo lasciarla emergere con pazienza nel caos a cui siamo incessantemente consegnati.

 Un ragazzino di quindici anni poteva prendere molte decisioni. Poteva, come sua sorella, scappare per vivere di comune in matrimonio fallito, oppure poteva ostinarsi verso il suo obiettivo: andare a scuola. E a questo suo obiettivo sacrificare la libertà e anche l'innocenza.

 Non possiamo mai sapere quale prezzo pagheremo per ottenere la vita che vogliamo, ma possiamo comunque ostinarci a rincorrerla. 

Anche perché, dopotutto, non c'è un altro modo onorevole per impiegare le nostre esistenze.

"Credo che quello che vedi sia quasi tutto quello che esiste, come ho insegnato ai miei studenti, e che la vita che riceviamo sia vuota. Così mentre il significato pesa, e molto, questo è il massimo che può fare. Quello che c'è sotto quasi non si vede.
Mia madre disse che avrei avuto migliaia di mattine per svegliarmi e pensare a tutto questo, quando nessuno mi avrebbe detto cosa devo sentire. Ormai sono molte migliaia. Quello che so è che nella vita hai migliori possibilità -di sopravvivere- se sopporti bene le sconfitte, se riesci a subordinare, come indicava Ruskin, a mantenere le proporzioni, a collegare le cose diseguali in un intero che protegga quanto c'è di buono, anche se bisogna riconoscere che spesso il buono non è semplice da trovare. Ci proviamo, come disse mia sorella. Ci proviamo. Noi tutti. Ci proviamo."

domenica 20 ottobre 2019

Piccole recensioni tra amici Halloween edition. Cosa leggere (e non leggere) nelle halloweenose serate ottobrine.


Ebbene, in queste faticoserrime settimane lavorative, due sono le principali gioie: 

1) Le presentazioni di "LESBOOM!" (il 2 Novembre sono a Udine. Molta gioia perché è la prima volta che metto piede in Friuli!!).

2) Il fatto che siamo in autunno, una stagione meravigliosa che dà tante gioie senza eccessivo dispendio di denaro.

 La scoperta del servizio di prenotazione delle biblioteche del comune di Milano mi ha aperto nuovi orizzonti ed è stato un toccasana per il mio portafoglio, perciò ecco a voi una manciata di sugose recensioni halloweenose che hanno accompagnato le mie serate alla disperata ricerca di autunno.

 Buona lettura!


GLI AMICI SILENZIOSI di Laura Purcell ed. Dea Planeta:

Era tempo che non leggevo un libro che mi mettesse addosso quella certa piacevole ansia che uno si aspetta di trovare in un horror.

 "Gli amici silenziosi", che ha una copertina da una parte molto azzeccata (con l'occhio che ti scruta), da una parte un po' troppo zuccherosa, ha tutti gli elementi per essere un horror gotico d'eccellenza: nebbia, brughiere, oscuri fantasmi del passato, giovinette terrorizzate e via discorrendo.

 La storia, ambientata nel periodo vittoriano, inizia quando la giovane Elsie, da poco vedova e da poco incinta, se ne va ad abitare nella casa di campagna dove è morto il suo adorato marito Rupert. Con lei ad accompagnarla la cugina di lui, Sarah, nubile e senza denaro.
 In questa splendida magione di campagna, dove vivono da anni solo dei domestici, iniziano da subito ad avvenire delle strane cose: in primis dei fastidiosi rumori notturni provenienti dalla soffitta chiusa che attirano l'attenzione delle due donne.

 Una notte (perché si sa che certe cose si fanno solo la notte) Elsie, irritata, riesce a sbloccare la porta e scopre, al suo interno, vari cimeli di famiglia, tra i quali dei vecchi diari e degli strani quadri: gli amici silenziosi del titolo.

 Si tratta di una sorta di cartonato di alcune inquietanti figure: una giovane nobildonna dai capelli ramati, uno zingarello, una cuoca e altri.

Elsie e Sarah, aiutate dalle cameriere, li portano fuori dalla soffitta assieme ad uno dei due diari, salvo ritrovare la porta bloccata quando tornano a prendere il secondo.

 Da quel momento in avanti la casa sarà funestata da visioni, orrori, allucinazioni, dal moltiplicarsi degli amici in sempre nuove figure, omicidi, suicidi e un lontano racconto del passato che svela la radice degli orrori nella casa.

 Fino all'ultima pagina si susseguono colpi di scena e molto alla fine è lasciato al lettore: c'era del marcio in Danimarca oppure era tutto nella mente di Elsie?

 Bello, davvero, davvero, bello. Se volete un consiglio per halloween questo è IL CONSIGLIO.
Spero, peraltro, che ne traggano un film perché ha atmosfere perfette.


LASCIA DIRE ALLE OMBRE di Jess Kidd ed. Bompiani:

 Può un libro non avere una trama, un capo e una coda, personaggi approssimativi, momenti assolutamente senza senso e persino un tocco sovrannaturale completamente inutile? Si, può.

"Lascia dire alle ombre" è un pastrocchio incredibile che vorrebbe, credo, persino essere commovente a tratti.

 In un paesello irlandese bigottissimo, torna un giorno tale Mahony, figlio di una ragazzetta del luogo uccisa giovanissima non si sa da chi (anche se tutti hanno preferito pensare fosse fuggita): Orla.

