lunedì 31 ottobre 2016

All Hallow's Read! Perché non regalare spaventosi libri per uno spaventevole Halloween? Da un'idea di Neil Gaiman, suggerimenti per ogni lettore tra case stregate, zucche da cucinare, Dylan Dog e stregonerie varie.

 Circa tre settimane fa, proprio in corrispondenza dell'inizio di ottobre, una lettrice su fb mi ha svelato l'esistenza di un'idea del sempre foriero di idee Neil Gaiman.


 Il buon Neil, evidentemente in astinenza dalla creazione di fumetti, romanzi, sceneggiature di film e chissà che altro, ha cercato di lanciare una nuova usanza per Halloween: All Hallow's read.

 L'idea è semplicissima: regalare un libro horror ad amici e parenti durante la settimana di Halloween.

  Sì, direte, l'ennesima idea di commercializzare una festa.

 In realtà, secondo me, qualsiasi cosa implichi un libro non può essere cattiva. 
 Inoltre, un libro in più in giro non fa mai male (a meno che con libri horror non intendiate qualcosa di follemente razzista od omofobo per dire) e, infine, potrebbe essere l'occasione, per svariati lettori, di esplorare un genere da molti poco frequentato.

  Molti pensano che horror voglia dire solo vampiri adolescenti innamorati (o direttamente Dracula) o zombie. In realtà, oltre i brufoli di Twilight e le altissime vette di Stoker e Mary Shelley c'è molto altro.

 Se mi seguite su fb, saprete che sono ormai settimane che tento di motivare le masse a partecipare e, nel tentativo, ho prodotto numerosi suggerimenti.

 Ho pensato di replicarne un po' qui (e a questo incrocio di mezzi internettiani si deve la forma un po' inusuale del post che prevede molti suggerimenti in stile lista) per chi se ne sta saggiamente fuori dal regno di Mark Zuckerberg.
 Penso che ormai sia tardi per questo Halloween, ma di sicuro sono in tempo per il prossimo!


CHI VUOLE ENTRARE NELLA CASA STREGATA?:

 Anni fa, io giovane e ingenua, inorridii davanti a quella che mi sembrava la più terribile delle profanazioni: una guida turistica per i cimiteri più belli d'Europa. 

Si trattava della celebre "Guida ai cimiteri d'Europa" ed. Stampa Alternativa e mi suggerì che forse, in effetti, visitare le case dei defunti poteva avere qualcosa di affascinante.

 E in effetti, a posteriori, nonostante finora abbia visitato solo il cimitero acattolico di Roma, dove riposano, tra gli altri, Gramsci e Keats, e il Monumentale di Milano, c'era poco da inorridire e molto da imparare, perché anche i cimiteri sanno essere luoghi affascinanti (questo, nonostante abbia fissa in testa la scena di "Bianco rosso e verdone" in cui Verdone accompagna la nonna al cimitero alla ricerca di una tomba in cui il cognome è "Riso, ride, sorriso..").

 Perciò se avete amici e parenti che magari leggono poco, ma viaggiano molto, ci sono vari titoli a cui attingere, tra cui:

- "Passeggiate nei prati dell'eternità" di Valeria Paniccia ed. Mursia, un epigono della succitata guida ai cimiteri europei.

- "Castelli del mistero", una guida ai manieri presuntamente infestati d'Italia (pur non credendoci, ogni leggenda è ben accetta) di Riccardo Baudinelli ed. Mattioli 1185.

- "Guida ai luoghi misteriosi d'Italia" che schiaffa saggiamente in copertina il parco dei mostri di Bomarzo, di Umberto Cordier ed. Piemme.

- "Andar per la Roma dei Templari" di Barbara Frale ed. Il Mulino. Del resto Giacobbo ce lo ha insegnato, dove c'è templare c'è mystero.


 IL DONO LOW COST:

 Giustamente direte voi, un regaletto qui, uno lì, il portafoglio si svuota.

Certo, c'è la consolazione che in teoria dovreste ricevere in cambio un altro libro per i vostri servigi, tuttavia il desiderio di saltare il giro è tanto.

 Ebbene, miei cavi e cave, basta cercare con astuzia, perizia e un poco di furbizia, e un bel libretto horror low cost con cui fare una bella figura, vi assicuro che viene fuori.

 Per prima cosa vi consiglio due titoli della Abeditore, una casa editrice piccolina che ha una grafica strepitosa (davvero davvero considerevole), basti vedere le copertine di: 

- "Racconti di diavoli e una favola" di Robert Louis Stevenson.
- "Sette racconti neri e uno bizzarro" di Edgar Allan Poe, appena 6 euro l'uno.

  complice il fatto che sono appena usciti due numeri specialissimi: 
Altra possibilità è di gettarsi su Dylan Dog,

- "Dopo un lungo silenzio" scritto dopo molti anni di assenza da Tiziano Sclavi in persona (euro 3,20), in cui il protagonista è un demone sin troppo reale che divora le esistenze di molti in momenti di grande fragilità.

- "Mater dolorosa", splendido albo interamente a colori che ha anche la copertina in versione variant di Zerocalcare (6 euro).

Un'ultima chicca, "Angeline o la casa degli spettri", racconto di fantasmi di Emile Zola, ed. La vita felice, (6,50 euris).


CHE STREGONERIA E' MAI QUESTA?:

 Non ci sono moltissimi libri (belli) che hanno per protagoniste delle streghe.

 Purtroppo, com'è, come non è, si finisce sempre per rimestare  nei soliti young adult pieni di amori, amorazzi, magia e fondamentalmente molti intrecci lovelosi.

 Non che quelli per adulti siano migliori e i personaggi femminili in generale non è che abbia avuto fortuna nell'horror contemporanea.
 Nel 90% dei casi si tratta sempre di figure  affascinanti e fatali che conducono i vari protagonisti e antagonisti sulla via della perdizione.

 In realtà, la strega, è una creatura dell'immaginario orririfico, assai peculiare.
 Essere immaginato al punto da diventare per molte menti accecate realtà, è carica di un passato assai crudele nel quale migliaia di donne hanno pagato con la vita un insieme di terrori ancestrali e simbologie negative legate alle donne e all'oscuro desiderio misto a risentimento che le culture molto repressive (soprattutto in campo sessuale) tendono a proiettare sul genere femminile.

 In poche parole, la Strega è un demone creato dai demoni interiori di qualcun altro, il potere maschile dominante in primis.

 Proprio per queste profonde e tormentate radici storiche, in realtà nel caso delle streghe, i libri più interessanti finiscono per essere quelli di saggistica. 

 Si tratta perciò del regalo ideale per quei lettori che "no i romanzi manco a morire" o "non leggerò un horror neanche sotto tortura perché non mi abbasso a tanto".

