martedì 10 dicembre 2019

Primo recap del calendario dell'avvento 2019! Racconti classici di Natale, Inni alle Stelle, fantascienza abruzzese, taccuini e molto altro.

Ed ecco, con qualche giorno di ritardo, il primo post di recap del calendario dell’avvento.


Ho cercato di contenermi nelle descrizioni altrimenti diventava un lenzuolo, ma spero di avervi lanciato i giusti input per comprendere chi potrebbero essere i fortunati destinatari dei vostri pensieri e dei vostri doni.

Bando alle ciance che siamo già al 10  dicembre e qua il tempo corre!

Buona lettura a voi!


INNI ALLE STELLE di Giopota ed. Bao Publishing: 

 Ci sono alcuni autori strombazzatissimi e sponsorizzatissimi. Le grandi promesse che poi all'80% si afflosciano. 

 In parte immagino sia fisiologico (chi promette non sempre alla fine mantiene, può già aver precocemente dato il meglio di sé), in parte ci sia una certa ansia di creare il caso attorno agli esordi.

 Molto meglio forse è essere un autore che parte in sordina, senza tante cerimonie e poi inizia a crescere regolarmente e con una certa meraviglia.
 E’ quello che è successo a Giopota, fumettista siciliano, autore di alcune (pregevoli) autoproduzioni e di un bel libro scritto con Luca Vanzella “Un anno senza te”, in cui raccontava che “significa un ano de amor”.

In questa sua prima opera in solitaria, “Inni alle stelle”, dimostra di possedere un insolito e stupefacente mondo dentro di sé.

 Inni è un giovane che vive in una sorta di medioevo fantastico, in una Spagna sotto l'attacco dei saraceni che cercano di espandere Al-Andalus. 

 Prima di sposarsi vuole partire per vedere il mondo e scoprire se anche dentro di sé  esiste un altrettanto meraviglioso universo. 
 Si imbarca in questo cammino, che ricalca con alcuni accenni (l’incitazione Ultreia!, la conchiglia, il continuo riferimento a un santo) il cammino di Santiago. 

 Si dice che al termine ci sia la tomba del santo, ricca di tesori. Inni parte, al contrario della maggior parte dei viaggiatori, per trovare sé stesso e non la tomba dei tesori. 

 Sul suo cammino l’attendono amici, un quasi amore, strani personaggi umanoidi che si trasformano in uccelli, lotte con djinn comandati dai maghi saraceni, condottieti iberici biondissimi e perfidi, plichi magici e molto altro.

 E’ un viaggio misterico carico di simbolismi che ricorda molto alcune delle opere più ermetiche di Pratt con un tratto che rimanda a Miyazaki. 

 Il livello ovviamente non è quello, ma è di certo una piacevole e meravigliosa sorpresa scoprire che un autore sta di nuovo provando a varcare con una certa consapevolezza, le porte dell’ignoto.
 Un libro che piacerà moltissimo agli amanti del cammino di Santiago, ma in generale potrebbe essere una bella scoperta per i grandi amanti di fumetti che magari storcono il naso davanti a tratti considerati troppo manga (il principe è un chiarissimo riferimento, al limite dell’identicità grafica, de “Il castello errante di Howl”). 
 Straconsigliato con sorpresa e grande piacere!


ALICE DI SOGNO IN SOGNO di Giulio Macaione e Giulia Adragna ed. Bao Publishing:

Le opere di Macaione in passato non mi fanno impazzire. Il tratto è troppo classico e non ha sempre avuto sceneggiatori all’altezza o idee proprio rivoluzionarie. Sono quindi davvero sorpresissima da questa sua enorme e improvvisa evoluzione grafica. 
Forse il fatto che i protagonisti fossero adolescenti, che la storia abbia un tono più fantastico unito a un uso dei colori superiore, ha contribuito a questo passo in avanti davvero incredibile.

 “Alice di sogno in sogno” ha una trama abbastanza classica e non proprio imprevedibile. 

 Ricorda, per molti versi le “Witch”, probabilmente la miglior serie a fumetti per adolescenti prodotta in Italia: in un America da telefilm, in un liceo da telefilm, una ragazzina, Alice, viene malamente bullizzata dalle sue compagne. I genitori minimizzano, la scuola serve quasi a niente, l’unico ad aiutarla è il suo migliore amico che però deve incomprensibilmente sfidare i suoi genitori pur di frequentarla.

 Un segreto nel passato e la capacità di Alice di vagare di sogno in sogno coronano il tutto. 

 La storia, aldilà dei protagonisti adolescenti ha delle ingenuità di sceneggiatura che la targettizzano per un pubblico adolescente MA questo a mio parere non è assolutamente un malus
. Perché non dare agli adolescenti quello che vogliono? Belle storie, ben disegnate, che non hanno per forza intenti pedagogici ansiogeni?

