Zerocalcare, Zerocalcare, Zerocalcare.
Sono giorni che anche l'Italia che non legge fumetti ha scoperto l'esistenza di quello che è l'autore fenomeno degli ultimi dieci anni. Non autore di fumetti fenomeno, ma proprio autore di tutto il comparto letterario in generale, con anzi, ancora maggior meriti perché diventarlo partendo da una forma espressiva bistrattata lungamente in Italia ha ancora maggior merito.
E' giunto quindi anche per me il momento di fare la recensione di "Strappare lungo i bordi" (è giunto perché sembra strano che non la faccia).
In verità non mi ci sono immediatamente buttata a pesce perché quello che per molti è una scoperta eccezionale, a me sembra in generale la conferma di un talento che già era esploso sin dal suo esordio con "La profezia dell'armadillo".
Trovo anzi forse significativo che sia arrivato alle ancora più masse grazie a una serie che è chiaramente una sorta di rilettura, riedizione, reboot, della sua prima storia.
"La profezia dell'armadillo" raccontava uno Zero con una dozzina di anni di meno, quindi ancora legato a molti di quei ricordi adolescenziali che poi, nei dieci anni di vita successiva, tendono a sbiadire e perdere di significato.
Ma la struttura narrativa è rimasta la stessa (come, più o meno, anche la trama) ed è a mio parere quella in cui la narrativa dell'autore funziona meglio: una cornice e tanti piccoli episodi tragicomici che sembrano slegati tra loro eppure funzionano benissimo.
Trovo che i suoi tentativi di trama più romanzesca in senso classico abbiano sempre un fatale momento di debolezza come fosse quasi necessario sottoporsi, pur preferendo altro, alla grande prova della grande storia per essere considerato un vero autore. Falsità, ogni autore funziona meglio con una forma di racconto specifica, o almeno questo è il mio misero parere.
Comunque a me sembra che "Strappare lungo i bordi" sia una conferma e che il più grande talento di Michele Rech sia in verità una qualità rarissima: egli riesce a leggere con estrema lucidità il vissuto della sua specifica generazione (che poi è anche la mia visto che abbiamo 1 solo anno di differenza).
Questo non è che vuol dire: ah sì, ma guarda è un attimo è, come fare la pasta col burro, ci riescono tutt*. No, in verità è una cosa difficilissima.
Ci si perde la ragione nelle case editrici a cercare di individuare l'autore generazionale, il Tondelli della situazione che spem di colpo mette su carta (o in video) il linguaggio, l'immaginario, i ricordi, le ansie, i sentimenti di una generazione.
E' un mix talmente complesso da ottenere in modo naturale (di solito si procede randomicamente con buchi nell'acqua o inquietanti tentativi artificiali, non fatemi fare nomi) che può accadere non se ne trovi nemmeno uno per ogni generazione.
Con Zerocalcare è accaduto. Non è neanche stato subito chiarissimo, anche in ragione del mezzo espressivo. Eppure ha avuto un senso generazionale anche che abbia usato il fumetto e ora il cartone animato (dai, da millennial posso chiamarlo così).
Una generazione di genitori ha sottovalutato ampiamente quanto l'esposizione massiccia a cartoni e fumetti giapponesi abbia potuto insinuarsi in modo fatale nel passato e nell'immaginario dei trentenni (anche quasi quarantenni tra un po' dio mio..) odierni.
Come in tutti i rasoi di Occam, quando la risposta più semplice è quella giusta, non riesco perciò a trovare particolare sorpresa nei confronti di quella che è un'ottima serie, nella quale Zerocalcare è stato fedelissimo alla sua produzione e a tutto quello che ha sempre raccontato nel modo.
L'unica pecca è forse qui è lì l'essere troppo didascalico, ma perché capisco anche che a campare con 56381678 ansie finisci sempre per giustificarti pure quando non serve così eviti molte rogne.
E' in verità anche questa una costante della sua produzione e forse in un futuro in cui saremo vicini all'età di Gep Gambardella e sapremo coglierne l'insegnamento, si sentirà abbastanza libero per non mettere vertordicimila mani avanti non appena può.
Ah, a margine, la polemica insensata sul dialetto.
Dolcemetà ha dovuto mettere i sottotitoli, come, ho scoperto, molta gente. Il punto è che non li ha messi tanto per il dialetto, anche perché in verità non parla in dialetto, quanto per il fatto che Zerocalcare è una di quelle persone che parlano a una velocità raddoppiata.
Se non sei autoctono è ovvio che appena ti incagli nella prima parola non decodificabile in modo immediato in italiano, tempo che ci pensi e sei già 30 battute avanti. Questo vuol dire che è forse deprecabile che Zerocalcare utilizzi locuzioni dialettali e che evochi il purismo della lingua?
Ma giammai! Mi godo il mio lazial privilege in barba a tutto il resto d'Italia, conscia di capire al volo la mia lingua madre e conscia anche del fatto che è una lingua zerocalcariana (alla fine regà non è manco dialetto, è un italiano regionale con alcune locuzioni romanesche) senza la quale Zerocalcare istesso non avrebbe senso.
Non è un attore, non è neanche un autore costruito, è una persona di enorme talento che è riuscita a parlare di una generazione parlando di sé stesso. Se inizia a interpolare con robe che non c'entrano niente come una dizione della crusca che nella vita reale non userebbe mai è finito tutto.
Per il resto. Ho letto che tutt* sono entusiast* della storia dei fili d'erba e delle perle di saggezza di Zero. Tutto giusto, ma da una parte nei libri c'è già tutto ciò quindi ripeto che mancava l'effetto sorpresa, dall'altra io sono una persona orribile da quel punto di vista. Sono una persona sulla quale questo tipo di discorso ha un effetto nullo, è un linguaggio che considero, questo sì, completamente estraneo.
Mi manca tutta quella parte di elaborazione poetica del contesto e faccio proprio fatica ad empatizzare.
Preferisco di gran lunga i momenti di identificazione (es. il dramma dei rapporti su MSN in cui ti sentivi Keats quando dovevi scrivere, poi quando ti incontravi non sapevi manco salutare), ma, insomma, a ciascuno il suo.
E' bello anche che nella vita tutti si appassionino a lati diversi di una stessa narrazione e attendo trepidante la prossima stagione.
Ps Il mio episodio preferito è quello del divano di spade. L'ho rivisto un paio di volte e ho riso entrambe come una pazza.
è manco dialetto
RispondiEliminaIo vengo dall'estremo nord est dello stivale, e non ho mai avuto necessità di mettere i sottotitoli. Ma parlo anche a velocità raddoppiata...
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