lunedì 20 dicembre 2021

I consigli di Natale del 2021! Giappone, fantasmi, classici natalizi, Stonewall, cataclismi, Vietnam, Rosi Braidotti e molto altro

 In questo anno che ha ormai insegnato come il senso del tempo sia ormai completamente alterato, il Natale che avevo a lungo bramato è praticamente già arrivato.

  Lo scorso anno in questo periodo mi accingevo a traslocare (un trasloco interregionale a Natale durante una zona rossa non lo auguro neanche al peggior nemico) e il Natale era lievissimamente passato in secondo piano. 
 Non solo, ovviamente, niente giri natalizi causa ondata Covid, ma neanche gioie casalinghe visto che gli addobbi erano rimasti nelle scatole e non avevo neanche il tempo per dei biscotti mielosi.

 A un anno di distanza, ho fatto l'albero e oggi persino i biscotti ed ero pronta a godermi un Natale in grande stile salvo scoprire che siamo passati dal 2 al 19 dicembre non si sa come e non si sa quando.

 I miei post dei consigli natalizi sono quindi periti sotto il fuoco del mio lavoro e ho deciso di lanciarmi in questo post con brevi e si spera ficcanti suggerimenti. So che è tardi, ma insomma: le vacanze non sono ancora iniziate, sicuramente qualcuno che non avrete previsto vi farà un regalo che dovrete ricambiare, alcuni festeggiano la befana e altri fanno i regali solo la mattina della vigilia di Natale stessa.

Ma bando alle ciance e iniziamo (finalmente!):


"FUORI SEDE. VITA ALLEGRA DI UNA FEMMINISTA NOMADE" di Rosi Braidotti ed. Castelvecchi:

Rosi Braidotti, filosofa femminista nata in Italia e trasferitasi da ragazza in Australia, ha scritto un'autobiografia di sicuro fondamentale per chiunque abbia studiato il suo pensiero, parte integrante del dibattito sul post umano e la soggettività nomade. Ma anche un modo per iniziare a conoscerla se non si si è mai imbattuti in lei prima.


SE AVESSI DUE VITE di Abbigail Rosewood ed. E/O:

 Io amo tantissimo le storie d'oriente da sempre perché spalancano mondi quasi sempre ignoti alle nostre conoscenze letterarie scolastiche.

"Se avessi due vite" racconta la vita di una donna nata in Vietnam e cresciuta in un accampamento militare dove un soldato e un'altra ragazza, ritrovandosi poi a cercare il loro affetto e il loro amore in persone simili a loro anche anni dopo, quando sarà lontanissima, in America. Appena l'ho visto mi è venuta subito voglia di leggerlo, come mi succedeva di tanto in tanto con una certa foga alle superiori (e 9 su 10 il mio intuito non sbagliava mai)


RACCONTI GIAPPONESI di AA VV Einaudi ed.:

 Lo sapete, per un nippofilo che si rispetti, qualsiasi cosa sia giapponese è oro, e se è di qualità saliamo al livello del platino. "Racconti del Giappone" è curato da Antonietta Pastore (la traduttrice di Murakami) ed è un'antologia di 25 racconti di autrici e autori giapponesi e non che hanno per protagonista lo splendido (ma complesso e forse anche troppo conservatore) paese del Sol Levante.


DEMONI VENTI E DRAGHI di Andrea Feniello ed. Laterza:

 Lo so, regalare libri che ci ricordino che siamo in preda a un cataclisma può non sembrare una grande idea.

 Eppure c'è chi stempera le proprie paure con la conoscenza e trova consolatorio e speranzoso sapere che gli esseri umani, nei secoli, hanno dimostrato un'enorme capacità di adattamento alle più incredibili avversità. Ecco, mi sembra il libro del Natale perché qua o si impara a cambiare o si soccombe.

DA SOLA di Percy Bertolini Diabolo ed.:

L'ho scopertə durante il lockdown su Ig con le avventure di Zia Pane e del temibile Paolo Fox ed era impossibile non cogliere l'enorme talento di Percy Bertolini, fumettista, muralista e artista militante.

 I suoi disegni, semplici ed essenziali eppure perfetti nel loro minimalismo sono quel tipo di controcultura che amo perché comprensibile nella sua follia, mai fine a sé stessa, ma sempre fissa verso nemici molto chiari e molto potenti. 


NATALE COI FANTASMI dI AA VV ed. Neri Pozza: 

Il gioiello natalizio di quest'anno. Riprendendo l'idea vittoriana delle storie di fantasmi scritte da grandi autori apposta per il Natale, Neri Pozza traduce questa antologia coi superfiocchi. 

Ottimi autori anglosassoni contemporanei, racconti di livello che restituiscono al lettore esattamente quello che vuole: fantasmi veri, inquietudine, magioni infestate, terrori notturni e gelidi inverni. Bellissimo. Straregalatelo.

Ps Curiosamente quest'anno anche Mondadori ha fatto uscire un libro a tema Natale e fantasmi: "Il grande libro dei fantasmi di Natale". Si tratta però di una raccolta, bella cicciuta, di racconti classici.


SERIE "LA TAVERNA DI MEZZANOTTE" di Yaro Abe ed. Bao Publishing:

Netflix si ostina a privarci dei nuovi episodi, ma Bao Publishing continua invece a sfornare con una certa regolarità il manga che lo ha ispirato.

 Gli episodi del manga sono assai più brevi degli episodi tv, ma riescono così a tessere una fitta ragnatela di relazioni tra gli avventori del locale. Un mondo fluttuante moderno in cui gli abitanti della notte sfuggono alle convenzioni sociali e vivono come possono, e come vogliono.

Ps. Non è una cattiva idea allegare un cibo giappo random al libro.


NUOVE STORIE DI NATALE di Louise May Alcott ed. Clichy:

Non siamo solo noi ad avere dubbi sui regali di Natale, anche Louise May Alcott ne aveva. Al nostro contrario però, poteva scrivere un'antologia di storie natalizie tutta nuova da regalare. Ora possiamo regalarla anche noi.


LA DONNA CHE IDEO' IL CORRIERE DEI PICCOLI di Giulio C. Cuccolini ed. Comicout:

Forse non tutt* sanno che "Il corriere dei piccoli" fu ideato da Paola Lombroso che se lo vide poi scippare, col beneplacito di un patriarcale Turati, perché donna e quindi ritenuta inadatta a gestire una rivista, nonostante fosse di sua invenzione. Questo piccolo libro inizia a renderle giustizia.


PRIDE AND PUDDING di Regula Ysewijn Guido Tommasi ed.:

 Sarà colpa della regina Vittoria, ma il nostro immaginario natalizio è tragicamente permeato da suggestioni anglosassoni non ben definite. Questo rende un libro sulla storia del pudding, alimento presente nelle diete italiane solo negli ultimi anni dietetici, appetitoso e natalizio. Il classico regalo a tema mangereccio per il parente a cui non sapete cosa regalare, ma a cui tenete.


NON TOCCHIAMO QUESTO TASTO di Luca Ciammarughi ed. Curci:

Quanto è stata realmente queer la musica classica (un mondo musicale che diamocelo riesce a essere iper conservatore e iper queer al tempo stesso)? Luca Ciammarughi ha scritto un saggio che legge la musica in un altro modo, ed è sempre bello cambiare prospettiva.


S.T.A.R. di Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson Edizioni Minoritarie:

Lo spirito di Stonewall dovrebbe aleggiare tutto l'anno e non solo in estate. Questo è il libro per tenere alto lo spirito rivoluzionario in questi tempi molto bisognosi di energie. La traduzione italiana della fanzine  STAR -Street Transvestite Action Revolutionaries che raccoglie interviste e discorsi di Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, e molto altro.