 Costei, dedita alla prostituzione per disperazione e invisa dagli stessi abitanti del posto per amoralità, aveva malissimo campato la sua breve vita con la speranza di riuscire a mettere da parte abbastanza soldi per scappare in America, ma viene assassinata prima. Mahony, ormai adulto, torna per scoprire perché.

 Entrambi, madre e figlio, vedono i morti (un po' come Ricciardi, ma, al contrario di Ricciardi, la cosa non sembra essere né utile né funzionale ai fini della storia. Poteva, sostanzialmente, anche non essere inserita).

 Mahony inizia a indagare con l'aiuto di una vecchia eccentrica che vive nella sua stessa pensione e con la figlia del proprietario pazzamente innamorata di lui (che ovviamente è bellissimo).

 Vorrei potervi dire come procede l'indagine, ma in realtà non si capisce niente: prima mettono su uno spettacolo, poi il prete vuole bandire Mahony, poi ci ripensa, poi appaiono personaggi random che non si capisce a cosa servano, poi c'è un fantasma, poi forse nel bosco vive un tizio traumatizzato dalla guerra, poi boh.

 Brutto, pastrocchiato, privo di qualsiasi tensione. Incomprensibile come lo abbiano pubblicato e persino tradotto.

 Lasciate perdere. 


LA MALEDIZIONE DI MELMOTH di Sarah Perry ed. Neri Pozza:

 Quel che si dice un libro ben scritto. 

 Deve essere interessante, per chi può, leggere questo libro in lingua originale, ma anche la traduzione è davvero bella: ogni frase è letteralmente cesellata, niente è lasciato al caso alla faciloneria.

 Persino per dire: aprì la porta o rispose al telefono la Perry riesce a trovare formule raffinate.

 La storia poi è molto interessante perché usa una creatura gotica riadattandola a terrori moderni.

 Melmoth l'errante del racconto di Maturin qui cambia sesso diventando  una delle antiche donne che secono il vangelo andarono al sepolcro di Gesù Cristo e lo scoprirono vuoto.

 Lei è l'unica a mentire e a dire di non aver visto nulla e per questo è condannata a camminare ovunque per il mondo fino alla fine dei giorni, da sola e senza potersi fermare.

 La storia inizia a Praga quando Helen, una donna insignificante che sembra volersi volontariamente punire per qualche oscuro dramma del passato, incontra il suo amico Karel, assai agitato dal manoscritto che un anziano professore recentemente deceduto gli ha affidato.

 La storia inizia quindi come una ghost story assai classica, ma ben presto assume dei contorni molto particolari: Melmoth infatti è un mostro che lavora incessantemente sul nostro senso di colpa, nasce dal esso e ci trascina nei suoi abissi finché non ne moriamo.

 Intendiamoci, tutti coloro che Melmoth tormenta hanno otttimi motivi per sentirsi in colpa, ma il libro sembra volerci comunicare che abbandonarvisi è un peccato mortale.

 Se abbiamo molto peccato verso qualcuno, tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare è cercare di riparare in qualche modo.

 Agire per il bene allontana la malvagia Melmoth e le sue tentazioni. Ed è il solo modo in cui il nostro cuore esausto forse potrà trovare riposo, smettendo di vagare senza sosta.


L'UOMO NEL QUADRO di Susan Hill ed. Polillo:

 Susan Hill è famosa per un racconto lungo di genere gotico: "La donna in nero", molto grazioso da cui, caso raro, è stato tratto un film più bello (per l'unico motivo che, al contrario del racconto, la tira più per le lunghe e indaga meglio i lati oscuri).

  Ho rintracciato una sua altra rara storia tradotta in italiano: "L'uomo nel quadro". Si tratta di una ghost story in piena regola che insegna a non rimanere mai amici dei propri ex professori universitari.

 In un gelido gennaio Oliver torna a Cambridge per sbrigare alcune questioni e va a trovare il suo ex prof Theo Parmitter, il quale, in una gelida serata tempestosa, gli racconta una strana storia su un quadro in suo possesso dove viene rappresentata una scena di festa durante il carnevale veneziano.

  Anni prima, ad un'asta, Parmitter ne era rimasto incomprensibilmente attratto e aveva deciso di comprarlo.

 Qualche anno dopo, a seguito di un servizio fotografico in casa sua dove veniva mostrato il quadro, aveva ricevuto l'invito di un'anziana contessa desiderosa di riavere il quadro, perduto anni prima, e in possesso di una strana, triste e inquietante storia al suo riguardo.

 Il libro si legge in pochissimo ed è assai piacere in tempo di halloween. Spiace solo che un'autrice talentuosa decida di scrivere storie così brevi.

Ovviamente se avete qualcosa da consigliarmi, non risparmiatevi, sono ansiosissima!!

lunedì 15 luglio 2019

Consigli estivi parte I. Racconti cinesi, ragazze con la pistola, micromondi lgbt, horror veneti e nonnine giapponesi.

Come ogni anno, anzi forse quest'anno ancor di più, mi è piovuta addosso l'estate.

 Poiché sto preparando alcune cose per questo settembre (e questo settembre mai come quest'anno mi sembra tragicamente dietro l'angolo), i consigli estivi sono rimasti nei miei retropensieri finché mi sono resa conto che qua tra due settimane mezza Italia se ne va al mare e adios.

 Perciò, poche ciance! Ecco a voi la primissima infornata di consigli di lettura estivi. Come noterete, molto eclettici!

