lunedì 30 settembre 2013

Disamina ragionata del cliente al telefono. Fisicamente lontano, rompipallamente vicino.

Mentre tu te ne stai lì a governare libri, anziani, ragazzini, clienti normali, clienti con cui ti va persino di dissertare, improbabili richieste, drammi, deliri e pazzi ecco che squilla. Il telefono.
 Il dubbio se rispondere o meno dura di solito manco due secondi ed è dettato dall'unica terribile legge: se hai tempo DEVI rispondere. Il "sei hai tempo" starebbe per: se non hai nessuno fisicamente davanti. Che poi dieci persone si materializzino magicamente nei cinque secondi successivi sono affari tuoi.
 Il cliente al telefono è nella mia personale hit parade della molestitudine superiore a tutti, lo batte solo il cliente che vuole umiliarti con astuzia e perizia perché per almeno cinque minuti vuole sentirsi come Leonardo di Caprio sul Titanic: il re del mondo. 
 Perché tale astio per il cliente al telefono? Perché, a mio parere, la chiamata al telefono, se proprio non vuoi trasportare il tuo fisico corpo in negozio, è giustificata da una sola cosa: chiedere una vera informazione: "Avete x libro che passo a prenderlo?". Per il resto tenete giù la cornetta che la libreria non è un call center.
 Ma passiamo in rassegna i casi più comuni di molestitudine telefonica.

 IL CLIENTE CHE CHIAMA PER CHIEDERE COSE FUTILI
Nel mio immaginario personale questo tizi* se ne sta seduto da qualche parte, di colpo ha un'idea tipo: "Voglio avere un libro sulle lontre marine dell'Africa meridionale, chissà se in libreria ce l'hanno!", oppure "Mmm, chissà se la libreria è aperta". Invece di accendere un computer che sicuramente ha per controllare se esistono libri di tal sorta o vedere l'orario, si attacca al telefono per dieci minuti per poi chiederti: siete aperti? A che ora chiudete? Che orario fate la domenica? Per caso avete una sezione sulle lontre marine? No, non cerco niente di particolare, era solo una curiosità.
 Bene, dammi il numero del tuo ufficio che lunedì mattina alle otto e mezza, nel delirio totale, ti chiamo per chiederti che carta usate per stampare i documenti.

IL CLIENTE CHE PROPRIO NON PUO' VENIRE: 
 Costui o costei non possono proprio venire. Hanno figli che escono dalla scuola, mariti che se non le trovano a casa chi li sente, un lavoro che dura dalle 7 di mattina alle 9 di sera e gli impedisce di entrare nei negozi (come comprano vestiti? Come il cibo? boh), e sperano tanto che tu possa risolvere i loro problemi. Potresti tenere un libro da parte un mese e mezzo? Non c'è un modo per spedirglielo (richieste di questo genere arrivano da persone che abitano a tre fermate di metro)? Non posso proprio fargli il favorino di portarglielo a casa brevi manu?

IL CLIENTE CHE TI PIGLIA PER UN CALL CENTER:
 Ti chiamano e si attaccano al telefono trenta minuti e passa convinti che tu sia un call center pronto a risolvere tutti i loro problemi. Da: "Il sito non va", a "Mi saprebbe dire dove posso comprare i libri per la scuola media di mia figlia?", passando per "Ho bisogno di un libro per domani ma è fuori commercio mi dica dove trovarlo".
  I migliori sono quelli che ti chiamano dall'altro capo d'Italia senza motivo. 
 "Salve chiamo da xxxx in Basilicata, avrei bisogno della Divina Commedia."
 "Mmm noi siamo a Milano, c'è un motivo specifico se ha chiamato noi?"
 Risposte tipiche: "E' stato il primo numero che ho trovato su internet" "Mi fido più di voi perché siete al nord" (autorazzismo).
 Tenti di far ragionare il cliente: non ha senso chiamare dall'altro capo d'Italia, un libro del genere può trovarlo anche più vicino. Si aprono allora le dighe: ma io sono un cliente, non può spedirmelo, no, non posso andare nei negozi perché abito lontano, no non me la cavo con internet, no, non ho figli, nipoti, parenti e vicini che possono aiutarmi, no, non ho carta di credito (ve lo giuro). A quel punto, secondo lui, tu come puoi procurare un libro ad un uomo che è dall'altro capo d'Italia, munito solo di soldi contanti inchiodato in una casa su un monte? L'ideona del cliente solo e abbandonato da chiunque è: noi spediamo il libro per posta e lui, in busta (dobbiamo fidarci è un gentiluomo) ci rispedisce un assegno o del denaro contante.
 E lì altre ore a spiegare che non si può fare, forse negli anni '30 era ancora possibile, eh si signore è uno schifo sì. Nel frattempo in libreria i clienti fisici si sono stufati, ti hanno insultato e se ne sono andati da venti minuti. 

IL CLIENTE CHE NON SA MANCO PERCHE' TI HA CHIAMATO:
Chiama, desidera un libro, te lo fa cercare ovunque, magazzino compreso, scatole arrivate il giorno stesso. Lo trovi lo trovi perfavore. Pensi ad un esame che deve dare l'indomani, ad una questione di vita o di morte, ti fa passare venti minuti a cercare un libello di 20 pagine confuso col resto dello scaffale e quando lo trovi, candido, ti dice: "Mmm non so se riesco a passare, guardi, non lo tenga da parte, vedo io."
 Per quale motivo hai chiamato???

IL PROTESTATORE
Chiama gridando. Mentre gli altri si presentano in questo modo che mi sconcerta, dandoti del tu e dicendomi "Ciao sono Ivana mi serve questo" o "Salve sono l'avvocato Mazzotti puoi cercare...?" (a che prò mi dici che ti chiami Ivana??), il protestatore grida. Un ordine è in ritardo, un libro che doveva uscire non è uscito "Dove lo teniamo nascosto?? Dove??", il libro che ha comprato è senza dieci pagine (lo giuro a voi tutti: è un errore della tipografia!). Vuole parlare con responsabile, direttore e amministratore delegato, tutti insieme. Non ti fa capire nulla, grida e basta, qualsiasi cosa tu dica. Se cerchi di farlo ragionare ti ribadisce chiaro che "No, non vuole ragionare". La tecnica se grido mi danno ascolto è un'idiozia ve lo dico, non succede come nei film che se uno insiste allora il problema magicamente si risolve. 
 In genere l'unico modo per placarlo è passargli qualcuno che gli sembra davvero in alto nella scala gerarchica e gli dirà le stesse identicissime cose che gli avete detto voi, ma che in qualche modo lo rassicureranno maggiormente. Le sue grida hanno avuto effetto: ha parlato con un superiore.
 In tutto ciò dovete immaginare una sorta di incubo postmoderno in cui, mentre servi il cliente fisico, il telefono squilla in continuazione seminando il panico. Chi ci sarà dall'altra parte? Quale voce sarà pronta a vessarti?
 L'anziana che vuole il libro consigliato da Augias tre anni fa una mattina e pretende che tu faccia la ricerca su internet?
 La madre di famiglia che vorrebbe tanto le portassi a casa, magari con un caffè, l'opera omnia di Peppa Pig?
 Il terrore corre lungo il filo.

domenica 29 settembre 2013

Cose realmente avvenute, lo giuro! Improbabili sottosezioni.

Questa vignetta anticipa un post che arriverà a giorni: il cliente al telefono.
 Costui è più subdolo e fastidioso del cliente in negozio che almeno si degna di trasportare il suo corpo fisico a farti domande, e ha pretese ancor più pretenziose....ma non anticipo nulla! 




ps. Sì alle figlie delle sciure piacciono molto: ballerine, pattinatrici e cavalli. Tanti lovelosi cavalli love love.

Cose realmente avvenute, lo giuro! I tragici errori di pronuncia 2.


 L'insigne vittima dell'errore di pronuncia di oggi è il filosofo  Edmund Husserl trasformato in un simpatico orso teneroso. 
 Nella mia mente, ogni volta che qualcuno sbaglia la pronuncia di un filosofo che si atteggia a leggere senza manco riuscire a dirne decentemente il nome, parte in automatico la canzone di Zucchero: "Niccce che dicccce boooooh Niccce che dicccce boh". Sì, lo so, la mia immaginazione è fervida.

sabato 28 settembre 2013

"Fun home" di Alison Bechdel, (e tutte le sue altre opere!) una graphic novel sulla vita e il conto che ci riserva alla fine. Non per forza così terribile.