 Il regalo perfetto per la nipotina o il nipotino dagli 11 ai 14 anni a cui non si sa mai cosa regalare se non l’ennesima stupidaggine di Accesorize.


IL TACCUINO DEL LETTORE COMPULSIVO di Carlotta Fiore ed. Gribaudo:

 Persone più pazienti di me, lettori meticolosi e meno irruenti, apprezzeranno sicuramente un’idea come il taccuino del lettore.

 Un piccolo carnet dove annotare impressioni di lettura, citazioni, ricordi. Qui e lì, l’autrice, Carlotta Fiore, lascia qualche idea di lettura o scrittura da seguire.

 Allegate una delle millemila penne o matite gorgeous che si trovano in giro et voilà.


IL LIBRO FUORI CATALOGO:

Il mondo dei libri fuori catalogo è talmente sterminato che anche l’idea di regalare un libro usato può non essere tanto pellegrina.
 Certo, ci sono schifezze editoriali che è bene non vedere mai più, ma tanti fuori catalogo oggettivamente inspiegabili, tante perle del passato mai più ristampate (basti pensare al momento bulimico della fantascienza anni ’60-’70 mai più replicato), ma anche vecchie edizioni che potrebbero sollazzare un collezionista o un lettore particolarmente dedito a uno scrittore o a un genere specifico.

 Molti pescano su ebay, io consiglio maremagnum.it che onestamente e personalmente mi dà un filino di fiducia in più (gusti personalissimi sottolineo).


RACCONTI CLASSICI NATALIZI ITALIANI ed. Graphe edizioni e CentoAutori edizioni:

 Ci sono quei tanti regalucci, regaletti e regalini da fare a Natale che si dissolvono poi in cianfrusaglie inguardabili. 
 Per un prezzo civile potete risolvere la situazione regalando dei racconti di Natale classici. 
 C’è chi dice che il natale come lo conosciamo noi lo abbia inventato Charles Dickens, ma leggendo i racconti proposti da Graphe edizioni (5 o 6 euro cadalibretto) o dalla CentoAutori (8 euro cadalibretto) si nota che una certa atmosfera natalizia esisteva anche senza il buon Charles. 

 Racconti non per forza di buoni sentimenti (quello di Boito è ai limiti dell’horror d’antan) restituiscono l’atmosfera di un’Italia d’epoca, come una cartolina dal passato illuminata tassativamente da candelabri o lampade a petrolio.


FAMMI MALE di Francesca Bertuzzi ed. Mondadori:

Stranissimo libro di fantascienza ambientato incomprensibilmente in Abruzzo, l’ho consigliato perché obiettivamente rimane una chicca per gli appassionati del genere ed è adatto anche come regalo LGBT.

 Per il resto rimane uno strano esperimento in cui gente che vive in Abruzzo (che quindi io immagino parlare con accento abruzzese) si atteggia come se ci trovassimo in un sobborgo di Chicago, accadono cose oggettivamente incomprensibili, la gente muore di morte violenta random e la polizia non indaga mai, il tutto mentre malvagie case farmaceutiche conducono esperimenti fuori dal mondo in un paese oggettivamente inquietante: la Svizzera. 
L’autrice, per motivi che onestamente non ravviso, è una protetta di Lansdale. Lascio qui.


QUESTA NON E’ LA MIA FACCIA di Neil Gaiman ed. Mondadori: 
Cicciuta raccolta di saggi del sommo Neil Gaiman sull’arte della lettura, della scrittura e della costruzione della propria anima.


Regalissimo per chi ama lui, la critica letteraria o ambisce a diventare un grande scrittore (che sognare, ce lo insegna anche Neil, non lo ha ancora vietato nessuno).

Intanto i consigli continuano giornalmente su fb e instagram! Sto riuscendo a tenere il ritmo! I miracoli della disciplina!

domenica 8 dicembre 2019

A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca. Le sardine, la piazza senza impegno e il nesso perduto tra persone, partiti e governi.

 Una domanda si aggira per l'Italia: cosa pensi delle sardine?

 Un tempo mi facevo prendere dall'entusiasmo. 
 Non dipendeva tanto dal fatto che fossi più giovane e credessi nella potenza della piazza, a quello, in un certo senso ci credo ancora. La piazza se ha un obiettivo chiaro è un'arma formidabile, basti pensare alla potenza che ebbe durante l'approvazione delle unioni civili.

 La mia fiducia universale nelle piazze è praticamente collassata quando ho perso gran parte della mia fiducia nei miei amati concittadini.