 Ah! Già che ci siamo vi informo che anche quest'anno ci sono i Macchianera Awards!

Potete votare I dolori della giovane libraia come miglior sito letterario al seguente link:



Basta poi copianicollare l'indirizzo del sito come miglior sito letterario e ricordarsi di compilare almeno 8 categorie.

Bene ora che vi ho indottrinato abbastanza potete godervi i consigli! Urrà!

SIGNOR DIAVOLO di Pupi Avati ed. Guanda:

 Quando adoroh i gialli all'italiana e adorereih se ci fossero più libri del genere.

Così quando finalmente ne esce fuori uno come si fa a non consigliarlo? A fine agosto arriverà al cinema il film di Pupi Avati che prima di darsi alle commedie di buoni sentimenti (o ad oscuri film malissimo riusciti con star internazionali), era ottimo regista di horror padani (non nel senso di campagne elettorali della lega).

 Se come me amate gli incubi estivi e volete prepararvi all'evento propongo di tentare tutti l'impresa di questo horror veneto che cerca di indagare il melmoso nordest fatto di religione con derive fanatiche e claustrofobia.

 Detta così pare un saggio d'attualità, ma confido che il diavolo non si sia ancora effettivamente palesato da quelle parti.


SOMARE di Federico Boni ed. SEM:

Consiglio estremamente LGBT, nel senso che, a mio parere, è proprio difficile da seguire se non si fa parte della comunità LGBT.

Si tratta di un esperimento linguistico a dir poco interessante visto il lessico e il gergo scelto dall'autore, una quantità notevole di dialoghi (il libro è quasi solo dialogato) che usa continue metafore e riferimenti tipici della gaya cultura.

 Ammirevole da un certo punto di vista, divertente da un altro (io mi sono muy divertita). Non mi azzardo a dire che sia comprensibile alle masse tutte, ma per di certo è un'ottima lettura per comunità lgbt e allies very addicted.

 Mai quarta di copertina fu più centrata: come un film di Ferzan Ozpetek venuto male.


LA RAGAZZA CON LA PISTOLA di Amy Stewart ed. Baldini e Castoldi:

E' il mio consiglio da "donna moderna" di cui in estate ogni tanto qualcuno sente il bisogno. Trattasi di un romanzo, stile commedia western, che in verità prende le mosse da un fatto realmente avvenuto e ha per protagoniste tre sorelle realmente esistite.

Nel 1914, in New Jersey, un tizio investì con la sua auto il calesse sul quale viaggiavano le tre sorelle Kopp. Non pagò litigo con le poverette e si rifiutò di pagare i danni, convinto che tre donne senza la protezione di un uomo non sarebbero state in grado di farsi valere. Ebbene non poteva sapere che la maggiore delle sorelle, Constance, era un tipo talmente tosto da riuscire a diventare una delle prime donne sceriffo d'America.

 Per le appassionate di romanzi storici in vena di diventare serie di Netflix.


UN'ESTATE CON LA STREGA DELL'OVEST di Nashiki Kaho ed. Feltrinelli:

 Per veri Yoshimoto Addicted, riporta in parte a quelle atmosfere questo romanzo del 1994 tradotto solo ora in Italia. Vi avviso, è una strana storia tenue. 

Tenue perché la trama è davvero esile: una tredicenne vittima di bullismo si rifiuta di andare a scuola e viene mandata dalla madre in campagna dalla nonna, una signora inglese che dice di avere poteri magici.
Strana perché fino all'ultima pagina campeggiava sulla mia fronte un: "pensavo fosse molto meglio" salvo poi scoppiare a piangere e attaccarmi al telefono a cercare mia nonna alle undici di sera.

 Si legge in un soffio.


RAGAZZO D'ORO, RAGAZZA DI SMERALDO di Yiyun Li ed. NN:

La Cina è vicina, ma è davvero così?
A leggere la loro ottima letteratura direi proprio di no, sembra anzi di essere dalle parti di una strana distopia incredibile da credere realtà.
I racconti di Yiyun Li che vive da anni negli Stati Uniti (e si vede) raccontano con eccezionale raffinatezza tante piccole vite. 

Anziane che decidono di fare le investigatrici private per stanare adulteri, vecchie promesse tra amiche che si trasformano in tragedia, l'onnipresente ansia matrimoniale degli orientali che li porta a compiere scelte affrettate e insensate e piccole grandi tragedie che irrompono in vite minuscole.

La storia si agita sullo sfondo, soprattutto nell'ultimo, lungo, racconto, ma non diventa mai il reale avversario alla felicità di persone che, semplicemente, non hanno idea di cosa desiderino o, se ce l'hanno, non hanno mai davvero la forza di desiderarlo fino in fondo.
C'è di certo una sensibilità d'oriente che sfugge a noi occidentali forse anche troppo protesi verso la necessaria e assoluta realizzazione delle nostre vite. Noi non sappiamo bastarci mai, loro, forse riescono a bastarsi troppo.
 Menzione di particolare angoscia al racconto sulla gpa ad opera di una coppia (etero) che perde l'unica amata figlia in un incidente d'auto.
 Consigliatissimo anche a chi, solitamente, non legge racconti.


Lascio anche una curiosità che mi ispira ma a cui non ho avuto modo di dare un'occhiata, quindi non so se è passibile di consiglio o boh di "libro che mi ispira".