Qualche anno fa, in una calda ottobrata romana che bramo con ardore da quando vivo al nord, non esisteva la legge Levi (per chi ancora non ne fosse a conoscenza è quella legge che impedisce di fare più del 25% di sconto sui libri, noi tutti ringraziamo). In quei giorni stava chiudendo la storica libreria Rinascita (per poi rinascere mesi dopo sotto altre forme) e c'era il 30% su tutti i libri. Siccome mi sentivo particolarmente depressa, anche se non avevo molto denaro da dare all'industria editoriale, ho deciso di fare come le donne delle riviste femminili: di gratificarmi con un regalo fantastrabilioso. "Fun home" di Alison Bechdel. Ne avevo vagamente sentito parlare da qualche parte e il disegno non mi dispiaceva, così lo comprai. L'acquisto fu uno dei più azzeccati della mia vita per due motivi:
Sono entrata e ho puntato il settore delle graphic novel che, puntualmente, era già stato saccheggiato. Ma ecco apparire dalle tenebre
1) Questo libro fantastico è già  inopinatissimamente fuori commercio (Rizzoli che te dice il cervello???).
2) Mi ha fatto scoprire Alison Bechdel.
 Alison Bechdel è una fumettista americana dalla vita banale e particolare insieme. Come si evince da "Fun home: una tragicommedia familiare", è vissuta fino alla fine delle superiori nella provincia americana, non particolarmente squallida, ma ovviamente non particolarmente eccitante.
 I suoi genitori erano due insegnanti cattolici che sembravano usciti da un libro di Yates. La madre, aspirante attrice, aveva visto sfumare tutte le sue aspirazioni sposando il padre di Alison, un uomo col mito di Fitzgerald (dovrò indagare meglio sull'influsso che Fitz ha sugli uomini americani perché, pur considerandolo un ottimo scrittore, fatico ancora a capirne l'idolatria che essi ne fanno) con un MA grosso come una capanna. Ma omosessuale. Uno di quegli omosessuali repressi pubblicamente, ma non privatamente, che durante il matrimonio e nonostante tre figli non smetterà mai di avere storie con ragazzi molto giovani. La Bechdel che viene a scoprirlo solo adulta, quando dichiara in famiglia la propria omosessualità, costruisce su questo doppio coming out, su questa vita parallela tra lui e suo padre, un libro fantastico.
Infarcito di riferimenti letterari, di finezze di una trama che si interseca in più punti e che, nonostante tutti gli ingredienti per una famiglia disfunzionale, falsa, prosperata (male) sull'inganno, donano  infine un quadro tragicomico, quasi nostalgico di un interno americano anni '60-'70.
 Il colpo di teatro, ciò che rende la trama vera, ma da un certo punto di vista completamente surreale è già nascosto nel titolo: la sua 'fun home' non è solo una casa ironicamente divertente, ma il luogo di lavoro di suo padre 'funeral home'. Insegnante e impresario di pompe funebri (azienda di famiglia) al tempo stesso.
 Se riuscite a trovarlo, in qualsiasi modo, è uno di quei libri che non consiglio neanche di prendere in prestito ma direttamente di comprare!
 In Italia di quest'autrice bravissima sono poi arrivati: "Dykes" (con un'inutile, sconcertante, prefazione di Melissa P. suppongo sempre perché lesbica = sesso, e un sottotitolo imbecille che mi rifiuto di scrivere), una raccolta di strisce tradotta in modo incivile, sulla vita di un gruppo di amiche lesbiche e non, che da qualche decennio la Bechdel pubblica su varie riviste. Di queste, persino io che mastico malissimo le lingue, consiglio la versione originale.
 E infine, "Sei tu mia madre?", che avevo comprato con tante speranze quest'inverno, e invece si è rivelato un buco nell'acqua. E' il tentativo della Bechdel, speculare a "Fun home", di parlare del rapporto con sua madre facendo riferimento ai classici non della letteratura, ma della psicanalisi. Un fiasco su tutti i fronti: pesante, forzato, forzoso, farraginoso. Le ellissi narrative risultano confuse, il concetto di fondo anche. Più che del rapporto con sua madre, sembra che volesse parlare di quello con le sue varie psicanaliste.
 Già che siamo in tema Bechdel, c'è un libro che voglio consigliare come complementare a "Fun home": trattasi de "La lingua perduta delle gru" di David Leavitt.
 Non è una storia autobiografica né un ritratto di famiglia, rientra piuttosto nei canoni del romanzo di formazione: ragazzo gay insicuro di sé incontra ragazzo gay sicuro di sé e vive la sua prima storia d'amore. Parallelamente suo padre e sua madre vivono un dramma tutto interiore: al coming out del figlio, il padre segretamente omosessuale ripensa a tutta la sua vita e la madre, che viene a scoprirne il segreto, non ne fa un dramma, ma analizza con triste precisione l'arco delle loro vite ormai unite per sempre. 
 Il più grande punto in comune di queste storie non è tanto l'omosessualità, quanto quella qualità umana che, secondo me, è il segreto di una vita sempre e comunque dignitosa: la capacità di reggere il peso di tutte le proprie scelte riuscendo, infine, a tirare le fila e a pensare che il percorso fatto, comunque sia andata, ha sempre avuto dei lati positivi.
 Pensando alla vita di suo padre, vissuto in un'epoca in cui era quasi impossibile essere gay alla luce del sole, la Bechdel pensa:
  "C'è un certo opportunismo emotivo nel dichiararlo una tragica vittima dell'omofobia, ma è un filo logico problematico. Innanzitutto mi rende più difficile biasimarlo. Poi mi porta in un cul de sac curiosamente letterale. Se mio padre avesse fatto il suo coming out da giovane, se non avesse incontrato e sposato mia madre... che ne sarebbe stato di me?"
ps. Questo è il sito della cara Alison, fateci un salto: Alison Bechdel, sito ufficiale.

venerdì 27 settembre 2013

La narrativa dei cosiddetti "artisti eclettici". Quando il romanziere è attore, comico, conduttore, sceneggiatore e tutto il resto, tranne che un vero scrittore, ovviamente.

Fabio Volo in una posa che
unisce la manina molesta e
lo sguardo sognante.
Qualcuno, tempo fa, faceva notare che su Wikipedia a Fabio Volo venivano attribuiti più mestieri di Leonardo da Vinci. Egli è: attore, scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e televisivo nonché doppiatore. Non ho nulla personalmente contro Fabio Volo, alla fine lui è solo il capofila di una passione non solo italica: la convinzione di saper far tutto in qualità di artista. Allora, nel rinascimento andava in voga 'sta cosa dell'artista completo: se eri scultore, eri anche pittore, creatore di feste per nobili, capo di una bottega di stagisti paradossalmente meno sfruttati. Questa cosa dell'artista eclettico non è mai morta, solo che, come in tutte le cose del nostro tempo si è completamente perso di vista il buon senso.
 Così le librerie sono colme di libri scritti da personaggi dello spettacolo, attori, calciatori e compagnia bella che scambiano una certa allure personale con il desiderio di danaro delle case editrici. Ecco quindi Benedetta Parodi, contesa da chiunque perché è diventata l'icona molesta di tutte le sciure, abbandonare un mestiere non suo per un altro mestiere non suo: da cuoca con tacco 12 e gonna al ginocchio, a scrittrice di libri per bambini "Le fate a metà e il segreto di Arla"

