mercoledì 31 luglio 2013

Colleghi e confutazioni.

I colleghi, quali fatate creature...

 Faccio un'errata corrige, il titolo esatto è "Cristo era vegetariano?".

La Somma: Marion Zimmer Bradley. Autrice di fantasy che non erano fantasy.

Oggi mi pregio di consigliare un'autrice che per motivi vari et complessi è la mia preferita in assoluto.
 A me il fantasy non piace in particolar modo e neanche la fantascienza. Ho leggiucchiato di tutto un po' per dovere morale, ma non ne sono stata mai particolarmente attratta. Eppure la mia autrice preferita è Marion Zimmer Bradley, MZB per i suoi fan, la creatrice della splendida saga di Darkover. Why?


 Il mio primo approccio con la somma fu alle medie, ancora non potevo saperlo, ma comprai per caso in libreria l'unico libro che avrei letto mentre lei era ancora in vita e che, devo dire,non era un granché ( si trattava de "Il giglio nero" scritto assieme a Julian May e Andrè Norton). Così la lasciai perdere, nel '99 lei morì di colpo, io ignorai la notizia come gran parte del pianeta e la riscoprii solo all'università, quando, in preda ai deliri da iperstudio, cercavo qualcosa con cui staccare il cervello nelle ore di riposo.
 Poiché la Tea all'epoca faceva sconti che la legge Levi ha poi ucciso, iniziai la saga di Darkover: era lunga, pensavo leggera e low cost.
 Mai libri mi hanno insegnato tanto.
 L'ambientazione tra il fantasy e la fantascienza narra di una navicella spaziale terrestre carica di coloni di origine scozzese alla ricerca di un mondo libero da tecnologie in cui ricominciare a vivere come i loro avi. Quando la navicella si rompe e naufraga su un pianeta gelido, loro (felici) e l'equipaggio (molto meno felice) dovranno imparare a sopravvivere nel minor tempo possibile e nel farlo restaureranno una civiltà molto simile a quella tipica delle ambientazioni fantasy, con la variante ulteriore dell'uso di poteri psi.
 Questa è la storia di primo livello. Nella storia di secondo livello c'è tutto il resto: lo scontro di civiltà (quando verranno ri-scoperti migliaia di anni dopo da altri coloni), lo scontro natura/tecnologia, l'oppressione femminile, i rapporti tra gli esseri umani.
 Ma soprattutto questa saga è il cuore di tutto ciò che la Bradley avrebbe voluto e non ebbe. Cresciuta in una provincia americana che odiò da subito, si sposò giovanissima con un uomo di cui non ha lasciato ritratti lusinghieri e da cui divorziò per sposare un numismatico gay. Sin dalla gioventù fece parte di gruppi lesbici e scrisse anche dei lesbo-pulp sotto falso nome che purtroppo sono assolutamente introvabili. 
 Nei suoi libri, ad altissimo fattore gayo, i personaggi sono scissi tra innumerevoli doveri: verso la società, la famiglia, il prossimo e l'amore. E l'amore non è mai il primo di essi, anzi, è sempre il più sacrificabile.
 Senza esagerare i suoi libri hanno cambiato la mia vita.
 Il grande pregio di questa saga, lunghissima, è che l'autrice concepì ogni singolo libro come completo in se stesso. Alcuni fatti sono collegati, ma da qualsiasi parte voi inizierete la storia sarà chiara e completa (cosa che apprezzo tantissimo, soprattutto dopo aver mandato al diavolo la terribile saga di Shannara di Terry Brooks). Mi aripregio perciò di consigliarvi due libri in particolare:  "L'erede di Hastur" ed. Tea 7,80 euros e "La catena spezzata" ed. Tea 7,80 euros pure questo.


 In entrambi l'ambientazione fantasy è presente senza essere dominante. Potremmo dire che "L'erede di Hastur" è il romanzo di formazione di un giovane adulto (la prima voce narrante) e di formazione sessuale di un adolescente (seconda voce narrante). Mentre "La catena spezzata" (di cui io favorisco in verità il seguito "I regni di Darkover") nel 1976 creò sconquassi tra le femministe americane, in un dibattito riportato nella lunga prefazione che l'autrice fa al libro.


 Come detto all'inizio, lessi un solo romanzo mentre MZB era ancora in vita e me ne dispiaccio ancora adesso, perché le avrei scritto volentieri quanto importante sia stata per me. E considerando quale cura metteva nel tenere contatti coi suoi lettori e con i giovani scrittori, mi piace sempre pensare che mi avrebbe anche risposto.

martedì 30 luglio 2013

Cose realmente avvenute. Lo giuro! Si accettano risposte.

Si aprono le scommesse. Magari qualcun* sa chi era l'autore che cercava la signora.....

Libri imbarazzanti. Di yeti, figli di troika, zombie, missionarie, vacche e animali drogati.

Ci sono libri che per un motivo o per un altro mi vergogno di vendere.
 So che sono solo l'ultima ruota del carro e che non dovrei per questo sentirmi coinvolta, ma vi giuro che consegnare il "Mein Kampf" nelle mani di taluni adolescenti mi fa sempre torcere un bel po' lo stomaco.
 Tuttavia, non voglio far prendere una piega tanto seria a questo post (non ora) e parlerò dei libri discutibili per i loro titoli, che vorrei sempre capire di chi sono demerito, se degli autori, degli editori, di qualche geniaccio del marketing o di tutti quanti.
 Iniziamo con l'evergreen del fu Christopher Hitchens "La posizione della missionaria" ed. Minimum Fax, libro che si pregia di svelare il lato macabro delle azioni di Madre Teresa di Calcutta. Devo dire che anche io ho sempre trovato inquietante l'amena anziana e che gli aneddoti su di lei, riportati nel libro, rafforzano questa mia convinzione (Celebre la storia per cui ad un sofferente che si lamentava dei dolori rispondeva: "Non lamentarti, dio ti sta baciando!" O.o), tuttavia il titolo non rende giustizia all'opera. Ma è pur vero che l'alternativa pare fosse "La vacca sacra" e allora ci è andata di lusso.


 Altro titolo discutibile è "Figli di Troika" di Bruno Amoroso, recentemente edito da Castelvecchi. 

Fa parte di uno dei settecentomila libri sulla crisi che sono usciti negli ultimi cinque anni. Praticamente ogni giorno qualcuno sa come risolvere la crisi o di chi è la colpa, peccato che l'opinione non sia mai la stessa. 
Come il titolo educatamente parlante può far intuire, Amoroso affibbia delle colpe molto precise, pur tuttavia, come dire, io non riesco a trovar serio un saggio di economia con questo titolo. E non saprei se è solo un problema mio.
 Il momento irriverenza arriva anche  dalla sezione da cui meno te l'aspetti: l'evoluzionismo. In genere frequentata da liceali alle prese con "L'anello di re Salomone" di Conrad o dai pochi aficionados dell'homo erectus, ultimamente sta cercando nuovi momenti di gloria grazie ad opere come "Animali che si drogano" di Giorgio Samorini, edizioni Shake, in cui si dimostra come non solo l'essere umano ami i funghi allucinogeni, ma anche qualche capra sperduta sui greppi.


 La chicca però l'ho tenuta per la fine e proviene sempre dalla sezione di religione. 
 Qualche giorno fa, sistemando l'alfabetica, ecco cadermi tra le mani lui: il saggio che vede una connessione tra lo Yeti e Gesù Cristo. "Il mistero dello yeti" di Attilio Mordini fa parte di quei libri di religione che tentacolano neanche troppo velatamente nell'esoterismo e di cui lascio la lettura a chi più di me prova interesse per queste faccende.


