sabato 15 ottobre 2016

Quando il libraio (o il bibliotecario) è anche scrittore. Sette luminosi esempi tra bouquinistes, librerie segrete, arguzie orwelliane, bombardamenti e Just Kids-

Una delle cose che più mi dispiace (e urta) è quando si definisce il libraio di catena (o il libraio non proprietario in generale, quindi anche i dipendenti delle librerie indipendenti) "commesso".

Non che ci sia qualcosa di male nel fare il commesso, ma molti lo usano con quel disprezzo malcelato di chi compatisce (nel migliore dei casi) chiunque si è ritrovato a fare un lavoro socialmente basso come puah vendere cose.

 Ciò che mi porta perciò a farmi arrivare il sangue al cervello quando sento "commesso" e non "libraio" non è perciò questo lato borghesemente snob di chi disprezza l'onesto lavoro altrui, ma la differenza di mansioni dovuta a una differenza di base: il prodotto.

 Certo, esistono librai e libraie effettivamente incompetenti ma possono esserci due ragioni principali:

1) Sono incompetenti. Punto. Ma bisognerebbe ricordarsi che, sfortunatamente per tutti noi esistono incompetenti in qualsiasi professione, dall'avvocato al cuoco, dal medico all'impiegato, dal bancario al ragioniere.

2) Potrebbe darsi che il libraio a cui voi state rivolgendo la domanda non sia effettivamente competente nell'ambito di vostro interesse. 

 Lavorare in libreria necessita di molte conoscenze, molte, molte, molte in qualsiasi ambito, dalla psicologia alla letteratura, dalla musica all'arte.

 A parte Pico della Mirandola o Alberto Angela credo che pochi riescano a spaziare in ogni ambito, anche dopo anni di lavoro. Come ogni tanto dico, fare il libraio certe volte è come giocare a Trivial tutto il giorno.

Per rafforzare queste mie perorazioni e istanze, ho deciso di portarvi alcuni esempi di illustri librai e di un bibliotecario affinché possiate guardarci con occhi più indulgenti.

 In realtà sotto quel libraio che vi sembra tanto stordito potrebbe celarsi un genio!


LUCIANO BIANCIARDI:

 Prima di giungere a Milano e lanciarsi nel rutilante mondo editoriale (se ci sono aspiranti lavoratori nell'editoria vi sconsiglio ardentemente quel pur bel libro che è "La vita agra" perché vi passa la voglia), Bianciardi fu bibliotecario.

 Durante l'università mi portarono in gita alla biblioteca Chelliana in quel di Grosseto (tra l'altro, perdonatemi grossetani, ma l'unica città della Toscana che proprio non mi è piaciuta), una cittadina che venne pesantemente bombardata durante la seconda guerra mondiale.

 Bianciardi si occupò della ricostruzione della biblioteca distrutta durante uno dei raid aerei nel 1944. 

 Insegnante, si fece trasferire alla biblioteca dove recuperò il recuperabile (dopo il bombardamento, un'esondazione aveva rovinato gran parte del patrimonio), catalogò da autodidatta, integrò il patrimonio con testi moderni, lanciò un frequentatissimo cineclub e istituì persino l'innovativo servizio del Bibliobus che si inerpicava per i paeselli del circondario nel tentativo di portare la cultura fuori da un luogo in cui molti erano restii ad entrare. 

 Elisabetta Francioni, bibliotecaria della Biblioteca nazionale Centrale di Firenze ha scritto un libro sull'esperienza di Bianciardi bibliotecario, "Luciano Bianciardi bibliotecario a Grosseto" ed. Aib:

«La biblioteca civica era stata, negli anni fino alla guerra, una tipica piccola biblioteca di provincia. Frequentata da pochi specialisti di erudizione locale, gelosa e chiusa di fronte al gran pubblico: imperava insomma la conservatrice mentalità tradizionale, che purtroppo ancor oggi resiste in alcune biblioteche italiane.
Bisognava invece adoprarsi in ogni modo per fare della biblioteca un centro attivo di diffusione culturale e di educazione alla lettura [...]. Ma questo non era ancora sufficiente: una parte assai larga dei 37.940 cittadini del comune rimaneva ancora estranea alla vita della biblioteca, specialmente nei ceti operai, artigiani e contadini. 
Questi potenziali lettori andavano cercati, avvicinati, educati [...] con letture, presentazioni, recensioni. Ma non è tutto: restano i piccoli agglomerati rurali, le fattorie, le case coloniche. Ebbene, anche queste verranno raggiunte con un mezzo radicalmente nuovo, il bibliobus.»