Due sorelle che si scoprono mezze fate non fanno altro che litigare e prendersi a calci di continuo (se si è ispirata alle sue figlie o a lei e alla sciura Cristina, sotto quello scheletro sorridente batte un cuore da assalto all'arma bianca), ma nel frattempo devono compiere una magica missione a suon di dolcetti e ricette come i biscottini della felicità. Ecco dunque la minaccia del mestolo apparire anche qui, in fatati regni lontani dove le ragazzine dovrebbero sognare senza il trauma del fornello accanto. Ma non è l'unica a cercare l'attenzione dei pargoli, molti conduttori con figli (cioè quasi tutti) si fanno cogliere dalla smania del voler inventare storie di sana pianta (ma Andersen? I Grimm?), perciò ecco apparire "Mamma mi racconti una storia" di Ellen Hidding, la dimenticabilissima primadonna di qualche stagione di "Mai dire gol" o Nicola Savino con le sue istruttive "Lacrime di fragola".
Ci sono poi quelli che si danno al romanzo impegnato, come Ilariona d'Amico o Nada Malanima. Mi colpì del libro della pettoruta d'Amico, "Dove io non sono", (il classico psicodramma tutto interiore di un uomo che se avesse dei problemi seri eviterebbe di passare la notte in bianco a rincorrere il suo passato) la sua affermazione di averlo scritto tutto di getto in pochissimi giorni. Lei come Natsume Soseki. Peccato il diverso genio di partenza.
 Sorvolo sulla Bignardi, una che potrebbe tranquillamente continuare a fare la protettrice di scrittori che sotto la sua ala spiccano verso il successo, e invece ha deciso di gettarsi nella mischia, prima con una specie di autobiografia, poi col terribile "Un karma pesante". Un coacervo di insensatezze di cui ricordo la frase "Mi buttavo nella mischia armata solo del mio master in xxxx e un inglese fluente". Insomma, un inizio davvero difficoltoso, degno di una protagonista dal karma pesantissimo che continua ad appesantirsi finché non diventa una regista di successo. Voglio anche io il suo karma terribile, dove si compra?
 Ma queste incursioni del mondo dello spettacolo possono regalarci del vero trash. Se pure evitiamo le storie drammatiche di donne che non si sono arrese della solita inarrendibile Barbara d'Urso, c'è qualcuno che nella mia top ten è riuscito a battere Solange. Ve lo ricordate? Era un incrocio tra un sensitivo e un prezzemolino della tv che non so perché in questi anni di allucinante tv berlusconiana mi è rimasto impresso. Ricordo con orrore quando ad una pesca di beneficenza mi cadde in sorte il suo libro "Rompi Solange e trovi Paolo" che defenestrai al momento. Me ne pento, ora. Scommetto che avrei potuto farmi delle adeguate risate.
 Ebbene, il giorno in cui mi è capitato tra le mani un giallo di Fabrizio Corona (già autore de "La mia prigione" di pellicana memoria, fortunatamente fuori commercio), ho capito che qualcuno aveva battuto Solange.
 La copertina è da applausi, la trama la solita furbata in cui grazie a dio una volta tanto nessuno è caduto. Anche lui come Ilariona d'Amico e Natsume Soseki ha scritto il suo romanzo in una manciata di giorni, anzi, ha fatto meglio perché dice di avercene messi 5. La trama vorrebbe essere un giallo gossipparo in cui il suo alter ego Nick Zaro indaga sulla morte di una starlette incontrando tutto lo showbiz nazionale attuale col nome leggermente cambiato.
Una genialata signori miei.
 Poi ovviamente ci sono i giovani di belle speranze. Quelli che non riescono a stare fermi e allora devono fare tutto tutto tutto perchè sono in gambissimi. Due esempi per tutti. L'imperdibile romanzo di Alessandro Cattelan "Zone rigide" in cui, nel caso non avessimo capito quanto si piace, sin dalla copertina con boxer in vista (ora avete capito la battuta di ottimo gusto nel titolo?) ci permette di provare l'ebbrezza di leggere le sue avventure di maschio ubersexual sempre conteso da mille donne. Ma soprattutto Muccino il giovane e le sue muccinate da ggggiovane intelligggggente ggggenio del cccccinema italiano, che quindi, deve essere anche un genio della letteratura, ma anche uno con un serio complesso di Edipo, visto che nei due libri che ha donato al mondo c'entrava sempre una donna sui 50 e passa anni e un tizio molto più giovane.
 Parafrasando un tizio che oltre al poeta faceva anche il politico (e infatti ebbe successo solo in una delle due cose):
 "Ahi serva narrativa,
 di idiozie ostello, 
non donna di province
ma bordello!"

giovedì 26 settembre 2013

La terribile provincia della narrativa italiana: triste, desolata, orrenda, squallida e piena di gentaglia. Ma è veramente così?

 In uno dei commenti al post sui libri peggiori mai letti, veniva citato "Acciaio" della Avallone.
Da "La guerra degli Antò"
 A lei, rea, secondo gli abitanti di Piombino, di aver creato un microcosmo di perdizione, orrore e degrado che non appartiene alla città, avevo subito inconsciamente collegato Ammaniti, un altro che sul presunto oscuro squallore della provincia italiana ci campa da anni. Poi la rete di collegamenti mentali si è allargata, investendo i moltissimi libri italiani che ho letto con cognizione di causa o che ho semplicemente sfogliato perplessa, rendendomi conto la stragrande maggioranza dipingevano le perdute valli della provincia italiana in modo devastante.
La provincia sta allo scrittore italiano esattamente come la saga familiare: è un cliché, una di quelle teste di morto di cui pare non possa proprio fare a meno. Sembra che faciliti loro il lavoro: se premetti che ti trovi in una provincia del nord/est allora ti immaginerai automaticamente nebbia, ricchezza, gente chiusa, tanti immigrati, persone che tra loro non vanno d'accordo a causa di profonde e diverse identità cultural/locali/sociali radicate. Non devi manco prenderti il disturbo della descrizione o della creazione minima del contesto. Che poi possa esistere nella massa gente che studia, magari un'università locale, circoli arci, gente con piglio diverso, insomma pare che non sia previsto. Se, per dire, il commissario X deve indagare tra i loschi affari delle ditte nordiche in mezzo alla nebbia DEVE trovare solo diffidenza e chiusura mentale che, sottolineiamo, essendo nord si chiama "riservatezza" e non "omertà".
Un esempio veneto per tutti è "Savana Padana" ed. Tea di Matteo Righetto, con carabiniere terrone (io multerei chiunque osi ancora usare questa parola in mia presenza, persone del sud che si credono spiritose comprese), zingari, ultrà del Padova e la solita grettezza provinciale che sfiora il manicomio, anche se si è sempre speranzosi di sfiorare Lansdale (mettiamoci in testa che Vicenza non è in Nebraska).
Nel caso volesse prendervela a male in modo definitivo prendete "Semina il vento" di Perissinotto: quando un matrimonio va a scatafascio perché si sceglie di vivere in mezzo ai monti e non a Parigi.
 Se invece ti trovi in una provincia del sud devi essere ignorante: disoccupato, con qualche serio problema familiare, gli amici sono la tua famiglia (qui la gente è aperta, quindi è ammissibile che parli al vicino di casa), possibilmente, in quanto disoccupato, sarai anche sfaccendato che la noia di provincia è la Noia con la Enne maiuscola. Imbattibile.  Le province del centro Italia in genere sono luoghi mediamente più addormentati, buoni per quelle fiction alla Don Matteo, Carabinieri, Maresciallo Rocca, come ne "Il principe dei gigli" di Hans Tuzzi. Fa eccezione l'Abruzzo che dai tempi delle "Novelle della Pescara" di d'Annunzio appare come una landa di pura disperazione.
 Se invece sei Ammaniti va bene qualsiasi provincia.
A me come scrive lui piace molto, ha questo modo scorrevole, una grande capacità di intrecciare la trama e far quadrare tutto come se fosse perfettamente plausibile anche se siamo nell'universo della totale improbabilità. L'ho snobbato per anni, poi ho letto qualche libro e l'ho beccato in epic fail perché io, una delle province che lui descrive la conosco molto molto bene, e non ha nulla a che spartire con quella del libro.
 Non si tratta di orgoglio campanilista né di "i panni sporchi ce li laviamo a casa nostra" di Andreottiana memoria. Io parlo proprio dell'inventare con cognizione di causa seduto in una casa a Roma (egli è figlio di un esimissimo psicologo, la famosa provincia manco col binocolo l'avrà mai vista), un coacervo di personaggi stralunati che per carità possono anche benissimo esistere (chi non ne ha conosciuti?), ma non possono far parte di un intricatissima rete di orrore perpetuo. Nei suoi libri i provinciali sono tutti: brutti al limite del lombrosiano, vecchi e con mogli vecchie a 40 anni, rimbambiti dalla tv, pedofili, dediti alle prostitute o alla prostituzione, pazzi violenti con figli cresciuti con metodi fascisti e lasciati a loro stessi perché gli assistenti sociali sono pure sfigati, figli di papà purulenti. Per non parlare di satanisti, insegnanti vergini, cubiste con aspirazioni televisive e ovviamente squallore suburbano a perdita d'occhio tra capannoni industriali, terre coltivate o non coltivate ('sta pora terra sia che si dia da fare sia che stia ferma, se non è dell'Urbe deve fa' schifo).
 Suppongo che, come me, buona parte delle persone che leggono questo blog provenga da una provincia. La domanda è: perché permettiamo che avvenga ciò? Perché dobbiamo scimmiottare la provincia americana, quando da noi è estremamente improbabile vivere in una casa piantata nel nulla come in Kansas? Io non dico che abitiamo tutti in luoghi fioriti, ma c'è modo e modo di descriverli e soprattutto di inventare una storia. Poi non possiamo lamentarci se della nostra somma narrativa contemporanea all'estero arriva Federico Moccia. Almeno lui a Ponte Milvio ci viveva sul serio.
La parrucchiera dove andavo durante l'università, estasiata, diceva che lui sì che aveva colto il vero spirito della loro zona.
 Ora tocca trovare qualcuno che colga il vero spirito del resto d'Italia.

mercoledì 25 settembre 2013

Nuovo articolo su Lez Pop! "Colei che scrisse il finale felice. Il vero talento di miss Highsmith".