 Molteplici le possibilità:

- "La caccia alle streghe in Europa" di Brian P. Levack ed. Laterza, excursus storico sul periodo della caccia alle streghe.

- "La strega ovvero degli inganni dei demoni" di Pico della Mirandola ed. Mimesis. Un documento sulla stregoneria dell'umanista Pico che, nonostante tutte le sue buone intenzioni, all'arcana figura della strega ci credeva eccome.

- "Volare al sabba" di Cesare Bermani ed. DeriveApprodi. Partendo da un caso di processo per stregoneria abruzzese, Bermani ricostruisce le radici dell'idea di stregoneria nell'immaginario popolare.

- "Vanina la zoppa" di Emanuela Vacca ed. Meravigli. Un processo per stregoneria (finito malissimo) ai danni di una donna il cui peccato principale, si evince dagli atti, era quello di saper curare con le erbe.


IL TERRIBILE ORIENTE:

 Il secondo anno di università sono stata colta da una vera passione per gli horror orientali.

Persino mia madre che si spaventa anche solo vedendo Harry Potter, si incuriosì e ricorda ancora con sconcerto un film coreano in cui un'assassina ricostruiva da sola un'impianto idraulico ed elettrico dopo aver murato nel muro la sua vittima (un ottimo lavoro di muratura anche quello).

 La cosa interessante degli horror orientali è che i preti non servono a niente, le croci non aiutano, gli esorcismi shintoisti funzionano solo fino ad un certo punto e certo non plachi l'anima di qualcuno con una degna sepoltura e un po' di acqua santa.

 Potenzialmente i fantasmi orientali sono invincibili, puoi solo contenere il danno e cercare di scappare molto molto lontano.

 Per chi fosse affascinato dallo spaventoso mondo orrorifico orientale, plurime sono le possibilità:

- "Enciclopedia dei mostri giapponesi" ed "Enciclopedia degli spiriti giapponesi" ed. Kappa edizioni nei quali, soprattutto chi è a digiuno di manga, potrete scoprire il vastissimo immaginario sovrannaturale del Sol Levante.

- "Principesse e Mononoke" di Yakumo Koizumi che raccoglie alcuni dei più famosi racconti di fantasmi giapponesi.

 Infine un po' di sano horror giapponese contemporaneo.
 - Io straconsiglio sempre la serie di "The Ring", anche se purtroppo è fuori commercio, ma ci sono anche altri autori, come "Estranei" o "Una voce lontana" di Taichi Yamada e il tristissimo "Quando cadrà la pioggia tornerò" di Takuji Ichikawa.


BASTA UN POCO DI ZUCCA E HALLOWEEN VA GIU':

 Halloween è una fiesta legata in maniera particolare ad un'amica cucurbitacea: la zucca!

 Dalle mie parti centrali non se ne fa un grande uso, non ho memoria che mia madre mi abbia mai preparato qualcosa usandola (in compenso da me sono diffusi i fiori di zucca, cibo quasi fantasmagorico al nord). Da quando mi sono trasferita al nord, in autunno ne faccio un uso quasi ossessivo, infilandola in ogni pietanza.

 E' deliziosa, versatile, costa poco e va bene sia nel salato che nel dolce. Una pacchia.

 Se avete amici amanti della cucina ecco i suggerimenti per libri di cucina a tema Halloween:

- "Il Decamelone" di Anna Ferrari  Blu edizioni.
 Ormai ve ne ho straparlato e millanto un post che giuro farò, intanto segnatevelo. In realtà è un libro di ricette solo a metà, la prima parte è dedicata a fonti storiche e letterarie che citano le nostre amiche cucurbitacee, zucche, cetrioli, angurie etc.
 Deliziosa la ricetta della "Parmigiana di zucca".

- "Zucca" il libro a forma di zucca dell'Academia Barilla. Molte ricette non troppo complesse, belle da vedere (come il libro) e una ricetta soprattutto, quella dei biscotti alla zucca, fenomenale.

- "La cucina delle fiabe" di Roberto Carretta, il Leone Verde ed. per cucinare un menù preso preciso preciso dalle fiabe più popolari.

 Vi lascio con l'appello di Neil. Qualcuno allora ha già organizzato o parteciperà? Se ormai è giustamente tardi, segnatelo l'anno prossimo!



sabato 29 ottobre 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Vado di prescia".

Le ultime ferie dell'anno sono quasi finite, sigh, sigh, e ormai Natale è alle porte.

 Saranno due mesi di fuoco tra Natale e soprattutto libro (sì ormai è novembre, presterrimo vi dirò la data di uscita che potete facilmente immaginare sarà più verso fine che inizio mese ormai), e sono a metà tra l'entusiasmo e ommioddioooooooo. 

Scusatemi è il panico da fine ferie.

Comunque, se avrete seguito le mie vicende su fb, saprete che ieri sono andata in giornata a Lucca ed è stato anche stavolta stancantissimo e bellissimo. Spero, prima o poi, di riuscirci ad andare per ben due giorni di seguito.

 Comunque ho ottenuto bottino che recensirò prestissimo.

 Nel frattempo, godetevi una vignetta con un esemplare di cliente assai diffuso nel mondo contemporaneo: il cliente che va di fretta. Ebbene, egli, talvolta, raggiunge delle vette tali che per accontentarlo bisognerebbe costruire direttamente una macchina del tempo.

 Ecco a voi un: cose realmente avvenute! Lo giuro! "Vado di prescia"!
Ps. Ho visto la prima puntata di "The young pope" e mi è venuto in mente un bel post a tema (risata malvagia). Ora vado a fare la spesa per la cena di Halloween.


lunedì 24 ottobre 2016

Un triplete di piccole recensioni tra amici! Due graphic novel fresche di stampa e una un po' più vegliarda tra onesto cinema, aspettative troppo alte e pentimenti di metà trama.

 In questi giorni mi sto godendo le ultime ferie prima della G.B.d.N., meglio conosciuta come la Grande battaglia del Natale.
Recensir senza timor

 Prima che le orde calino in negozio alla ricerca del regalo perfetto, tento di accumulare riposo, solo che come ogni volta che scendo a casa mia sto già trottolando tra amici e parenti e la cosa è ovviamente impossibile.

 Almeno ci sono i maritozzi e i supplì a consolarmi.

 In vista di Lucca, alla quale andrò in giornata (la qual cosa mi dona un misto di terrore e gioia, terrore per la stanchezza, gioia perché è fantastico) a dare un'occhiata, ecco a voi un piccole recensioni tra amici dedicato a tre graphic novel.

 Bando alle ciance, a voi il triplete!


LA RABBIA:

Mettiamola così, quanto più spari in alto, tanto più rischi non solo e non tanto di cadere, quanto di deludere.