Avrei avuto ancor più suggerimenti, ma quest'anno gli archivi mi hanno inghiottita ed è andata così! Spero comunque di avervi aiutato!

sabato 11 dicembre 2021

Ne nasce uno per ogni generazione (forse). "Strappare lungo i bordi" e la conferma di Zerocalcare come autore generazionale tra voli poetici, lazial privilege e piccoli drammi della commedia umana

 Zerocalcare, Zerocalcare, Zerocalcare.

Sono giorni che anche l'Italia che non legge fumetti ha scoperto l'esistenza di quello che è l'autore fenomeno degli ultimi dieci anni. Non autore di fumetti fenomeno, ma proprio autore di tutto il comparto letterario in generale, con anzi, ancora maggior meriti perché diventarlo partendo da una forma espressiva bistrattata lungamente in Italia ha ancora maggior merito.

 E' giunto quindi anche per me il momento di fare la recensione di "Strappare lungo i bordi" (è giunto perché sembra strano che non la faccia).

 In verità non mi ci sono immediatamente buttata a pesce perché quello che per molti è una scoperta eccezionale, a me sembra in generale la conferma di un talento che già era esploso sin dal suo esordio con "La profezia dell'armadillo".

 Trovo anzi forse significativo che sia arrivato alle ancora più masse grazie a una serie che è chiaramente una sorta di rilettura, riedizione, reboot, della sua prima storia.

 "La profezia dell'armadillo" raccontava uno Zero con una dozzina di anni di meno, quindi  ancora legato a molti di quei ricordi adolescenziali che poi, nei dieci anni di vita successiva, tendono a sbiadire e perdere di significato.

  Ma la struttura narrativa è rimasta la stessa (come, più o meno, anche la trama) ed è a mio parere quella in cui la narrativa dell'autore funziona meglio: una cornice e tanti piccoli episodi tragicomici che sembrano slegati tra loro eppure funzionano benissimo.

 Trovo che i suoi tentativi di trama più romanzesca in senso classico abbiano sempre un fatale momento di debolezza come fosse quasi necessario sottoporsi, pur preferendo altro, alla grande prova della grande storia per essere considerato un vero autore. Falsità, ogni autore funziona meglio con una forma di racconto specifica, o almeno questo è il mio misero parere.

 Comunque a me sembra che "Strappare lungo i bordi" sia una conferma e che il più grande talento di Michele Rech sia in verità una qualità rarissima: egli riesce a leggere con estrema lucidità il vissuto della sua specifica generazione (che poi è anche la mia visto che abbiamo 1 solo anno di differenza). 

 Questo non è che vuol dire: ah sì, ma guarda è un attimo è, come fare la pasta col burro, ci riescono tutt*. No, in verità è una cosa difficilissima. 

 Ci si perde la ragione nelle case editrici a cercare di individuare l'autore generazionale, il Tondelli della situazione che spem di colpo mette su carta (o in video) il linguaggio, l'immaginario, i ricordi, le ansie, i sentimenti di una generazione.

 E' un mix talmente complesso da ottenere in modo naturale (di solito si procede randomicamente con buchi nell'acqua o inquietanti tentativi artificiali, non fatemi fare nomi) che può accadere non se ne trovi nemmeno uno per ogni generazione.

 Con Zerocalcare è accaduto
. Non è neanche stato subito chiarissimo, anche in ragione del mezzo espressivo. Eppure ha avuto un senso generazionale anche che abbia usato il fumetto e ora il cartone animato (dai, da millennial posso chiamarlo così). 

 Una generazione di genitori ha sottovalutato ampiamente quanto l'esposizione massiccia a cartoni e fumetti giapponesi abbia potuto insinuarsi in modo fatale nel passato e nell'immaginario dei trentenni (anche quasi quarantenni tra un po' dio mio..) odierni.

 Come in tutti i rasoi di Occam, quando la risposta più semplice è quella giusta, non riesco perciò a trovare particolare sorpresa nei confronti di quella che è un'ottima serie, nella quale Zerocalcare è stato fedelissimo alla sua produzione e a tutto quello che ha sempre raccontato nel modo.

  L'unica pecca è forse qui è lì l'essere troppo didascalico, ma perché capisco anche che a campare con 56381678 ansie finisci sempre per giustificarti pure quando non serve così eviti molte rogne. 

 E' in verità anche questa una costante della sua produzione e forse in un futuro in cui saremo vicini all'età di Gep Gambardella e sapremo coglierne l'insegnamento, si sentirà abbastanza libero per non mettere vertordicimila mani avanti non appena può.

 Ah, a margine, la polemica insensata sul dialetto.

 Dolcemetà ha dovuto mettere i sottotitoli, come, ho scoperto, molta gente. Il punto è che non li ha messi tanto per il dialetto, anche perché in verità non parla in dialetto, quanto per il fatto che Zerocalcare è una di quelle persone che parlano a una velocità raddoppiata.

 Se non sei autoctono è ovvio che appena ti incagli nella prima parola non decodificabile in modo immediato in italiano, tempo che ci pensi e sei già 30 battute avanti. Questo vuol dire che è forse deprecabile che Zerocalcare utilizzi locuzioni dialettali e che evochi il purismo della lingua?

 Ma giammai! Mi godo il mio lazial privilege in barba a tutto il resto d'Italia, conscia di capire al volo la mia lingua madre e conscia anche del fatto che è una lingua zerocalcariana (alla fine regà non è manco dialetto, è un italiano regionale con alcune locuzioni romanesche) senza la quale Zerocalcare istesso non avrebbe senso. 

 Non è un attore, non è neanche un autore costruito, è una persona di enorme talento che è riuscita a parlare di una generazione parlando di sé stesso. Se inizia a interpolare con robe che non c'entrano niente come una dizione della crusca che nella vita reale non userebbe mai è finito tutto.

Per il resto. Ho letto che tutt* sono entusiast* della storia dei fili d'erba e delle perle di saggezza di Zero. Tutto giusto, ma da una parte nei libri c'è già tutto ciò quindi ripeto che mancava l'effetto sorpresa, dall'altra io sono una persona orribile da quel punto di vista. Sono una persona sulla quale questo tipo di discorso ha un effetto nullo, è un linguaggio che considero, questo sì, completamente estraneo.

 Mi manca tutta quella parte di elaborazione poetica del contesto e faccio proprio fatica ad empatizzare. 
 Preferisco di gran lunga i momenti di identificazione (es. il dramma dei rapporti su MSN in cui ti sentivi Keats quando dovevi scrivere, poi quando ti incontravi non sapevi manco salutare), ma, insomma, a ciascuno il suo.

 E' bello anche che nella vita tutti si appassionino a lati diversi di una stessa narrazione e attendo trepidante la prossima stagione.

Ps Il mio episodio preferito è quello del divano di spade. L'ho rivisto un paio di volte e ho riso entrambe come una pazza.

mercoledì 1 dicembre 2021

La mia pazza pazza vita in archivio! "I faldoni"

Come saprete se seguite questo blog da molto, a dispetto del nome ormai non sono più una libraia da qualche anno (ma lo sono sempre nell'animo ovviamente). Nel frattanto ho sperimentato un paio di anni nel pazzoh mondo dell'editoria (che non rimpiango) e ora sono tornata al piano originale: gli archivi e le biblioteche, più precisamente in verità gli archivi.

 Poiché i miei fumetti parlano della mia vita, era fatale che prima o poi sarei finita a parlare di archivio (anche se era già successo negli ultimi anni, sì ho un curriculum complicato, ma sempre attinente al mondo della carta, almeno quello).

 So che il mondo degli archivi e degli archivisti potrebbe risultare meno appassionante, ma a me piace trovare sempre il lato surreale della realtà, la rende più interessante. 