Oggi è, (ormai quasi era), mercoledì, giorno in cui esce il mio articolo nella rubrica sui libri per Lez Pop, la cultura pop in salsa lesbica!
 Stavolta ho parlato di un'autrice di cui qui nel blog avevo già narrato le gesta: Patricia Highsmith. Io non ho particolare simpatia per il genere giallo, ma lei, dopo un inizio difficile durante l'adolescenza, mi piace tantissimo, quindi la sua biografia by Andrew Wilson è diventata uno dei miei libri preferiti.
 Qualche mese fa mi era poi giunta voce di un libro scritto da una sua ex, anch'essa scrittrice sulla storia d'amore che ebbero negli anni '50 e così....
 E così se siete interessat* l'articolo è qui! Buona lettura!

Sexy angeli caduti e vampiri con una certa inclinazione alla violenza vs giovani vergini tremanti. Ma questo strano schema amoroso non ricorda forse qualcosa?

So che mezzo web ha già scritto di questa passione dei vampairi, di sexy adolescenti assetati di sangue pronti a mettere la testa a posto sposandosi senza prendere fuoco all'altare, figliando anche post mortem bambini che non capisco bene come anche pindaricamente possano essere generati, quindi il mio post è diciamo non indispensabile. Tuttavia, se lavorate in una libreria, non potete rimanere muti davanti al gettito continuo di inquietanti storie di amore/sesso/violenza/non morti che arrivano ogni giorno.
 Premetto, se capitate nella sezione horror e date un'occhiata alle trame, sarete costretti a rivalutare "Twilight" e per tanti motivi. Io non lo metto alla pari con roba seria come i libri di Anne Rice,  lungi da me forever, dico solo che è sicuramente superiore e meno pericoloso dei suoi simili. 
 C'è infatti un aspetto molto frequente in queste storie a base di sangue caldo, donzelle terrorizzate e perenni battaglie per il possesso dell'unica inimitabile perfetta fanciulla (la protagonista ovviamente) che almeno in "Twilight" viene toccato in modo diverso: la violenza.
 E' ovvio che un libro che parla di non morti non sia all'acqua di rose, io non dico che non debbano volare paletti assassini o che la gente non si debba sventrare a mani nude, altrimenti che horror è? Quello che colpisce nella trama tipo è:
Non morto/Angelo caduto ha un problema. E' tipo in mezzo ad una guerra, ad un conflitto post-apocalittico, ad una faida familiare e via dicendo. Incontra lei, pura, bellissima, ingenua, solitamente vergine, in attesa del primo palpitante amore, terrorizzata dal mondo intero. Si incontrano in qualche circostanza di tragedia e si innamorano. Lei diciamo che istintivamente non si fida di lui perché insomma, l'ha visto sgozzare a mani nude sei persone o perché essendo un angelo caduto è malvagio e assetato di sangue umano, oppure tende a sventrare qualsiasi cosa si muova nell'arco di mille km, ma qualcosa la attrae irresistibilmente.
 A questo punto inizia tutto un: fremere, eccitare, palpitare, tremare, sussurrare, tormentare, sentire il sangue che pulsa, le labbra avide, le mani vogliose. Sì lui è violento, sì lui insomma vuole farmi la pelle e farsi una collana con le mie ossa, ma io io io sono irresistibilmente attratta. So che non è così malvagio, io lo salverò, lui guarirà o almeno mi farà vampira così saremo giovani, immortali, ma sono certa meno violenti, insieme e per sempre.
 Lui allora, tentenna si fa qualche scrupolo morale, cede alla violenza perché è la sua natura, poi si pente, chiede scusa, promette di cambiare perché vuole stare con lei, lei col suo amore l'ha cambiato. Poi vabbeh in tre o quattro libri (in cui solitamente arriva anche un bravo ragazzo, ma non immortale e troppo buono che quindi viene mollato in poche rapide mosse) l'amore trionfa e la violenza scompare.
 Spulciando questi vari titoli, mi sono fatta delle domande: che cazzarola di schema amoroso è, uno che ti propone come protagonista una donzella sempre tremante ed eccitata e un tizio violento assetato di sangue che si pente regolarmente? Mmm ma non mi ricorda qualcosa? Tipo uomini che menano donne che li giustificano sempre perché è la loro natura, ma il loro amore li cambierà?
 A me da adolescente piacevano da morire i libri di Anne Rice.

Non è che lei ci andasse leggera con la violenza, anzi, ma le storie erano fichissime. Innanzitutto i vampiri erano bisex, cosa che ti permetteva di circuire pure ragazzini che poi tanto indifesi non erano (Armand) e giornalisti vogliosi di una nuova gloriosa vita yuppie post mortem (in "Intervista col vampiro"), ma poi, pure le donne non è che te la mandavano a dire. Diventavano delle assassine violente pure loro: la madre di Lestat, Pandora, Claudia la ragazzina di 10 anni intrappolata per sempre in un corpo non suo. Altro che giovinette tremanti. Diciamo che c'era una cosa chiamata "Profondità psicologica" nonché "Capacità di intessere una trama".

 La signora Meyer, rea di aver ispirato i suoi mille mila epigoni come "I promessi vampiri", "Il bacio dell'angelo caduto" "A cena col vampiro" (by Abigail Gibbs, una 17enne che si definisce tossicodipendente di caffeina), aveva un'idea precisa quando ha creato Bella/Edward, ed è probabilmente il segreto del suo successo. 
 Lei, mormone praticante, voleva trasmettere dei valori bigotti: i due non fanno sesso prima dell'improbabile matrimonio, lui è vampiro, ma è buono (peraltro onore ad Edward quando capisce che potrebbe farle del male prende e la molla non è che rimane lì a tartassarla), i vampiri violenti sono cattivi e periranno nel dolore. Concezione elementare e infantile completamente opposta a quella di Lestat & co. (che infatti dentro sono adulti anche quando esteticamente rimangono adolescenti: Armand ha 16 anni e l'anima di uno di 500, Edward ha 17 anni dentro e fuori anche se dentro dovrebbe averne un centinaio in più), ma almeno sorretta da uno schema di valori espresso in modo molto forte.
 I suoi epigoni, che non hanno questo schema, fanno un gran mescolone.
A partire dalla scelta di usare ultimamente gli angeli caduti (come anche ne "Il bosco dei cuori addormentati"), dove in via teorica si dovrebbe sottolineare gli ambigui confini tra bene e male, in via pratica la scema di turno vuole redimere il cattivo di turno certa che tornerà ad essere buono grazie alla forza del suo incontenibile amore. Non chiedendosi mai molto seriamente per quale arcano motivo quest'angelo sia caduto (e se il motivo c'è al 90% è una cosa lacrimevole di cui scusarlo).
 Vi lascio con le parole della quarta di copertina di "L'angelo caduto" di Susan Ee:
"Non dormo da due giorni per paura di perdere l'unica occasione che potrei avere se l'angelo si svegliasse, solo per morire davanti ai miei occhi. Così addormentato sembra un principe azzurro (ndcs. questi angeli stanno devastando la terra). Sanguinante e incatenato nella segreta. Da bambina ho sempre pensato che sarei stata come Cenerentola, ma ora per come mi sono comportata, forse assomiglio di più alla strega cattiva. E d'altra parte Cenerentola non viveva in un mondo post-apocalittico invaso da angeli."
 Figliola, potevi almeno immedesimarti in una fiaba dove prima di diventare princineve biancaspessa non dovevi fare la sguattera per le cattive sorelle. E comunque non temere, sei in buona compagnia, anche la Marzano da piccola sognava il principe azzurro. Ora ha una cattedra alla Sorbona. Pensaci.
 Pensiamoci tutt*.
 Seriamente.

martedì 24 settembre 2013

"Noir" di Luca Crovi e "Le regole del giallo" di P. D. James. Interviste, misteri, leggende, curiosità e consigli da chi il noir l'ha inventato, reinventato e rivoluzionato.