Si tratta del manga "Note dall'appartamento 107" di Kashiwai ed. Star Comics.
 Sembra si tratti di una serie di racconti slice of life un po' surreali. A occhio mi intriga molto, se qualcuno di voi l'ha letto mi faccia sapere! Intanto lo cerco!

mercoledì 6 marzo 2019

Piccole recensioni tra amici! Giappone lgbt ne "La locanda degli amori diversi" e amori che non decollano in "Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di Schiele appeso in camera".

Olivia de Havilland (1935)
 Finalmente eccovi scodellate due nuove recensioni, nel frattempo ho letto un bel po' di altri libri e chi mi segue su Instagram sa che ogni tanto ne parlo in allucinanti dirette che finiscono di solito con me che litigo col cellulare che s'impalla e non mi fa chiudere il video. Ne verrà apprezzata, immagino, l'irripetibilità.


 I libri di oggi sono due romanzi scorrevoli e freschi, quelli che si leggono in gran poco negli sprazzi di tempo, cosa che, ultimamente, sto apprezzando particolarmente.




 Bando alle ciance perché ho cianciato abbastanza: a voi!



LA LOCANDA DEGLI AMORI DIVERSI di Ito Ogawa Beat edizioni:

 Era parecchio tempo che avevo adocchiato questo romanzo che, in verità, aveva ben due motivi per piacermi: Giappone e tematica lgbt.

 Tuttavia avevo sempre rimandato la lettura per altri due altrettanto validi motivi: il precedente libro di Ito Ogawa "Il ristorante dell'amore ritrovato" era uno strano concentrato di melassa che finiva con un piccione arrosto (un piccione non d'allevamento specifico), e ormai ho una sorta di rifiuto immediato per tutti libri con storie lgbt che portano la dicitura "diverso" nel titolo.

Basta.

 Ormai in libreria avevo persino sviluppato un sesto senso per i libri in cui apparivano romanzi gay non solo dai pietosi titoli, ma anche dalle fumose quarte di copertine piene di allusioni tra il drammatico e il pietistico.

 Giovanni si accorge che la vita può diventare "speciale" quando incontra "una persona".

Adele scopre che la parte più vera di sé è anche la più "segreta", ma l'amore la sorprenderà in modi incredibili.

 Vi do una notizia: il mondo è bello perché è vario, ma a nessuno fa piacere sentirsi dire che è "diverso", questo perché "diverso" non corrisponde a "speciale" nell'immaginario comune, ma a qualcuno che non è "normale", nell'accezione negativa del termine.

 Comunque. Poiché a inizio mese ero un po' giù di morale, ho deciso di andare in libreria a colpo sicuro e ho preso, oltre alla versione italiana de "La mia prima volta" di Kabi Nagata (l'unico fumetto mai letto in vita mia in inglese), anche questo romanzo, certa che comunque, mi avrebbe distratto un po'.
 Ebbene. Il romanzo è molto grazioso, parla di due donne, una sui venti, l'altra sui trent'anni, che si conoscono, si amano immediatamente e insieme decidono di andare a vivere in una parte del Giappone rurale e un po' spopolato da cui tutta la gente scappa, ma in cui, sembra, si viva in pace col mondo e la natura (peraltro lo fanno in parecchi manga, tipo anche "Wolf children", sembra sia la soluzione adatta se vuoi sparire).

 Lì, mettono su una famiglia felice assieme a due bambini: un maschio, nato dal precedente matrimonio della più donna grande, la femmina, concepita dalla più giovane in un rapporto occasionale precedente. Negli anni, le due aprono una sorta di ryokan gay friendly (quindi il titolo è pure sbagliato perché non ci vanno solo "gli amori diversi").

 Cose apprezzabili: la storia d'amore trattata nella sua quotidianità con i frequenti riferimenti ai problemi della comunità lgbt giapponese, priva di qualsiasi tutela. In un paese in cui sposarsi è ancora praticamente d'obbligo e in cui matrimonio e amore ancora non devono per forza coincidere (anzi, anche no, hanno ancora gli incontri combinati per ovviare al problema dei single), l'omosessualità è vista come una sorta di capriccio del singolo che potrebbe essere vissuto in privato e in contemporanea a un rispettabile matrimonio eterosessuale, se proprio.

 Ho devo dire, anche amato il fatto che il libro sia diviso in quattro macrocapitoli che permettono di vedere le storie da quattro punti di vista: le due donne, e ciascuno dei figli.

Cose disprezzabili: il finale.
  Il finale rovina tutto il libro perché è troppo strong e perché è affidato al personaggio più insopportabile dei quattro: la figlia femmina che non solo è viziata da morire, ma si lascia andare anche ad un castello di inquietanti supposizioni che non trovano alcun riscontro nei libri precedenti, inquinando, di fatto, quella che fino a quel momento era stata una storia d'amore stupenda.
 Il libro comunque vale la pena, soprattutto se amate i due punti di forza alla base: Giappone e comunità lgbt.


TUTTE LE RAGAZZE CON UNA CERTA CULTURA HANNO ALMENO UN POSTER DI UN QUADRO DI SCHIELE APPESO IN CAMERA di Roberto Venturini Sem edizioni:


 Se non amo i titoli con l'oscura parola "diverso" , è pure che vero che ho sviluppato un'antipatia per i titoli minimal: "Amore", "Espiazione", "Orrore", "Sole".