 Ecco quindi il mio primo fumetto official dedicato alla vita in archivio: "I faldoni"!








domenica 28 novembre 2021

La sindrome di Urashima Taro. Tornare a casa dopo anni e scoprire che il tempo non era rimasto fermo, ma solo noi ad essere stati via troppo a lungo

 In questo ultimo anno, in cui ho fatto fortunosamente ritorno alle terre natie, mi sono ritrovata più volte a pensare alla leggenda di Urashima Taro.

Chiunque sia appassionato di manga o letteratura giapponese ne ha sentito parlare più di una volta. Urashima Taro è un pescatore che un giorno esce per mare e salva una tartaruga maltrattata sulla spiaggia.

 Come ricompensa, la regina del mare lo ospita per tre giorni nel suo palazzo grandioso e quando infine lo congeda gli regala una scatola che non dovrà mai aprire.

 Urashima torna a casa, ma scopre che quelli che per lui sono stati appena tre giorni, sulla terra erano invece decine di anni e tutte le persone che conosceva sono morte.
 Disperato, apre la scatola della regina e invecchia di colpo: conteneva infatti tutti gli anni  realmente trascorsi.

 E' una leggenda di per sé molto affascinante, ma credo di averne colto in parte il significato solo nei mesi passati.

 Quando vivevo a Milano avevo sempre la sensazione che il posto dove mi trovavo e il mio paese d'origine si muovessero su due piani temporali diversi. 
 Non perché Milano fosse proiettata nel futuro e il paese mio che sta sulla collina no, era una questione più sottile.

 Tutte le volte che tornavo a casa avevo la sensazione di rientrare in un'altra linea temporale dove la mia vita precedente esisteva ancora in qualche modo, perfettamente o quasi congelata al momento in cui me n'ero andata via. Certo, qualcuno nel frattempo si era sposato e/o aveva avuto figli, si era trasferito o simili, ma fondamentalmente tutto sembrava scorrere allo stesso identico modo, congelato nel tempo, negli anni.

 Bastava prendere un treno e potevo tornare al momento in cui ero partita e, siccome le vacanze sono ingannevoli, mi sentivo anche la persona che era appena partita: bastava prendere un Frecciarossa e avevo di nuovo ventiquattro anni.

 Riprendevo il Frecciarossa per tornare a Milano e la me stessa adulta, con una faticosa e per carità, sicuramente più appagante di tante altre, vita adulta da affrontare e gestire.
 Questo parallelismo temporale mi ha sempre molto confuso e sicuramente i libri e i film hanno avuto un ruolo, come in verità ce l'hanno nell'immaginario di tutti noi.

 Nei film, solitamente natalizi e di buoni sentimenti, ma non solo, il protagonista che è partito verso la vita da lui/lei sognata nella grande città, finisce per tornare a casa, solitamente per i soliti tre motivi: qualcosa lo costringe (un lutto, un'eredità, malattia di qualche parente), perde il lavoro e l'unica alternativa alla strada è la casa dei propri genitori, c'è una qualche festività.

 In questi casi, tendenzialmente il protagonista parte diffidente: si diverte pazzamente nella big city ed ehi è arrivata la tanto sospirata promozione (a meno che non sia il caso del licenziato che vede andare in briciole la propria vita in 3 secondi netti) e torna al paese. Lì, tutto è immutato: i genitori litigano, gli amici sono sempre uguali e al massimo qualcuno ha messo su famiglia, tutti i negozi sono al loro posto e tutti sembrano sempre fare le stesse rassicuranti cose.

 Il setting è perfetto. Tuttavia, se nei film è DAVVERO così, cosa che solitamente convince il protagonista a mollare la sua vita perfetta per riscoprirsi vicino ai valori di un tempo e solitamente anche al manzo o alla gnocca di un tempo, nella vita è più semplice che si venga travolti dall'effetto Urashima Taro.

 Tu torni e ti accorgi che le persone che conoscevi non esistono più. Sono diventate altre persone e la linea temporale che ti sembrava rimasta immobile perché dopotutto dieci anni volano in un soffio e non sembrano davvero tanti, è andata tragicamente avanti.

 Tutto è cambiato e ritornare ha una fatica non prevista, un ricavarsi nuovamente uno spazio che si dava scontato perché insomma ce l'avevamo, non pensavamo potesse sparire. Invece siamo semiestranei che tornano a inserirsi in un mondo che un tempo conoscevano bene e che è andato avanti facendo a meno di loro.

 Non che sia perdutamente tragico ed è sicuramente proporzionale al tempo che abbiamo passato, come Urashima, in fondo al mare, altrove. Tuttavia è solitamente privo di quella deliziosa magia per lo spirito dei film dei grandi ritorni a casa, in cui tutti sembrano non avere niente da fare che aspettare il ritorno di qualcuno che un tempo conoscevano molto bene.

 La cura esiste ed è la stessa di Urashima: recuperare tutti gli anni perduti, in un colpo solo, e lasciare che quella linea temporale che si credeva interrotta torni di nuovo a correre e recuperi tutti i giorni che credevamo fermi nel passato.

 Le linee del tempo si raccordano e noi diventiamo di colpo più adulti o anziani, a seconda di quanto siamo stati lontani, perché lo scorrere del tempo raggiunge ogni luogo, anche quello che credevamo salvo.

domenica 21 novembre 2021

La Dolcevita di Dolcemetà! "Il piennolo"

Nonostante sia alle prese con la mia venuta a Torino per ben 2 matrimoni decembrini (ma come mai a Torino vi sposate a dicembre? E' un'usanza locale?), sono riuscita a trovare il tempo per una nuova esaltante puntata della Dolcevita di Dolcemetà, questa volta alle prese con problemi ancora più a sud del Lazio!
"Il piennolo"!





giovedì 18 novembre 2021

Letture disordinate di estati ragazzine. I libri casuali delle mie estati interminabili dei tempi che furono tra Pocahontas, baby sitter, donazioni bolognesi e cover anni '70

  Innumerevoli miei post iniziano ormai da anni con la rievocazione delle mie estati in Sardegna. 

Tre mesi l'anno senza tv, all'epoca senza ovviamente cellulare o computer, insomma senza niente di niente: SOLO libri e quaderni e ovviamente mare. 

 Non lo dico per fare come le pagine di fb che ricordano tempi inesistenti in cui i bambini giocavano a calcio per strada mentre dalle finestre splendide nonne dalle crocchie lattiginose lanciavano loro piogge di Rossana e gelati Sammontana, ma per contestualizzare la vicenda.

 Per mia ENORME fortuna, nel posto dove passavamo l'estate, c'era una splendida libreria, ma ciò non bastava comunque a riempire le mie giornate visto che non avevo il budget di Rockfeller da investire in libri sempre nuovi. 
 Il risultato è che quindi per anni ho ingoiato letture completamente casuali e disordinate. 

 Molte erano frutto degli allegati di "Gente", giornale a cui mia nonna è stata storicamente fedele e che amava elargire libri con un dubbio piano editoriale (almeno dubbio per me, mai capita la ratio, se c'era), altre vennero da una donazione che ci fece la nostra storica vicina di casa bolognese.

 Era, la sua, una strana bibliografia per una bambina a cavallo tra gli anni '80 e '90, molto moraleggiante e quasi, devo dire, fantascientifica, ma si faceva leggere (e soprattutto, quando non hai niente da leggere, ingoi TUTTO). 
 In questi giorni ho ricordato una sua perla della quale avevo parlato eoni fa in questo post sui traumi infantili (il blog esiste ormai da taaaaaaanti anni e non lo avevo dimenticato): "Pel di carota".