 La lasciò dopo il 1954 per cimentarsi nel "lavoro culturale" presso la Feltrinelli a Milano.
 Varie furono le motivazioni: una nuova relazione (Bianciardi era sposato e con un figlio), orizzonti più vasti a chiamare e un orribile incidente sul lavoro che nel uccise ben 43 lavoratori nella miniera di Ribolla (tutti fatti narrati ne "La vita agra").
 Fu una partenza per un nuovo mondo. Ma un'amara partenza e un amaro mondo. 


JONATHAN LETHEM:

Lo scrittore Jonathan Lethem lavorò, adolescente, in una libreria che esiste tuttora (e dove tuttora torna): la Brazenhead Books una piccola libreria di New York molto particolare.

 Libreria dell'usato dove il quattordicenne Lethem leggeva e si lanciava in uno di quei classici lavori estivi da tipica educazione americana, nel 2008 è stata costretta a chiudere a causa degli affitti troppo alti (una storia che molte librerie indipendenti conoscono).
 Tuttavia, il proprietario, Michael Seidenberg, non si è dato per vinto e ha trasferito i libri a casa sua dando vita ad una sorta di libreria/biblioteca/rivendita segreta dove artisti, curiosi, lettori, hipster alla ricerca di emozioni culturali forti e generosi bon vivant amanti delle belle lettere si incontrano per comprare libri, discutere, bere e confrontarsi.

 Molto è leggenda, una buona parte di sicuro è moda, di certo c'è molto fascino in questa libreria abusiva che non so neanche onestamente se esista ancora o se infine sia stata sfrattata per problemi legali (e fiscali) anche dal suo ultimo avanposto (magari qualche newyorchese in ascolto saprà dircelo).


PATTI SMITH:

 Visto che il nobel ha sdoganato i cantautori e visto che la buona Patti ha scritto effettivamente un paio di libri, ci infiliamo anche lei.

 Nella sua bella autobiografia "Just Kids" in cui descrive la sua giovinezza a e il suo straordinario incontro fortuito con un giovanissimo Mapplethorpe, prima compagno, poi coinquilino e amico fondamentale, la Smith descrive la sua lunga e difficile gavetta bohemienne. 

 Prima di scoprire un'attitudine alla poesia (inizia infatti la carriera con quei reading poetici che ogni tanto si vedono nei film indipendenti americani, ma raramente si replicano in Italia), la Smith aveva avuto una figlia (data in adozione) da un amore giovanile e per svariati anni visse sul confine della miseria in un appartamento condiviso col futuro fotografo, anche lui poverissimo.

 Migliorò parzialmente le sue condizioni quando riuscì a trovare lavoro presso Brentano's, una catena di librerie dove lavorava anche Mapplethorpe, anche se in una sede diversa.

 Si conobbero il giorno in cui lui decise di spendere un buono in alcuni manufatti etnici che vendevano nella sede della Smith.
 Tempo dopo vennero lasciati a casa entrambi, Patti per un motivo alquanto curioso:
 "Avevo mancato di far pagare a una cliente cinese le tasse sull'acquisto di un Buddha assai caro. "Perché dovrei pagarci le tasse?" mi aveva chiesto, "non sono americano". Non avevo risposte e così non gliele avevo fatte pagare. Il mio buonsenso mi era costato il posto di lavoro."
Adesso se ho ben capito ha chiuso e c'è Sephora

Ma non fu la sua ultima esperienza in libreria, ne ebbe una seconda:
 "Avevo bisogno di trovare un altro lavoro.  
La mia amica Janet Hamill era stata assunta alla libreria Scribner e ancora una volta, come già aveva fatto durante gli anni del college trovò il modo di spartire con me la sua fortuna. Parlò ai suoi superiori, che mi offrirono un posto.
 Mi parve un impiego da sogno, lavorare nella libreria di un prestigioso editore, casa di scrittore come Hemingway e Fiztgerald e del loro editor, il grande Maxwell Perkins."

 State in campana perciò, magari la libraia che vi sembra troppo vestita da fricchettona, in realtà, è una Patti Smith in potenza.