 Nel frattempo mi chiedo a quando il libro che dimostrerà che Lazzaro è stato il primo Zombie della storia.

lunedì 29 luglio 2013

Storie realmente avvenute. Lo giuro! n°4















Perché la legge contro l'omofobia? Leggetevi "V for Vendetta" e lo saprete.

 In questi giorni, con logiche che fatico a comprendere quale persona dotata di raziocinio (almeno credo) noto lo strano affaccendarsi attorno alla legge contro l'omofobia
 I cattolici, che hanno sempre da dire la loro in nome di non so bene cosa (oh, questo non è un blogghe per amanti di preti e affini) sostengono che no se puede far la legge contro l'omofobia perché sarebbe una limitazione della libertà di opinione, ma che loro comunque son contro l'omofobia.
 Ora, facciamo questo discorso usando parole che ormai sono state sdoganate.
 Io non sono contro i neri, ma impedirmi di dire che fanno schifo limita la mia libertà di opinione.
 Io non sono contro gli ebrei, ma impedirmi di dire che dovrebbero essere percossi limita la mia libertà di opinione.
 Vi fanno orrore? Bene. Allora non dovreste avere problemi a capire che "Io non sono contro gli omosessuali, ma penso che siano malati" è una frase che non solo dovrebbe suscitarvi orrore imperituro, ma che non vi sognereste mai di dire.
 Per questo sentite le vostra libertà personale limitata? La vostra libertà di opinione?
 La frase di Voltaire che non era di Voltaire, ma di una sua commentatrice a posteriori su quella cosa che io mi ammazzo per farti dire qualsiasi caxxata ti venga in mente con me non attacca. Se sei un omofobo devi essere punito per legge. Non esiste che la tua ignoranza limiti la mia libertà.
 Posto questo sfogo, ecco a voi due suggerimenti in proposito.
 Il primo è la bellissima graphic novel di Alan Moore e David Loyd, "V for Vendetta", ultimamente edita a caro prezzo da RW Lion. 


 I più la ricorderanno per il film con Natalie Portman e perché tutti i movimenti di protesta occidentale che vogliono sentirsi cool negli ultimi anni, amano indossare la maschera di V. 
 Quello che i movimenti di protesta non ricordano mai è il motivo per cui il personaggio di V ha deciso di iniziare la sua vendetta, ossia l'uccisione di Valerie, sua compagna di prigionia, catturata e torturata solo perché lesbica.
 La sua storia vale il libro e il film e la domanda che lei pone vale una legge contro l'omofobia:

 "Ancora non capisco perché ci odiano così tanto."

 Chi volesse trovare risposte che andassero oltre il loro buon senso può rivolgersi allora al consiglio number two: "Disgusto e umanità: l'orientamento sessuale di fronte alla legge" di Martha Nussbaum ed. Il Saggiatore, euros 19,50. 


La filosofa americana analizza il perché del disgusto che molte persone provano o hanno provato nei confronti degli omosessuali e come tale percezione sia stata e debba essere modificata, soprattutto davanti alla legge perché uno stato sia davvero un patto comune posto a difesa di tutti i cittadini e le cittadine che chiedono solo di essere considerati umani e meritevoli di diritti esattamente come gli altri.

 Per chi avesse dubbi ulteriori, prego rivolgersi alla canzone dei Radici nel cemento"Siamo tutti omosessuali"
 Credo che la legge contro l'omofobia sia un dovere civile di tutti, soprattutto degli eterosessuali, poiché nessuno può dirsi una brava persona se lo è a discapito di qualcun altro.

domenica 28 luglio 2013

Il cliente delle otto meno due.

 Come ho già scritto in precedenza odio lavorare la domenica.
 La domenica è quel magico giorno in cui gente solitamente rinchiusa in ufficio per il resto della settimana, esce allo scoperto terrorizzando l'umanità. Un tragico esemplare di quest'orda funesta è: il cliente delle otto meno due.
 Costui appare alle otto meno due invocando un libro di cui ha assolutamente bisogno, ma di cui, non si sa perché, non ha sentito la necessità verso le cinque. 
 Quando gli fai notare che si sta per chiudere (e che una è in piedi da una decina di ore e vorrebbe prendere il treno prima che le ferrovie dello stato ti appiedino per tre ore perché è domenica) egli ti risponde provocatorio che sono le otto meno due, non le otto. 
 A quel punto, tentando di reprimere gli insulti, si tenta di scovare il libro senza il quale il cliente non può dormire quella sera, e puntualmente o non si trova o è da ordinare o è in magazzino. Quando il prezioso tomo è tra le mani del cliente sicuramente dalle otto meno due si è passati alle otto e cinque minimo. Il cliente ovviamente non sarà pago e vorrà qualcos'altro, in genere una confezione regalo perché è di corsa e non può farsela con le sue sante mani e poi oh, è un servizio e lui lo vuole.
 A quel punto gli si fa notare, ormai con il sangue al cervello e le mani che tremano, che è un servizio sì, ma per chi si degna di venire ad un'ora decente.
 E' allora il cliente delle otto meno due se ne esce con quella che crede essere la sua frase vincente: 
"Eh, ma io spendo."
 Figliolo, figlioli, io so che l'economia tracolla, so che spendendo cinquanta euro voi crediate di risollevare le sorti dell'economia italiana e di far abbassare lo spread in modo decisivo, ma non solo non è così, ma voi, nella vostra tracotanza, mi state facendo perdere il treno per tornare a casa.
 Quando si cerca delicatamente di far notare che dei cinquanta euro non ce ne frega niente, il cliente impazzisce e monta un casino agitando il bancomat che però non molla alla cassiera, la quale non può chiudere lo scontrino. Ormai si veleggia verso le otto e dieci e il treno è partito.
 Nel mentre, altri clienti delle otto meno due e delle otto e due si accalcano alla porta insistendo per entrare che loro devono proprio prendere una cosa solo un secondo, il bambino piange, la nonna sviene, solo un attimo! Giurano che spenderanno non entreranno a vuoto!
 Tentando di non farsi partire un embolo, si cerca quindi di stanare il cliente meno due, prima che lui e i suoi simili abbiano la meglio e l'unica è tacere e incassare qualsiasi insulto.
 All'alba delle otto e un quarto, tra le proteste, la porta viene finalmente serrata e a quel punto non è che uno se ne torna a casa. No, è allora che inizia tutta la procedura per chiudere il negozio, che, caro cliente delle otto meno due, non è che in libreria viene la fata madrina a serrare e contare il dinero.

 Poiché comprendo che questo post è scritto sull'onda di un astio profondo, vorrei lasciare una nota di dolcezza a tutti quei bravi clienti che sono gentili, disponibili e non si presentano alle otto meno due, ma in orari civili. In loro onore vi consiglio questo libro che una gentile signora oggi mi ha chiesto tra mille premure: "I biscotti di Baudelaire" di Alice B. Toklas. Un libro di ricette e aneddoti scritto dalla compagna di vita di Gertrude Stein, grazioso, leggero e interessante. Per colte pause the.

sabato 27 luglio 2013

Vortici di vite surreali: Pablo Tusset e A.M. Homes!

Dato che si schianta di caldo e che il mio unico desiderio, mentre ascolto Veronica & The Red Wine Serenaders, è quello di trovarmi su una spiaggia, con un daiquiri e una collana di fiori appesa al collo, suggerirò oggi un libro leggerin leggerino di un autore cugino spagnolo: Pablo Tusset.
 Anni fa uscì per Feltrinelli la sua deliziosa opera prima: "Il meglio che possa capitare a una brioche", tuttora al prezzo di 8 euros.