Personalmente non ho mai avuto fiducia né nelle scuole di scrittura né nei libri che insegnano a scrivere.
 Da una parte perché sì, sono convinta che il talento o ce l'hai o certo qualcuno non te lo insegna, da un'altra perché ritengo che la tecnica, la disciplina, il lavoro, le basi culturali, i modelli, le idee e tutto ciò che serve nella sua larga parte (oltre al lavoro lavoro lavoro) per scrivere, ognuno se lo cerca e forma da solo. Poi ovvio, se qualcuno che non è analfabeta mette mano a penna e calamaio e studia sodo qualcosa ne viene fuori. Non lamentiamoci però se la narrativa adesso è intasata da romanzi a base di fiori della Garzanti.
 Personalmente faccio un'eccezione nel settore della scrittura creativa per quei libri scritti da scrittori realmente affermati che vogliono lasciare i loro consigli al mondo. Parlo di cose come "Il mestiere di scrivere" di Carver o "Il territorio del diavolo" della O'Connor, per dire. Voglio dire, chi sono io per dire: "No guarda Carver tieniti pure per te i tuoi consigli?", seppure nonostante il bel libro di Cerami e "I ferri del mestiere" di Fruttero e Lucentini, io non abbia mai cavato grandissimi insegnamenti.
 Da un po' di mesi però c'era un libro nella sezione che molto mi incuriosiva: "Noir" di Luca Crovi, ed. Garzanti.Gli facevo la classica corte non convinta di chi è interessato vagamente a qualcuno, ma crede alle dicerie di paese. Poi, ho preso coraggio e l'ho letto. E' fantastico. Ve lo consiglio. Ve lo straconsiglio innanzitutto perché non è un libro che insegna a scrivere noir, né ne ha la pretesa. E' invece quel che si potrebbe definire uno scrigno di tesori.
 Ci sono infatti decine di capitoletti non più lunghi di sei o sette pagine l'uno, dedicati ai più svariati autori di noir/horror/fumetti noir/thriller. Non è il solito elenco da antologia delle scuole medie con data di vita, morte, miracoli, elenco delle opere, trattasi solo degli episodi più gustosi delle singole vite e dei consigli che codesti autori hanno da donarci.

 Si leggono così delle interviste fantastiche, come quella fatta direttamente a Diabolik, il ladro delle sorelle Giussani, che ci rassicura non svanirà poi tanto presto, e rivela peraltro un mistero nel mistero: la misteriosa scomparsa nel nulla del primissimo disegnatore della primissima storia. Un tedesco che si firmò sotto pseudonimo, prese il compenso e scomparve per sempre. 
 Si scopre che l'autore di uno dei pochi horror che ho molto apprezzato alias Koji Suzuki alias il creatore di Sadako (poi Samara in America), scrisse "The ring" quasi per caso e, nonostante il successo, non lo ama poi tanto, visto che lui non ha alcun interesse per i libri horror, amando invece a dismisura quelli d'avventura.
  Ci sono veri e propri consigli, come "Le 10 regole del noir" di Chandler e le solite inquietanti teorie di Patricia Highsmith: "Una storia diventa interessante solo in mano allo scrittore giusto" (esempio lampante: riuscì a farsi venire l'idea per un adolescente matricida sadico solo alla notizia di un ragazzino amava veder mangiare i serpenti) . 
 Lei, che per me è la dimostrazione di come la giusta forma mentis per trarre ispirazione e verità dalla realtà circostante non sia certo una cosa che si può insegnare, scrisse però un interessante manualetto dal titolo "Come si scrive un giallo" ed. Minimum Fax. Beveva come una spugna, quello sì, ma senza trascurare la disciplina.
R.L. Stine
 Si passa allora, da ciò che accende la mente dei famosi scrittori scandinavi alle congetture sulla morte di Poe, al commissario Sancette, fallito Maigret, fino alla sorpresa di ritrovarsi R. L. Stine. Ve lo ricordate? Sì, proprio lui, l'instancabile sfornatore seriale di libri horror per ragazzini. Io ne lessi qualcuno alle medie per poi resettarlo completamente, ricordo una trama su un cappello che possedeva chi lo metteva o qualcosa del genere. Una mia amica aveva l'intera collezione, che peraltro, credo, rimangano gli unici libri da lei letti in vita sua. Comunque, il libro che insinuò in Stine la passione per l'horror fu nientemeno che "Pinocchio". Sì, sua madre gli leggeva la versione originale prima di andare a dormire, precipitandolo nell'orrore e nell'angoscia di una storia che, in effetti, esattamente come le "Fiabe italiane" di Calvino non è proprio per soft (mia sorella ancora ricorda i suoi strilli quando le lessi delle principesse a cui la suocera cavò gli occhi e fece mangiare i figli, e che poi  per punizione venne cosparsa di pece e bruciata viva).
 Lo spavento fu l'input fondamentale che mise in moto la sua immaginazione e lo portò ad essere l'autore per ragazzi che, prima di leggere il libro di Crovi, avevo sempre trattato con sufficienza. Invece sante e sante sono le sue parole:
"Insegnanti, bibliotecari e librai mi considerano un amico che li aiuta a diffondere la lettura fra i ragazzi  in un periodo in cui è sempre più difficile motivarli. Partecipano entusiasti ai dibattiti dei miei piccoli lettori e suggeriscono loro altre opere. I ragazzini si aspettano che io mi presenti con un mantello o un cappello strano. Qualcuno rimane deluso.Gli insegnanti invece sanno che la mia magia opera in altro modo e non ho bisogno di bacchette magiche."
Se avessimo più R. L. Stine e meno serie su bambine pattinatrici, ballerine e top model, il mondo forse potrebbe diventare migliore.
 Consiglio infine, in coppia a "Noir", un altro libro: "A proposito di giallo" di P.D. James ed. Mondadori. L'anziana signora del giallo smonta con astute mosse e alcuni astuti elenchi, gran parte dei libri gialli scritti attualmente. Provate a fare un gioco: leggete le sue regole del buon giallo e depennate tutti quelli che avete letto e non le rispettano. Vediamo in quanti rimangono in piedi ;)


lunedì 23 settembre 2013

Breve carrellata dei magici incontri tra clienti in libreria! Dal professore con l'alunna, agli acerrimi nemici passando per autori stalker e mitomani di successo!

La domenica porta consiglio e si sa, sempre nuovi orrori. La magica giornata in cui si aprono le gabbie dell'umanità porta, davanti a chi dietro le sbarre c'è rimasto (tipo me), la più vasta delle carrellate antropologiche. Questa settimana, un episodio che di seguito narrerò, ha ispirato questo elenco degli incontri più tipici che avvengono in libreria.
 Come in tutti i posti dove la gente passa e spassa, e molto più di altri negozi perché in genere c'è mediamente meno caos (ergo più possibilità di notarsi a vicenda) e si tende a stanziare per più tempo alla ricerca della sempre più introvabile ispirazione per un buon libro, vi è in libreria una tendenza all'incontro che propone dei casi frequenti. Di seguito ve ne darò elenco, protagonisti e motivazioni.

 Perduti amici di infanzia che si rincontrano: Il mondo è un fazzoletto. Tu ignori che Peppuccio il tuo compagno di banco delle elementari si sia sposato, trasferito in Canada e fatto sei figli, poi, trent'anni dopo lo trovi in libreria a vessare il libraio di turno ed è subito amore fraterno.
 "Peppuccio mio da quanto tempo!" "Nooooo da quanto tempo tu!" "Che fine hai fatto? Sempre a leggere eh!" "Sì e tu? E tua madre e tua sorella e il tuo cane?" "Il cane è morto, gli altri bene!"
Insomma, tempo cinque minuti le grida di giubilo per questa commovente carrambata si spanderanno per tutta la libreria, attirando i curiosi pronti a gioire per interposta persona, e i molesti pronti a rumoreggiare stile telefonino che suona in mezzo alla messa: "Eh, ma un po' di rispetto, qui c'è gente che legge"
  Gli incontri dei perduti amici e fratelli durano in genere una molestissima mezz'ora che si conclude con un "Non facciamo ripassare trent'anni" che verrà opportunamente dimenticato appena fuori dal negozio.

Perduti nemici d'infanzia e di vita che si incontrano:
Ogni tanto si assiste a queste surreali scene da film in cui un tizio, se ne sta pacifico a leggere un libro, quando, con la coda dell'occhio, scorge lui. Il nemico. Qualcuno che aveva avuto la saggezza di non rispondere alle sue chiamate, mail, sms, lettere, richieste di incontro tramite interposte amicizie e inimicizie, entra ignaro in libreria e fiuuuum finisce tra le sue grinfie. Inizia allora un balletto minaccioso che ti fa sempre domandare se non dovresti chiamare la polizia.
 "Ehi tu, finalmente ti vedo!" "Ah, lasciami in pace. Non parliamo qui!" "E invece proprio qui parliamo perché non rispondi st***o??" "Non mi pare il posto pr litigare." "E invece lo è!"
Il mondo è un posto pericoloso, pieno di gente strana, con conti in sospeso, debiti, denunce pendenti, tradimenti matrimoniali, bancarotte fraudolente. E sì anche la pacifica libreria fa parte del mondo.

