lunedì 30 gennaio 2017

Vivere così senza pietà, senza chiedersi perché e non dubitare mai. Vorrei essere capace, ma non lo sono. Una riflessione sulle paure del mondo, la difficoltà di conservare i propri principi e il terrore di sentirsi soli.

Mettiamola così. Vorrei essere una persona migliore. 

Vorrei essere con tutte le mie forze una di quelle che davanti agli sconvolgimenti di questi ultimi due anni continua a dirsi senza nessun dubbio: tutto andrà bene.

 Vorrei essere sinceramente una di quelle persone che sa, senza ombra di esitazione, alcuna che da una società multiculturale e aperta non verranno che miglioramenti e che, se saremo tutti molto bravi, tutto ciò ci porterà alla pace e alla prosperità.

 Vorrei essere una di quelle che non ha incertezze e si affida senza timori e con fedeltà cristallina ai principi di uguaglianza, rispetto e relativismo culturale con i quali è cresciuta.

 Ma non lo sono.
 Anche io ho paura, anche io temo chi potrebbe non capire (tanti anni a convincere la maggioranza degli italiani, occidentalissimi, che i gay non sono il male e ancora non ci siamo completamente riusciti, il timore di dover ricominciare da capo è forte), temo che la secolarizzazione per cui in Italia stiamo ancora lottando svanisca, anche io temo di perdere il lavoro, di impoverirmi, di tante e tante cose.

 L'unico sistema che conosco per combattere la paura è informarmi.

 Mi informo, bene, su siti autorevoli, su libri autorevoli, su saggi che tra l'altro spererei un po' più divulgativi (non semplicistici, divulgativi) perché un saggio su un problema pressate che capisce l'1% della popolazione serve fino a un certo punto.

 Parlo, mi confronto, leggo continuamente spaventosi commenti su fb che oltre a aizzare la voglia di una legiferazione sul web (che per me è parte della vita reale e non una cosa che non c'entra niente, come pensano molti) mi rendono ancora più sospettosa verso il prossimo che, onestamente, non pensavo capace di tanta diffusa cattiveria.


 Devo essere sincera però, è un palliativo. L'aspirina che prendi quando però hai 40 di febbre e la bronchite.

 La prima cosa che ha risollevato il mio morale dall'incresciosa questione e dai sensi di colpa che ne derivano (perché nel mio profondo so che non dovrei mai e mai dubitare), è stato un fumetto francese "Se Dio esiste" di Joann Sfar ed. Rizzoli Lizard, una raccolta sfusa di circostanze, pensieri, momenti di un fumettista francese, dopo l'attacco a Charlie Hebdo (e prima del Bataclan).

 Anche lui aveva i miei stessi timori, le mie identiche domande.

 Joann è per una società multiculturale, è per comprendere fino in fondo le ragioni del prossimo, ma si domanda, ad esempio davanti a un gruppo di donne in burqa (e felici di essere in burqa): com'è possibile che siate felici di essere dei fantasmi?

 E poi se ne vergogna, perché è un pensiero eurocentrico. Forse. O è un pensiero da essere umano cresciuto in una società secolarizzata?

 Joann (che di suo sta già attraversando un difficile momento personale per via della morte del padre), vaga per una Parigi sgomenta e in preda più che al panico allo choc.

 Dove hanno sbagliato (oltre, s'intende a colonizzare mezza Africa)? Perché vengono tanto odiati?

 Dovranno davvero rinunciare alla conquista immane della secolarizzazione (costata alcune guerre civili in età moderna con conseguenti morti) per allentare la tensione con chi di essere secolarizzato non ha alcuna intenzione? 
 Il diritto di satira ha ancora lo stesso margine d'azione e di libertà che aveva vent'anni fa? E la sua limitazione può essere sacrificata sull'altare della convivenza civile?

 In più, esattamente come me, Joann appartiene a una minoranza e sa benissimo che l'unico scudo che una minoranza ha contro i deliri della maggioranza è un paese coi nervi e una democrazia salda, il più possibile lontana da ingerenze religiose e di specifici gruppi di potere.

 Porsi sulla difensiva perché si teme di diventare l'obiettivo di persone nuove che forse non condividono determinate conquiste è poi così sbagliato? Non è forse umano? Ragionevole?

Joann si/ci pone tante domande e non dà nessuna risposta.

 Forse provare un po' di paura, davanti a tutte queste cose, è legittimo. E penso che anche ammetterlo lo sia.