 La storia fa parte di quella tipologia di libri che amano concatenare eventi assurdi a cascata e che, se scritti bene, sono secondo me la compagnia ideale sotto l'ombrellone.
 Il protagonista, Pablo Miralles, è uno sfaccendato di ricca famiglia che ama passare le giornate al bar o al pc col suo blog di filosofia, bevendo e fumando canne assieme ai suoi amici. Quando il suo perfetto fratello maggiore sparisce di colpo, gli tocca improvvisamente assumersi la prima responsabilità della sua vita e scoprire che fine ha fatto. E' l'inizio di un casino epico tra sette, ex vaticanisti, amiche procaci, cognate misteriose e genitori rompipalle.
 Ne esiste anche un film, leggerino e non particolarmente bello, ma se capite lo spagnolo e volete gettarvi, in giro si trova facilmente.
(Nel caso "Il meglio che possa capitare ecc" vi piaccia e foste tentato dall'unico altro libro tradotto di Tusset, che è "Nel nome del porco", lasciate stare!!!!ALLARME ROSSO. E' un libro di rara agghiacciante bruttezza, statene alla larga!).
Dello stesso genere, c'è anche "Questo libro vi salverà la vita" che personalmente considero l'unico libro decente di A. M. Homes, scrittrice americana potenzialmente molto brava che però negli ultimi libri si è un po' persa.


 Attirata dal cavallo salterino nel donut sono caduta dritta nella vita di un uomo di successo che improvvisamente sente un vuoto esistenziale e inizia a riempirlo a caso, con tutte le persone che incontra (a partire dal venditore di ciambelle della sua strada), in modo confuso e bulimico, eppure in qualche modo convincente e giusto.
 Libri da spiaggia per riposare e non pensare a nient'altro se non al sole, al mare e al mondo che da lì sembra tanto lontano mentre si pensa di stare alle Hawaiiiiiiii.

venerdì 26 luglio 2013

Quando il giallo non è (solo) giallo. Patricia Highsmith!

Quando ero bambina leggevo voracemente e i miei genitori che non erano dei gran lettori, ad un certo punto, per placarmi, iniziarono a rifilarmi tutti i libri che recuperavano in giro, senza badare troppo se fossero adatti o meno alla mia età. Fu così che alle medie lessi "Il sepolto vivo" di Patricia Highsmith. Di esso ricordo tuttora: una copertina orrenda di un'edizione tipo "le signore del giallo" (quanto odio quando fanno 'ste collane, gli uomini sono capolavori le donne sò signore), che c'entrava una falsificazione di quadri e che lo trovai di una noia mortale. Il risultato fu che cassai la Highsmith anche nei 10 anni successivi, convinta fosse la solita autrice di gialli pallosi.
 Due o tre anni fa arrivò in libreria questo BELLISSIMO libro di Andrew Wilson, "Il talento di miss Highsmith" ed. Alet la cui quarta di copertina inizia così:
 "Donna di raffinata, androgina bellezza, ma eccentrica al punto da non separarsi mai dalle centinaia di lumache che portava in una borsetta perfino ai cocktail-party, persona timidissima e dotata di un umorismo beffardo e sagace, misogina e spilorcia.."


 Il punto sulle lumache mi divertì, quando poi lessi della sua complicata lesbica vita sentimentale,lo presi seduta stante ed erano anni che non facevo un acquisto tanto buono.
 La vita di miss Highsmith era stata tra le più perturbanti a livello interiore che abbia mai letto.
 Era una donna stranissima, timida eppure estremamente passionale, capace di grandi gesti d'amore verso le sue compagne e numerosissime amanti, eppure sospettosa al limite del paranoico. Abitò lungamente in Europa e anche in Italia, trovando qui una comprensione e un successo che a lungo le furono negati in patria. Scriveva gialli per l'unico motivo che io trovi sensato: togliere la maschera alla supposta normalità. Cercava il marcio nelle case borghesi, inseriva il delitto in quadretti di tranquillità  inquietante, instillava il seme della pazzia nei momenti topici del tran tran borghese (il bellissimo racconto "La follia delle sirene"). Non era una scrittrice di gialli, o almeno non solo. Scriveva gialli per mostrare la corruzione insita in ogni vita.
 Colta da un estremo entusiasmo post-biografia, (al cui autore Wilson si deve riconoscere una bravura rara nell'obiettività e nella documentazione), iniziai a raccattare in giro i libri che, memore delle mie delusioni di 12enne, avevo abbandonato sul mio cammino.
 Lessi lo splendido "Carol" e la raccolta "La Follia delle sirene". L'unico vero giallo sul quale puntai, superando la mia avversione verso il genere fu "Sconosciuti in treno" la cui idea di partenza "due persone si incontrano per caso e si scambiano un delitto da compiere" è geniale.


 Ecco, questo è il giallo che vi consiglio per l'estate se amate i gialli e la biografia che vi STRAconsiglio se amate i libri. Che l'inquietudine sia con voi!
ps. Apprendo che "Sconosciuti in treno" è fuori commercio, il che è scandaloso. Biblioteche e usato dovrebbero facilmente averlo, altrimenti buttatevi sulla serie de "Il talento di mr. Ripley". Sì, l'autrice è lei. Ah non lo sapevate? Non temete, è il motivo per cui anche io ci ho messo 10 anni di ritardo a capire cosa non mi suonava ne "Il sepolto vivo"....

giovedì 25 luglio 2013

Storie realmente avvenute. Lo giuro. n° 3


Letture Giapponesi. Natsume Soseki e "Il Signorino"

Come detto in precedenza, amo molto gli scrittori giapponesi.
 Anche io, giovinetta liceale, fui colpita dagli strali dei primissimi libri della Yoshimoto, che adesso scrive del sole che sorge e della luna che tramonta, ma che per me, a 14 anni, uscita rincoglionitissima dalle scuole medie, fu una rivelazione. I pensieri sconcertanti che suscitarono in me  "Kitchen" ed "N.P." ancora mi impediscono di detestare un'autrice ormai perduta nel perbenismo. 
 Perciò, anche se non è molto cool, mi sento ancora di consigliare questi due libri, specialmente agli adolescenti, specialmente di provincia e specialmente se molto rincoglioniti. Aiutano ad aprire gli occhi sul mondo, ma con trauma posticipato. Lì per lì ti sembra una storiella, poi coi giorni realizzi di aver letto di morte, incesti, genitori transessuali e omicidi.  


Lancio peraltro un appello: sono anni che cerco il film giapponese tratto da "Kitchen", senza fortuna, se qualcuno che casualmente passa di qui ne avesse un link gli sarei grato se me lo postasse.
 Un consiglio giapponese anche per persone più adulte è invece il bellissimo "Il signorino" (Bocchan in originale) di Natsume Soseki, ed. Neri Pozza 14,50 euro. 


