Ripeto la solfa usata nell'introduzione de "Le papere assassine" per chi se la fosse persa (per gli altri, potete anche saltare).
All'inizio dell'università avevo scritto una manciata di raccontini a tema horror molti brevi, semplici e senza particolari pretese (negli anni poi ne ho scritti altri con lo stesso stile).
In genere io non pubblico materiale personale su questo blog, ma questi racconti in particolare secondo me potevano avere un senso nel mese di Halloween.
Il racconto che state per leggere, lo avevo già pubblicato su un sito che mi piaceva moltissimo durante l'università, "La tela nera" che parlava (e parla tuttora) di cultura horror, noir e scifi e organizzava anche concorsi (anche il racconto che vorrei pubblicare la prossima settimana era già stato pubblicato lì).
Questa settimana, tutto per voi "Le zucche di Ognissanti", una storia sulle colpe dei padri, anzi nonni, che ricadono sui figli.
"LE ZUCCHE DI OGNISSANTI"
Angela aveva dei vicini di casa molto silenziosi.
Non li vedeva mai in giro, sapeva della loro esistenza solo perché talvolta si affacciavano a bere il loro the scuro e fumante.
In tutto erano solo tre ragazzi: due femmine e un
maschio e lo furono per parecchio tempo o meglio finché una delle
ragazze non svanì.
Nel nulla, proprio nel nulla. Venne la polizia,
li interrogò entrambi, ma non ne cavò niente: alibi inconfutabili e
nessun movente.
Era accaduto la sera della vigilia di Ognissanti.
La mattina dopo Angela aveva trovato sui loro
scalini due bellissime zucche arancioni intagliate con la classica
boccaccia scura e dentellata, e con una candela dentro che spandeva
tutt’attorno una breve luce.
Il giorno era davvero molto nuvoloso e le zucche
contro la parete di pietra della casa erano davvero meravigliose, di un arancione vivo come non mai.
Erick ed Anne non credevano fosse una buona cosa
festeggiare Ognissanti quell’anno: esattamente la stessa sera di
dodici mesi prima, la loro amica Ira era svanita nel nulla proprio
andando a cercare delle zucche per la vigilia.
Ma dopo molto pensare, si dissero, il modo migliore per esorcizzare
la paura forse era proprio quello di andare nello stesso posto a cogliere quelle zucche.
Il campo dove crescevano, stranamente incolte, era a
nord del paese.
Loro, che erano tedeschi, non avevano mai ben capito
certi atteggiamenti così assurdi degli italiani: perché lasciare
terreni incolti appena dietro il paese? Non aveva senso, se non il naturale lassismo che sembrava affliggere quell'incomprensibile popolo.
In ogni caso bisognava riconoscere che il campo delle zucche era un posto davvero insolito.
Nei terreni attorno, c’erano infatti delle buone coltivazioni e il terreno era molto
fertile: chissà perché lasciare quel fazzoletto di terra con le
zucche così vuoto.
Forse, avevano dedotto, privi di qualsiasi spiegazione plausibile, era un
territorio statale lasciato inselvatichire da una legione di leggi contorte e burocrazia.
Questa volta in due, si avviarono nel plumbeo
pomeriggio del 31 ottobre a cogliere queste due zucche.
Erano le cinque del pomeriggio, tirava un forte
vento e non passava nessuno.
Una volta sul posto però, Anne si rese conto di non riuscire a parlare per l'angoscia: era dal momento in cui avevano avvistato quello strano campo costellato da macchie arancioni che aveva i brividi.
Sapeva, oscuramente, che non dovevano essere lì.
“Erick andiamo via, io ho paura”, gli sussurrò
in italiano.
“Ma smettila!”, replicò lui bruscamente in tedesco.
Anne allora si guardò attorno e notò che le
zucche erano sparse un po’ ovunque, scomposte al suolo, come
abbandonate, e che erano unite dai loro tralci verdastri, ma prive di
ogni perizia agricola.
In quello stato di selvatico abbandono avevano qualcosa di minaccioso.
“Se i nonni ti vedessero adesso, sai quante
risate si farebbero?”, continuò lui ridacchiando.
Anne ebbe la fulminea visione del glorioso nonno Von
Larck, eroe della seconda guerra mondiale pluridecorato al valore.
Era un’immagine, quella, che le si era stampata nella mente durante
l’infanzia quando quell’enorme quadro che lo raffigurava era
appeso nella grande villa di campagna della sua famiglia.
Lei, Ira ed Erick si erano conosciuti proprio
perché i loro tre nonni erano stati molto amici durante la seconda
guerra mondiale. Avevano combattuto in Italia nello stesso
reggimento, esattamente dalle parti in cui loro abitavano in quel
momento.
Purtroppo, nessuno di loro non era tornato se non il nonno di Anne, in
preda ad un’assurda frenesia.
Non era stata una bella guerra, ma lui tanto fece e
tanto raccontò di civili tratti in salvo ed eroiche gesta in favore delle popolazioni locali che nella loro città erano stati trattati come eroi nazionali, raggi di luce in una stagione di puro, oscuro, orrore.
La moglie di Von Larck e le vedove dei suoi due amici erano diventate inseparabili e i loro tre
figli crebbero insieme.
Ognuno di loro ebbe a sua volta ebbe un solo
figlio, Ira, Erick ed Anne, e decisero che dovevano crescere anche
loro come fratelli.