Il professore e la studentessa:
Anziani tremebondi e tranquilli sono lì, in pace, che si leggono l'ultimo libro sulla prima guerra mondiale (di cui tutta una fascia di anziani è superfan, la II guerra la lasciano ai 50enni, non so perché), quando ecco avvicinarsi lei, la ragazza/donna scosciata, con capello fluente e stivale alla moda che, orrendamente, li riconosce.
 "Professoreeeeeeeeeeeee", miagola rischiando di fargli saltare il bypass.
 Comincia allora lo stalking: "Ma cccccome? Non si ricorda di me? Circa 8 anni fa, lei ha fatto una supplenza di mezz'ora nella mia classe! Non può non ricordarsi di noi! Eravamo i più pazzi pazzi dell'istituto!".
 L'anziano allora ha due possibilità: dire che no, lui ha sempre fatto il camionista, altro che professore lei si sbaglia, oppure fingere di ricordare e inventare cose a caso. Nel 100% dei casi, forse per educazione, l'anziano dice che sì, si ricorda, anche se non rimembra una mazza. La ragazza allora attacca un soliloquio di un'ora in cui racconta la sua vita, i suoi successi scolastici, l'importanza per lei di quella supplenza, che fine hanno fatto TUTTI gli altri alunni ecc. ecc. L'anziano stordito vorrebbe evidentemente scappare, ma nulla può salvarlo. 
 Se comunque non è supplenza sarà stato un seminario universitario o mezza giornata di orientamento. Ma si sa, tutti ci crediamo indimenticabili.

Il mitomane al 90% e il fesso che ci casca:
 Talvolta vengono in libreria questi strani soggetti che al 90% sono dei mitomani, ma a cui non riesco a negare un 10% di fiducia. Parlano con cognizione di causa, hanno qualcosa di molto serio. Ma. Sostengono di aver tradotto Gramsci in svedese, di essere gli autori dell'ultima edizione commentata della Divina Commedia in turco o dei miliardari in vacanza. Insomma, c'è di che instillare il dubbio. Un esempio che si è palesato ieri, spiega bene quello che voglio dire. Arriva questa anzianissima, accento inglese, curata, che mi prega di consigliarle dei libri di filosofia perché presto partirà per Dubai, e vuole leggere buoni libri sotto il caldo sole. Io, che di filosofia non ricordo nulla, mi arrampico sugli specchi finché arriva il fesso. E' un uomo ben vestito, di corsa, mi chiede un libro di Sennett, il sociologo che per lui però è filosofo ed indignato mi comunica che no, non posso tenerlo tra i libri di sociologia. Mentre tento di non farmi partire un embolo, l'anziana dice "E' vero! Sennett se la prenderebbe. Sa è un mio caro amico, come lo era Chomsky del resto." A queste parole voi che fareste? Prendereste il libro e via come il vento.
 No. Il fesso rimane estasiato e comunica tutto il suo cv all'anziana, che intanto afferma di aver tradotto Heidegger in inglese e di tenere un colto salotto a NY dove sono passati un po' tutti da Warhol al pupazzo Gnappo. Il fesso è sempre più estasiato, cade in adorazione e comincia a chiedermi millanta libri che vuole consigliare alla signora. Credo si veda a NY a pasteggiare con Chomsky, Keith Haring e il Che.  Li lascio ad amoreggiare tra loro. 
 Poi chi può saperlo, magari io sono una cretina e la signora davvero una delle intellettuali più in vista di NY. Concedo sempre il beneficio del dubbio.

L'autore e i clienti:
Eccolo. Si apposta. Come un predatore nella savana si mimetizza con gli altri, egli è leone gli altri gazzelle, ma gli altri non lo sanno. Ignari, si avvicinano ad alcuni libri generici di narrativa sotto la lettera K. Magari vogliono Kafka, ma sono indecisi. Temporeggiano e sfiorano un libro, forse a caso, forse per curiosità, ed è lì che il predatore coglie l'attimo. 
 "Saaaaaaaaaaalve, scusi se la disturbo, passavo per caso di qui, ma sa che io sono l'autore del libro che ha tra le mani?".
 Alcuni clienti fanno smorfie come a dire: sei pazzo o chissenefrega. Altri no, cadono in adorazione. Magari il libro si chiama "Peccami" e parla delle pornoavventure di una suora carmelitana scalza del XIII° sec. che mai avrebbero comprato, ma davanti ad un AUTORE in carne ed ossa, molti si sciolgono. Inizia un vicendevole gorgheggio di "Come sei bravo" "No signora che dice" "Ma no sei bravo davvero" "Sì forse lo sono sul serio" che termina in verità molto spesso con l'abbandono del libro da parte del deliquiante cliente. Sei bravo sì, ma insomma, il soldo è soldo e non so se "Peccami" a casa mia ci starebbe poi così bene, ma vedrai ti farai strada.

"Peccami" ovviamente è un parto della mia mente (anche se temo che qualcuno abbia davvero partorito questa trama). Tutto il resto invece è reale realtà. 
E voi siete stati vittime di qualche delirante incontro mentre, ignari, vi appassionavate a qualche quarta di copertina?

domenica 22 settembre 2013

Cose realmente avvenute! Lo giuro! Le vergogne dei clienti...

Alcuni clienti chiedono talvolta dei libri che sono o loro stessi ritengono imbarazzanti, tipo il Kamasutra o le tecniche di bondage. Ciò che sono in grado di inventare in questi casi è materia di studio e di futuro post. Ci sono però dei casi esilaranti, il recente libro di Naomi Wolf ha dato vita ad un siparietto che è risuonato per tutta la libreria.


Ps. Sì lo scanner stasera è stato particolarmente poco collaborativo..

Cose realmente avvenute! Lo giuro! Gli imperdibili indizi dei clienti...



I personaggi famosi e i loro danni. E ovviamente gli imperdibili indizi dei clienti, portati a ricordarsi tutto di un libro, dal prezzo, al colore della copertina, alla posizione in libreria ma NON il titolo né l'autore.
 "Vorrei quel cibo che vendete, è bianco, forse liquido e si usa per fare i mignon."
 Avete mai visto una richiesta del genere al supermercato?

sabato 21 settembre 2013

L'ossessione tutta dei nati negli anni '80 per il Giappone e le sue trappole. Un breve elenco di libri che NON dovete assolutamente leggere, manco se adorate il sol levante!


Come molti nati negli anni '80 ho questa passione per i libri giapponesi di cui ho già  parlato. 
 Assieme ai miei coetanei drogati di Sailor Moon, City Hunter, Ranma the crossgender, Ransie la Strega (a proposito, i bambini laziali possono capirmi: RIP Super3) e compagnia bella, ho cercato di emulare i miti della mia infanzia ingoiando vagonate di sushi, cercando (alcuni miei amici si sono pure iscritti effettivamente) corsi di giapponese e producendo con le mie sante mani vestitini alla marinaretta con cui lanciare bolle di nebbia e uragani di Nettuno durante carnevale. 
 Uno degli effetti collaterali di tale sconsiderato amore verso il mondo nipponico è l'attaccamento che si finisce per avere, indiscriminatamente, verso TUTTA la narrativa che giunge difficoltosa dal Sol Levante. Indiscriminatamente è la parola chiave perchè parte di questa narrativa è terribile. Non è tutto oro quello che è nipponico.
 Questi giorni sono presa dalla lettura di "Corpi di donna" di Rieko Matsuura, che non avevo realizzato fosse la stessa autrice de "L'alluce P.", un libro che in varie biblioteche puoi tuttora prendere in prestito solo se SEI maggiorenne. Poichè parla di una tizia che un bel mattino si sveglia e al posto dell'alluce si ritrova un pene, ho sempre evitato di leggerlo. Non posso dire con certezza assoluta che tale rinuncia sia stata saggia, però la lettura di "Corpi di donna", in cui riponevo tante speranze, parlando esso di una fumettista che ha varie storie lesbiche (e che dovrebbe farsi vedere da qualcuno visto che disegna gente che partorisce lucertole e cadaveri in decomposizione che fanno sesso), ha diciamo avvalorato le mie inquietanti sensazioni. 
Diciamo che non sono un tipo che apprezza molto le crudezze da cui il mondo orientale è affascinato, magari voi sì e allora questo post vi è inutile. Ma nel caso avesse lo stomaco delicato come me, voglio mettervi in guardia da alcuni orrori giapponesi in circolazione in Italia.
Inizio con "Il ristorante dell'amore ritrovato" di Ito Ogawa, uno di quei libri sbagliati fin dall'inizio.
 La Neri Pozza, che è una casa editrice seria, ma immagino sempre soggiacente alle regole del commercio, deve aver pensato fosse giunta l'ora di sfornare uno di quei titoli che vanno tanto di moda ora: donne/amore/cibo. Siccome lo voleva fare con classe, ha tradotto 'sto libro tremendo. In sostanza, una cuoca con problemi amorosi viene mollata dal fidanzato indiano e decide di tornare al paesello per aprire questo ristorante completamente privo di senso commerciale, in cui ospitare solo un coperto a serata. Cucinerà per quegli unici ospiti in modo tanto incantevole da far scoprire loro il vero significato della vita! Brill brill. Sembra zuccherino, ma è inquietante, scritto anche male e ad un certo punto viene cucinato anche un piccione, non d'allevamento.