GEORGE ORWELL:

 Due anni fa scrissi un post sull'esperienza che George Orwell visse come libraio e a cui dedicò un arguto memoir contenuto in Italia nell'antologia "Letteratura palestra di libertà".

 La cosa più sconcertante del suo breve e sarcastico resoconto fu l'incredibile attualità che potei ravvisarvi. 

 Certo, in libreria hanno fatto il loro ingresso cataloghi elettronici e via discorrendo, ma il lato umano, quello del rapporto cliente-libraio è praticamente identico, come identiche sono le richieste assurde dei clienti, identica la follia del Natale, identico lo spaesamento del cliente che entra in un negozio dove generalmente tenta di mettere piede il meno possibile e solo per casi specifici e necessità eccezionali (escludendo i lettori forti).

 Nel suo abile resoconto riusciva a inquadrare una serie di manie, di personaggi, di assurde domande che chiunque, nonostante siano passati non meno di 70 anni, esistono e resistono identiche.

 Vi riposto un pezzo illuminante, per il resto potete andare al vecchio link ("Fare il libraio secondo George Orwell"):

"Nel periodo in cui lavorai in un negozio di libri usati- un luogo che, finché non ci si lavora, è facile immaginare come una specie di paradiso dove affascinanti gentiluomini d'età scartabellano eternamente tra in-folio rilegati in pelle di vitello -mi colpì soprattutto la rarità delle persone davvero interessate ai libri. 
La nostra libreria offriva anche volumi eccezionalmente interessanti, ma dubito che uno sui dieci dei nostri clienti fosse in grado di distinguere un buon libro da uno brutto.
Gli snob a caccia di prime edizioni erano molto più frequenti degli amanti della letteratura; gli studenti orientali che tiravano sul prezzo dei libri di testo economici erano anche più numerosi; ma i clienti più comuni erano le signore dalle idee confuse che cercavano regali di compleanno per i nipotini. 
Molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria. 
Per esempio, l'adorabile vecchietta che "vuole un libro per un malato" (richiesta frequentissima), o quella che nel 1897 ha letto un libro tanto ma tanto bello e vi chiede se potete procurargliene una copia, peccato che abbia dimenticato sia il titolo sia il nome dell'autore: in cambio, però, si ricorda che aveva la copertina rossa.”

CLAUDE IZNER e le bouquinistes:

 Giallista francese, è in realtà lo pseudonimo per due sorelle parigine Liliane e Laurence Korb, scrittrici e libraie, figlie di un libraio. 


 Sono per la precisione sono "Bouquinistes" ossia i librai che vendono libri usati, vecchi (più o meno di pregio) o d'occasione, nelle bancarelle sulla riva della Senna, dove infatti le scrittrici hanno entrambe la loro attività, una sulla riva destra e una sulla sinistra (se ne possono trovare anche se in modo meno istituzionalizzato anche nelle città italiane).


  Nato come mestiere nel XVI° secolo, i librai possessori delle quasi 1000 bouquinistes francesi hanno acquisito privilegi particolari a seguito all'inserimento nel 2011 nel patrimonio mondiale dell'Unesco (ma quando le due gialliste, una settantaseienne e una sessantacinquenne erano bambine era un mestiere che rendeva pochissimo e la famiglia visse a lungo in povertà).

Le gialliste sono talmente attaccate al loro mestiere che anche il protagonista della loro serie principale, ambientata nella Parigi del 1800 è un libraio:   il trentenne Victor Legris.


 NB. Poiché il bibliotecario è un mestiere enormemente più antico del libraio (il libraio per come lo conosciamo oggi è un'invenzione recentissima, prima editore-tipografo e libraio erano la stessa persona e solo coi secoli, dopo l'invenzione della stampa si sono differenziati), ci sono molti più bibliotecari illustri che librai.

 Sul sito dell'Aib, l'associazione italiana biblioteche, potrete trovarne un elenco esaustivo che vede schierati: premi nobel, matematici, rivoluzionari artisti contemporanei, terroristi (generalmente di sinistra), cantautori, filosofi, poeti e molti molti scrittori.

 Vi sta passando l'idea del libraio e del bibliotecario commesso radiocomandato/polveroso topo di biblioteca?

 Non smetterò di lavorare al riguardo!

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