 Se metti l'asticella dell'aspettativa alta un tot, poi non dico che devi rispettarla, ma se non altro devi andarci vicino.

 Se sulla quarta di copertina di questa miscellanea di fumetti che hanno come tema conduttore la rabbia (dai più di loro intesa come "rabbia generazionale") nomini l'ormai celeberrima "Gioventù cannibale" sai bene a cosa il lettore interessato a tali libri si aspetta di trovare.

 Ecco non è che non ce l'abbia trovato, la rabbia si sente eccome, però c'è sempre il solito problema: non riesco a farmi piacere e a cogliere pienamente il messaggio dei fumetti che amano molto la mostruosità del tratto, specie se il tratto mostruoso è accompagnato a una sceneggiatura fortemente caotica ed evocativa.

 Escludendo il fumetto di Zerocalcare, ( che, diciamoci la verità, fa da traino al libro), gli altri veleggiano tutti verso quella direzione e anche lo stacco tra il capitolo dell'ormai più conosciuto fumettista italiano e gli altri è davvero troppo grossa.

 Non è (sempre) una questione di qualità, ma di linguaggio.

 Zerocalcare che, peraltro, curiosamente, non parla di rabbia generazionale, ma dell'aggressività che tutti per motivi vari ci portiamo dentro e tendiamo con modi più o meno subdoli a riversare sugli altri (si va da quello che ti minaccia con la spranga se non hai rispettato lo stop all'hater su facebook), usa i suoi personaggi, i suoi ricordi, l'immaginario collettivo dei nati negli anni '80 che ormai tutti conosciamo.

 Costruisce una storia che segue un filo e un ragionamento. Bene lì.

 Tutti gli altri si aggrovigliano in cose molto evocative, in disegni ora (spero volutamente se no rivaluto i miei) infantili, ora mostruosi, in frasi a effetto buttate lì in giro credo a creare un qualche tipo di effetto distorto.

 Allora, non mi menate, di sicuro questi altri fumettisti (tra l'altro almeno un'altra storia che mi è piaciuta c'è, quella della coppia Nomisake/Trapani che parla del precariato lavorativo) sono di livello e sono io ignorante che non li conosce e capisce, me stupida lettrice di fumetti mainstream.

 Però almeno per me è no.

La rabbia è un grosso argomento, l'idea permetteva enormi possibilità e l'aspettativa della "gioventù cannibale" anche. Per carità tante buone intenzioni, ma la resa non è all'altezza.


FREEZER di Veronica "Veci" Carratello ed. Bao Publishing:

 In Italia ormai escono pochissimi issimi issimi ottimi film, alcuni film orrendi, molti, troppi, film che in verità al posto di avere l'onore del cinema al massimo meriterebbero di essere passati come film tv il venerdì sera su Raiuno, e sparutamente qualche film grazioso e un po' fresco.


Poiché questi ultimi, invece di essere il vivace pane quotidiano della nostra cinematografia, sono rati come i quadrifogli, vengono salutati come capolavori di astri nascenti, opere prime di futuri Rossellini, speranze vivide e brillanti per il futuro nazionale (penso, ad esempio, a "Notte prima degli esami", il primo, che il secondo già passa alla categoria film per la tv).

 Curiosamente le graphic novel italiche seguono molto da vicino l'andamento della cinematografia, seppur con maggior originalità rispetto alla storditissima qualità delle narrativa italica odierna.
 Alcuni capolavori, parecchia roba che "Perché esce?" e, in verità, un sottobosco fresco e grazioso abbastanza florido.

 "Freezer" fa parte di questo sottobosco.
 Si tratta infatti di una piccola storia adolescenziale, disegnata in modo molto grazioso e con personaggi degni di un film di Virzì (forse sono anche obnubilata dal fatto che Virzì è rimasto tra i pochi ad ambientare le sue storie tra i poveri mortali non benestanti).

 La protagonista è Mina un'adolescente la cui unica aspirazione è essere lasciata in pace.

 A scuola la prendono in giro (senza arrivare al bullismo, basta che ci ricordiamo tutti i meravigliosi anni passati alle scuole medie, che quando ogni tanto vogliono limare gli anni al liceo mi domando sempre perché, invece, non fanno direttamente fuori questo momento scolastico che tutti vorremmo dimenticare), iniziano già a fiorire le prime future sciurette dalla lingua biforcuta, i genitori pensano di avere a che fare ancora con teneri bambini dagli occhi grandi e non si rendono conto che stanno infastidendo dei caimani in preda agli ormoni della crescita e pronti a staccargli un braccio.

 Mina ha poi una di quelle famiglie che ora va di moda chiamare disfunzionali in stile "Little miss Sunshine": una nonna che vive con loro e non parla, un padre che fa l'attore di pubblicità e guadagna poco e niente, una madre con la capigliatura di Marge Simpson, uno zio che soffre della paura di sedersi (sì sedersi) e un fratellino.

 La storia comincia quando lo zio decide di conoscere una pasciuta donzella con cui chatta da mesi.

 La famiglia prende un camper e lo accompagna in questo viaggio che si rivela infruttuoso, solo che durante il tragitto la nonna muore. E tu pensi "Sì, ma "Little miss Sunshine" l'ho già visto".

 Poi giri pagina e scopri che la nonna non avrà un degno funerale: la sua pensione di reversibilità è troppo indispensabile al sostentamento familiare, perciò nessuno deve sapere che è morta...

 Nulla di particolarmente memorabile, ma è davvero grazioso, fido che l'autrice sappia tirare fuori storie esponenzialmente migliori. La promessa c'è tutta.


UN CIELO RADIOSO di Jiro Taniguchi:


In uno dei libri, ancor belli, di Banana Yoshimoto (mi pare fosse "Amrita"), veniva citato un curioso episodio, a dire della scrittrice realmente avvenuto in America.

 Al risveglio da un grave coma, una donna si era accorta di possedere due memorie, la propria e quella di un'altra donna con cui non aveva mai avuto niente a che spartire.

 Viene da pensare che o Jiro Taniguchi legge i libri della Yoshimoto (possibile) o questa storia gira in Giappone e colpisce fortemente l'immaginario collettivo, perché è sostanzialmente la trama di questa che è, purtroppo, la prima graphic novel del buon Jiro che proprio non mi piace.

 L'inizio è anche buono: un diciassettenne campioncino di motociclismo si scontra nella notte con l'auto guidata da un manager che ha appena avuto un colpo di sonno per il troppo lavoro.

 Finiscono entrambi in coma, ma sopravvive solo uno: il ragazzo. Ma.


Ma con la mente e la memoria del manager defunto che cercherà in tutti i modi di rintracciare la moglie e la figlia.
 Il suo rimpianto infatti è aver lavorato praticamente giorno e notte senza tregua per mesi (immagino, non solo da questo fumetto, che in Giappone non esistano né sindacati né concetti come diritti del lavoratore) togliendo loro tempo e affetto.