 Ricordo con orrore una fascetta che la definiva "L'opera più leggera di Soseki" e i bambini festanti scelti per la copertina contribuivano a dare l'idea che si stesse per leggere un'operetta minore.
 ERRORE
 "Il signorino" non ha nulla di leggero, se non la scrittura meravigliosa. Soseki, che lo scrisse in meno di un mese, rievoca la storia in parte autobiografica di un bambino di buona famiglia, adorato dalla domestica che lo ha cresciuto divenuto poi un uomo schietto e privo di ipocrisie.
 La parte dell'infanzia è funzionale al contesto e al carattere estremamente peculiare che il ragazzo si ritroverà in una società, come quella giapponese, molto formale, attentissima alle apparenze e al manierismo, a discapito di qualsiasi valore. 
 A livello di trama non accade poi molto, tutta la grandezza del romanzo, sta nei rapporti rivoluzionari che il giovane, spedito a insegnare in un istituto tecnico di provincia (pieno di ragazzini volgari e maleducati) ,instaura coi suoi colleghi, da lui indicati con una serie di soprannomi ironici.
 Tutti campano di etichetta e regole gerarchiche mentre tramano, odiano, insidiano, seminano pettegolezzi e zizzania, cercando di coinvolgere il protagonista, che sconcertato da tanta falsità non riesce in nessun modo ad adattarsi al contesto.
 E' la storia di una società ingessata, ma anche di tutti i luoghi ingessati, dove i rapporti di potere sono l'unico valore fondante e schiacciano tutti gli altri. Chi non si è mai trovato in un ufficio, circondato da colleghi dai falsi sorrisi o in una classe dove spadroneggiavano persone popolari a dispetto di altre che non riuscivano né volevano cedere all'opinione comune?
 Quante volte ogni giorno sacrifichiamo un po' di noi stessi alle regole della società?
 E il messaggio rivoluzionario di questo romanzo, solo all'apparenza leggero, sta tutto nel finale. Che almeno io vorrei fosse il mio finale, sempre e comunque, ma che, sfortunatamente non lo è quasi mai.

mercoledì 24 luglio 2013

"Love my life" di Ebine Yamaji per LezPop!

 Secondo articolo per LezPop!
 Io vado pazza per i manga sin dalla più tenera età, quando sei un'adolescente italiana sfigata non puoi non rivederti in questi ragazzin* pieni di complessi, per cui un bacio è l'apice dell'erotismo e che prima o poi incontrano l'uomo/donna della loro vita che risolve tutti i loro problemi.
"Love my life" di Ebine Yamaji, fumetto/graphic novel bellissimo, è superiore agli Shojo ovviamente, ma degli Shojo alla leggerezza e poi....leggetevi l'articolo!!


Gioca con i santi. Il trash insito nella sezione di religione

Il settore di religione in libreria è probabilmente il più trash di tutti. Batte persino quello di esoterismo, quello sugli umani che sussurrano agli animali e quello sui ricchi che ti convincono che se ti impegnerai tanto e ci penserai intensamente allora diventerai ricco come loro (esiste e si trova in economia, mò capite perché il mondo va a rotoli sì?).
 Comunque, nella sezione di religione, accanto a saggi teologici si possono trovare orrori di ogni tipo, ma quelli che vanno per la maggiore sono due: le storie di vita vissuta, in genere di personaggi famosi, e le storie di santi, in special modo Padre Pio, che ha tutta una sua iconografia splatter che mi inquieta tantissimo.
 Le storie di vita vissuta sono quelle adorate dalle cosiddette dame di carità 2.0.
 Costoro non fanno beneficenza e magari è già tanto se vanno a messa, ma amano sentirsi migliori leggendo  come Paolo Brosio abbia ritrovato la fede andando a Medjugorie (in tre o quattro comodi libri, di cui non dimenticherò mai il sottotitolo: "la Madonna a Medjugorie scende in campo", Berlusconi style).
 Altre storie che trovano appassionanti sono quelle sugli esorcismi, "Ero posseduto da migliaia di demoni, ma ne sono uscito, ecco la mia storia" (ve giuro, esiste pure questo), o il mitico "Io ballo con Dio" di Anna Nobili, la suora che prega danzando.


 Costei, dopo aver consumato le sue giovani notti ballando come cubista, ha deciso di dedicare la sua vita e la sua arte (quale?) a dio inventando addirittura un ballo che ha chiamato "Holy dance". Ho venduto delle copie di questo libro, non so come.
 Altri titoli che mi spaventano a morte sono cose come "Il dolore si fa gioia", in cui il mirabile autore è riuscito a mettere insieme due miti popolari cattolici: Natuzza Evolo (ho fatto delle ricerche, era una specie di sensitiva cattolica calabrese) e Padre Pio.
 Grande confusione che ci si creda o no, la ingenera la Bibbia. Quer librone sacro de 2000 o più anni fa, è fonte di angoscia per i molti che trovandosene davanti cinque o sei formati diversi di case editrici diverse vanno nel pallone. Perché uno è più grosso e uno è più piccolo? Manca qualcosa? "La storia è diversa?" (sic!), "Come faccio a capire qual è quella vera?" (arisic!).

 In generale lo scaffale di religione non gode delle mie simpatie, è attorniato da gente inquietante e non ne posso più dei millanta libri su Bergoglio che nascono come funghi la notte. 
 E poi davvero, ma come se fa a credere alla holy dance?

martedì 23 luglio 2013

Storie realmente avvenute. Lo giuro. n°2


"L'importo della ferita", porcherie italiane messe alla berlina. Ps. non è un post per gli amanti di Sangiorgi

 Ci sono due sezioni in librerie che sono piene di tesori nascosti.
 Trattasi di quella di scienze e quella di critica letteraria.
 Per quel che riguarda la prima aprirò un capitolo a parte prima o poi, perchè persino io che ho sempre detestato matematica, fisica e affini, mi sono sorpresa a bramare dei libri teorici di cui però non avrei capito una mazza.
 In critica letteraria, come già detto per il libro di Murakami, si trovano tomi fantastici e comprensibili anche a chi non apre un libro di matematica da anni.
 In questi giorni è arrivato il delizioso volumetto "L'importo della ferita e altre storie. Frasi veramente scritte dagli autori italiani: Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa contemporanea.", casa editrice Clichy, 15 euros.


 Pippo Russo, che ne è l'autore, analizza una serie di libri pubblicati in Italia negli ultimi anni e li fa a pezzi. Giustamente, aggiungo io. Finalmente, aggiungo di nuovo. Che quando mi tocca sistemare queste pile di libri con fascette autocelebrative come "Il più grande scrittore italiano" (sic! Per Faletti!!!) o leggere trame come "Nicco e Ciccio incontrano due straniere da conquistare nella Roma friccicarella" (arisic! La nuova trama di Moccia, leggetevi la quarta di copertina per credere) mi viene l'orticaria.
 Ora, io non è che penso si dovrebbe leggere solo "Il dottor Zivago", ma, dio mio, esiste del gusto pure nello scegliere cose leggere!
 Se possibile, tra l'altro, io giudico di meno gente come Fabio Volo che, ad esempio, Giuliano Sangiorgi, il cantante dei Negramaro, il cui agghiacciante libro, "Lo spacciatore di carne" è tra quelli messi alla berlina. 


 Fabio Volo, nella sua inutile volosità, non ha mai detto di essere Tolstoj (se l'ha fatto e me lo sono perso scrivetemelo che monta un errata corrige di due metri), è conscio di essere uno che parla di amorazzi tra trombamici e morta lì. Gente come Sangiorgi invece, crede di essere anche un grande autore!!
 Io lo ammetto, vagando codesto libro per la libreria ed essendo finito persino in classifica l'anno scorso, nelle lunghe ore di tedio che in estate ogni tanto capitano in libreria, una letta sommaria ho cercato di dargliela.
 Una cosa incivile. Lasciate stare a meno che non siate delle groupie di Sangiorgi e mollate il libro lì.
 Se proprio dovete spendere i vostri soldi puntate "L'importo della ferita", sono 15 euro, ma ben spesi: vi impediranno di cadere in tanti tanti trappoloni presenti, passati e futuri.
 E vi farà fare quelle sane risate da scuola media, quando si prendeva in giro il povero compagno di classe reo di non saper mettere l'acca neanche all'esame del terzo anno.
 (Ps. sono andata sul sito dell'Einaudi a rivedermi la trama dello spaccitore. A me pare sgrammaticata persino l'anteprima di 15 righe Lo spacciatore di carne.)

lunedì 22 luglio 2013

Quando muore uno scrittore.