Questo strano libro autobiografico in cui Renard ricorda la sua infanzia ai limiti dell'orrore,
all'epoca mi impressionò tantissimo ed ebbi, me lo ricordo precisamente, la sensazione che in verità non fosse davvero un libro per ragazzi perché raccontava tutta una serie di faccende con estrema crudezza.

 La trama, per chi non lo sapesse, parla di questo bambino dai capelli rossi che sua madre, per motivi non ben chiari, detesta a morte preferendo i suoi due fratelli maggiori che a loro volta lo vessano. Ovviamente il clima non proprio friendly della casa, tira fuori il peggio da questo bambino che si sente rifiutato e inizia a credere di essere DAVVERO cattivo dandosi ad atti discutibili come il maltrattamento degli animali. 
 C'è persino un pezzo sul finale in cui blandamente si accenna al fatto che tenta al suicidio e la madre, perfida delle perfide, commenta che lo avrebbe sicuramente fatto per attirare l'attenzione.
 Mi ricordo una seria sensazione di perplessità e malessere, e mi stupisco che questo libro sia ancora considerato un classico della letteratura per ragazz*.

 Comunque, ho deciso di deliziarvi con i miei ricordi più lucidi delle letture delle mie estati di isolamento insulare.

Purtroppo, tra i libri molto vecchi e la mia memoria molto labile, non sono riuscita a ritrovare tutti i titoli:


LA BIOGRAFIA DI POCAHONTAS:

Ho cercato di risalire all'edizione che lessi, ma con scarso successo. Posso dire che era l'allegato a qualche giornale ("Oggi" o "Gente") e aveva una copertina rossa con l'immagine di una donna, spero Pocahontas, al centro.

 Vagava per casa di mia nonna (facevamo vacanza in case tutte vicine) e lo lessi attendendomi la storia della Disney, una delle poche devo dire che non mi ha annoiata visto che, ve lo confesso, non sono mai stata tra le fan più sfegatate della Disney neanche da bambina.

In verità scoprii che la vita di Pocahontas che era davvero coraggiosa e ardimentosa del film, era stata assai più complessa.

 Dopo la famosa storia con John Smith infatti, la nostra aveva sposato un altro inglese (Smith infatti era tornato in Inghilterra per curarsi senza mai più far ritorno nelle americhe) ed era poi venuta in visita in Europa, in terra d'Albione, dove poi con un effettivo colpo di scena rincontrò il suo antico amico.

 Non conoscevo ancora molto del colonialismo, ma in generale avevo la sensazione che Pocahontas non avesse fatto un grande affare a lasciare la sua tribù originaria. Ben più del lato avventuroso della vicenda, mi colpì come in Europa la considerassero strana, un fenomeno esotico, e non come una persona vera e propria. La morte per una delle varie malattie non ben definite dell'epoca, mi convinse definitivamente che avrebbe fatto assai meglio a rimanere con nonna Salice e suo padre.


IL CLUB DELLE BABY SITTER:

 Collana che era famosissima in America, ma che credo e temo non abbia mai preso davvero piede in Italia, parlava di queste amiche, ragazze adolescenti, che per racimolare qualche soldo fanno le baby sitter. Per me, che all'epoca ero loro coetanea e non mi era permesso neanche di dormire a casa delle mie amiche, erano il simbolo dell'indipendenza e dell'emancipazione.

 Lessi infinite volte "Claudia e le lettere anonime" in cui la protagonista è alle prese con un'insufficienza in inglese, ma soprattutto con una specie di protostalker che le invia lettere anonime.  
 
Nonostante tutto lei non dice niente ai suoi e informa solo le sue amiche del club, quindi la storia va avanti al cardiopalma tra babysitteraggi in cui deve continuamente guardarsi alle spalle e improbabili cene coi bambini che le vengono lasciati in affidamento a base di pollo fritto e gelato.

 Pensavo che essere un'adolescente baby sitter americana fosse un sogno.

 Peccato che, visto il mio notorio savoir faire con i bambini, è stato uno dei pochi lavoretti tipici dei gggggiovani che non ho quasi mai fatto.


OTTO GIORNI IN UNA SOFFITTA di H. Giraud:

Libro di incredibili buoni sentimenti, lo rilessi a oltranza perché, esattamente come molti altri libri, mi colpì la straordinaria vividezza col quale veniva descritto il cibo (non credo fossero i motivi più nobili per farselo piacere).

 Una bambina, orfana, riesce a trovare rifugio nella soffitta di una famigliola quasi del mulino bianco. 

 Non ricordo bene da cosa fugge né come finisce nella soffitta, ma viene scoperta dai tre fratellini che abitano in casa e che stanno vivendo anche loro un drammatico momento nonostante gli agi: la loro mamma, un esempio totale di rara bellezza e virtù, è infatti malata. 

 I tre decidono che la bimba è degna di essere accolta quale sorellina e non denunciano a nessuno la sua presenza, bensì per otto lunghi giorni trovano il modo di nutrirla e di renderle più comodo il soggiorno con mille e più stratagemmi.

 Il finale ovviamente non è molto spoiler: la mamma torna, i bimbi confessano, la bimba è un incanto e una delizia e viene adottata. Malgrado la melassa lo ricordo ancora con affetto.


LIBRO AMBIENTATO IN UN COLLEGIO PER SIGNORINE:

 Ecco, questo libro, del quale ricordo la trama anche con precisione (ma niet, non sono riuscita a ritrovare il titolo), era all'epoca per me una sorta di mistero. Il mistero poi si è dissipato negli anni, quando mi è stato chiaro come fosse stato scritto chiaramente per ragazzine di un'altra epoca.

 La protagonista della storia è una ragazzina ricca e tutto sommato abbastanza normale per i nostri tempi. E' vivace, ha interessi che vanno oltre lo spazzolarsi i capelli, corre per casa ed è estroversa. 
 E' orfana di madre, figlia unica e ovviamente è la luce degli occhi di suo padre che le consente tutto FINCHE' la matrigna, che a quanto pare le vuole tanto bene e lo fa davvero solo per il suo bene, convince l'uomo a spedirla in collegio perché non è più una bambina e ha bisogno di un'educazione per signorine.

 Lei parte, ovviamente recalcitrante, e in collegio vive varie avventure dapprima alla Gianburrasca, poi col passare del tempo sempre meno concitate. Al termine della storia infatti, è stata addomesticata esattamente come voleva la matrigna ed è diventata la brava e dolce ragazza composta che tutti desideravano.

 Motivo di profondo mio sconcerto (oltre al lavaggio del cervello ovviamente) era la presenza della sua compagna di stanza: una ragazza del popolo, bella, buona, dolce, composta, un esempio di ogni virtù che con la sua influenza benevola finisce per portarla sulla retta via. La santa Maria Goretti della situazione sposa, infine, un professore assai più adulto (ma tanto vuoi che una diciassettenne cresciuta in un collegio per educande non sia matura? Ma che scherzi?) e la protagonista, ormai ragazza, torna dal padre.

 Sul treno, circonfusa da timidezza (che non conosceva quando è partita ed era una ragazza volitiva) e civetteria, incontra un tizio e insomma, il genitore vedendola arrivare si felicita che sua figlia sia diventata finalmente normale, la matrigna trionfa e probabilmente si stanno per spalancare le porte per un nuovo matrimonio post adolescenziale con un ignoto incontrato sul treno.

 Alcuni dettagli della trama potrei non ricordarli con esattezza, se qualcuno sa il titolo mi faccia sapere, fortunatamente non credo sia più in circolazione.


LIBRO PER RAGAZZE ANNI '70:

Questo romanzo del quale purtroppo ricordo pochissimo nonostante lo abbia letto millemila volte (non c'erano abbastanza traumi per incidermelo nella mente evidentemente) è probabilmente interessante come segno del cambiamento dei tempi e dei costumi. 