 Sono una jattura per i lettori e per i librai perché si tratta del tragico caso in cui il titolo non solo non basta, ma è perfettamente inutile: ci saranno altri 1000 libri che si chiamano così o quasi e senza l'autore (sperando che non si chiami pure lui Mario Rossi), è praticamente impossibile scovarli.

Poi in generale a me piacciono quei titoli strani e un po' evocativi, perciò lo ammetto, questa storia di Roberto Venturini, mi aveva attratto principalmente per il suo nome alla Lina Wertmuller.

 La storia è una storia d'amore come tante: inizia in un modo fantasmagorico per poi arenarsi nei noiosi campi della quotidianità.
 Qualcuno mi aveva detto, dopo aver postato la foto del libro su facebook, che è un libro carino che non decolla mai. E' vero. 

 Però c'è la sensazione che non decolli perché racconta di una storia d'amore che non decolla, una di quelle che capita di vivere a molti.

 Conosci qualcuno con cui stai benissimo, ti entusiasmi, pensi che sia la persona giusta che più giusta non c'è, ma poi, ad un certo punto ti accorgi che il volo pindarico, romanticamente intrecciando i corpi alla Paolo e Francesca, non prende quota.

 Voli sì, ma sempre basso, e a un certo punto, quella quota che dovevi prendere la perdi e niente, il grande amore viene declassato a storia di media importanza, arrivederci e grazie.

 E' in effetti una parte poco romanzata dell'amore (ed è comprensibile visto che l'amore è il sentimento romanzato per eccellenza): quelle storie che non hanno il briciolo di eternità che permettono a due persone di funzionare magnificamente insieme, anche se non necessariamente per tutta la vita.
 Non è tempo perso, ma diciamocelo, capita pure di pensare che è tempo che avremmo potuto spendere meglio, magari anche solo troncando prima.

 Venturini rende tutto più interessante con un linguaggio pop pieno di citazioni anni '80-'90 che forse sul finale (onestamente non all'altezza del libro, un po' da "sogno dello scrittore") diventa un po' troppo pesante, ma ci può stare.

 In ogni caso il libro è carino, soprattutto all'inizio, quando c'è meno melassa e il protagonista inizia a malvagiare sulle persone che incontra.
 Mi riconoscevo molto in questo modo di "pensar male" delle persone e mi ha anche sollevato sapere che i miei pensieri non sono poi così strambi (anche se malvagi).

 Grazioso, per trentenni (chi ha più o meno anni credo faccia proprio fatica a capirlo, tipo Zerocalcare, ma ancora più pop), secondo me funzionava anche senza il riferimento alla ciclotimia.

giovedì 13 dicembre 2018

I consigli natalizi 2018 parte II! La cavalcata tra libri natalosi (con un filo di polemica) continua tra atlanti, presepi, west, Sturmtruppen e comete.


Continua la mia cavalcata di consigli natalizi brevi (per i miei standard), concisi e polemici.

 In realtà, considerando che la lettura è evasione, ma anche riflessione, forse il fatto che il mio malumore verso la pessima china del mondo si riversi nelle recensioni e il mio gusto ne venga influenzato non è altro che un'inevitabile conseguenza (o forse sono solo un po' cotta dai turni).


 Inoltre ho ammassato un altro po' di consigli, quindi sappiate che presto ci sarà una terza infornata!

 Questo sistema di recensioni spot in codeste fauste occasioni festose mi aggrada assai!


Ma non perdiamo altro tempo!




L'ANNO DELLE COMETE di Daniel Schonpflug ed. Keller:

C'è stata, in alcune epoche di particolare distruzione, una goccia di splendore. 

 Nel 1918, al termine del primo drammatico conflitto mondiale, iniziarono a cadere comete: scrittori, artisti, militanti, politici, attraversarono brucianti il cielo di un mondo che non si trasformò mai in mattino, ma continuò una lunga notte fino al 1945.

 Anni oscuri e splendenti attraversati da personalità che posero le basi del secondo conflitto mondiale, ma anche della nascita del mondo contemporaneo.

 Questo per ricordarci che anche nella notte si vedono ogni tanto delle luci. Non in questo momento però.


STURMTRUPPEN di Bonvi ed. Mondadori Comics:

 Corre il cinquantesimo anniversario dell'invenzione delle militaresche creature di Bonvi. 

 Soldati tedeschen che parlano come un italiano immagina parli un tedeschen, mettono in ridicolo il tanto esaltato ultimamente mondo militare fatto di ordini insensati, comande che si fa più danno ad esaudire che disattendere e organizzazione al limite dell'idiozia.
 Bonvi metteva alla berlina tedeschi, alleati italiani e giapponesi. In un momento storico in cui si rievoca l'asse Roma-Berlino farebbe bene rimettere le cose nella sua giusta prospettiva storica e idiotica.

 La Mondadori comics sta riproponendo la ristampa a colori di tutte le strisce del capolavoro bonviano e, se siete interessati, a Bologna è in corso una mostra.

Ps. Se volete allegare ulteriore regalo, consiglio lo splendido "Un anno sull'altipiano" di Emilio Lussu, in cui lo scrittore racconta il suo folle, surreale e tragico (purtroppo e sottolineo purtroppo tragicomico) anno come ufficiale durante la prima guerra mondiale. E' come Bonvi, con l'aggravante che non è un'opera di fantasia, ma la realtà.