Neanche tre giorni fa, avevo consigliato "Il dolore perfetto" e ieri Riccarelli è morto.
 Lo apprendo con sconcerto da Repubblica.it assieme ad una serie di dati biografici e al fatto che era tra i candidati al Campiello di quest'anno con "L'amore graffia il mondo"
 Avendo io ignorato questo libro perché facente parte di una collana Mondadori di cui stento a comprendere l'utilità (hanno preso a stampare libri in un formato gigantesco e pesantissimo), vado a leggermi la trama e scopro che forse potrebbe interessarmi.
 A quel punto ci sono già cascata. Sono diventata una dei tanti clienti che appaiono solo "Quando muore uno scrittore". 
Questi sciacalli, notoriamente esistenti in tutte le arti, decidono che se uno scrittore è morto è giunto il momento di andarlo a comprare. E ultimamente hanno fatto grandi scorte di Margherita Hack, Don Gallo (a proposito, vorrei sottolineare il cattivissimo gusto nel chiamare il suo libro tributo postumo "Vivo e vegeto"), Levi Montalcini e ora anche di Riccarelli.
 Il mio capo lo sa, e astuto come una faina, segue le condizioni di salute di tutti gli scrittori/personalità che potrebbero star lì per abbandonarci, pronto a riordinarne titoli che non vediamo da secoli e che venderanno solo in funzione della defunzione.
 Questa "Sindrome Buonanima" ha ragioni che fatico ancora a spiegarmi, ma ci deve essere un'indubbia connessione col fatto che chiunque, una volta morto, diventerebbe improvvisamente più degno di rispetto.
 Ma forse potrebbe anche essere il frutto di una combo col "momento aperitivo", quando fa ficus dire ad amici e conoscenti quanto si sia dispiaciuti per la morte di tal dei tali, il vostro scrittore preferito, la vostra astronoma preferita, il vostro prete preferito.
 Anche se uno sa a malapena dell'esistenza di Saturno.
 Ho deciso che il libro di Riccarelli non lo compro. Sia perché l'edizione mi fa schifo e aspetto l'economica, sia perché voglio oppormi all'effetto sciacallo.
 E comunque, che peccato.


Storie realmente avvenute. Lo giuro. n°1


domenica 21 luglio 2013

La mysteriosa fantascienza femminista. Joanna Russ e Ursula K. Le Guin

Io ho tre grandi amori: gli esistenzialisti francesi, la fantascienza femminista e gli scrittori orientali, preferibilmente giapponesi. Peraltro trovo che i tre filoni abbiano una grande armonia tra di loro, ma può darsi benissimo che ce la vedrò sempre e soltanto io.
Premetto che non sono una grande appassionata di fantascienza, diciamo pure che tutta la parte navicelle, viaggi spaziali, alieni mi è insopportabile. Fatico anche a seguire il vario cyberpunk anche se mi sono sforzata, l'unica sci-fi che ha su di me qualche effetto è la cosiddetta narrativa d'anticipazione.
 Fino ai 23 anni o giù di lì ero convinta che tutto si riducesse a Orwell, Huxley e similari, poi per una questione di crediti/punti latte dell'università da accumulare finii per seguire un seminario sulla fantascienza femminista.
 Fu amore su tutta la linea. Per chi non la conoscesse, è quel filone della narrativa d'anticipazione che incrocia i problemi delle società patriarcali con milioni di varianti di futuri ipotetici.
 Due esempi calzanti sono, "Female man" di Joanna Russ (che vi consiglio pure se è un  tragico libro fuori commercio) e "La mano sinistra delle tenebre" di Ursula K. Le Guin.



  Il primo è un libro di fantascienza femminista come uno se lo immagina, quindi capisco che potrebbe non piacere a tutti: una donna che proviene da un futuro dove tutti gli uomini sono morti, atterra in un presente dove la seconda guerra mondiale non è mai avvenuta (e con essa quindi sono mancate tutte le varie rivoluzioni, quella sessuale compresa). A quel punto entrano in scena tre varianti della stessa donna caduta dal futuro e ognuna proviene da una diramazione diversa del continuum temporale.
 Detta così sembra un casino, invece il libro fila. 
  Il libro della Le Guin, che alcuni ricorderanno per il ciclo di Terramare da cui il figlio di Miyazaki ha pure tratto un film (che se ben mi ricordo alla Le Guin fece anche schifo), è invece molto più adatto ai consumatori abituali di fantascienza. 


La trama parte infatti dall'osservazione della particolare civiltà di un pianeta abitato da creature umane, ma ermafrodite con una struttura sociale, legami d'onore e taboo molto particolari. Il fatto che siano ermafroditi infatti non è palese, il tutto risiede in una particolare trasformazione che avviene nella coppia durante la fase di eccitazione sessuale (che ha tutta una serie di crismi particolari).
 La cosa ovviamente manda in palla il narratore nonché l'osservatore galattico.
 La storia che è raccontata con delicatezza e con un tono particolarmente struggente, è molto bella e vinse il premio Hugo nel 1970.
Premetto, è solo il primo di post futuri sul tema (ahahaha, risata malvagia).

sabato 20 luglio 2013

Saghe familiari, l'incubo della narrativa italiana (Alcune perle nascoste nella fanga)

Uno dei mali che a mio parere si accaniscono con più foga sulla produzione romanzifera italiana sono le saghe familiari.
 Quando vedo arrivare queste pile di novità con la loro trama standard ("X tramite un'eredità/un pensiero/un caso/un incidente/una causa scatenante qualsiasi inizia a ripercorrere la storia della propria famiglia partendo dalle tre o quattro generazioni precedenti), mi cadono le braccia.
 Anche perché in genere si parla sempre di: nonne dai seni voluttuosi, madri che cucinavano con profumi paradisiaci e tradizionali ormai scomparsi, zie rimaste zitelle, zii scapestrati e/o morti giovani in qualche guerra, amori perduti/morti/non corrisposti, padri forti come rocce e nonni avventurosi che in genere hanno passato il proprio sangue al nipote narratore di turno.
 E' uno di quei filoni di cui soffre anche il cinema italiano, ma che purtroppo non si estingueranno mai facendo  essi parte di quel patrimonio strappalacrime a cui nessun lettore (quasi sempre donna) riesce a rinunciare.
 Nel mucchio però si può trovare anche qualcosa di buono.
 Siccome capisco che la ricerca in tal senso può risultare impervia et penosa et una rompitura sempiterna di scatole lascio due titoli. Il primo è "Il dolore perfetto" di Ugo Riccarelli, ed. Mondadori 9,50 euros.


 Il libro, non per sua colpa, è anche reo di aver vinto lo Strega nel 2004. Questo non deve scoraggiarvi. So che negli ultimi anni lo Strega è stato assegnato un po' a vacca, ma per qualche miracolo o congiunzione astrale "Il dolore perfetto" era davvero un libro meritevole di vincerlo.
 La storia è appunto la saga familiare di questa famiglia di anarchici toscani che attraversano tra mille drammi la fine dell'800 e l'inizio del '900. Avverto: è una tragedia su tutta la linea, a questo libro va infatti anche la palma del libro che più mi ha causato crisi di pianto in assoluto (dopo la morte di Beth in "Piccole donne crescono" specifico), ma è davvero scritto benissimo.
 Il secondo consiglio è per "Stirpe" di Marcello Fois, ed. Einaudi 12 euri con tanto di seguito "Nel tempo di mezzo" sempre ed. Einaudi sempre euri 12.