 Dai miei ricordi molto vaghi della copertina sono riuscita a capire che doveva trattarsi di un romanzo "per ragazze" delle ed. Malipiero.

Per farvi capire
 Se vi fate un giro su google capirete anche come faccia ad avere questa certezza: l'illutrastore o illustratrice dell'epoca ha fotografato alla perfezione la moda anni '60-'70, e io ho questo ricordo di una ragazza in abiti assai simili (purtroppo non mi è sembrato di riconoscerla in quelle che finora ho scandagliato nel webbe).

 La trama non la ricordo quasi per niente, come al solito mi sono rimaste impresse solo le cose che mi impressionarono. La protagonista, esattamente come nel caso del libro precedente, è una studentessa vivace e sfrontata, con poca voglia di studiare e, come si direbbe, un po' guascona.

 Ovviamente tutti cercano di insignorinirla con scarso successo e lei non trova mai la voglia di studiare nonostante le continue insistenze che riceve. Non ricordo neanche come si chiamasse MA aveva un paio di cugine odiose, di cui una si chiamava NIVES.

 Lo ricordo perché all'epoca non ero convinta si trattasse davvero di un nome. Non avevo mai sentito nessuno chiamarsi così (ammetto di non conoscere nessuno neanche ora) e non so perché ero davvero dubbiosa sul fatto che fosse un nome proprio di persona e non un soprannome o un cognome.
 Se qualcuno lo ricorda, mi faccia sapere.

 Ecco, queste sono le letture di ragazzina che ricordo con maggior definitezza, oltre ovviamente a Minnie & Company che stranamente i miei genitori comprarono di loro spontanea volontà in edicola.

 Credo che ogni tanto si sentissero rassicurati dal fatto che mi piacesse qualcosa considerato da femmine e in effetti Minnie & Company mi piaceva sul serio. 

Mi sembrava finalmente che Minnie e le varie personagge femminili avessero finalmente la loro giusta attenzione senza che la loro presenza fosse per forza subordinata a Topolino e Paperino (che del resto vivevano tante avventure a prescindere dalla loro esistenza, quindi non si spiegava perchè non potesse accadere il contrario).

 Se qualcuno riconosce le storie senza titolo di cui ho parlato faccia un fischio, mi piacerebbe ritrovarle, purtroppo quei libri sono andati perduti ormai anni fa!

lunedì 8 novembre 2021

Piccole recensioni tra amici! Letture a tema halloweenoso: "Il filo avvelenato" di Laura Purcell e "Mucchio d'ossa" di Stephen King

 In questi ultimi tempi di libri ne sto leggendo un bel po', se ne recensissi anche qualcuno non è che sarebbe male.

Cerco oggi di tamponare con bel piccole recensioni tra amici (casualmente a tema halloweenoso visto che ottobre è comunque appena passatoprima di tornare a disegnare un assolutamente non richiesto fumetto a tema archivistico mentre finisco "Squid game" (che riesco a guardare con molta difficoltà poiché va visto tassativamente quando Dolcemetà non è a casa essendo ella grandemente impressionabile). 

  A margine, dopo anni di manga giapponesi non è che io mi stupisca più molto e trovo anzi che questa storia, al contrario di molti manga in cui la violenza è assolutamente gratuita, abbia almeno un'interessante chiave di lettura: lo spietato mondo capitalista. 

 Tuttavia, poiché è una chiave di lettura un tantino raffinata per dei bambini delle elementari, mi domando quale folle genitore abbia lasciato che il proprio pargolo lo guardasse (mi riferisco all'episodio avvenuto in Piemonte in cui dei bambini di terza elementare hanno attuato una sorta di gioco imitativo). 

 Fatta questa bacchettonata (ma lo dico anche per i bambini, io lo avessi visto a 8 anni non avrei dormito per settimane, come mi accadde quando i miei cugini mi fecero vedere "Nightmare" a Natale, ancora li detesto), posso lanciarmi nelle mie recensioni!


IL FILO AVVELENATO di Laura Purcell ed. Mondadori: 

 Il primo libro dell'autrice, "Gli amici silenziosi", mi era piaciuto moltissimo. 

 Bella l'atmosfera gotica, interessante il finale, bella persino la copertina fatta apposta per suggerire il segreto della trama, avevo perciò grandi aspettative su questo secondo.

In gran parte non sono state disattese. "Il filo avvelenato" è una storia dickensiana che sembra fatta apposta per diventare una serie Netflix: Dorothea Truelove, giovane ereditiera rimasta orfana di madre da bambina, è una grande indagatrice dell'animo umano che sogna di cambiare le menti criminali grazie all'uso della frenologia.

  Questa stramba pseudoscienza prevedeva che dalla forma del cranio si potesse indovinare il carattere dell'individuo con tanto di inclinazioni malvagie e benevole.

 Per avere prove a sostegno della sua teoria, Dorothea si reca in un carcere femminile dove passa del tempo in compagnia di alcune detenute. E' qui che conosce la giovane sarta Ruth Butterham, accusata di aver ucciso la sua padrona tramite un lento avvelenamento.

 La storia di Ruth prende presto il sopravvento sulla narrazione. Una lunga serie di sventure, tradimenti e sfruttamento mangia la sua breve vita, ma la verità non è necessariamente quella che Ruth si racconta e racconta.

 La storia è molto appassionante, di certo adatta a chi ama i romanzi inglesi d'epoca vittoriana, tuttavia, dopo una lunga e particolareggiata progressione, l'autrice chiude un po' troppo frettolosamente, lasciando non tanto Ruth quanto Dorothea (che ha altri problemi, anche se non sapeva di averne) in sospeso.

 In ogni caso è davvero una lettura godibile. Bisognerebbe lanciare un appello affinché gli scrittori evitino di farci queste sorprese sul finale. Se leggiamo un libro, vogliamo un finale soddisfacente.


MUCCHIO D'OSSA di Stephen King:

 A proposito di autori che hanno problemi coi loro finali, ecco Stephen King che tuttavia in questo romanzo insolitamente violento, fa del suo meglio per non scadere nel solito trash anni '80.

 Su fb, in molti mi avevano messo in guardia contro questa storia (le mie letture di King sono guidate ultimamente da motivi poco studiati: a seconda di quello che trovo alla mia libreria dell'usato) che ritenevano non tra le migliori di King. 

 Stranamente invece, devo dire che mi ha preso subito nonostante la componente sovrannaturale sia sì presente, ma assolutamente secondaria agli orrori che la realtà può riservarci.

 La storia ha per protagonista, come in molti libri di King, uno scrittore Mike Noonan, che, a seguito della morte improvvisa della moglie, perde la sua vena creativa. Dopo qualche anno, nel tentativo di risollevarsi, decide di trasferirsi per qualche tempo nella loro residenza estiva nel Maine, uno splendido villino chiamato Sarah Laughs.

 Poco dopo essere arrivato, trova in mezzo alla strada una bambina di tre anni, Kyra, e la salva riconsegnandola a sua madre, la bellissima e giovane Mattie, vedova del figlio di un ricco e malvagio magnate dell'informatica che vorrebbe toglierle la figlia.

 Colpito dalla vicenda e attratto dalla ragazza, Mike decide di aiutarla nella battaglia legale e le procura un avvocato che inizia subito a lavorare al caso. Da quel momento in poi, la comunità del piccolo paese inizierà a isolarlo: tutti sono legati a Max Devore e in verità il passato di quella che sembra un delizioso luogo turistico da sogno, non è così limpida.