GLI ITALIANI ALLA CONQUISTA DEL WEST di Luigi Grassia, Mimesis edizioni:

 Se chiedete a molti italiani se abbiano mai letto un fumetto, vi diranno subito di no. Poi quando chiederete "Neanche Tex?", allora magicamente si scoprirà che i fumetti, un tempo, li hanno letti eccome e anzi, al ricordo, di colpo scoprono di volerlo fare di nuovo.

 Per tutti i nostalgici appassionati del west, c'è questo grazioso volumetto sulle glorie italiche del selvaggio ovest. 

 Tutte storie vere di cowgirl e cowboy che hanno preso armi, bagagli e cavalli e hanno scritto una storia tutta spaghetti western.


IN CUCINA CON KAFKA di Tom Gauld ed. Mondadori:

 Vignettista conosciuto e amato dai bibliofili per i suoi fumetti sul mondo del libro, quest'anno potrebbe essere un ottimo regalo per i booklover più focosi.

 "In cucina con Kafka" è una graziosa raccolta di brevissimi fumetti che mettono alla berlina con gusto e intelligenza, lettori, scrittori, mode editoriali, passioni bibliofile, classici e fissazioni libresche contemporanee.

 Piccolo e divertentissimo, piacerà da morire a chi ha sempre un libro in borsa.
  Inoltre risolve l'annoso problema natalizio del: "Voglio regalare un libro che faccia ridere!", richiesta evergreen che si sta confermando anche quest'anno.

 Se siete nel dubbio googlatelo, alla fine lo comprerete anche per voi.


THE PASSENGER. GIAPPONE ed. Iperborea: 

Metto questo libro/rivista tra i consigli aggiungendovi un lampeggiante che indica ai miei amici e parenti "VOGLIO CHE LO REGALIATE ANCHE A ME"!

 Da qualche mese l'Iperborea ha avviato una sorta di corposa rivista "The passenger" che bimestralmente raccoglie articoli su uno specifico paese del mondo. Il primo fu l'Islanda, poi venne l'Olanda e infine il nostro amico Giappone che, in verità, quest'anno va più di moda del solito in libreria.

Gustoso, interessante, regalo ideale per i molti appassionati del Sol Levante e per gli indefessi viaggiatori (anche quelli wannabe, che hanno molta voglia, ma poco portafoglio, tipo me).


IL PRESEPIO di Maurizio Bettini ed. Einaudi:

 Mio padre ha una vera passione per i presepi. Durante tutto l'anno raccoglie indefessamente muschio, rametti, legna, sassi e, non lo dico perché sono sua figlia (sul mio instagram potete avere prove fotografiche), crea dei veri capolavori, in pieno napolitan style.

 Quando ero piccola e compravamo pastori e personaggi mini vari nei mercati campani, ero affascinata dalla quantità di figure fisse e apparentemente contraddittorie del presepe. 

 Già a 8 anni mi sembrava sospetto che un fraticello francescano apparisse sul luogo della nascita del bambinello e non capivo perché tutti fossero vestiti in modo medievale, ma apparisse qui e lì una guardia romana.

 Mio padre mi spiegò solo il significato di Benino o Benito o Benigno, il pastorello che dorme proprio sopra la capanna in cui nasce Gesù e che rappresenta l'umanità che chiuse gli occhi davanti alla nascita del salvatore.

 Ecco, il presepe in realtà nasconde mondi, significati e iconografie sconosciute che Bettini racconta in questo libro, poco divulgativo e molto di livello, che interesserà gli appassionati di presepi, antropologia e folklore!


LE PUBBLICITA' DI NATALE CHE HANNO FATTO EPOCA di Fochesato ed. Interlinea:

 Quest'anno più degli altri anni, mi sembra che il lato commerciale del natale sia particolarmente preponderante. 

 Direte "Sai che novità", però boh, mi sembra che fino a pochissimo tempo fa essere più buoni a Natale fosse un merito, mentre adesso è un profondo e offensivo demerito. Offensivo verso le tante pecore che berciano, ma ci tengono tanto a fare l'albero bello bello e i pacchetti belli belli e il natale è tutto lì.

 Ecco, siccome tutti abbiamo un parente del genere, ad esso potrete regalare questo bel libretto dell'Interlinea che raccoglie immagini delle pubblicità natalizie d'epoca.
 Un regalo gradito anche agli appassionati del settore e della Coca Cola.


 IL MANOSCRITTO VOYNICH ed. Bompiani:

 Nel saggio sulle curiosità del libro che ho scritto e uscirà nel 2019 (pubblicità non occulta) ho ovviamente dedicato un paragrafo al manoscritto Voynich, uno dei libri più misteriosi del mondo. Ritrovato in un monastero di Frascati e venduto inopinatamente dai monaci al mercante d'arte Voynich, si trova adesso negli Usa e rappresenta da secoli un gustoso mistero.

 E' scritto infatti in una lingua che non esiste e le miniature sono altrettanto misteriose: scherzo alchemico, truffa ai danni del re Rodolfo II dalla cui biblioteca proviene o che altro?

 La Bompiani propone una splendida ristampa anastatica su cui scervellarsi, elegante e immancabile nelle biblioteche dei veri appassionati di storia e storia del libro.


IMBUSTASTORIE ed. Abeditore:


 Già l'anno scorso l'Abeditore aveva inventato un grazioso sistema per risolvere in modo economico e ragguardevole, i cosiddetti "pensierini": erano le imbustastorie, buste da lettera con all'interno una cartolina e alcune fiabe riccamente illustrate.