Quindi, una volta cresciuti, ad Ira era venuta
l’idea di passare qualche tempo in Italia proprio nel posto dove i
loro nonni avevano così gloriosamente combattuto; così si erano
ritrovati ad abitare in un appartamento nel mezzo di un bel borgo
medievale.
Ira era scomparsa e loro cercavano le zucche.
Ad un tratto, mentre saggiavano la consistenza di
un esemplare grazioso ma piccolino, Erick gridò un’esclamazione in tedesco e indicò ad Anne
una fila di dieci zucche bellissime sotto un noce su di una piccola
altura lì vicino.
Correndo tra i tralci, arrivarono fin lì e
pensarono che quelle dieci zucche fossero davvero belle: grandi,
sode, mature e di un arancione acceso ai limiti dello sgargiante.
Se
ne stavano tutte e dieci in fila perfetta sotto questo noce da cui
cadevano tante foglie rosse, come gocce di sangue.
Se fosse stata una
coltivazione, avrebbero detto che dovevano essere di una qualità di
gran lunga superiore a tutte le altre.
“Prendiamo due di queste”, disse Erick.
Anne annuì un po’ sollevata: avevano trovato le
zucche e non era ancora sera, non c'era motivo di agitarsi dopotutto.
Con i coltelli portati da casa staccarono le due
più grosse dal terreno e se le misero in braccio.
Poi, mentre
stavano per andar via, Anne notò un riflesso in controluce provenire
tra le pieghe della corteccia del noce.
Si avvicinò e con una mano
pulì la macchia splendente coperta dal muschio che le era parso di
vedere. Sembrava una targa dorata.
“Cosa c’è Anne?”, domandò Erick tornando
indietro.
“Aspetta un attimo. Qui c’è scritto qualcosa.
Mi pare che sia una targa di commemorazione. Dice che…dice che
nell’Ottobre del ’44 c’è una battaglia tremenda tra i tedeschi
in ritirata e i partigiani. I partigiani furono massacrati e per
giorni i loro corpi rimasero insepolti su questo campo. Sotto questo
albero i tedeschi fucilarono i dieci capi partigiani una volta vinto
e…”
Anne si interruppe e soffocò a malapena un grido.
“Cosa c’è adesso Anne?”, chiese Erick esasperato.
Anne indicò tre nomi sotto la targa.
“Il massacro fu compiuto ad opera di…”
Anche Erick si fermò per deglutire, una foglia
rossastra gli si poggiò sulla mano.
Non riuscì a pronunciare i tre nomi,
Stava per gridare ad Anne di andarsene,
quando i tralci della zucca che aveva tra le braccia gli si strinsero
ai polsi, come se avessero preso improvvisamente vita.
Imprecò in lingua e guardò terrorizzato Anne, ma la
vide combattere disperatamente con i tralci animati della sua zucca.
Gridò il suo nome prima di scorgerne molti altri uscire dal suolo
come alti serpenti per cingerle le caviglie, la vita e il collo.
La terra tra le zucche in fila indiana si aprì,
ritirandosi come le acque del mar Morto, e lei venne inghiottita
senza nemmeno un grido a causa di una foglia che le si era infilata
in bocca di traverso.
Questa fu l’ultima cosa che Erick vide con
chiarezza, poi il respiro gli mancò e con lui la terra sotto i
piedi.
Decine di tralci lo avvolsero e sprofondò, tra le dieci
bellissime zucche.
Angela quella mattina di Ognissanti tornava da una
festa col suo borsone rosso, sperò che anche quell’anno i vicini
tedeschi avessero acceso le zucche sugli scalini di pietra della
casa.
Rimase felicemente sorpresa quando, tutte attorno
al muro del loro appartamento, trovò dieci zucche incredibilmente
belle, perfettamente intagliate e tutte con una candela splendente che
spandeva tutt'attorno una breve luce.
Mi piaccion davvero tanto i tuoi racconti horror!
RispondiEliminabrava, fa paurissima!
RispondiEliminaottimo, davvero. perché non cerchi qualcuno che te li pubblichi? meritano!
RispondiEliminaIniziamo col fumetto :) Poi conquista del mondo! ;) (Ah, oggi se ce la faccio, recensione di The Quick!)
EliminaNon capisco bene la parte iniziale, c'è uno stacco bruschissimo da un anno all'altro, ho dovuto leggere più volte per capire bene. Sembra manchi un pezzo.
RispondiEliminaTorno a scusarmi, come l'altra volta, ma occorre mi ripeta. Sono racconti ingenui, sembrano, e probabilmente sono, scritti da una quindicenne. Non ci sono leganti fra le parti. Insomma sono bruttini assai. Se tu li lasciassi nel cassetto dove sono stati finora?
RispondiEliminaAd alcuni piacciono, ad altri no, mi pare francamente di non far male a nessuno se li pubblico sul blog, semplicemente se non piacciono basta saltare un post :)
EliminaNon ho particolari pretese, li ho scritti in modo volutamente semplice (ho uno stile molto diverso di solito) come divertissement e tali voglio che restino.
Se avessi avuto più alte pretese letterarie personali tramite questo blog, avrei pubblicato materiale inedito diverso.
Apprezzo il tuo blog e lo visito periodicamente; mi piace come scrivi e ho trovato brillanti molti dei tuoi ragionamenti. Per dirla in breve: mi stai proprio simpatica! Però non credo che questi racconti ti facciano onore. Spero tu non ti risenta per questo commento, perché deriva solo del fatto che credo tu possa dare molto di più. Un saluto
RispondiEliminaPiaciuto molto ^__^
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