 I problemi, come potete immaginare, sono di varia natura:

1) Come farà a farsi credere da moglie e figlioletta?

2) Cosa succederà se e quando la mente e la memoria del ragazzino dovessero tornare a galla?

 Il primo quesito si risolve in modo quasi risibile, il secondo in modo molto goffo.

 Non so, sembra che da metà storia Taniguchi si sia come reso conto che la storia non poteva funzionare, ma visto che era in ballo, ha continuato a ballare.
 Belli i disegni, delicati i dialoghi, ma peccato, è la sua cosa meno riuscita che mi sia capitato di leggere.

venerdì 21 ottobre 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Figuracce".

 Poiché domani andrò finalmente a vacanzeggiare qualche giorno a casa mia (ma cercherò di aggiornare il blog) e devo ancora finire la valigia (odio 'ste caspita di valigie in cui metà del contenuto sono regali che ti impediscono di portare vestiti), invece del post con tre e dico tre recensioni di oggi, che è pronto, ma da sistemare, ecco a voi una vignetta!

 In essa potrete ammirare in azione una madre nell'atto della ribellione alle vessazioni filiali.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Figuracce"!



mercoledì 19 ottobre 2016

Se devi scomodare un archetipo, almeno abbi un buon motivo. La recensione di "The Quick" un piacevole romanzo d'azione che avrebbe funzionato molto meglio senza i poveri vampiri, qui tristissime figure senza un vero senso e alcuna sensualità.

 L'immaginario orrorifico attuale non è molto vispo, diciamoci il vero.
 Ben lungi dal concepire nuove creature spaventose da usare come orribile specchio dei propri tempi, ricicla antiche creature archetipiche adattandole alla società moderna.


Non per nulla creatura che a me non piace particolarmente, ma è molto di moda è lo zombie, spesso usato come metafora dell'essere umano che sopravvive in un mondo ormai ostile, persona che non vive la propria vita chiuso in un guscio vuoto del quale non si rende conto.

 Nel bel "Quella luce negli occhi" ed. Clichy che avevo curiosamente letto dopo i terribili attentati di Parigi lo scorso anno, avevo ravvisato, in tutta la sua crudezza la sensazione che ci fosse un'inquietante filo rosso tra un'epidemia zombie (quando lo zombie si ottiene tramite contagio di virus misteriosi) e l'epidemia di terrore nel quale cade la popolazione europea nelle settimane successive agli agghiaccianti attentati terroristici di questi mesi.

 Lo zombie inteso come terrorista che può o non può condizionare le esistenze dei vivi (che, dal canto loro, sono confusi ulteriormente dal fatto di avere o aver avuto dei legami di tipo affettivo con essi e di non riuscire a discernerli dal mostruoso che li affligge) era la grandissima idea del romanzo.

 Un altro uso metaforico è stato quello di Matheson che, in "Io sono leggenda" (curiosamente nelle vecchie edizioni italiane intitolato "I vampiri"), usa gli zombie per contagio come metafora per una nuova popolazione o ideologia dominante che uccide la vecchia fino all'ultimo uomo (il quale comunque può decidere di lasciare il segno non unendosi al nuovo, ma preferendo la morte come segno di ultima ribellione).

 Se gli zombie ben si adattano ai nostri tempi, i vampiri hanno avuto, purtroppo, fortuna minore.

Esplosi nell'ottocento come reazione alla repressione dell'eros, sono le creature della notte per eccellenza, sensuali, affascinanti, ambigui, privi di morale.

  Rappresentano la valvola di sfogo di una società che mirava a controllare e reprimere qualsiasi sessualità e che, eppure, ne era affascinata.

 La "Carmilla" di Sheridan Le Fanu è una dolce fanciulla che seduce una sua coetanea, Laura, con parole appassionate e orgasmi notturni. Uccisa da un prototipo del Van Helsing di Bram Stoker, non smette comunque di avere la sua influenza su Laura che anni dopo, ricondotta sulla retta via, sposata e con figli, continuerà comunque a rimpiangerla.

 Affascinante e ambiguo è il nobile vampiro di Polidori, lo è il Dracula di Bram Stocker, lo sono i numerosi vampiri che notte dopo notte lasciano le loro vittime ipnotizzate dal loro fascino e sempre più esauste.

Perché ovviamente non esiste piacere senza punizione e la punizione di chi cede alle lusinghe del vampiro è direttamente la morte.

 Nel '900, il fascino del proibito è venuto a mancare, una sessualità più libera ha privato il vampiro del suo tratto fondamentale, rendendo le storie in suo onore sempre meno memorabili.

 Personalmente amo molto Anne Rice che è riuscita a trovare un senso alla figura vampirica inventando per lui nuove forme di affascinante corruzione (anche se il mio libro preferito della sua serie rimane "Armand il vampiro" che è quasi completamente ambientato nel passato).

 Il vampiro è bello, affascinante, ricco, è tutto ciò a cui non sappiamo dire di no nonostante la nostra coscienza ci suggerisca che stiamo sbagliando.
 La Rice è riuscita a rivestire la figura vampirica dell'ambigua veste della corruzione: senza tentazione tutti rimaniamo sulla strada più giusta, ma cosa accade quando la tentazione arriva in vesti così meravigliose?

 Persino Stephenie Meyer che ha fatto sfracelli con "Twilight" è riuscita a metaforizzare il vampiro.

  Può piacere o non piacere, ma calando il vampiro in un libro per YA ha riesumato l'antica funzione sensuale della creatura: per gli adolescenti il timore e al contempo il fascino del sesso hanno ancora quel senso di turbamento, quel salto nel vuoto, quell'idea di compiere qualcosa di definitivo e forse di sbagliato.

Devo dire che all'inizio di "The Quick" avevo le migliori sensazioni.
 Mi sembrava un onesto libro di intrattenimento (non un capolavoro, ma una di quelle storie piacevoli da leggere) che cercava di andare a parare dalle parti di Anne Rice.

 L'inizio e la fine sono infatti le parti migliori della storia.
 C'è una magione inglese persa nella brughiera, due bambini un maschio e una femmina, quasi orfani, un po' in stile "Giro di vite", una misteriosa bambinaia che non arriva mai, un padre che se ne va colpito da una strana malattia.

Un improvviso salto di una dozzina di anni ci porta a Londra, quando il maschio ha terminato gli studi e tenta di diventare uno scrittore di teatro, schivo e perso dietro ai suoi sogni.

 Per sostenere le spese, decide di condividere il piano di un appartamento con un avvenente ex compagno di studi, assai più vivace e con una famiglia adeguatamente odiosa.