 Quest'anno si ripete l'impresa, ma in modo ancor più geniale per noi regalatori: le buste infatti sono "tematiche". 

 Quattro temi: "Magia", "Dubbio", "Sogno" e "Incubo" con 5 racconti classici per ogni busta.

 Il set delle 4 buste viene 12 euro. Quattro splendidi regali risolti in un attimo.


PAROLE ARMATE di Valeria P. Babini ed. Tartaruga:

 E qui si fa l'Italia o si muore. Ma come si è fatta l'Italia della resistenza e del secondo dopoguerra? Solo con le armi o anche con le parole?

 La risorta Tartaruga propone un'interessante antologia di donne scrittrici che diedero il proprio contributo alla resistenza e alla ricostruzione attraverso scritti clandestini, romanzi o opere di contropropaganda.

 Si apre uno spaccato poco conosciuto e adesso attualissimo: quello della lotta e resistenza attraverso i mezzi di telecomunicazione: giornali clandestini, trasmissioni radio, inchieste giornalistiche, libri censurati.

 E riemergono figure importantissime, ma spesso conosciute solo tra gli addetti ai lavori, come Palma Bucarelli, direttrice storica della Galleria d'arte moderna di Roma, che mise in salvo innumerevoli capolavori decidendo sotto sua responsabilità di translare le opere in Vaticano per metterle in salvo dall'atto finale della ritirata tedesca e dalla guerra di liberazione.

 Per appassionati di storia, critica letteraria e, in generale, per grandi lettori.



ATLANTI CELESTI di Elena Percivaldi ed. National Geographic:



 Altro consiglio per gli amanti dei libri d'arte ed illustrati (e i famosi coffee table books), "Atlanti celesti" è una splendida raccolta di carte astronomiche realizzate tra il 1500 e il 1800.

 Stelle, collestazioni, pianeti in una continua evoluzione di conoscenze, ma anche stili cartografici diversi.

 Per appassionati d'arte, ma anche di storia.

giovedì 3 maggio 2018

Piccole recensioni tra amici! Un triplete a base di "Mio caro serial killer", "Più veloce dell'ombra" e "Le risposte" tra gialli, finta fantascienza e anni '80

 Visto che i libri letti e le recensioni in proposito si andavano accumulando (e visto che volevo scrivere qualcosa di un po' diverso), ecco a voi un velocissimo "Piccole recensioni tra amici"!

 Sono tutte e tre delle novità e due sono accomunate dal fatto che le ho lette per assoluto caso, segno che la serendipità ogni tanto arride ai lettori.

 Non mi dilungo troppo che devo tornare alle sudate carte del saggio!
Buona lettura!


MIO CARO SERIAL KILLER di Alicia Gimenez Bartlett ed. Sellerio:

 Ho sempre avuto più di un problema con Alicia Gimenez Bartlett.

 Ho provato a leggere qualche indagine di Petra Delicado e l'ho sempre abbandonata con fastidio dopo qualche riga. 
 Persino "Dove nessuno ti troverà", il romanzo di docufiction ispirato alla vera storia di un partigian* ermafrodita imprendibile sulle sue montagne durante la guerra civile spagnola, ho dovuto abbandonarlo a metà dopo aver fatto davvero qualsiasi cosa per finirlo.

 Credevo non dovesse in nessun modo essere amore. 

 Invece, complice il fatto di dovermi far perdonare da Dolcemetà per una qualche mia nefandezza (non grave visto che ho già dimenticato quale fosse), ho acquistato il suo ultimo libro e me lo sono fatta autografare durante il suo recente tour in Italia.

 A quel punto un libro nuovo in casa non puoi non provare a leggerlo e così, senza nessuna e dico nessuna aspettativa l'ho iniziato e sorpresa! mi ha preso immediatamente.

 Non conosco ovviamente le vicissitudini sentimentali e lavorative precedenti della famosa Petra perciò dare eventuali giudizi sull'evoluzione del personaggio è impossibile, anche se, a occhio, azzarderei uno status "Montalbano": tutto imperturbabile, tutto identico, gente che viene e va, ma nulla cambia davvero.

 In questo libro è sposata con un architetto con 4 figli nati da matrimoni precedenti, ha una cinquantina di anni e si ritrova a collaborare coi famosi Mossos, i poliziotti catalani che ormai pure l'ultimo abitante dell'Unione europea sa chi siano.

 La storia prende le mosse dall'omicidio, insolitamente violento e insolitamente rituale, di una donna di mezz'età sola e con pochi amici.

  Tutto ciò che si riesce a scoprire prima che anche un'altra donna, più giovane e senza nessun punto in comune con la prima, muoia allo stesso identico modo.

 Un serial killer di donne sole è in giro?

 E se queste donne sole fossero, come dice il proverbio, solo state male accompagnate?

 L'indagine prosegue con un ritmo incalzante e momenti scarsamente verosimili che però rendono il romanzo molto più godibile. 

 Quando hai tra le mani un'idea felice e un modo tanto fluido di raccontarla non devi concentrarti troppo su spiegoni o dati scientifici o controprove del dna, il lettore prende per buono tutto e cerca solo di capire qual è la chiave giusta che può svelare il mistero.

 Davvero bello e, aggiungo, anche abbastanza lungo da darti il tempo di rilassarti un po', senza l'ansia che finisca troppo presto. 