 Il lasso di tempo storico ricoperto è lo stesso del precedente (diciamo che gli avventurieri della saga familiare galleggiano sempre dall'Unità d'Italia fino agli anni '70), ma la saga dei Chironi si svolge tutta in Sardegna, cosa che dona alla storia un punto di vista molto particolare. Stirpe scaturita da un orfano e dalla figlia di una ragazza madre pure i Chironi posseggono la loro discreta dose di disgrazie, ma anche qui la lingua dona alla storia una tale poesia che giustifica l'impianto altrimenti visto/rivisto/stravisto.
 Che alla fine la storia è importante, ma molto di più lo è come viene raccontata.
 Imparate Cibrario e Agnelle Hornby imparate.

venerdì 19 luglio 2013

Vincere lo snobismo contro gli autori italiani: si può fare! "Rimini" di Pier Vittorio Tondelli!

Esiste un genere di lettore, anche colto, che per principio non legge libri italiani. E' un tipo di snobismo diffuso in tutte le arti, conosco infatti altrettante persone che non vedono film italiani. Ora, io capisco che siamo in grado di partorire un'infinita di trame provinciali, tutte uguali, tutte che parlano di niente (lo chiamano minimalismo, io lo chiamo "Effetto Cibrario" dal nome dell'omonima scrittrice), ma insomma esistono ottimi autori anche italiani.
 Il mio consiglio intelligente per le vacanze n°3 è perciò: Pier Vittorio Tondelli.
 Allora, io non sono una di quelle che lo venera, lo ama, lo considera il più grande scrittore di rottura della sua generazione ecc. ecc. alcuni libri mi sono piaciuti, altri erano palle mortali (tipo "Camere separate", la storia di un'anima in pena che vaga per il mondo ma in pantaloni bianchi). Tuttavia è innegabile il suo debordante talento.
 Perciò cos'è più adatto se non "Rimini" ed. Bompiani 10,90 euros?

  La trama vorrebbe essere una sorta di noir con tanto di scioglimento finale, tuttavia ci sono tanti e tali di quei personaggi assurdi concatenati tra di loro che ad un certo punto, effettivamente, si rischia di perderne il senso.
 In sostanza, un giornalista viene spedito sulla famosa riviera romagnola a parlare del nulla cosmico che attanaglia tutte le estati di tutti i nonluoghi, pensa sia una punizione editoriale e invece si ritroverà in mezzo ad un casino di proporzioni epiche. Tedesche scomparse, tedesche alla ricerca di tedesche scomparse, sociopatici d'albergo, registi in erba e scrittori bellissimi, bagnini hot, una giornalista arrivista molto sexy e il mistero onnipresente di un politico forse suicida e forse no.
 Fila come un ballo forsennato. Accaldato, angosciante, confuso eppure eccitante, un libro che è come l'estate, fidatevi.

 Detto ciò, mi vanto personalmente di aver recuperato una copia numerata del catalogo della mostra di tavole di Zerocalcare che c'è al Wow fino al 31 Luglio, che se siete nei dintorni della capitale morale vi consiglio di vedere che è pure gratuita.

Ne approfitto anche per segnalare l'uscita de "La seconda volta che ho visto Roma" di Marco Corona ed. Rizzoli (nella collana Lizard che se potessi comprerei tutta in blocco). Sul sito della Rizzoli potete trovare un'Anteprima . Beh ancora buone letture vacanziere!


giovedì 18 luglio 2013

Primo articolo per LezPop! "Consigli ad una giovane lesbica che non osa entrare in libreria"

Linko il primo articolo scritto per  "LezPop- la cultura pop in salsa lesbica", gioioso sito in cui trovare tutto ciò di cui una giovane lesbica ha bisogno. Lo straconsiglio a tutte le ragazze, specialmente se amanti di Glee (no scherzo, lo consiglio proprio a tutte tutte!).
 Il tema con cui ho aperto la futura rubrica sui libri parla delle difficoltà spesso solo immaginarie che molte ragazze lesbiche sentono nel dover andare a procacciarsi dei romanzi o saggi a tema libreria, terrorizzate dal presunto giudizio dei librai. Ragazze mie, legge il post e state tranquille!!


Buona lettura se ve va!

"Il giardino dei Conti Filzi", i compiti dell'estate e i genitori italiani.

Dunque, l'estate è questo periodo dell'anno in cui come a Natale, ma con molta più molestia, calano come barbari una massa indistinta di personaggi che non solo in libreria non ci vengono mai, ma si vergognano pure a venirci.
 La più comune è la genia: Coloro che cercano i libri che a scuola hanno dato da leggere per le vacanze.

 In genere gli adolescenti hanno ancora le forze per venirsi a cercare i libri da soli, ma poiché siamo in Italia e il sacro pupo non si deve affaticare, non è raro trovare genitori e nonni desperadi alla ricerca di  libri che considerano alla stregua del sacro graal: inutili, incomprensibili, probabilmente inesistenti.
 Ti si parano minacciosi o spauriti (a seconda del livello sociale o da quanta fretta hanno o da quanto tempo ritengono di dove dedicare ad una faccenda come l'educazione scolastica dei propri figli) con questa lista di classici (che probabilmente hanno letto anche loro perché credo che Verga sia l'incubo dei liceali dall'epoca della riforma Gentile) e fanno facce sconvolte come se cercassero autori ignoti di libri sconosciuti quando i professori hanno dato il solito elenco di libri sulla resistenza e sulle disgrazie contadine di fine '800 inizio '900.
 So che pare assurdo, ma una parte consistente non si capacita del perché i figli, a scuola, siano costretti a leggere. (Mi domando sempre cosa si facesse quando a scuola ci andavano loro: comunicavano con i professori tramite pittogrammi??)
 Presi da frenesia  regalano perle sul genere:

 "Non capisco come mai fanno leggere queste cose a scuola."

 "Avete "Il conte di mezzo" (sic!) di Calvino?"

 "Avete una cosa chiamata "Il giardino dei Conti Filzi?" (sic!)"

 "Mi serve un libro un po' strano "Un americano alla corte di re Artù" edizioni Markkkk Tvain (sic!)"

 Si domandano se queste piccole donne non facciano cose inadatte alle adolescenti, se il sentiero dei nidi di qualcosa (possibile siano davvero ragni signorina? Possibile possibile) non spaventi gli aracnofobici, e se insomma sia davvero necessario far leggere questi benedetti ragazzi persino ad Agosto che insomma uno vuole anche svagarsi eh.
 Estate, tempo di idiozia atavica.

mercoledì 17 luglio 2013

Gli antichi greci e la loro arte di sapere già ogni cosa (pur portando enormi falli in trionfo).

Consigli intelligenti (almeno spero) parte II.
 Come molti in Italia sono stata una vittima consapevole del liceo classico. Vittima perché ne pago le triste conseguenze lavorative (io pensavo tipo di diventare la direttrice della Biblioteca Nazionale ahahaha), consapevole perché masochisticamente lo rifarei.
 La ragione primigenia che mi spingerebbe a non scegliere l'Itis (che insomma l'Italia ha bisogno di tecnici) ma a rigettarmi tra le braccia del classico sono loro: gli antichi greci.
 Li amo. Chiunque li conosca non può non amarli. Un popolo in grado di inventare tutta la base della cultura occidentale e anche di più, un popolo che sapeva già tutto TUTTO, eppure amava sollazzarsi in sbevazzamenti con giovinetti avvenenti, portare in trionfo enormi falli di marmo e vestire di porpora i propri idoli, che amava baccanali, guerreggiava per due metri e credeva in divinità ermafrodite dai miti complicatissimi che una ventina di secoli dopo si è scoperto essere la base della psicanalisi, non può non essere amato.
 Ho sempre pensato che la pura genialità e follia del popolo greco non potesse essere celata a chi il classico, saggiamente, ha deciso di non farlo. Perciò, se siete tra i fortunatissimi, vi consiglio i saggi di Eva Cantarella, professoressa di Diritto Romano, sublime scrittrice di una serie di libri sugli usi e costumi (spesso sessuali) dell'antica Grecia e antica Roma.
 Inizierei con "L'amore è un dio: il sesso e la polis", ed. Feltrinelli 7,50 (sia il prezzo che il peso sono da vacanza che volete di più??). Che ha un gemello dell'antica Roma "Dammi mille baci" sempre Feltrinelli sempre sugli 8 euros.