 Ci sono i fantasmi proprio come uno se li immagina a infestare case, spostare lettere dal frigo e lasciare aliti di vento gelido, ma l'orrore vero è crudo, reale e trova nella malvagità umana e nelle sue meschine vendette uno dei finali più agghiaccianti e terribili di King.

 Perché finché a far impazzire il protagonista o chi per lui è qualche arcano spirito degli indiani d'America, un'invasione aliena o uno mistico mostro proveniente dalle viscere del tempo, è un conto, ma quando la crudeltà è semplice e lucida malvagità umana, è completamente un'altra storia. 

Molto più terribile. Devo dire che a me è piaciuto moltissimo nonostante il finale sia una mazzata considerevole. Lo straconsiglio.

lunedì 1 novembre 2021

La Dolcevita di Dolcemetà! "I caloriferi"

Col favore dell'autunno e della pioggia, con Halloween ormai drammaticamente alle spalle, conto di riuscire a fumettare un po' di più. Ecco perciò per voi una nuova puntata di la Dolcevita di Dolcemetà, una serie di cui troppi episodi sono andati purtroppo perduti.

 "I caloriferi"!




mercoledì 13 ottobre 2021

La sensazione del danno. Una recensione di "Mi stai ascoltando?" di Tillie Walden, quando il dolore travolge tutto ciò che è fuori e dentro di noi

 In questi tempi assai difficoltosi, dove talvolta sembra di camminare sulle uova ed è difficile inserirsi e comprendere la portata della rivoluzione che stiamo vivendo, una costante sembra essere la necessità di essere ascoltati.

In molti, ma soprattutto molte dicono di aver trovato coraggio dopo molti anni di parlare di un qualcosa di grave e traumatico solo quando hanno trovato qualcuno che gli disse ascolto.

 E' una sensazione che abbiamo provato tutti nella vita, l'ho provata anche io.

 Uscita da un contesto di lavoro molto pesante, ho trovato un sostanziale muro davanti al mio disagio: quello che ti è successo era davvero così grave? Non è forse quello che prima o poi accade a tutti nella vita? Perché dovrebbe essere speciale? Ma soprattutto, perché non dimentichi e vai avanti? Tutti viviamo qualcosa di spiacevole e rimestare nel passato non serve a niente.

 Fondamentalmente io ho avuto e ho tuttora questo approccio: evitare di rimestare e andare avanti. Il tempo della vita è limitato e spenderlo a girare su sé stessi non serve a niente.

 Ma accade, certe volte, di avere la sensazione esatta di aver subito una sorta di danno, come una macchina che, oltre al bozzo, si trova ad avere una luce rotta, un problema alla frizione, un qualcosa che impedisce di continuare a viaggiare bene.

Tu vuoi ignorarlo e continuare a guidare, ma non puoi.

I modi per uscire da questa impasse sono molteplici e talvolta coinvolgono degli specialisti, ma spesso misuriamo l'entità del danno dalla quantità di ascolto che riceviamo: se è poca, ci diciamo, non è davvero così importante.

 

 Il libro di Tillie Walden ragiona su alcuni grandi temi, tra i quali l'ascolto. In alcuni momenti lo fa in modo ingenuo, ma in generale la grande cavalcata onirica alla quale si lascia andare, ha molto a che vedere con l'inconscio e la nostra capacità di interpretarlo.

 Bea e Lou sono due ragazze che si conoscono di vista. Un giorno Lou, che ha da poco perso la madre alla quale era legatissima, incontra Bea in un autogrill e capisce al volo che sta scappando.

 Preoccupata per lei, che è giovane e chiaramente sta procedendo a caso rischiando di ficcarsi in strane situazioni, finisce per caricarla in macchina lasciando che l'accompagni nella sua visita a una lontana zia.

 Le due trovano insieme uno strano gatto, che Bea decide di voler riportare a tutti i costi ai misteriosi padroni.

 Il micio però si rivela un essere incredibile, una sorta di chiave verso un mondo assurdo, dove i paesaggi si confondono, strani esseri le inseguono e giungono in luoghi onirici e inaspettati.

 Lou si rende conto che il salvataggio del gatto è per Bea molto più di quel che sembra e assume le proporzioni di un qualcosa di fondamentale. La sensazione è che salvando quel gatto lei possa in qualche modo riparare un danno. Se qualcuno avesse cercato di aiutarla in tutti i modi, proprio come lei sta cercando di aiutare quello strano magico animale, forse avrebbe potuto (o potrebbe) salvarsi.

Sul bordo di una piscina abbandonata arriva finalmente il momento che tutti, compresi il lettore, stavano aspettando: perché Bea scappa? Da chi e da cosa lo fa?

 E la storia, fino a quel momento dolorosa, ma assurda, prende improvvisamente una piega reale, una piega cruda, quella di un abuso gravissimo e reiterato che Bea trova il coraggio di confessare solo fino a quel momento.

 Bea è disperata perché pensa di non essere stata in grado di reagire, di averlo fatto troppo tardi, di non aver lottato abbastanza, ma Lou le risponde, “Non è colpa tua, mi stai ascoltando?

La storia ha alcune allegorie un po' ingenue in confronto all'enormità onirica che è in grado di raccontare: Lou insegna a Bea ad guidare la macchina, nella sempre esplicita metafora dell'essere in grado di guidare la propria esistenza.

 Ma soprassedendo su queste allegorie della patente, il libro riesce a raccontare la devastazione che ci travolge quando pensiamo che un grande trauma abbia distrutto tutto ciò che c'è dentro e fuori di noi.

 La confusione, il dolore, il sentirsi braccati, il disperato desiderio di portare in salvo qualcosa di noi, anche se tutto sta crollando, anche se siamo stanchi, anche se non ce la facciamo, è trasmesso in un modo cristallino, con una bravura e una profondità incredibili.

 Non cadere nel retorico davanti ad un dramma che preferiremmo non vedere, non leggere, non ascoltare, dimostra un talento che porterà Tillie Walden lontanissimo. 

 E' incredibile la bravura di questa autrice, così giovane e così in grado di essere lucida nell'intercettare il dolore che scegliamo di ignorare. 

 Non avevo particolarmente amato la strana tranquillità dei sentimenti di “Su raggio di sole”, malgrado l'ambientazione fantascientifica incredibile, mentre avevo trovato straordinario “Trottole”, ma credo che in generale questo sia il libro che maggiormente ci mostra ciò che Tillie Walden, da autrice, sarà in grado di dare al mondo.

domenica 3 ottobre 2021

Fatti, libri, artisti e scrittori della provincialagodibracciano. Il sequel di Arancia Meccanica, Gianni Rodari, i Borgia, Velly e molte altre gustose vicende.

E' moltissimo tempo, da ben prima che tornassi nel Lazio, che nella mia testa frulla l'idea di creare un qualche progetto sul lago di Bracciano. 

 Penso che questo autunno, se riemergerò dal lavoro (sto ancora prendendo le misure con la libera professione: si sopravvive? Come?), tenterò l'impresa!

 Nel frattanto do sfogo ad un'altra idea che ho da tantissimo tempo: un post su fatti letterari e artistici in cui la zona del lago di Bracciano è coinvolta. 

Visto che quest'anno grazie alla vincitrice del Campiello, Giulia Caminito, sta vivendo un momento di gloria, quale momento migliore?


CHE LA FESTA COMINCI E ORIOLO ROMANO:

Il lago di Bracciano è una zona che ricomprende, per chi ci vive, anche una parte che straborda nella Tuscia. 
 Esclusa la malvagia Anguillara che ogni tanto tradisce e volge lo sguardo alla periferia nord di Roma, tendenzialmente, per una serie di motivi (tra cui le scuole superiori che sono concentrate a Bracciano) la provincia lagodibracciano ingloba posti esotici come Manziana, Oriolo Romano e Canale Monterano.