Vengono poi svariate raccolte di racconti. "La leggenda della nave di carta", che è fantascienza,  
e "No geisha", narrativa normale, e "Sex and sushi", erotismo. Argomenti diversi tutti accomunati da una certa violenza di fondo, che può essere credo anche una chiave di lettura della società giapponese: tanto più è controllata esteriormente e formalmente, tanto più in contesti straordinari come l'erotismo, la fantascienza, l'adolescenza, esprime tutta la sua perversione. E' più o meno la stessa sensazione che ho provato il lontano giorno in cui misi piede a Carate Brianza. Un coagulo di villette talmente finte da risultare spaventose. 
 Comunque, se pure la mia fosse una lettura giusta, tra api che ingravidano, bisce usate come vibratori e adolescenti assassine, davvero fatico a comprendere le ragioni di tanto morboso splatter.

 "Oro rapace" di Yu Miri. Questo romanzo merita la palma per essere uno dei libri peggiori che abbia mai letto. Non era nel post dedicato solo perché il mio stomaco si è rifiutato di finirlo. E' terribile. Ne avevo sentito lungamente parlare e per anni ci avevo girato attorno finché non ho commesso l'errore di leggerlo. E' la classica storia del ragazzino che è cattivo senza motivo, passa le giornate in modo violento e sfaccendato coi suoi amichetti violenti quanto lui, ha una sorella che si prostituisce per caxxate,  non ha morale e finisce per commettere un delitto abominevole. L'intento è ovviamente mostrare la vuotezza e la pochezza della società consumistica odierna. Il risultato una cosa vomitante. Statene alla larga, lo dico per voi.

 Romanzi di ventenni disadattati: "Serpenti e piercing" di Kanehara Hitomi "Blu quasi trasparente" di Ryu Murakami. Anche di questi ho ricordi al limite dell'incubo, con giovani autolesionisti, sesso violento, gente sballottata ovunque, totale perdita di senso, alcol, droghe, molta confusione. Ovviamente nel primo ci sono anche tatuaggi e piercing. 
O i giapponesi hanno una predilezione per ventenni con seri problemi sociali o a noi arrivano troppi romanzi di questo genere. Gli errori peggiori finora rimangono:
 Non credo neanche si possa definire pulp, il pulp, alla fine, ha un elemento assurdo di fondo che se non rende ironico il senso della storia, se non altro gli conferisce una sua paradossale tragicità. Qui invece c'è l'evidente gusto dell'orrido, del sordido, del rimestare nelle umane bassezze.

 Non so, c'è qualcosa in parte della narrativa giapponese contemporanea che si ostina a sfuggirmi. Non capisco come non ci siano vie di mezzi tra adolescenti assassini e le giovinette super leziose degli ultimi libri della Yoshimoto. Se qualcuno, esperto in materia, vuole spiegare, rispondere e financo consigliare testi che possono essere utili alla comprensione, sappiate che io per prima pendo dalle vostre labbra!!
 Nel frattempo mi riprometto di leggere le prime prime due pagine di un libro prima di esaltarmi perché proviene dal Giappone.



venerdì 20 settembre 2013

Borghesia borghesia per cattiva che tu sia. Post di sfogo politico: cosa spinge una persona a comprare gli aforismi di Agnelli e a votare un certo imprenditore?

Alcuni eventi della mia vita mi hanno indotto ad uno status che poco si accorda, assai probabilmente, col XXI° secolo. Tale movimento dell'anima non si quieta neanche dopo tempo: trattasi della mia profonda avversione (odio pare brutto ma potrebbe anche essere) verso la borghesia.
 
Quando ero alle medie credevo molto ingenuamente che i borghesi fossero questa classe sociale formatasi perché in sostanza l'aristocrazia non faceva una beneameata mazza campando sul latifondismo e i servi della gleba. Mentre principi e visconti se ne stavano in panciolle sui loro enormi cuscini piumati aspettando la decima, avvocati, commercianti e uomini brighevoli di estrazione sociale più bassa diventavano sempre più ricchi grazie al loro duro lavoro (dovremmo dare una rivista ai libri scolastici credo). Alle superiori, si iniziava ad avere un quadro un po' più chiaro della faccenda, ma c'è da dire che se non si vive in un contesto fortemente borghesizzato rimane sempre un po' tutto nel boh, chissà de che stamo esattamente a parlà? Non riesci (o almeno io nella mia tontaggine non riuscivo) a fare alcuni collegamenti fondamentali. Fino alla V superiore, avevo l'idea confusa, probabilmente generata dalla scuola pubblica che fossimo davvero tutti uguali e davvero il più bravo dei bravi sarebbe giunto in cima alla catena alimentare del successo. 
 Poi, fortunatamente, ho messo piede all'università e sdeng, ho capito finalmente che la borghesia andava  ben oltre il pur bel romanzo di Moravia, "Gli indifferenti".
 Me lo diedero da leggere al liceo, a molte mie compagne non piacque, io ci vidi una sorta di profonda vendetta verso un mondo che meritava di ripiegarsi su se stesso e morire. Se Carla preferisce sposare un ricco uomo che prima se la faceva con la madre pur di vivere negli agi, e il fratello vuol vivacchiare depresso, nel tipico sconforto blasè di chi non ha un cavolo a cui pensare, cavoli loro. Era anzi, a mio parere un trionfo del bene.
 Se ben osservata, la libreria offre una risposta al perchè il nostro paese sia tra le grinfie di un chiacchierato imprenditore da così tanti anni, tanto da aver quasi festeggiato i vent'anni di regno quasi ininterrotto. 
 Nella sezione di economia c'è un ripiano piccino picciò abitato da questi libri sulle biografie dei grandi imprenditori o delle grandi famiglie industriali dell'Italia e in the world. Ovviamente i signori incontrastati del settore non possono essere altro che gli Agnelli, sviscerati in ogni loro forma e sottoforma. 
 Ebbene, vendono in modo inquietante. Voi direte, vabbeh, gli Agnelli tra morti, amanti, principesse, intrighi di potere e compagnia bella, sono un boccone molto ghiotto, è tipo leggere "Beautiful", ma vero. E vi do ragione. Ma l'anno scorso, in occasione del decimo anniversario della morte del caro avvocato (a 10 anni sappiate che scatta la santificazione, quest'anno è toccato ad un imprenditore morto suicida durante tangentopoli: bello, ricco, sì ladro, ma stai a guardà il capello?) ci è giunto in libreria un tomo che per qualche tempo è stato vendutissimo.
 Titolo: "Mi piace il vento perché non si può comprare" by Gianni Agnelli. Una sorta di raccolta di aforismi/pensieri/imperdibili perle del proprietario della Fiat.
 Adesso, di titoli orrendi ce ne sono tanti, (l'altro giorno ne è arrivato uno di religione che raffinatamente si chiama "Chi non muore si rivede", sì stiamo parlando dell'aldilà), ma questo non solo è orrendo, è sfacciatamente sincero. Uno degli uomini più straricchi d'Italia il cui degno nipote sta divorando un'industria col concorso di un manager che se rinunciasse al suo stipendio sfamerebbe tutti gli operai di tutte le fabbriche in barba alla crisi, ti dice vezzoso che insomma, il vento è fico perché supera la tua capacità di ottenere tutto coi soldi. Cazzarola che profondità.
 Ecco questo libro è stato vendutissimo, te lo chiedevano! Ah, il povero avvocato, ah la santificazione postuma! 
Mi chiedo come non si rendano conto che il signor dottor industriale li avrebbe guardati con lo stesso sguardo di benevolo disagio, un po' paternalistico, che la moglie sciura dell'imprenditore ai cui figli rincoglioniti facevo ripetizioni, mi fissava. "Sa", mi diceva in ansia. "Dovrebbe fargli fare tutti i compiti della settimana oggi, perché poi andiamo in Svizzera a sciare tre giorni e non vorrei fossero disturbati dallo studio."
 I pargoli che non devono essere disturbati mentre sciano, avranno un giorno molte più possibilità della maggior parte dei figli di coloro che, boccaloni, comprano la raccolta di aforismi di Marchionne "Chi comanda è solo" (sognando che un giorno il loro pargolo diventi un bel padroncino come lui).
 C'è un libro della Feltrinelli, uscito quest'inverno di Susan George, si intitola: "Come vincere la guerra di classe". Molti diranno: stiamo ancora qui a raccontarcela e a parlare della lotta di classe, così non andremo mai avanti. Ma voltando il retro ci si accorge che il titolo non deriva da una massima di Marx, ma direttamente dalla viva bocca di uno degli uomini più ricchi del mondo, una delle grandi star della leadership, che migliaia di uomini in tutto il mondo non solo seguono, ma arricchiscono comprando i suoi libri.
"C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo"
 Warren Buffett, la terza persona più ricca del mondo.