 Essendo un giallo non sono potuta entrare nei dettagli, ma vi do solo un indizio: Marta Flavi.



PIU' VELOCE DELL'OMBRA di Federica Tuzi ed. Fandango:

 Gli anni '80 sono la moda del momento. 

 Pur avendo la crisi e le generazioni precedenti tentato di saccagnare in ogni modo i trentenni di adesso, essi prosperano e dettano nostalgie e nuove mode di consumo (ogni tanto è spassoso leggere gli articoli dei giornali d'economia su come i millennials stiano portando alla rovina, con le loro abitudini sconcertanti, questo o quel comparto economico).

 Nella storia di Federica Tuzi, gli anni '80 sono l'80% dell'atmosfera, il resto è concentrato nel personaggio della protagonista assoluta: Alessandra, una preadolescente impigliata tra l'infanzia e le prime avvisaglie di un'adolescenza che si prevede molto tumultuosa.

 Figlia bruttina di due genitori bellissimi (capita di tanto in tanto che la genetica invece di migliorare peggiori la situazione) si trasferisce assieme a loro da Roma a Torino perché suo padre viene assunto nelle risorse umane di un'imprecisata grande azienda.

 Sua madre, splendida come tutte e tre le Charlie's Angels, e in carriera, è costretta a lasciare il lavoro e a Torino cerca in ogni modo di trovare una nuova ragione di vita. 

 Non riuscendoci, concentra tutti i suoi sforzi nei disperati tentativi di rendere sua figlia simile a lei.

 Peccato che, come accade talvolta, non ci siano persone che si somiglino meno che certe madri e certe figlie. 

Alessandra infatti non solo non è bellissima e dolcissima, bensì paffuta e amante di dolci e gelati, ma ha anche una certa propensione a mettersi in guai molto più grossi della sua età.

 Un mix fatale di incoscienza, mancanza di amici, spirito d'avventura e, bisogna ammetterlo, disperazione per un luogo, Torino, poco accogliente e molto chiuso, lancia Alessandra verso l'inizio di una giovinezza che si prospetta ricca, ma non facile.

 Ma non cantava già così De Gregori tanti anni fa in "Caterina"?

 "E la vita Caterina lo sai non è comoda per nessuno, quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo, e rischiare la notte il vino e la malinconia, la solitudine e le valigie di un amore che vola via".

 Ben scritto, scintillante e a tratti oscuro, proprio come gli anni '80 perché le vere bambine ribelli non sono per niente patinate.


LE RISPOSTE di Catherine Lacey ed. Sur:

 C'è una cosa che sopporto poco (ce ne sono molte, ma vabbeh sorvoliamo): i libri instagrammabili. 

 Intendiamoci, non i libri con cui fare le foto su instagram, quelle le faccio pure io e devo dire che, da biblioteconoma, sono quasi sollazzata dall'attenzione estetica che finalmente il libro in quanto oggetto sta doverosamente ricevendo.

 I libri instagramabili sono quelli nati per essere cool: hanno un autore cool, una veste cool, una casa editrice cool e persino una trama cool!

 Anche per questo mi ero doverosamente tenuta alla larga da questo libro la cui quarta di copertina era lievemente agghiacciante: una donna in crisi decide di partecipare all'esperimento "fidanzata" in cui un attore famoso cerca, con l'aiuto di un'imprecisata equipe, di sviscerare le diverse sfaccettature delle relazioni umane.

 Praticamente vengono scelte alcune donne e a ognuna di loro viene affidato un compito diverso: la fidanzata con cui vivere i momenti romantici, quella con cui vivere momenti ordinari, quella con cui litigare ecc.

 Un libro del genere, lo devo ammettere, non lo avrei mai preso se non fossi stata in ritardo per il treno e non ci fosse stata la gustosa copia che inviano ogni tanto le case editrici in libreria a uso dei librai.

 E sarebbe stato un peccato perché soprattutto la prima parte, quella che la Lacey dedica alla protagonista, Mary, una trentenne piena di debiti, senza amici, con uno strano passato e un incerto presente di disturbi psicosomatici che solo una stramba cura fricchettona sembra riuscire a curare, è veramente considerevole e ricorda la Zadie Smith degli esordi.

 E' una bella scrittura, fresca, concisa, poco commerciale e molto particolare che rende le vicende, per quanto surreali, ricche di un certo fascino.

 E' un peccato che nella seconda parte la Lacey abbia deciso di concentrarsi sulla parte dell'assurdo esperimento che, se poteva avere una sua coerenza come elemento disturbante di fondo, diventa totalmente superfluo quando si cerca di porlo al centro.

 Se si vuole giocare con la fantascienza bisogna saperla usare, altrimenti diventa il pastrocchio che alla fine finisce per essere. 

 Relazioni che non si capiscono bene, cose che accadono a caso, personaggi introdotti di colpo che perdono il controllo e di cui non si capisce il senso.

 Bastava rimanere sul punto focale della storia: Mary. E' di lei che vogliamo sapere, della sua storia, del suo futuro, del suo passato. 

 Gli altri sono pallide figure di contorno che a un certo punto prendono il sopravvento nel tentativo, credo, di volerci raccontare qualche cosa di profondo sulle relazioni umane, fallendo.

 Ecco, io terrei d'occhio la Lacey perché può fare molto di meglio con una bella idea portata fino in fondo e il prossimo titolo lo guarderò con meno pregiudizio.
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