Ciò che NON è legittimo è lasciare che qualcuno usi la nostra paura per farne un'arma di potere, un martello con cui schiacciare chi riteniamo, al momento, la causa di tutti i nostri mali, dimentichi che non c'è mai una sola causa e che chi viene additato come colpevole è solo l'anello più sacrificabile della catena.

 Essere impauriti e cercare di superare la propria paura con armi razionali ha un senso, lasciarsi prendere dall'irrazionalità (mettendoci nelle mani di chi cerca di assecondarci per puro interesse personale) no.

 Del resto, mi sforzo di riflettere, se la mia vita è cambiata è stato anche perché molta gente ha smesso di avere paura e si è aperta, si è informata, ha tentato di capire.

 Ho un debito di comprensione verso gli altri.

 E se ci sono altri, come me, che lottano nel tentativo disperato di capire e di resistere alle lusinghe populiste, suggerisco la lettura di un libro di Sergio Arpaia "Qualcosa là fuori" ed. Guanda e, in contemporanea, la visione di un film "I figli degli uomini" (che curiosamente forse sarebbe stato meglio chiamare, "I figli delle donne").

 E' un accostamento che mi è stato suggerito dal destino: lo stesso giorno in cui ho terminato il libro, mi sono imbattuta nel film su Netflix.

 Nel libro di Arpaia si parla di una catastrofe climatica.

 Siamo tra qualche anno, la temperatura terrestre si è alzata di quei due o tre gradi in più (non è che sia irrilevante, sono io che non lo ricordo) che hanno fatto sciogliere i ghiacci, desertificare grandissima parte dell'Europa e causato migrazioni di massa verso il nord del mondo.

 L'Italia, ormai con un clima da Sudan, è in preda ad una sorta di anarchia politica.
  Napoli nello specifico è una sorta di suq in cui si mescolano estremisti cattolici e popolazione in gran parte islamica per effetto di una precedente ondata migratoria da parte delle popolazioni nord-africane in fuga dalla siccità.

 Livio Delmastro il protagonista, è un ex professore di neuroscienze si calcola sulla sessantina, vedovo e solo.
 In viaggio con un gruppo di profughi che dall'Italia cerca disperatamente di raggiungere la Scandinavia, un luogo ancora ricco e fiorente, diventerà suo malgrado l'ultima roccia per alcuni di loro.

 Perché questo viaggio non è semplice. Molte sono le insidie che si nascondono attraverso l'Europa centrale: gli svizzeri che richiedono un pedaggio di denari, viveri e acqua e vivono arroccati armatissimi tra le montagne. Guerriglie tedesche che rapinano e uccidono i migranti stremati.

 Stanchezza, disidratazione, disperazione, pochissimi resistono fino al momento in cui si giunge sulle agognate coste, ma entrare in Scandinavia e rimanerci una volta entrati è quasi impossibile a causa delle stringenti leggi sull'immigrazione.

 Le idee belle di Arpaia sono due:

1) Far vedere anche il prima.

 Non succede tutto in pochissimi anni, ci sono almeno tre decenni di indifferenza, "Andrà tutto bene", "Mi spiace per gli altri, ma finché non tocca a me sto benissimo".
 Anni di errori politici, anni in cui ci si rende conto che aver negato il cambiamento climatico per poi ricredersi  di colpo non serve a nulla, perché al pianeta surriscaldato dei tuoi sbagli non frega proprio niente.

2) Costruire un'ambientazione credibile perché gli italiani diventino identici ai migranti odierni e vivano le loro stesse cose. 

 In balia della siccità e del caos, di trafficanti d'uomini e nazioni ostili, ci sono gruppi che spendono tutti i propri soldi, che vanno avanti fino allo stremo delle forze, terrorizzati, impauriti, soli.
 E nel libro quelle persone siamo noi.

  Se è difficile in certe condizioni di paura, di confusione e disinformazione empatizzare con gli altri, è istantaneo e facilissimo empatizzare con noi stessi.

 "I figli degli uomini" (che è tratto da un romanzo omonimo di P. D. James che purtroppo non ho ancora letto) parte invece da un curioso espediente fantascientifico: in un futuro non molto lontano, gli esseri umani non riescono più a riprodursi.


Qualsiasi gravidanza in corso finisce in un aborto e nessuna cura, niente, riesce a causarne altre.

 Il mondo cade in preda a uno strano nichilismo. 