 Canale Monterano in verità la conoscete anche se non lo sapete

 Comunemente nota (non si sa perché), come la città dei matti, ha una riserva naturale dove c'è la famosissima chiesa scoperchiata al cui interno è cresciuto un albero e che ha davanti una fontana del Bernini.

Ci ho campeggiato davanti varie volte con gli scout e se vi capita, è un posto davvero suggestivo come narrano le leggende.
 Fortunatamente bisogna scarpinare un po' per arrivare quindi non ci sono le folle ammaestrate, o almeno non c'erano le ultime volte che ci sono andata.

 Comunque, stranamente è la ridente Oriolo Romano ad aver avuto per primo gli onori della narrativa. 

 Si tratta di un piccolo piccolo paese molto grazioso dove si trova una faggeta che è patrimonio UNESCO: si tratta infatti di una faggeta che si è sviluppata ad una quota stranamente molto bassa e anche lì ci ho campeggiato abbondantemente con gli scout (e anche lì non torno da anni e vorrei). 

 La povera Oriolo Romano è stata l'ambientazione di partenza di "Che la festa cominci" di Ammaniti, scrittore per il quale non vado pazza e che secondo me non è stato particolarmente brillante in questo libro. Il paese viene descritto come il classico tristissimo luogo di provincia dove vivono personaggi lombrosiani e all'epoca la cosa mi irritò parecchio. 

 In realtà è un posto molto carino.

 Se ci capitate, capitateci per la sagra del fungo porcino. 


GIANNI RODARI  E MANZIANA:

 Ebbene, forse non tutti sanno che, sebbene Manziana sia piccola e doni alla zona principalmente il suo celebre bosco, un pane particolarmente buono (assieme a quello di Canale, durano una settimana) e la sagra della castagna, in realtà è stata immortalata nelle filastrocche di Gianni Rodari.

 Gianni Rodari aveva infatti a Manziana una casa di campagna dove passava lunghi periodi.

 Se passate, il paese è piccino picciò, ma il bosco è davvero molto grazioso e adatto alle passeggiate (anche se ci pascolano le mucche, quindi calma e sangue freddo).

 Dal secondo libro delle filastrocche

"Le parole di Manziana
Con le parole di Manziana
Voglio fare un A B C
Le metto in fila indiana
E comincio così:
A.. è l’Acqua Precilia,
è l’Acqua Acetosa,
è l’Acqua della Callara
che ribolle senza posa."

PETER NICHOLS:

 Nel centro storico di Bracciano, il rione Monti, in una delle sue piazzette più suggestive che sembra sbucata esattamente dalla mente di uno scenografo americano che immagina come debba essere una tipica piazzetta di un borgo italiano, c'è una casa con una targa dedicata allo scrittore Peter Nichols.

Peter Nichols fu un vaticanista inglese molto noto, corrispondente del Times e autore di alcuni libri sul Vaticano.

 La casa, disgraziatamente, è andata a fuoco qualche anno fa e credo sia tuttora disabitata (da fuori sembra così, ma vai a capire). A parte una targa che commemora il passaggio di Vittorio Emanuele, cosa che ha decretato gli fosse dedicata la via principale, a Bracciano credo sia una delle pochissime targhe a ricordare qualcuno.

 Se ci passate, il luogo è molto suggestivo.


IL SEGUITO DI ARANCIA MECCANICA:

Forse il fatto letterario più eclatante che abbia avuto come scenario il lago di Bracciano, è la riscoperta del sequel di "Arancia meccanica".

 L'autore, Anthony Burgess, visse infatti vari anni in una villa sul lago con la seconda moglie, la traduttrice Liliana Macellari. Tuttavia anni dopo si trasferirono a Monaco e la casa rimase disabitata finché, morto l'autore, gli eredi non decisero di venderla.

 Un sopralluogo rivelò che Burgess vi aveva lasciato anni prima molti testi su cui stava lavorando che sono stati poi spostati a Manchester e analizzati. Lì, si nascondeva il sequel di "Arancia meccanica", o almeno, un'idea di sequel.

 Per provare che non si tratta di una cosa che mi sono inventata, qui potete leggere l'intervista allo scopritore!


JEAN PIERRE VELLY:

All'università feci una tesina in storia dell'illustrazione, incisione e decorazione del libro su Jean Pierre Velly, incisore francese moderno che non ricordo neanche bene come scovai, disperso nel 1990 nel lago di Bracciano, a seguito della caduta dal catamarano sul quale si trovava assieme a uno dei figli.

Jean Pierre Velly arrivò in Italia dopo aver vinto, nel 1966, ad appena ventitré anni, il Grand Prix de Rome per l'incisione. 

 Fu ospite dal 1967 al 1970 dell'Accademia di Francia a Roma, diretta da Balthus,e si trasferì poi a Formello, nei pressi di Roma, dove visse per vent'anni assieme alla moglie e ai due figli.

 Potete vedere la sua opera, le incisioni e i disegni preparatori, su questo completissimo sito dedicato a lui.


JUAN BORGIA e L'ASSEDIO DI BRACCIANO:

Questa ricognizione non poteva finire senza citare uno degli episodi rinascimentali che videro protagonista il castello di Bracciano, gloria locale come il lago. 
 E' un maniero enorme, splendido, che vi consiglio di visitare e che vi accorgerete di aver visto in praticamente ogni sceneggiato tv ambientato durante l'epoca medievale e il rinascimento, grazie ad una coorte interna benissimo conservata, ampia e splendida, come gli interni.

Juan Borgia, sventurato figlio di Papa Alessandro Borgia, nel 1496 pose il castello sotto assedio, ma non riuscì a espugnarlo grazie alla pervicace resistenza dei due signori: Bartolomea Orsini e Bartolomeo d'Alviano che resistettero fino al momento in cui giunsero i rinforzi costringendo il Papa alla negoziazione.

 L'episodio è citato in tutti i libri dedicati alle figure della famiglia Borgia, tra cui il bellissimo "O Cesare o nulla" di Manuel Vazquez Montalban. Questo libro e una splendida mostra che fecero a Roma sui Borgia durante l'anno in cui mi diplomai, causarono in me uno sfrenato periodo di letture appassionate sul tema (che effettivamente potrei proporre in un post).

 

martedì 28 settembre 2021

Le recensioni del ritorno! Come sono andate le mie letture estive? Un ottimo un pessimo, qualche certezza e un così così.

  Dopo un tempo che ormai è abbondantemente oltre la decenza, riesco a fare il post delle recensioni del ritorno, ossia dei libri che quest'anno ho portato con me al mare.

Quest'anno ho compiuto una serie di scelte involontariamente azzeccate: scegliere di andare in vacanza in Sardegna (e non in Puglia, pugliesi non me ne abbiate, ma avevo scelto la parte meno da mare e avrei pianto per due settimane) e fare una selezione di titoli offerti dal fornitissimo negozio dell'usato non lontano da casa mia.

 Questo tipo di approccio, oltre a rendermi la beniamina del movimento del riutilizzo (che comunque ho involontariamente sempre supportato nell'area libri per motivi di povertàh), mi ha offerto un catalogo molto particolare da cui attingere: molti libri fuori commercio, tante vecchie glorie del passato, tanti gialli, pochissime novità.

 Continuerò, a parte i libri che punto con ardore, a usare questo approccio per un bel po' (per i motivi etici, di povertà, ma anche perché è divertente), intanto ecco a voi una parte delle mie recensioni estive.

 Evviva, sono quasi in tempo per il mese di Halloween!!


MILANO CALIBRO 9 di Giorgio Scerbanenco ed. Garzanti:

 Che autore stratosferico che è Scerbanenco!