 Se sta per partirvi il "Non me ne frega un beneamato degli antichi greci" io vi do un consiglio. Unitevi alla monumentale clientela estiva, quella massa di gente che entra in libreria quell'unica volta l'anno per trovare qualcosa con cui sonnecchiare in spiaggia (ma che in genere per motivi che non comprendo possiede un e-reader di default, che un oggetto elettronico in più, anche se inutilizzato, non fa mai male). Puntate una libreria e chiedete questo libro o cercatevelo. Leggete le prime pagine. Se la Cantarella vi ricorda la professoressa peggiore che abbiate mai avuto vabbeh amen, sò gusti, rimettete giù, ma secondo me un buon 60% rimarrà catturato.
 E allora sguazzare tra i suoi saggi sarà un a gioia.
 Nel caso non foste invece convinti della genialità dei greci, andatevi a leggere su Wikipedia la trama de "I cavalieri" di Aristofane (altro greco geniale, di cui vi consiglio la Lisistrata che potete anche ribattezzare "l'invenzione dello sciopero del sesso", altro dono).
 Scommetto che il Salsicciaio che a suon di insulti e lazzi demagogici si porta dietro un popolo intero vi ricorderà più di una persona, o forse una in particolare.


E per domani si attende l'inquietante post: "Genitori che comprano ai figli libri di cui avevano sempre ignorato l'esistenza: "Avete una roba che forse boh si chiama: Piccole Donne?"
Tadadadan tadadadadan 

martedì 16 luglio 2013

Letture intelligenti. Caitlin Moran e la sua frezza bianca.

Visto che l'estate is coming veramente e che quest'anno dopo la primavera più schifosa che io possa ricordare, almeno ha un caldo sopportabile che concilia letture oziose, ho pensato di postare un po' di libri non Moccia style, ma neanche sui massimi sistemi. Diciamo delle leggere letture intelligenti but soft (oibò).
 Inizio con "Ci vogliono le palle per essere una donna" di Caitlin Moran, una giornalista inglese che ha iniziato la sua carriera a 15 anni e in Uk è una sorta di idolo pop. 
A dispetto del titolo, che personalmente trovo a metà tra l'inquietante e il pessimo gusto, il libro è composto da una serie di capitoletti in cui Caitlin Moran da ragazzina e giovane donna intelligente, apprende con sgomento e non senza resistenza cosa significa diventare una donna.
Perché è questo che intendeva Simone de Beauvoir con la frase più travisata della storia: "Donne non si nasce, si diventa." O meglio, ti ci fanno diventare convincendoti che una vera donna è: magra, depilata, composta, educata, civettuola, silenziosa quando serve, non eccessivamente esuberante, possibilissimamente devota. Così Caitlin, cicciottella e noncurante delle regole, tenta in ogni modo di adattarsi a regole non sue, e nel farlo fallisce in modo esilarante e decisamente trionfante.
 Si definisce femminista eppure non brucia reggiseni, né odia gli uomini (è sposata e ha due bambine), non è una militante contro il sistema, ma solo una donna intelligente, che senza fatica ha scoperto la fregatura della costruzione culturale della donna e il trucco del far passare la stessa parola "femminista" come una parolaccia.
 Non è vero che tutti gli -ismi sono uguali. Se la storia e la vita fossero così semplici, non saremmo certo a questo vergognoso punto.

 Per chi si sentisse di non dormicchiare necessariamente ozios* sotto ombrelloni e abeti di laghetti alpini, consiglio allora a tal proposito, il classico immortale della meravigliosa Simone, "Il secondo sesso", attualmente nell'edizione de Il Saggiatore.
Non ve ne pentirete. Mai.

domenica 14 luglio 2013

Le parole sarebbero importanti. Di biografia in bibliografia.

Le parole sono importanti, diceva la frase più citata di Nanni Moretti, ma forse lo sarebbero ancora di più se sapessimo esattamente cosa significano.
 Oggi ho avuto con un cliente la seguente conversazione che racchiude in se un po' tutta la confusione lessicale che regna nel 70% dei clienti.

 Cliente: "Mi scusi, avete l'autobiografia di Al Sadat? Non ricordo l'autore però."
 Io: "Se è un autobiografia l'autore sarà Al Sadat stesso."
 Cliente (perplesso): "No, ma non proprio autobiografia, ha presente quella...la bibliografia?"
 Io: "Cioè?"
 Cliente: "Beh, quando la tua vita la scrive qualcun altro."

 L'assoluto panico che si crea nella mente dei clienti che non riescono a discernere le parole autobiografia e biografia ancora posso comprenderlo, ma mi sfugge completamente come possano confondere le parole biografia e bibliografia.
 Spezzo una lancia in loro favore una volta tanto però. Una mia ormai ex collega mi lasciò perplessa per molti turni quando asseriva di perdere un mucchio di tempo a mettere a posto la sezione di bibliografia. 
 Per poi scoprire, con mio sommo orrore che anche lei era vittima di questa confusione lessicale.
 Umberto Eco aiutace tu.

sabato 13 luglio 2013

Mamma, che ne dici di un anarchico a Milano? "La vita agra" di Luciano Bianciardi.

Dall'inizio di quest'anno non avevo ancora letto un libro di cui potessi dire: "Come ho fatto ad ignorarlo fino ad adesso??", che è una sensazione da una parte di frustrazione perché molta gente c'è arrivata prima di te, ma al contempo di gioia perché è bello leggere qualcosa che valga la pena.
 Comunque, sebbene mi sia dedicata a "Cecità" di Saramago e abbia cercato conforto in un'ampia quantità di saggistica, il fatidico momento quest'anno è giunto solo pochi giorni fa, con "La vita agra" di Luciano Bianciardi.
In verità, qualche anno fa, un mio conoscente me lo aveva consigliato caldamente, ma io mi ero sinceramente convinta (non so per quale motivo) che trattasse dei drammi di un contadino della Basilicata (!) sullo stile di "Diario di un curato di campagna" di Bernanos. 
Qualche giorno fa, incuriosita dalla nuova edizione della Feltrinelli ho colpevolmente scoperto che è invece l'opera autobiografica di Luciano Bianciardi, salito dal centro Italia a Milano per far saltare in aria gli uffici dell'industria rea di aver ammazzato 43 minatori a causa delle scarse norme di sicurezza sul lavoro e finito a sopravvivere in quel modo subdolo in cui la vita talvolta ti costringe a farlo: contando le ore, il lavoro, i soldi e i momenti dedicati al lavoro e ai soldi. 
 Colpisce l'odio per la città di Milano, che in parte condivido devo dire, in quanto troppo grigia e tetra e sgobbona e chiusa. E al contempo la dipendenza e il fascino perverso che suscita in Bianciardi incapace di allontanarsi, ansioso di un qualcosa che gli dia ragione e in qualche modo lo giustifichi e lo salvi.
 Condivido le invettive contro le segretarie con callaborano, i lavori sempre sul filo del rasoio, i padroni che ti esautorano, le persone indifferenti, un mondo che consuma, pretende, esige, come il peggiore dei vampiri.
 Bianciardi, come ho potuto ignorarti fino ad adesso? Come ho potuto?

venerdì 12 luglio 2013

Di Baricco, Mazzantini e sciure insopportabili. La Dama di Carità 2.0.

