E' l'argomento della settimana: la novella miss Italia in carica, diciottenne e per questo, teoricamente fresca di studi, ha dichiarato che le sarebbe piaciuto tanto vivere nel 1942, un periodo su cui molto si è scritto.
Ok, c'era una guerra che ha fatto una cinquantina di milioni di morti, ma in fondo lei era una donna e in guerra non ci sarebbe andata (forse pensa che si sia svolta come nel medioevo con la castellana che filava a casa, mentre il prode cavaliere pugnava sugli Urali).
Mettere alla berlina una diciottenne che non sa quello che dice, quando il mondo è pieno di persone che credono alle scie chimiche e alla teoria del gender, è un po' assurdo, soprattutto perché non credo le miss Italia precedenti pozzi di scienza. Se non altro, direte voi, avevano il buongusto di dichiarare che volevano la pace nel mondo senza avventurarsi in improbabili nostalgie storiche.
Questa gaffe megagalattica si ricollega ad una sorta di instant book di Paola Mastrocola appena uscito per Laterza: "La passione ribelle".
In questo pamphlet, l'autrice, che ha notoriamente insegnato in scuole pubbliche (ma non lo fa più da 16 anni) punta il dito contro la scomparsa dello studio.
Si studia davvero a scuola? E come si studia? I genitori di adesso vogliono davvero che i figli studino o vogliono principalmente che si trovino un buon lavoro?
Vista anche la gaffe della nuova più bella d'Italia, si capisce bene che
il tema è pressante, vivo ed effettivamente calzante: studiamo tutti o quasi più a lungo, ma la qualità è scesa. Che ne sarà di noi? Lo studio e la riflessione svaniranno?
Peccato che questo libercolo pur dicendo delle cose innegabilmente giuste, sembri frutto più che di uno studio, di un sentito dire.
Andiam con ordine. Cose molto azzeccate, secondo me, del libro:
1) I genitori sono diventati dei grandi nemici dello studio dei figli. Non tutti ovviamente, ma è vero, per molti genitori lo studio è secondario rispetto a tutto il resto. Ho dato per due anni ripetizioni alle bambine di una famiglia alto-borghese con madre sciura insopportabile che mi costringeva a far fare loro tutti i compiti del fine settimana in un pomeriggio perché le pargole dovevano andare in montagna, a sciare, in barca, dai nonni, e in altri posti ben più interessanti. Pargole che già studiavano in modo ridicolo in una scuola privata ridicola.
Non è un metro di giudizio, ma forse lo sono le decinaia di madri che si lamentano coi librai della lunghezza dei libri che gli insegnanti osano propinare ai figli.
2) Il tempo per lo studio è aggredito da altro. E' innegabile che avendo la perenne possibilità di stare connessi, diventa molto più difficile fare un pomeriggio di studio filato senza interruzioni. Non è che secondo me, per questo, la gente non studi, ma la concentrazione di certo ne risente.
Cose che il libro toppa completamente.
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Il buon Tiziano Treu |
1) Il mito della formazione eterna.
Forse l'ha scritto male, forse non conosce il mondo del lavoro dopo il pacchetto Treu, forse non sa cosa dice, ma ad un certo punto la Mastrocola punta il dito sulla "formazione eterna", una sorta di mitica entità in cui si crogiolerebbe una generazione pur di non lavorare. Per fare l'esempio dice: diploma, laurea, dottorato, post-doc, uno stage, due stage ecc.
Peccato che lo stage non sia formazione, ma un forzato periodo di lavoro, spesso a tempo pieno, spesso non pagato o pagato male, che nel nostro pazzo mondo a base di precariato è diventato una regola a cui non puoi sfuggire. Non so, forse immagina orde di ragazzi che dicono "Che palle lavorare con uno stipendio, meglio fare uno stage gratis, così posso continuare a formarmi!".
2) I ragazzi non sanno/vogliono studiare.
Tutte le generazioni precedenti, pensano che le successive studino male. Penso anche io, in effetti, che la preparazione che avevano i nostri nonni all'uscita dalle superiori fosse infinitamente maggiore della nostra, ma non credo che la colpa sia per forza degli studenti.
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Il buon Alfieri |
Meno pretendi da una persona, meno quella persona si sentirà autorizzata a darti. La Mastrocola lo dice, ed è, secondo me, vero.