ps. Oggi volevo in verità parlare di tutt'altro, ma la visione di "Viva la libertà" di Roberto Andò e gli scempi che stanno accadendo in questi giorni, tra cui un certo videomessaggio, mi hanno sospinto verso questi momenti di ribellione molesta. Domani rientrerò nei ranghi, promesso.

giovedì 19 settembre 2013

La sezione di Bimbominkitudine conosciuta anche come "Under 18". A 14 anni si legge Calvino a 17 storie di succhiotti. Per quale arcano motivo?

Allora dunque, in libreria c'è questa sezione che, a mio parere potrebbe essere tranquillamente chiamata "Bimbominkismo" o almeno "Ciò che noi pretendiamo dagli adolescenti e ciò che gli adolescenti giustamente ci restituiscono". Sto parlando dell'inquietante sezione per "Under 18".
 In un momento stellato, non so quando non so come, si è deciso che fino a 14 anni un essere umano, non solo è senziente, ma deve stimolare il proprio cervello a non finire, leggendo fantasy, illustrati, saggi complicatissimi di fisica che Stephen Hawking si illude di aver semplificato solo perché ci ha messo mano la figlia, storie devastanti di camorra, piccole preziosità sull'elaborazione del lutto.
 Dopo i 14 il diluvio.
 Si entra in quell'interregno di idiozia in cui basta, non sei più un pozzo di scienza o un Einstein in erba da stimolare, ma un cretinetto che pensa unicamente a brufoli, amorazzi, lotte per la supremazia scolastica a suon di minigonne, succhiotti da nascondere ai genitori. In sostanza dai 14 ai 18 anni diamo per appurato subiscano un'involuzione cerebrale, e non solo, li fomentiamo pure, perché l'80% delle volte, quando un genitore confuso ti chiede un libro per un 17enne e tu gli consigli "Il giovane Holden", quello ti guarda strabiliato come se stessi cercando di rifilargli l'Enciclopedia britannica (aggiornamenti inclusi).
 Voi direte, eh ma a quell'età si pensa all'ammmmore, ai bacetti, alla skuola, mica ad un depresso con famiglia disastrata che vaga in stato confusionale. Voglio allora proporvi delle imperdibili perle del settore per comprendere il mio sgomento.

 Libri di amore/passione/maledizione/tanta tanta passione: 
Moccia ne è un caposcuola e, non ci crederete, manco il peggiore. Malgrado i suoi libri abitati da gente improbabile che si fa chiamare Pollo e Pallina, c'è chi lo ha superato. Chi? Ebbene la serie di successo di non so quanti volumi della Fanucci "Tvukdb" (modo di dire che peraltro gli adolesciiienti moderni non usano più). L'autrice Valentina F. narra le sventure della quindicenne Valentina (sua omonima, non ho mai capito se è davvero l'autrice o un'astuta mossa editoriale) divisa tra Mirko e Marco (giuro) da cui riceve passione, tradimento, ardore all'ennesima potenza, sempre accompagnata in tali vette dalle sue imperdibili amiche, che ovviamente frequentano ragazzi mediamente più sfigati dei suoi.

 Nulla forse al confronto dei dubbi amletici della protagonista de "Il mio succhiotto ed io", già protagonista de "Il mio brufolo ed io" di Ilona Einwohlt, in pieno psicodramma perché: come posso nascondere tale nefandezza a mia madre? E, soprattutto, è moralmente giusto che io giri con un succhiotto sul collo? La sessualità non sarà qualcosa di vero e magggico che posso condividere solo col mio vero amore?
 Forse non la pensa così lei, "Sono tossica di te", la povera adolescente con padre psicotica che invece di sollevarle il morale le dimostra come non si riprenda dalle delusioni d'amore perché è drogata d'amore., gettandola in tal modo nella più cupa disperazione. Questa è la gente che poi finisce a leggere Morelli e Andreoli.

 Libri per adolescenti ritenuti mediamente superiori per motivi ignoti:
Ci sono delle porcherie in questa sezione che però vengono ritenute moralmente superiori. Hanno tipo un messaggio di fondo o qualcuno che in genere patisce di qualcosa e muore. Il più classico degli esempi è l'allucinante "Bianca come il latte, rossa come il sangue".
La Mondadori, l'anno successivo a mr. Numeri primi, sull'onda emotiva del dottorando in fisica, voleva rifare il cappotto editoriale presentando un nuovo sexy autore da lanciare. Così ecco apparire D'Avenia, professore del liceo giovane e spigliato (l'unico in tutta Italia credo) che dice di essersi ispirato a due suoi alunni per questa storia di amore e leucemia. Questo è il classico best-seller scritto da chi crede che gli adolescenti siano una massa di deficienti e da parte di quella massa effettivamente deficiente comperato. Un insulto per tutti gli altri. Scritto in una lingua inquietante (ma questi fino a 14 anni non leggevano Calvino dissertando di buchi neri?) ha per protagonista uno di quei classici tizi che a scuola io avrei preso a bastonate: nullafacente, rompipalle, che impedisce al popolo altro di seguire la lezione perché trova tutto noioso quando invece basterebbe che accendesse il cervello o, ancor meglio, andasse a zappare la terra. Questo campione (che ovviamente nasconde un giardino incantato dentro di sé) incontra il classico prof. strafico che non esiste né mai esisterà, che gli farà capire il vero significato dell'esistenza. Intanto una tizia coi capelli rossi si ammala di leucemia, giustificando in tal modo il titolo.
Mi fermo qui.

 Storie di morte e devastazione:
Gli adolescenti sono morbosi. C'hanno 'sta cosa della morte che però è angoscia che però è fisima mentale e basta, ma loro ancora non lo sanno. Nel frattempo si trastullano sull'idea che se loro non ci fossero più, allora sì che il mondo capirebbe cosa si è perso. Penso che sia questo il motivo di tanto successo delle storie in cui il protagonista si deve riprendere da un lutto, ha una famiglia disastrata, ha appena perso l'amore della sua vita in un incidente aereo, è in coma. "Resta anche domani" di Gayle Forman, per esempio, parla di questa ragazzina, prodigio del violoncello, unica sopravvissuta di un megaincidente, ma in coma, che nell'etere mistico deve decidere se vivere o morire. Ovviamente al suo fianco c'è lui, il fidanzato, un cantante famoso già a 18 anni, bellissimo e ambitissimo che farà di tutto per convincerla a rimanere tra i vivi.
Ancora più morboso è "Proibito" di Tabitha Suzuma, dove due fratelli ovviamente bellissimi cadono in un incesto che si risolve in tragedia perchè il mondo non comprende il loro amore e il fatto che a 16 anni no, non possono vivere soli e tanto meno allevare altri tre ragazzini che l'incosciente madre ha loro affidato prima di darsi alla fuga.

 Io non pretendo che 'sti ragazzini davvero continuino a leggere storie di camorra e olocausto (altro grande classico per chi ha meno di 14 anni), ma caspita ci son cose migliori anche per loro. Perché cavolo non c'è in questa sezione "Porci con le ali"? Almeno si darebbero una svegliata in tutti i sensi! E uscirebbero subito dall'inquietante schema: amore, principi, dolore, rinascita. Regà avete tutta la vita per diventare imbecilli.
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