Come disegnò una volta Zerocalcare, anche io posseggo Anobii per giustificare Facebook presso la mia coscienza. Di tanto in tanto cado nel trappolone di partecipare a discussioni che so già a monte mi causeranno un travaso di bile, eppure perversamente persevero.
 Una di quelle storiche fu sugli autori che non sopportiamo. Il lungo elenco dei partecipanti, portava Joyce, Hemingway, Fitzgerald, Kafka, quindi non gli ultimi degli sconosciuti, ma insomma de gustibus non disputandum est.

 Quando però intervenni azzardandomi a nominare il sacro nome di Margaret Mazzantini, (un'autrice che non sopporto, trovandola sopravvalutata, noiosa e molto boriosa) si scatenò l'inferno. Non avessi mai osato toccarla. Non dimenticherò mai l'utente che si accanì contro di me gridando alla lesa maestà. Costui o costei mi accusò di: essere invidiosa della sua villa a Sabaudia (ignoravo ne avesse una e non ho mai visto Sabaudia), di suo marito, dei suoi figli e della sua bellezza. Altri le diedero manforte.
 Tentai di resistere chiedendo per quale motivo si potesse criticare Kafka, ma non Margaret Mazzantini, ma fu solo peggio.
 Il fatto è che la Mazzantini, come Baricco (che non sopporto come persona, ma almeno ha scritto qualche bel libro, sottolineo il qualche), è un mostro sacro della sciura media.
 In questo caso nell'archetipo della sciura infileremo qualsiasi italiano creda di avere un alto livello culturale perché segue Fazio la sera e di tanto in tanto va a qualche presentazione in libreria. In genere è femmina, ma ne fanno parte anche un nutrito gruppo di maschi, i quali credono che si possa sopperire ad una coscienza critica e ad un gusto personale coltivato in anni di letture, buttandosi sull'ultima cosa che Augias ti ha consigliato.
 Questi cacciatori della notte, sanno che indicativamente con Baricco non sbagliano mai, salvo tradirsi chiedendoti (giuro!) di leggerlo in inglese, che si sa, la traduzione in altra lingua dona alla storia un respiro maggiore. E appunto amano la Mazzantini, che gli concede di leggersi delle storie d'amore, ma insomma un filetto superiori che lo Strega alla fine l'ha vinto no? ("Non ti muovere" un libro agghiacciante).
 Se non bastassero Baricco e la Mazzantini per riconoscere il tipo, basterebbe la loro perversa ostinazione nel ricercare storie di drammi personali, come la sventura che ha colto la figlia di Socci ("Caterina") o l'uomo senza gambe né braccia che è diventato un life coach, o la manager che ha perso le gambe nell'incidente, ma non rinuncia al tacco 12.
 Praticamente è la loro versione Dama di Carità 2.0. 

mercoledì 10 luglio 2013

Malessere da libro. Il caso Némirovsky.

Non so se questa sia solo una mia personale fissazione, ma ho la convinzione che alcuni libri mi comportino un malessere finché non me ne sono liberata.
 Mi spiego meglio. Il caso più eclatante è avvenuto verso Febbraio, quando, presa dalla nuova fissazione nazionalpopolare per Irene Némirovsky ho deciso di leggere un suo libro. Dopo aver dato un'occhiata un po'  a tutte le trame e non averne trovata attraente neanche una, ho deciso di scegliere un po' a caso e mi sono lanciata su "Il calore del sangue" - "Il malinteso" ed. Newton Compton.


 Mi accingo a leggere l'opera di questa maestra del '900 riscoperta e ne esco con una sensazione di malessere profonda. Un malessere non dovuto ad una qualche emozione suscitata dalla storia, ma da un certo inspiegabile disgusto generale. Mi chiedo cosa si possa trovare di profondo in una storia di amorazzi campestri. Davvero questo è un fine indagare l'animo umano?
 Lì per lì, terminata anche la seconda storia, un melodramma tra un tizio che non si rassegna ad essere retrocesso di posizione sociale e una ricca ragazzina annoiata, mi sento solo un po' tradita. Sento di aver buttato soldi (fortunatamente pochi) e tempo (fortunatamente poco pure quello).
 Col passare dei giorni però inizio a provare un senso di irritazione protratta. Mi è successo raramente in passato, ma ultimamente, sarà che sto invecchiando noto che accade di frequente (altro caso, una raccolta di racconti di M. R. James, che ho trovato davvero noiosissimi).
 Il fatto è che finché non allontano anche fisicamente il libro da me, il fastidio permane. Non che ci voglia molto visto che li spedisco a mia madre o li porto in biblioteca, ma rimango perplessa da questa influenza quasi medianica che il libro in quanto oggetto ha su di me.
 Mah, magari è un periodo, vedremo.
 (Io comunque un altro tentativo con la Némirovsky l'ho fatto leggendo il raccontino "Il ballo", storia ben costruita, lei brava a scrivere, ma trovo le sue storie talmente inutili e fatue che continuo a non capirne il senso. Abbandono l'autrice senza nessun rimpianto).

martedì 9 luglio 2013

"Quello che resta", per Stefania Noce

C'è un libro, tra i tanti che stanno uscendo sulla violenza sulle donne che mi preme suggerire.
Si tratta di "Quello che resta" di Serena Maiorana, Villaggio Maori edizioni.


E' la storia di Stefania Noce, studentessa di Licodia Eubea, uccisa nel 2011 a 24 anni dal suo ex ragazzo, coetaneo, assieme al nonno che cercava di difenderla.
 La storia di Stefania Noce, tra le tante che purtroppo solcano le pagine di cronaca di ogni giorno, è particolare ed emblematica e pone uno scudo alle tante obiezioni che si possono fare sulla questione della violenza.
 In tutti gli episodi di violenza sulle donne si cerca sempre di trovare una parte di colpa nella donna: lei era fragile, lei ha scelto male, lei sapeva lui chi era, lei non si è opposta abbastanza, lei era remissiva poi si è ribellata scatenando la furia omicida (?), lei lei lei.
 Raramente si pensa che è lui lui lui che ha preso mano ad un'arma qualsiasi e ha ucciso una persona che non è più lì a difendersi neanche a parole.
 Stefania Noce era una giovane militante politica, scriveva articoli molto intelligenti sull'autodeterminazione delle donne, aveva preso parte attiva del movimento Onda, non era una donna debole, inconsapevole, smarrita e indecisa.
 Era una ragazza esattamente come me.
 Prima di lei avevo sempre pensato che certe cose, come un fidanzato violento, a persone accorte, pronte a combattere tutti i giorni per i propri diritti, non potessero capitare. Credevo ingenuamente che combattere il patriarcato, difendesse almeno in parte dal patriarcato. Rendesse almeno consapevoli della vera natura delle persone incontrate e scelte sul proprio cammino.
 La storia di Stefania Noce ha mandato in frantumi tutte queste convinzioni infantili e dovrebbe essere un monito perenne a tutte le orribili obiezioni sulla colpa di lei lei lei che appaiono ogni giorno su colpevoli giornali. Perciò spero che questo libro giri tra molte persone e a lungo, perché di lei non si perda il ricordo e l'insegnamento che la sua tragica fine ha da darci.
 Perché alla fine è questo quello che resta.
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