Se uno studente si sente preso per scemo o trattato coi guanti con risibili riduzioni scolastiche dei classici, se i genitori mimano infarti al pensiero di un'analisi logica, mi pare evidente che si finisce per percepisce una cosa sola: posso pure non farlo.
Poi, ovviamente, ci sono quelli che lo fanno a prescindere perché gli piace, quelli, di solito non in agiate condizioni economiche che lo fanno con una speranza (studenti non considerati dalla Mastrocola), quelli che non lo farebbero mai manco se fossimo all'epoca di De Amicis.
E' la media generale che si è abbassata, ma non penso sia perché abbiano di meglio da fare (c'è sempre stato di meglio da fare, mi sbaglio o Alfieri si legava a una sedia gridando "Volli sempre volli fortissimamente volli"?), accade perché c'è una giustificazione sociale al non studio molto più forte.
Mi farei sfiorare dal dubbio che ci si voglia più capre e conformi, mediamente mediocri, mediamente incapaci di pensare ad un mondo diverso (eppur affascinati, come dimostra il perenne successo di libri come "Nelle terre estreme" di Krakauer o "Walden, Vita nei boschi", letti principalmente dai giovani che a quanto pare non leggono e non studiano).
3) Finiremo tutti molto male.
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Le consiglierei la lettura di
"Galassia Gutenberg" così vede che un
certo impatto sociale l'invenzione della
stampa ce l'ha avuto, e non leggero. |
C'è un lungo pezzo sul fatto che essere ottimisti per forza forse sia un errore. Dopo aver glissato sul fatto che l'invenzione della stampa non è stata impattante per la società quanto quella di internet (ma dice anche di non amare molto la storia quindi viene il dubbio che non abbia mai avuto interesse ad approfondire una questione del genere), sostanzialmente la Mastrocola dice che abbiamo tutti bisogno di sentirci rassicurati e nessuno fa più predizioni fino in fondo. Se una cosa deve andar male, bisogna dire che ci andrà. Condivido. Però.
La palla di vetro non ce l'ha nessuno. Keynes, dice lei, affermava che i suoi nipoti avrebbero lavorato tre ore perché la tecnologia ci avrebbe liberato dal giogo lavorativo, ciò non è successo. Vero. Ma non sono successe tante altre cose che potevano a priori finir male, come una pessima risoluzione della guerra fredda, per dire.
Il compito dei sociologi non credo sia cassandrare per forza. Penso che un ragionevole raggio di speranza possa sussistere senza diventare gente che non vuole affrontare la realtà.
Cosa manca di fondo a questo libro.
C'è una cosa che manca in questo libro, enorme, gigantesca: una anche solo vaga analisi socioeconomica del nostro tempo. La Mastrocola si sfoga verso genitori e nuove generazioni, ma la sua, alla fine, sembra la sterile polemica di una nonna che non comprende più i giovani. Molto strano per una che ha scritto un libro, "Non so niente di te" che puntava esattamente al problema: l'invadenza del denaro nelle nostre vite.
Non farò nessun discorso pauperistico, non credo per forza che il denaro non dia la felicità ed essere poveri e poco ambiziosi sì (e viceversa). Penso che però in un'età fortemente capitalista come la nostra, in cui il denaro ha un posto così centrale in termini di possibilità di vita, scrivere un libro in cui la scomparsa dello studio e il dominio del denaro non siano messi in correlazione sia un errore enorme.
Il punto non è che si studia di meno, perché si vogliono studiare solo le materie che ci danno un lavoro danaroso.
Il punto è che questa società non consente a chi vuole studiare materie poco danarose di sopravvivere.
Chiunque volesse dedicarsi solo allo studio o a materie poco redditizie dovrebbe scontrarsi contro una forte pressione sociale, un'impossibilità di fondo se non si dispone di denaro precedente (alias genitori, rendite, eredità o boh) e alla consapevolezza che i propri figli pagheranno cara questa scelta.
Come analizzava benissimo il professor Giovanni Solimine in un suo, sì, riuscitissimo pamphlet al riguardo "Senza Sapere", in Italia si studia meno anche perché leggere e studiare non sono più ascensori sociali.