 Un uomo dalla vita romanzesca, figlio di un ucraino e di una romana (conosciutisi a Roma) nato a Kiev, vissuto a Roma fino alla sua giovinezza per poi approdare nella grigia, ma poliziottesca, crudele e affascinante Milano.

 E' per me in assoluto uno degli autori italiani più bravi del '900, poco stupidamente considerato perché si dedicò ai soli generi di mass market, su tutti il giallo, il giallo all'italiana, il poliziottesco all'italiana.

Nelle sue storie si vede la mala lombarda, lo scintillio crudele dei gangstar spietati, cupe vendette, ragazzi senza morale, la borghesia che ammazza per mantenere intatto il suo volto più falso, gli emarginati che diventano gli assassini più efferati, contrabbandieri, ragazze dal viso ingenuo pronte ad accoltellarti alla schiena, ingegneri che adescano giovani innocenti. 

 Nel mondo di Scerbanenco c'è la parte oscura della società raccontata in modo pulp, ma non disturbante, con intelligenza, ma anche con una proprietà di linguaggio e una capacità di narrazione eccezionali.

 "Milano Calibro 9" è un concentrato di assoluto splendore narrativo. Piccoli racconti che arrivano come pallottole, inaspettati, terribili, spaventosi. Non fanno sconti a nessuno, non prendono di mira nessuno in particolare, siamo tutti dentro all'orrore, come in una delle vecchie storie di Dylan Dog, quelle che scriveva lo Sclavi dei bei tempi.

 Bellissimo-issimo-issimo il racconto gangsta-partigiano, "Ricordati di cuore infranto", così insolito che quasi sarebbe da dare a scuola: un delinquente stanco che lavora al confine tra Svizzera e Italia riconosce il tedesco che torturò i suoi compagni di brigata coi lanciafiamme fino a ucciderli o a farli impazzire di paura.

 Di colpo la stanchezza dei suoi anni di emarginazione scompare e torna ad essere il comandate di brigata, giovane, pieno di ideali, la persona piena di vita che era prima di quel drammatico giorno, torna ad essere il partigiano "Cuore infranto". E ha una vendetta da compiere.

 Non so se sia abbastanza beneducato per il programma scolastico (temo di no), ma merita di girare, come merita anche il suo capolavoro, "Traditori di tutti", in cui la soluzione si nasconde anche qui molto lontano, nei peccati degli anni della guerra.

 LEGGETETELO. FATELO LEGGERE. 


L'ALBERO DEI GIANNIZZERI di Jason Goodwin ed. Einaudi:

 Ricordo quando uscì questo libro, il primo di una serie. Vendette moltissimo, ma non so perché aveva qualcosa che non mi convinceva. Stupida me.

E' uno dei gialli più belli letti in questi ultimi anni. La trama, soprattutto verso la fine, mostra qualche cedimento, ma è in tutto e per tutto un gustosissimo giallo d'ambientazione e avventura, tanto che mi stupisce non ne sia stato tratto un film.

 1836. Impero ottomano. Il protagonista è Yashim, un eunuco di alto livello (non chiedetemi i livelli degli eunuchi perché è una di quelle cose per le quali l'Einaudi avrebbe dovuto investire in un apparato di note, visto che non è pensabile che un lettore medio sia esperto di impero ottomano), si trova a investigare su due questioni diverse e parallele: la scomparsa dei gioielli della valide, la madre del sovrano, e sulla scia di omicidi che vedono vittime la nuova guardia imperiale.

 Si teme in una recrudescenza dei Giannizzeri, un corpo militare secolare divenuto talmente potente nel tempo da diventare una minaccia per il sovrano stesso. Una volta sciolti, in un bagno di sangue, i Giannizzeri sembrano però essere tornati a cercar vendetta.

 L'ambientazione è insolita, esotica, favolosa, interessante e affrontata con una perizia che Goodwin evidentemente possiede. Vi verrà voglia di sapere tutto sull'impero ottomano, di mangiare in un ristorante turco, di scoprire la storia della Polonia e molto altro.

 E soprattutto vi rimarrà al voglia, come me, di leggere i successivi.


IL GIALLO DI MONTELEPRE di Gavino Zucca ed. Newton&Compton: 

 Si tratta del secondo libro di una serie gialla ambientata a Sassari nel 1961

 Il protagonista è un commissario trasferito da Bologna per qualche motivo che probabilmente spiegano nel primo libro, ma non nel secondo (comunque sti commissari combinano sempre qualche casino).

 Ecco, questo è già uno dei difetti della serie: siccome può capitare che gente come me non legga la serie in serie, magari spiegare chi quando cosa e perché dei vari personaggi non è male.

 Certo, per chi ha letto il primo sa di spiegone per mezza pagina, ma succede spesso e il lettore medio di gialli lo sa.

 Per il resto la trama è una robetta leggerina e già rivista (un paio di omicidi, un segreto nel passato, due gemelli identici), l'ambientazione sarda boh rimane un filino molto sullo sfondo.

 I protagonisti sono tutti molto borghesi, ma non gli riesce il gioco di De Giovanni che sa parlare della miseria della Napoli di Ricciardi anche se punta l'obiettivo principale su nobili e notabili. Qui tutto rimane a livello estremamente superficiale e potremmo essere un po' ovunque sostanzialmente.

 Diciamo che trama leggera, personaggi poco caratterizzati, un'ambientazione poco sfruttata, anche gli anni '60 che boh ci sono, ma non ci sono. Non mi sento onestamente di consigliarlo, ma ci sono molti altri gialli assai più gustosi a cui dedicarsi.

 Di sicuro è stato un plus portarmelo in Sardegna, ma lì l'ho lasciato, nella bibliotechina del B&B.


TISANA LETALE di Brigitte Gasler ed. Emons: 

Quale cocentissima delusione.

 Quando cerco nuovi autori, so che c'è sempre la possibile possibilità che mi vada male. Quello che mi sconcerta è che, quando mi va male, va veramente molto male. Mi era capitato qualche anno fa con il terribile "Tempesta solare" di Asa Larsson e mi è ricapitato quest'anno con l'altrettanto terribile "Tisana letale".

 Eppure, vi assicuro, c'erano tutti gli ingredienti perché fosse un bel giallo estivo: una vacanza detox, una spa, tisane, una cuoca in vacanza. E invece.

La cuoca Katrina ha la tendinite perché, come tutti gli chef, lavora troppo (e come tutti gli chef non trova ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel minare il proprio fisico per lavorare). La sua amica Adela ha vinto un buono per due da passare in una sorta di spa nei boschi dove si digiuna ingerendo solo tisane, passati e frullati in minima quantità. Un sogno insomma.

 L'idea sembrava un po' alla Agatha Christie, tipo "Dieci piccoli indiani". E invece.

 La Gasler si ficca in una serie di scene scombinate, ridicole e sopra le righe: nei boschi attorno alla spa vivono infatti degli uomini tipo incel che sono per la dominazione del maschio alpha, ingurgitano carne per far vedere quanto sono maschi e odiano i vegani. Ovviamente tra gli ospiti della spa ci sono 2 o 3 vegane che a un certo punto cercano di salvare un maiale destinato alla macellazione dagli incel.

 In tutto ciò muore gente, ma non sembra fregare a nessuno. La spa continua a rimanere tranquillamente aperta e non viene posta sotto sequestro, una poliziotta (evidentemente pazza) dice alla cuoca di indagare lei perché tanto hanno un amico in comune e sa quanto sia in gamba, tutti bevono tisane e a più di metà del libro non si sa ancora quale sia la trama.

 Un libro davvero brutto che vi sconsiglio con calore. Non l'ho finito e l'ho ricondotto all'infinito ciclo dell'usato.

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