 Bene, dopo 70 folgoranti pagine, la storia prende un'altra via, oserei dire strana.

 Per motivi abbastanza incomprensibili la Owen decide che i vampiri non sono creature affascinanti, nobili, ricche, ambigue e irresistibili, ma polverosi reperti del passato, mentalmente instabili, alla costante ricerca di denaro per sopravvivere e assolutamente disgustati dagli esseri umani, ai loro occhi una sorta di ratti rumorosi e puzzolenti.

 La storia passa quindi da un amore proibito nell'alta società (tra l'altro all'inizio pensi che la storia debba spostarsi nuovamente nell'antica magione dove il padre del protagonista è misteriosamente morto, ma non succede) ad una sorta di caccia nei bassifondi dickensiani.

 La novità della Owen è infatti ambientare una storia vampiresca tra i poveri, gli straccioni, la fumosa Londra dei ragazzini costretti a rubare, delle gang orchestrate da ex ragazzini, ormai adulti ed espertissimi.

 Al contempo i vampiri più ben nati  si incontrano in società curiosamente solo maschili e ingaggiano una sorta di lotta con tutto ciò che esiste di negativo nella vita eterna: la perenne sensazione di non farcela, il terrore della precarietà, del trovare continui espedienti per sopravvivere.

 Va da sè che questi vampiri sono infelici e nevrotici e, stranamente, privi di qualsiasi impulso sessuale (tanto che arrivi a chiederti il motivo di un inizio completamente diverso, con una relazione fortemente sensuale, boh).

 Ecco, lì, c'è la fatale impasse.

 Poteva essere una buona idea cambiare la metafora.

 Il vampiro non più simbolo di una sensualità selvaggia e repressa, ma della vita eterna come fonte di ansia e precarietà perpetua, l'essere umano costretto a sopravvivere senza mai imparare davvero a vivere, l'indurimento davanti a una serie di difficoltà che non ha mai effettivamente fine.

 Invece l'autrice si lancia in una strana lotta di quartiere tra vampiri, traccia personaggi che uccide senza motivo, ne crea altri (la sorella del protagonista che diventa protagonista lei stessa) privi di alcuna personalità e altri privi di alcuna funzionalità (il macellaio, pagine e pagine a parlarci di un serial killer di vampiri che poi non ha alcuno sbocco).

 Ci sono tante buone idee che, private dell'adeguata atmosfera e di un senso più profondo rendono il libro un buon prodotto di intrattenimento, ma niente di più.

 Un peccato perché anche un finale insolitamente soddisfacente lasciava presagire qualcosa di meglio.

 E' come se la Owen non avesse pietà o compassione per i suoi personaggi, ma li percepisse come figurine di un gioco che la diverte molto, ma che non ha alcuna aspirazione.
 A posteriori, si pensa molto vividamente che il tutto avrebbe funzionato meglio senza scomodare i vampiri e che anzi, il vero problema del libro sia proprio quello.

 Se usi una figura sovrannaturale, se scomodi un archetipo orrorifico, devi avere un ottimo motivo per farlo (e la caratterizzazione di un personaggio non è un ottimo motivo) altrimenti le falle che apri sono più di quelle che chiudi.

 Se la Owen avesse inventato una società segreta (come, tra l'altro, quella del piccolo italiano Pesca ne "La donna in bianco") senza buttarci dentro vampiri e canini, tutto avrebbe funzionato molto meglio.

 Poi ribadisco, piacevole intrattenimento, tante tazze di the e anche un'unica scena di seduzione scritta benissimo. Speriamo che i seguiti, che dal finale sembra ci saranno, siamo migliori.

 Forza scrittori, già non inventate nuovi mostri, almeno sappiate metaforizzare decentemente i vecchi!

martedì 18 ottobre 2016

Piccoli racconti crudeli d'ottobre! Quando le colpe dei nonni ricadono sui nipoti ne "Le zucche di Ognissanti".

 La scorsa settimana, tra una cosa e un'altra, non ho poi pubblicato il mio piccolo raccontino crudele.


 Ripeto la solfa usata nell'introduzione de "Le papere assassine" per chi se la fosse persa (per gli altri, potete anche saltare).

 All'inizio dell'università avevo scritto una manciata di raccontini a tema horror molti brevi, semplici e senza particolari pretese (negli anni poi ne ho scritti altri con lo stesso stile).

 In genere io non pubblico materiale personale su questo blog, ma questi racconti in particolare secondo me potevano avere un senso nel mese di Halloween.

 Il racconto che state per leggere, lo avevo già pubblicato su un sito che mi piaceva moltissimo durante l'università, "La tela nera" che parlava (e parla tuttora) di cultura horror, noir e scifi e organizzava anche concorsi (anche il racconto che vorrei pubblicare la prossima settimana era già stato pubblicato lì).

 Questa settimana, tutto per voi "Le zucche di Ognissanti", una storia sulle colpe dei padri, anzi nonni, che ricadono sui figli.


 "LE ZUCCHE DI OGNISSANTI"



Angela aveva dei vicini di casa molto silenziosi.

 Non li vedeva mai in giro, sapeva della loro esistenza solo perché talvolta si affacciavano a bere il loro the scuro e fumante.

 In tutto erano solo tre ragazzi: due femmine e un maschio e  lo furono per parecchio tempo o meglio finché una delle ragazze non svanì. 
 Nel nulla, proprio nel nulla. Venne la polizia, li interrogò entrambi, ma non ne cavò niente: alibi inconfutabili e nessun movente.

Era accaduto la sera della vigilia di Ognissanti.

 La mattina dopo Angela aveva trovato sui loro scalini due bellissime zucche arancioni intagliate con la classica boccaccia scura e dentellata, e con una candela dentro che spandeva tutt’attorno una breve luce.

Il giorno era davvero molto nuvoloso e le zucche contro la parete di pietra della casa erano davvero meravigliose, di un arancione vivo come non mai.

Erick ed Anne non credevano fosse una buona cosa festeggiare Ognissanti quell’anno: esattamente la stessa sera di dodici mesi prima, la loro amica Ira era svanita nel nulla proprio andando a cercare delle zucche per la vigilia.

 Ma dopo molto pensare, si dissero, il modo migliore per esorcizzare la paura forse era proprio quello di andare nello stesso posto a cogliere quelle zucche.

 Il campo dove crescevano, stranamente incolte, era a nord del paese. 
 Loro, che erano tedeschi, non avevano mai ben capito certi atteggiamenti così assurdi degli italiani: perché lasciare terreni incolti appena dietro il paese? Non aveva senso, se non il naturale lassismo che sembrava affliggere quell'incomprensibile popolo.