Pretendere di dedicarsi ad una vita di studio è impossibile per la maggior parte delle persone che appartengono a strati sociali medio-bassi. Il discorso della Mastrocola infatti ha il grande difetto di rivolgersi ad un pubblico medio-alto senza prendere in considerazione il fatto che è sempre stato così! La storia della letteratura, diciamocelo, non è fatta di indigenti.
L'esempio che lei fa del suo protagonista di "Non so niente di te", che rinuncia ad una vita di successo per pascolare le pecore è studiare è calzante nel momento in cui il punto focale non è lo studio, ma il coraggio di imporre un modo di vivere diverso, non conforme, in un panorama sociale che ti spinge sempre in avanti, puntando all'ego di alcuni e al bisogno di altri. Ma in questo caso, lo studio, in una società immobile, non è salvifico.
4. Il problema sembrerebbe solo dei ragazzi.
Pare che siano gli studenti e i ragazzi a non leggere e studiare.
Direi che questa mancanza di pensiero critico vada in giro da almeno una trentina d'anni. Sento parlare del vuoto pneumatico dell'Italietta berlusconiana da quando vado alle elementari. Un mix micidiale di gente senza arte né parte (o con arti e parti poco raccomandabili) che si ritrova al potere grazie a seni prorompenti e adulazione del capo, modelli di vita passati da una tv indecente (non indecente per le veline, ma per tutto il resto), signori nessuno che fanno migliaia di euro solo per aver fatto mezza puntata del Grande Fratello, edonismo al massimo, le tre I ecc.
Ora del vuoto berlusconiano non si parla più. Di colpo è colpa dei cattivi social network che ci costringono ad una vita connessa. Non penso. O non penso che il problema sia solo quello. Rispolveriamo la vecchia teoria e magari un'analisi più profonda del "I ragazzini di oggi leggono poco perché l'introversione viene condannata socialmente" ci scappa.
Pasolini scriveva che "E' la falsa tolleranza a rendere i giovani nevrotici". Io un pensierino al riguardo ce lo farei.
Un ultimo appunto, se posso sull'adagio: "All'università ORA non si studia, non come ai miei tempi."
La Mastrocola lancia un lamento a nome dei prof universitari costretti a corsi innumerevoli che non consentono loro di studiare come vogliono.
Io ho frequentato La Sapienza (posso dirlo, l'hanno fatta altre centinaia di migliaia di persone), ci mettevo quasi due ore ad arrivare e due ore a tornare a casa, ossia 4 ore della mia vita sui mezzi, perché non potevo permettermi una stanza in città.
Spesso e volentieri giungevo e lezione non c'era, era stata spostata, ricordo un esame il 27 luglio a cui il prof non si presentò (ce ne furono altri annullati, ma quello in particolare mi rovinò le vacanze), esoneri mai visti né conosciuti (visto che pare ci sia abbondanza di esoneri secondo lei), professori che iniziavano lezione e sparivano a metà dimenticandosi di avere una classe in attesa (successo), libri che si pretendeva comprassimo perché frutto degli studi meravigliosi del prof (peccato che uscissero dopo la sessione e lui pretendesse che saltassimo la sessione per aspettare i tempi della casa editrice) ecc. ecc. Potrei continuare all'infinito.
Non ho mai visto i miei prof oberati da mille corsi, non ho mai fatto esami da 100 pagine e basta (e ne ho fatti 52, quindi forse erano mediamente meno cicciuti di quelli fatti da lei, ma sono almeno il doppio).
Non solo, ho anche avuto la sventura di viverci per un anno con una prof universitaria.
Una che si alzava la mattina, studiava quel tanto, non andava quasi mai a lezione (annullandola all'ultimo of course), si scocciava se doveva andarci e passava il suo tempo a fare i suoi comodi.
Un caso probabilmente non è indicativo, ma sono finita proprio a coabitare con questo insopportabile esemplare che molti dubbi ti fa venire sullo studio universitario, e non per la quantità di opprimente lavoro degli insegnanti.
Perciò prima di lanciare il peana dell'insegnante oppresso, io lancerei anche il peana dello studente universitario oppresso, che da questo libro, pare venga coccolato e studi 100 pagine per sbaglio e pure male. Per onestà intellettuale, direi che non è che è proprio così.