 A cosa serve la piazza? Epica domanda filosofica a cui non oso dare una risposta e della quale non esiste una risposta univoca.

 Di certo dà voce a chi non ne ha o pensa di non averla. 
 Serve da pressione ai governi, è stata spesso interpretata (male) come vox populi vox dei, serve a comunicare un malessere, a supportare qualcuno, a dare contro a qualcuno, a chiedere verità, diritti, a togliere verità e diritti. Di certo io non ho mai pensato che la piazza in sé fosse per forza buona perché per forza buono non lo è l'essere umano da solo figurati quando si trova in gruppo.

 Ma focalizziamoci sulla piazza sardina. 

 Un tempo la piazza sardina mi avrebbe entusiasmato senza se e senza ma, esattamente come all'università mi gettai, (è il caso di dirlo) a pesce, nell'Onda.

 Ve la ricordate l'Onda?

 L'ultimo movimento universitario di un certo livello e una certa partecipazione che infiammò l'autunno del 2008 prima di infrangersi contro le vacanze di natale e la sessione invernale.

Passai praticamente due/tre mesi sotto la pioggia romana (quanto piovve quell'autunno ancora me lo ricordo, a secchi) a camminare per chilometri e chilometri e chilometri. Si protestava contro la riforma Gelmini, ma in verità si protestava in modo generalizzato contro il sistema, principalmente lavorativo che già percepivamo ci avrebbe fagocitati senza tanti complimenti.

 Si era agli albori della crisi e forse adesso non sarebbe morta con le vacanze di Natale, chi può dirlo.
 Facebook era ancora nella prima fase di espansione, non c'era whatsapp, i fasci già facevano la cinghiamattanza sui liceali accompagnati dai prof in Piazza Navona, ma era un altro mondo comunicativo sicuramente.
 Eppure, ripensandoci, ci si riusciva a organizzare in massa anche senza fare gli eventi su fb, misteri della preistoria.

 Aldilà dello specifico casus belli della riforma e dei tagli, di certo, alla base c'era qualcosa di più, qualcosa che lo dico sinceramente, poteva essere sviluppato e invece si è quasi subito afflosciato su sé stesso.
 Credo interessasse manifestare un malessere diffuso e anche un terrore, quello appunto di un futuro fosco fatto di stage, calci nel sedere, call center e tutta la vita davanti solo se sei figlio di qualcuno. Perlomeno io l'avevo vissuta così.

 Col senno del poi fu probabilmente proprio questa mancanza di progettualità, come si dice freddamente, a uccidere un movimento che sembrava compatto, infiammato, infiammabile e privo, ve lo dico sinceramente, di connotazioni populiste.

 Eravamo giovani, eravamo confusi, ma avevamo ragione. Ma eravamo troppo confusi.
 Dopo il diluvio.

 Quando le piazze si sono riempite seriamente di nuovo sono diventate un movimento che, quando ha provato a tradursi il politica, ha passato l'80% del tempo a gridare che però politica non la stava facendo, finendo poi per farla in modo confuso, forsennato, ingenuo e onestamente privo, a mio parere, di un senso logico.

 E' passata negli anni l'idea che al popolo si adattano le idee semplici, pane ar pane, vino ar vino, mentre invece il popolo merita riflessioni complesse in cui essere coinvolto in prima persona.
 E lo dico da popolo, visto che ricca non sono, non sono mai stata, mai lo sarò, il mio nonno materno il diploma l'ha preso sotto le armi dopo essersi arruolato giovanissimo per sfuggire alla misera, l'altro faceva il muratore e aveva sette figli.

 E' passata l'idea che il popolo fosse in un qualche modo "il buon selvaggio" e dopotutto, visto che io non credo la massa esente da colpe, ci si è adagiato.

 Il mondo è un posto complesso e lasciarsi imbonire da chi dice che pensa al posto tuo e sei libero di non pensare, che anzi, pensare è una questione addirittura riprovevole quando esercitata, beh, era abbastanza semplice.

 Ovviamente non penso le sardine si aggirino da quelle parti. Mi sembrano, sin dai loro fondatori, qualcosa di più complesso, ma, incredibilmente, sembrano non tenerci molto a questa complessità. Non vogliono diventare qualcosa di politico, non vogliono dialogare con i partiti.

 Gli fa onore? Mah, non so, in altri tempi avrei detto di sì, ma adesso a me la piazza senza responsabilità, colpe o meriti, ha stufato.

 Diciamoci la verità. Stare in piazza non è sempre così difficile. L'ho fatto tantissime volte anche io. Le uniche volte in cui stare in piazza è stato difficile è stato in momenti in cui quell'esposizione rischiava di creare una reazione ostile.
 Parlo di aver fatto il gay pride a Treviglio con le madri che coprivano gli occhi ai figli al passaggio di una manifestazione talmente poco trasgressiva che quando c'ero arrivata l'avevo scambiata (ve lo giuro) per un assembramento dello SPI.