In ogni caso bisognava riconoscere che il campo delle zucche era un posto davvero insolito.
 Nei terreni attorno, c’erano infatti delle buone coltivazioni e il terreno era molto fertile: chissà perché lasciare quel fazzoletto di terra con le zucche così vuoto.
  Forse, avevano dedotto, privi di qualsiasi spiegazione plausibile, era un territorio statale lasciato inselvatichire da una legione di leggi contorte e burocrazia.

Questa volta in due, si avviarono nel plumbeo pomeriggio del 31 ottobre a cogliere queste due zucche.
Erano le cinque del pomeriggio, tirava un forte vento e non passava nessuno.

Una volta sul posto però, Anne si rese conto di non riuscire a parlare per l'angoscia: era dal momento in cui avevano avvistato quello strano campo costellato da macchie arancioni che aveva i brividi.

Sapeva, oscuramente, che non dovevano essere lì.

“Erick andiamo via, io ho paura”, gli sussurrò in italiano.
“Ma smettila!”, replicò lui bruscamente in tedesco.

Anne allora si guardò attorno e notò che le zucche erano sparse un po’ ovunque, scomposte al suolo, come abbandonate, e che erano unite dai loro tralci verdastri, ma prive di ogni perizia agricola. 
In quello stato di selvatico abbandono avevano qualcosa di minaccioso.

“Se i nonni ti vedessero adesso, sai quante risate si farebbero?”, continuò lui ridacchiando.

Anne ebbe la fulminea visione del glorioso nonno Von Larck, eroe della seconda guerra mondiale pluridecorato al valore. Era un’immagine, quella, che le si era stampata nella mente durante l’infanzia quando quell’enorme quadro che lo raffigurava era appeso nella grande villa di campagna della sua famiglia.

Lei, Ira ed Erick si erano conosciuti proprio perché i loro tre nonni erano stati molto amici durante la seconda guerra mondiale. Avevano combattuto in Italia nello stesso reggimento, esattamente dalle parti in cui loro abitavano in quel momento. 
 Purtroppo, nessuno di loro non era tornato se non il nonno di Anne, in preda ad un’assurda frenesia.

Non era stata una bella guerra, ma lui tanto fece e tanto raccontò di civili tratti in salvo ed eroiche gesta in favore delle popolazioni locali che nella loro città erano stati trattati come eroi nazionali, raggi di luce in una stagione di puro, oscuro, orrore.

La moglie di Von Larck e le vedove dei suoi due amici erano diventate inseparabili e i loro tre figli crebbero insieme.

 Ognuno di loro ebbe a sua volta ebbe un solo figlio, Ira, Erick ed Anne, e decisero che dovevano crescere anche loro come fratelli.

Quindi, una volta cresciuti, ad Ira era venuta l’idea di passare qualche tempo in Italia proprio nel posto dove i loro nonni avevano così gloriosamente combattuto; così si erano ritrovati ad abitare in un appartamento nel mezzo di un bel borgo medievale.

Ira era scomparsa e loro cercavano le zucche.

 Ad un tratto, mentre saggiavano la consistenza di un esemplare grazioso ma piccolino, Erick gridò un’esclamazione in tedesco e indicò ad Anne una fila di dieci zucche bellissime sotto un noce su di una piccola altura lì vicino.

 Correndo tra i tralci, arrivarono fin lì e pensarono che quelle dieci zucche fossero davvero belle: grandi, sode, mature e di un arancione acceso ai limiti dello sgargiante. 

 Se ne stavano tutte e dieci in fila perfetta sotto questo noce da cui cadevano tante foglie rosse, come gocce di sangue. 

 Se fosse stata una coltivazione, avrebbero detto che dovevano essere di una qualità di gran lunga superiore a tutte le altre.

“Prendiamo due di queste”, disse Erick.

Anne annuì un po’ sollevata: avevano trovato le zucche e non era ancora sera, non c'era motivo di agitarsi dopotutto.

Con i coltelli portati da casa staccarono le due più grosse dal terreno e se le misero in braccio.

 Poi, mentre stavano per andar via, Anne notò un riflesso in controluce provenire tra le pieghe della corteccia del noce. 

 Si avvicinò e con una mano pulì la macchia splendente coperta dal muschio che le era parso di vedere. Sembrava una targa dorata.

“Cosa c’è Anne?”, domandò Erick tornando indietro.
“Aspetta un attimo. Qui c’è scritto qualcosa. Mi pare che sia una targa di commemorazione. Dice che…dice che nell’Ottobre del ’44 c’è una battaglia tremenda tra i tedeschi in ritirata e i partigiani. I partigiani furono massacrati e per giorni i loro corpi rimasero insepolti su questo campo. Sotto questo albero i tedeschi fucilarono i dieci capi partigiani una volta vinto e…”

Anne si interruppe e soffocò a malapena un grido.

 “Cosa c’è adesso Anne?”, chiese Erick esasperato.

Anne indicò tre nomi sotto la targa.

“Il massacro fu compiuto ad opera di…”

Anche Erick si fermò per deglutire, una foglia rossastra gli si poggiò sulla mano.

  Non riuscì a pronunciare  i tre nomi,

 Stava per gridare ad Anne di andarsene, quando i tralci della zucca che aveva tra le braccia gli si strinsero ai polsi, come se avessero preso improvvisamente vita.

Imprecò in lingua e guardò terrorizzato Anne, ma la vide combattere disperatamente con i tralci animati della sua zucca. 
 Gridò il suo nome prima di scorgerne molti altri uscire dal suolo come alti serpenti per cingerle le caviglie, la vita e il collo.

 La terra tra le zucche in fila indiana si aprì, ritirandosi come le acque del mar Morto, e lei venne inghiottita senza nemmeno un grido a causa di una foglia che le si era infilata in bocca di traverso.

Questa fu l’ultima cosa che Erick vide con chiarezza, poi il respiro gli mancò e con lui la terra sotto i piedi. 
 Decine di tralci lo avvolsero e sprofondò, tra le dieci bellissime zucche.

 Angela quella mattina di Ognissanti tornava da una festa col suo borsone rosso, sperò che anche quell’anno i vicini tedeschi avessero acceso le zucche sugli scalini di pietra della casa.

 Rimase felicemente sorpresa quando, tutte attorno al muro del loro appartamento, trovò dieci zucche incredibilmente belle, perfettamente intagliate e tutte con una candela splendente che spandeva tutt'attorno una breve luce.


lunedì 17 ottobre 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Avvoltoi".

In questi giorni i clienti hanno vissuto un vero e proprio tour de force (e anche noi devo dire). 
 Tra la morte di Dario Fo e il Nobel a Bob Dylan non c'è stata tregua: si sono susseguiti una serie di rocamboleschi eventi, situazioni, congetture e strafalcioni che mi ci vorrà almeno un mese a vignettare.
 Intanto iniziamo con un cose realmente avvenute che fotografa benissimo quel peculiare momento in cui un artista muore e tutti improvvisamente hanno voglia di conoscerne l'opera, così, d'impulso.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Avvoltoi"!




domenica 16 ottobre 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Proprio il romanzo".