 I giovani, consci di essere gli ultimi della loro specie, si isolano in una sorta di autismo, i più vecchi continuano ad andare avanti nonostante l'anarchia imperante.

 In Inghilterra giungono grosse ondate di migranti e profughi (non è dato sapere perché, viene solo accennato che l'Italia è in un qualche stato di devastazione, ma en passant, per giustificare la presenza a Londra di alcune importanti opere d'arte), ma la Gran Bretagna ha varato delle leggi severissime in tema di migrazione.

 Nessun cittadino inglese può aiutare i migranti i quali vengono stipati in posti molto simili alla Giungla di Calais.

 Alcuni gruppi terroristici pro-migranti scovano, ad un certo punto, una donna, migrante anch'essa, incinta.

Ho letto da internet che mentre nel film
a essere infertili sembrano diventate le donne,
nel libro, invece, lo sono gli uomini.
 Con la scusa di metterla in salvo conducendola fino ad un misterioso gruppo di attivisti che si spostano solo su navi (che per molti è una sorta di favola e non esisterebbe sul serio), la imbarcano in un viaggio verso un porto nel nord in cui questi militanti dovrebbero attraccare.

In realtà, una sorta di gruppo scissionista cospira per usarla come arma di propaganda verso il governo: la prima donna incinta e il primo bambino nato dopo vent'anni sono migranti in fuga.

  L'uomo che l'aiuterà è interpretato da Clive Owen ed è un tizio che un tempo credeva a molte cose, militava, lottava, poi dopo la perdita del figlio ha deciso che tutto è ormai inutile.
 Il destino del mondo non è più affar suo.

 Ci sono tante cose anche in questo film.
  Tante domande, tanti momenti in cui ci troviamo a metterci nei panni delle parti in gioco, trovandoli tutti stranamente convincenti.

 Ma allora come si fa a capire qual è la parte giusta? Di cosa bisogna davvero aver paura e quanto?

 Forse bisogna accettare l'esistenza di questioni enormemente complesse in cui districarsi è difficile, soprattutto quando molti hanno gioco a mistificare la realtà.
 Ma se così fosse, e così è, dovremmo imparare a dubitare di chi ci regala soluzioni semplici perché non ne esistono.
 E quello che sembra così facile un giorno, rischia di avere conseguenze disastrose e ben più complicate non molto tempo dopo. E non esiste errore che non si paghi.

 Per completare il post, ecco una bellissima poesia di Brecht, "A chi esita". Forse la risposta che non ci ha saputo dare Joann Sfar ce la dà qui, Brecht.


Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Vanzina"! (Con ricordo vanziniano di laurea nell'intro).

 Ogni tanto a lavoro (ma nella vita anche in generale), succedono quelle scene vanziane che tanto ci infastidiscono nei cinepanettoni.

 La mia scena vanziniana da manuale l'ho vissuta il giorno della laurea specialistica della dolce metà.
 Bergamo.

Il libro incriminato nella vignetta
 Mattina. Esterno. Giorno.

 Scendo nella città bassa (per chi non lo sapesse Bergamo ha un centro storico arroccato che viene chiamato "città alta" e dal quale si scende e sale con la funicolare o, ovviamente con bus e macchine che girano per qualche tornante) per andare a recuperare il mazzo di fiori e la corona d'alloro che dovrebbe cingere l'orgogliosa chioma dorata della dolce metà al momento della proclamazione.

 Nel mentre, giungono i suoi genitori con sorella e nonna paterna di circa 90 anni (ma robusta e in forze).

 Mi recuperano, facciamo i tornanti per risalire in città alta, ma, al termine, la nonna, che è seduta in mezzo a me e alla sorella della dolce metà, si sente male e ha bisogno di vomitare. 
 La macchina si ferma in salita, io mi catapulto fuori, coi fiori in mano, per lasciare la nonna libera di affacciarsi e vomitare.

 E lì, succede.

 Non avendo le mani libere non riesco a tenere ferma la portiera che parte e pam torna indietro e centra in piena fronte l'anziana.

Sconvolta, lancio i fiori addosso alla sorella della dolce metà e mi do alla fuga.

 Dieci minuti dopo io sono in preda al panico dentro l'università e non so come confessare alla dolce metà che forse ho causato un trauma cranico fatale alla sua adorata nonna novantenne.

 In realtà la signora stava benissimo e tutti si sono fatti delle grasse risate, ma è stato lì che ho capito che anche Vanzina, da un certo punto di vista, è un neorealista.