 Stare in piazza dà forza, è liberatorio, fa sentire meno soli, uniti, fa sentire che stai facendo qualcosa e in genere, nell'immantinente, lo stai facendo: dai sostegno o esprimi il tuo dissenso in modo fisico. Ma poi. Torni a casa, il pomeriggio è finito, l'entusiasmo scema, bene che va i giornali ne parlano, male che va la questura dice che eravate in 5, e amen.
 Sarebbe tutto giusto e normale se la piazza forte fosse complementare a partiti politici altrettanto o più forti, come era un tempo.

Ma adesso ci sono piazze e movimenti fortissimi a fronte di partiti svuotati.

 E' colpa dei partiti, certo, ma non voglio e sottolineo NON VOGLIO cadere nella trappola facilona che deresponsabilizza da tutto. Perché come le piazze sono fatte da persone, anche i partiti sono fatti da persone. E, miei cari, è INCREDIBILMENTE più semplice stare in piazza che in un partito.

Lo è in termini temporali (un pomeriggio ogni morte di papa a fronte di una riunione di circolo a settimana, riunioni per altri 3000000 di motivi, elezioni, volantinaggi, raccolte fondi, volontariato digitale ecc), lo è anche in termini di responsabilità personale: la piazza non governa, la piazza non propone e se propone non applica, non fa, non si sporca le mani.
 Il movimento che si è fatto partito è andato in crash proprio su questo e da questo crash ancora non si è ripreso.

 Poi lo so, c'è una fetta che al solo pensiero di dover fare qualcosa in prima persona ha le convulsioni, ma c'è anche tanta gente che le maniche se le rimbocca, in tanti tantissimi modi, ma la politica dio mio no. E capisco anche questo. Ma quello che non capisco e non ho mai capito e rischio di non capire mai è, al netto della componente anarchica, abbiamo ben chiaro che le cose le fa e e le decide principalmente chi governa?

Perché a me 'sto rapporto di causa-effetto sembra sia andato in crash svariato tempo fa. Immagino, voglio immaginare, nel momento in cui i partiti massa sono andati depauperandosi, un po' per suicidio politico, un po' perché obiettivamente erano mutati i tempi e i modi.

 Proprio perché come diceva Don Milani "A che serve avere le mani pulite se le tieni in tasca" a me la risposta sardina del non impegno sembra condannare il movimento alla stessa fine dell'Onda. Magari, al contrario dell'Onda almeno avrà il duraturo risultato di evitare all'Emilia Romagna una triste fine in mano leghista, ma si è saggi quando si guarda sul lungo periodo e non sul breve.

 Vorrei essere entusiasta, ma non ci riesco. Come si dice, sono bravi ragazzi, ma forse è il momento di crescere per la mia generazione e qualcosa la dobbiamo fare e seriamente. Lamentarsi e sgobbare, sgobbare e lamentarsi, come facciamo da anni, non serve a niente. Bisogna reagire e FARE qualcosa.

Storia di Leda Colombini e della vocazione
 pedagogica che i grandi partiti di massa
 seppero esercitare in quegli anni
nei confronti della base
 Sul virtuoso e interrotto dialogo tra massa e partiti massa che decenni fa salvò molta gente dalla facile trappola del buon selvaggio che delega il pensiero ad altri, voglio citare a margine una storia che ho colpevolmente scoperto da poco: quella di Leda Colombini.
 Bracciante poverissima dell'Emilia Romagna divenne dirigente di partito e dedicò la sua esistenza prima ai diritti dei braccianti, poi dei disabili e infine dei figli delle detenute. E' morta a 82 anni, al termine di una riunione sulla legge a tutela delle madri detenute con figli.
 A 82 anni.
 Voi dite, è semplice ed emotivo portare questi esempi, ma io dico: dovremmo sentirci persone microscopiche quando li leggiamo, perché ci dimostrano che gli unici responsabili del modo in cui vanno le cose siamo noi. Ma non ci pensiamo, ma ci perdoniamo e lasciamo che tutto proceda ineluttabilmente. 
Perciò per me brave sardine, bene le sardine, benedette sardine, ma non basta. E' ora di fare politica sul serio e anche di rivendicarlo.

Ps. Sottolineo a beneficio di chi non legge tutto lo spiegone che ovviamente non credo la politica si faccia solo nei partiti, ma che non possiamo prescindere dal fatto che è al governo che si decidono le politiche di un paese e questa faccenda da anni sembriamo non avercela presente.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...