Ed ecco almeno una vignetta del fine settimana.
 In realtà tale è stata la quantità di follia accumulata dalla clientela tra la morte di Dario Fo e il Nobel a Bob Dylan che probabilmente ne vedrete altre domani.
 Intanto una vignetta con uno strafalcione degno della miglior tradizione (scusate il lettering appiccicato, sono esausta).
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Proprio il romanzo"!



sabato 15 ottobre 2016

Quando il libraio (o il bibliotecario) è anche scrittore. Sette luminosi esempi tra bouquinistes, librerie segrete, arguzie orwelliane, bombardamenti e Just Kids-

Una delle cose che più mi dispiace (e urta) è quando si definisce il libraio di catena (o il libraio non proprietario in generale, quindi anche i dipendenti delle librerie indipendenti) "commesso".

Non che ci sia qualcosa di male nel fare il commesso, ma molti lo usano con quel disprezzo malcelato di chi compatisce (nel migliore dei casi) chiunque si è ritrovato a fare un lavoro socialmente basso come puah vendere cose.

 Ciò che mi porta perciò a farmi arrivare il sangue al cervello quando sento "commesso" e non "libraio" non è perciò questo lato borghesemente snob di chi disprezza l'onesto lavoro altrui, ma la differenza di mansioni dovuta a una differenza di base: il prodotto.

 Certo, esistono librai e libraie effettivamente incompetenti ma possono esserci due ragioni principali:

1) Sono incompetenti. Punto. Ma bisognerebbe ricordarsi che, sfortunatamente per tutti noi esistono incompetenti in qualsiasi professione, dall'avvocato al cuoco, dal medico all'impiegato, dal bancario al ragioniere.

2) Potrebbe darsi che il libraio a cui voi state rivolgendo la domanda non sia effettivamente competente nell'ambito di vostro interesse. 

 Lavorare in libreria necessita di molte conoscenze, molte, molte, molte in qualsiasi ambito, dalla psicologia alla letteratura, dalla musica all'arte.

 A parte Pico della Mirandola o Alberto Angela credo che pochi riescano a spaziare in ogni ambito, anche dopo anni di lavoro. Come ogni tanto dico, fare il libraio certe volte è come giocare a Trivial tutto il giorno.

Per rafforzare queste mie perorazioni e istanze, ho deciso di portarvi alcuni esempi di illustri librai e di un bibliotecario affinché possiate guardarci con occhi più indulgenti.

 In realtà sotto quel libraio che vi sembra tanto stordito potrebbe celarsi un genio!


LUCIANO BIANCIARDI:

 Prima di giungere a Milano e lanciarsi nel rutilante mondo editoriale (se ci sono aspiranti lavoratori nell'editoria vi sconsiglio ardentemente quel pur bel libro che è "La vita agra" perché vi passa la voglia), Bianciardi fu bibliotecario.

 Durante l'università mi portarono in gita alla biblioteca Chelliana in quel di Grosseto (tra l'altro, perdonatemi grossetani, ma l'unica città della Toscana che proprio non mi è piaciuta), una cittadina che venne pesantemente bombardata durante la seconda guerra mondiale.

 Bianciardi si occupò della ricostruzione della biblioteca distrutta durante uno dei raid aerei nel 1944. 

 Insegnante, si fece trasferire alla biblioteca dove recuperò il recuperabile (dopo il bombardamento, un'esondazione aveva rovinato gran parte del patrimonio), catalogò da autodidatta, integrò il patrimonio con testi moderni, lanciò un frequentatissimo cineclub e istituì persino l'innovativo servizio del Bibliobus che si inerpicava per i paeselli del circondario nel tentativo di portare la cultura fuori da un luogo in cui molti erano restii ad entrare. 

 Elisabetta Francioni, bibliotecaria della Biblioteca nazionale Centrale di Firenze ha scritto un libro sull'esperienza di Bianciardi bibliotecario, "Luciano Bianciardi bibliotecario a Grosseto" ed. Aib:

«La biblioteca civica era stata, negli anni fino alla guerra, una tipica piccola biblioteca di provincia. Frequentata da pochi specialisti di erudizione locale, gelosa e chiusa di fronte al gran pubblico: imperava insomma la conservatrice mentalità tradizionale, che purtroppo ancor oggi resiste in alcune biblioteche italiane.
Bisognava invece adoprarsi in ogni modo per fare della biblioteca un centro attivo di diffusione culturale e di educazione alla lettura [...]. Ma questo non era ancora sufficiente: una parte assai larga dei 37.940 cittadini del comune rimaneva ancora estranea alla vita della biblioteca, specialmente nei ceti operai, artigiani e contadini. 
Questi potenziali lettori andavano cercati, avvicinati, educati [...] con letture, presentazioni, recensioni. Ma non è tutto: restano i piccoli agglomerati rurali, le fattorie, le case coloniche. Ebbene, anche queste verranno raggiunte con un mezzo radicalmente nuovo, il bibliobus.»

 La lasciò dopo il 1954 per cimentarsi nel "lavoro culturale" presso la Feltrinelli a Milano.
 Varie furono le motivazioni: una nuova relazione (Bianciardi era sposato e con un figlio), orizzonti più vasti a chiamare e un orribile incidente sul lavoro che nel uccise ben 43 lavoratori nella miniera di Ribolla (tutti fatti narrati ne "La vita agra").
 Fu una partenza per un nuovo mondo. Ma un'amara partenza e un amaro mondo. 


JONATHAN LETHEM:

Lo scrittore Jonathan Lethem lavorò, adolescente, in una libreria che esiste tuttora (e dove tuttora torna): la Brazenhead Books una piccola libreria di New York molto particolare.

 Libreria dell'usato dove il quattordicenne Lethem leggeva e si lanciava in uno di quei classici lavori estivi da tipica educazione americana, nel 2008 è stata costretta a chiudere a causa degli affitti troppo alti (una storia che molte librerie indipendenti conoscono).
 Tuttavia, il proprietario, Michael Seidenberg, non si è dato per vinto e ha trasferito i libri a casa sua dando vita ad una sorta di libreria/biblioteca/rivendita segreta dove artisti, curiosi, lettori, hipster alla ricerca di emozioni culturali forti e generosi bon vivant amanti delle belle lettere si incontrano per comprare libri, discutere, bere e confrontarsi.