 Racconto questa incresciosa storia familiare per dare credibilità a questa vignetta che mi rendo conto sembra più una barzelletta per librai.

 Ma è realmente avvenuta.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Vanzina".



venerdì 27 gennaio 2017

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ciò che rimane".

Sarò breve perché mi attende una levataccia e volo a letto, ma ci tenevo a postare questa vignetta, anche perché per qualche arcano motivo, in questi giorni, ci sono stati vari momenti assurdi (uno vorrei fumettarlo, ma so già che penserete che me lo sono inventato perché è stato degno di un film di Vanzina) a tema sexy.

 In ogni caso, questo conferma che quando il libraio è visto dal cliente come una sorta di barista a cui confidare le proprie pene, sparisce anche ogni forma di pudore sociale.

 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ciò che rimane"!


martedì 24 gennaio 2017

Forse non tutti sanno che esistono le Light novel. Tra Yoshimoto, Murakami, Shinkai e Katayama, l'anello di congiunzione tra la narrativa e il fumetto (almeno il manga) esiste e arriva dritto dritto dal Giappone.

 Vi ricordate qual è la prima cosa in assoluto che avete comprato appena sono entrati in corso gli ormai odiatissimi euro?

 Io sì.

 "Kitchen" di Banana Yoshimoto. 
Peraltro vorrei super vedere il film, ma non lo trovo da nessuna
parte, sigh
Mio nonno che, nonostante avesse 70 anni, all'epoca era un entusiasta perenne delle novità, aveva preso per ognuno di noi nipoti il kit che la banca d'Italia aveva emesso per abituare gli italiani alla nuova moneta.

  Si trattava di un sacchetto con dentro 25 euro in monete di diverso valore e ricordo chiaramente lo sconcerto quando me lo diede: come farò ad usarlo? Come farò a capire il resto??

 Lo stesso sconcerto corse chiaramente sul volto della libraia da cui andai il primo ufficiale giorno dell'euro e che probabilmente sperava si trattasse solo di un brutto sogno. Volevo pagare in euro.
 Ci mettemmo tipo venti minuti a calcolare il resto che peraltro, nei primi tempi della conversione, era preciso al centesimo (le cose costavano anche 6 euro e 13 centesimi).


Tra l'altro il libro lo avevo già letto e comprato, ma finivo sempre per riregalarlo (un altro mio libro con questa trista sorte è "Non ci sono solo le arance" che avrò ricomprato 4 volte), ma aveva quel quid in più che, tuttora, devo dire mi colpisce.

 Alla fine del libro c'è un piccolo saggio che proprio non ti aspetti di Giorgio Amitrano, storico traduttore della Yoshimoto (e se posso dirlo, io che sono una che mai e mai fa caso alle traduzioni perché non ne ho le competenze, da quando ha smesso di tradurre i romanzi della Yoshimoto la differenza si nota eccome e in peggio).

 O perlomeno non me lo aspettavo io, che essendo stata alle superiori una forte lettrice di manga (dopo ho continuato quasi solo con le storie autoconclusive), non avevo notato quello che un lettore medio forse aveva malmostato: le situazioni molto surreali, i problemi che si risolvono per caso o ispirazione del momento, i colpi di fortuna o sfortuna molesti.

Un mondo simile a quello reale eppure con qualcosa di inverosimile.
 Lo stesso mondo dei manga. 

 Ed è quello che fa notare nel suo breve, ma denso intervento Amitrano che racconta come la Yoshimoto sia riuscita a trasferire nella narrativa il linguaggio degli shojo manga, i manga per ragazze per la precisione, (anche se poi alla fine della fiera le divisioni più che di pubblico mi sembrano di argomenti che magari interessano più o meno un certo pubblico).

 Amitrano scrive:
"Quando critica e pubblico in coro hanno riconosciuto il rapporto tra alcuni dei libri più venduti in Giappone negli ultimi anni, Kitchen e Tsugumi (1989) della Yoshimoto e Noruwei no mori (Norwegian wood) di Haruki Murakami e il manga per ragazze, questo genere, sino ad allora ignorato se non da rari sociologi, nonostante le sue tirature astronomiche, è balzato di colpo all'attenzione della stampa, della critica letteraria e in genere di tutti coloro che l'avevano sempre liquidato come un fenomeno di subcultura. 
Ill. by Heejine Park