 Molto è leggenda, una buona parte di sicuro è moda, di certo c'è molto fascino in questa libreria abusiva che non so neanche onestamente se esista ancora o se infine sia stata sfrattata per problemi legali (e fiscali) anche dal suo ultimo avanposto (magari qualche newyorchese in ascolto saprà dircelo).


PATTI SMITH:

 Visto che il nobel ha sdoganato i cantautori e visto che la buona Patti ha scritto effettivamente un paio di libri, ci infiliamo anche lei.

 Nella sua bella autobiografia "Just Kids" in cui descrive la sua giovinezza a e il suo straordinario incontro fortuito con un giovanissimo Mapplethorpe, prima compagno, poi coinquilino e amico fondamentale, la Smith descrive la sua lunga e difficile gavetta bohemienne. 

 Prima di scoprire un'attitudine alla poesia (inizia infatti la carriera con quei reading poetici che ogni tanto si vedono nei film indipendenti americani, ma raramente si replicano in Italia), la Smith aveva avuto una figlia (data in adozione) da un amore giovanile e per svariati anni visse sul confine della miseria in un appartamento condiviso col futuro fotografo, anche lui poverissimo.

 Migliorò parzialmente le sue condizioni quando riuscì a trovare lavoro presso Brentano's, una catena di librerie dove lavorava anche Mapplethorpe, anche se in una sede diversa.

 Si conobbero il giorno in cui lui decise di spendere un buono in alcuni manufatti etnici che vendevano nella sede della Smith.
 Tempo dopo vennero lasciati a casa entrambi, Patti per un motivo alquanto curioso:
 "Avevo mancato di far pagare a una cliente cinese le tasse sull'acquisto di un Buddha assai caro. "Perché dovrei pagarci le tasse?" mi aveva chiesto, "non sono americano". Non avevo risposte e così non gliele avevo fatte pagare. Il mio buonsenso mi era costato il posto di lavoro."
Adesso se ho ben capito ha chiuso e c'è Sephora

Ma non fu la sua ultima esperienza in libreria, ne ebbe una seconda:
 "Avevo bisogno di trovare un altro lavoro.  
La mia amica Janet Hamill era stata assunta alla libreria Scribner e ancora una volta, come già aveva fatto durante gli anni del college trovò il modo di spartire con me la sua fortuna. Parlò ai suoi superiori, che mi offrirono un posto.
 Mi parve un impiego da sogno, lavorare nella libreria di un prestigioso editore, casa di scrittore come Hemingway e Fiztgerald e del loro editor, il grande Maxwell Perkins."

 State in campana perciò, magari la libraia che vi sembra troppo vestita da fricchettona, in realtà, è una Patti Smith in potenza.


GEORGE ORWELL:

 Due anni fa scrissi un post sull'esperienza che George Orwell visse come libraio e a cui dedicò un arguto memoir contenuto in Italia nell'antologia "Letteratura palestra di libertà".

 La cosa più sconcertante del suo breve e sarcastico resoconto fu l'incredibile attualità che potei ravvisarvi. 

 Certo, in libreria hanno fatto il loro ingresso cataloghi elettronici e via discorrendo, ma il lato umano, quello del rapporto cliente-libraio è praticamente identico, come identiche sono le richieste assurde dei clienti, identica la follia del Natale, identico lo spaesamento del cliente che entra in un negozio dove generalmente tenta di mettere piede il meno possibile e solo per casi specifici e necessità eccezionali (escludendo i lettori forti).

 Nel suo abile resoconto riusciva a inquadrare una serie di manie, di personaggi, di assurde domande che chiunque, nonostante siano passati non meno di 70 anni, esistono e resistono identiche.

 Vi riposto un pezzo illuminante, per il resto potete andare al vecchio link ("Fare il libraio secondo George Orwell"):

"Nel periodo in cui lavorai in un negozio di libri usati- un luogo che, finché non ci si lavora, è facile immaginare come una specie di paradiso dove affascinanti gentiluomini d'età scartabellano eternamente tra in-folio rilegati in pelle di vitello -mi colpì soprattutto la rarità delle persone davvero interessate ai libri. 
La nostra libreria offriva anche volumi eccezionalmente interessanti, ma dubito che uno sui dieci dei nostri clienti fosse in grado di distinguere un buon libro da uno brutto.
Gli snob a caccia di prime edizioni erano molto più frequenti degli amanti della letteratura; gli studenti orientali che tiravano sul prezzo dei libri di testo economici erano anche più numerosi; ma i clienti più comuni erano le signore dalle idee confuse che cercavano regali di compleanno per i nipotini. 
Molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria. 
Per esempio, l'adorabile vecchietta che "vuole un libro per un malato" (richiesta frequentissima), o quella che nel 1897 ha letto un libro tanto ma tanto bello e vi chiede se potete procurargliene una copia, peccato che abbia dimenticato sia il titolo sia il nome dell'autore: in cambio, però, si ricorda che aveva la copertina rossa.”

CLAUDE IZNER e le bouquinistes:

 Giallista francese, è in realtà lo pseudonimo per due sorelle parigine Liliane e Laurence Korb, scrittrici e libraie, figlie di un libraio. 


 Sono per la precisione sono "Bouquinistes" ossia i librai che vendono libri usati, vecchi (più o meno di pregio) o d'occasione, nelle bancarelle sulla riva della Senna, dove infatti le scrittrici hanno entrambe la loro attività, una sulla riva destra e una sulla sinistra (se ne possono trovare anche se in modo meno istituzionalizzato anche nelle città italiane).


  Nato come mestiere nel XVI° secolo, i librai possessori delle quasi 1000 bouquinistes francesi hanno acquisito privilegi particolari a seguito all'inserimento nel 2011 nel patrimonio mondiale dell'Unesco (ma quando le due gialliste, una settantaseienne e una sessantacinquenne erano bambine era un mestiere che rendeva pochissimo e la famiglia visse a lungo in povertà).

Le gialliste sono talmente attaccate al loro mestiere che anche il protagonista della loro serie principale, ambientata nella Parigi del 1800 è un libraio:   il trentenne Victor Legris.


 NB. Poiché il bibliotecario è un mestiere enormemente più antico del libraio (il libraio per come lo conosciamo oggi è un'invenzione recentissima, prima editore-tipografo e libraio erano la stessa persona e solo coi secoli, dopo l'invenzione della stampa si sono differenziati), ci sono molti più bibliotecari illustri che librai.

 Sul sito dell'Aib, l'associazione italiana biblioteche, potrete trovarne un elenco esaustivo che vede schierati: premi nobel, matematici, rivoluzionari artisti contemporanei, terroristi (generalmente di sinistra), cantautori, filosofi, poeti e molti molti scrittori.

 Vi sta passando l'idea del libraio e del bibliotecario commesso radiocomandato/polveroso topo di biblioteca?

 Non smetterò di lavorare al riguardo!

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