 Molti hanno così avuto la sorpresa di accorgersi che lo Shojo Manga, nato come forma di intrattenimento convenzionale e edulcorato, si era evoluto in un genere narrativo sofisticato e complesso e che, nell'indifferenza generale, si era formata una cultura sommersa che dal manga si irradiava nella letteratura, nel cinema, nella musica e nella moda"


 In effetti anche Norwegian Wood, l'unico romanzo di Murakami che avrebbe pretesa di verosimiglianza non introducendo nessun elemento fantastico, ha degli elementi tipici del manga

 Le storie surreali (ma potenzialmente credibili) di alcuni personaggi (come Reiko l'insegnante di musica sedotta dalla sua procace allieva adolescente), il carattere estremo o il destino fatale di molti personaggi (tasso di suicidio direi fuori dalla norma anche per il Giappone) e in generale la stessa pacata serenità, davanti alle più assurde sfaccettature dell'esistenza, propria della protagonista di "Kitchen" della Yoshimoto.

 Leggiamo e ci diciamo, sì succede tutto questo, sì è triste, sì è drammatico, ma in sottofondo c'è quel quid irreale che lo rende (in)credibile.

 Perché ho fatto 'sto pippone?

 Perché stamattina volevo postare su fb la copertina di una light novel di cui è uscito in questi giorni anche il film nei cinema italiani (ma non temete, tra due giorni già lo tolgono): "Your name" di Makoto Shinkai (in Italia edito da JPop).

 La storia racconta la vicenda di due liceali, una ragazza, Mitsuha, che vive in paese sulle montagne e Taki, un ragazzo di Tokyo. 
 Un giorno si svegliano e scoprono di essere l'uno nel corpo dell'altro e, una volta capita la strana situazione, cercando di aiutarsi vicendevolmente a risolvere i problemi delle loro rispettive vite. 
 Accade però che ritornino nei loro corpi e Taki cerchi in tutti i modi di contattare Mitsuha, ma lei non gli risponda..

 Insomma, il film è acclamatissimo e la light novel sembra promettere molto bene.

Solo che mentre mi accingevo a postare ho pensato: ma tutti sanno cos'è una light novel?

 E così è venuta l'idea di questo post.

 Le light novel sono romanzi tratti da manga o dai quali sono stati tratti manga.

 Hanno uno stile rapido, molto visivo e, proprio come i romanzi di Banana Yoshimoto e Norwegian Wood, anche quando trattano storie non fantastiche, hanno in comune con i manga la sospensione della credibilità e una serie di topoi che li rendono la versione in prosa degli shojo (proprio come detto da Amitrano).

 Un esempio, che potrebbe essere l'anello mancante ideale tra le light novel e la Yoshimoto, è un romanzo di Kyoichi Katayama: "Gridare amore dal centro del mondo".

Non so se tuttora sia il romanzo più venduto nella storia del Giappone, ma nel 2004 superò il record proprio di Norwegian Wood di Murakami.

 La storia è un sick-lit ante litteram (da cui poi è stato tratto anche un manga, belli entrambi) e racconta la drammaticissima storia d'amore tra due liceali: Aki e Sakutaro si innamorano e iniziano a vivere tutte le tipiche prime volte della prima grande storia d'amore. 

 Tutto fila tenero e liscio finché Aki non scopre di avere la leucemia e allora la storia vira su binari ovviamente tristissimi.

 La storia, direte voi, è verosimile, ovviamente, la differenza infatti sta tutto nel modo in cui viene raccontata e che, in questo specifico caso, compie un passo ulteriore da Murakami e poi Yoshimoto: qualsiasi pretesa di letterarietà viene abbandonata.

 Eppure, nella sua semplicità e assenza di pretenziosità, nella sua essenzialità che rischierebbe facilmente di scadere nel banale, riesce ad essere emotivamente coinvolgente, proprio come lo sono certi manga, in modo quasi inspiegabile.

 E non c'è niente da fare, siamo proprio davanti a un altro genere letterario.

 Ebbene, non vedo l'ora di leggere "Your name" e sento di aver scritto dopo anni il primo post di quel tentativo di rubrica degli inizi: rieduchescional libraia.

 L'editoria, proprio come la biblioteca, è un organismo vivente, tocca starci dietro.

 E voi conoscevate già le light novel? Ne avete letta qualcuna? Ne consigliate qualcuna? Testimoniate!

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Miracolo". (Con indegno vanto per la citazione su laRepubblica).

Dopo aver visto la quarta puntata della fiction tratta dalla serie de I bastardi di Pizzofalcone, (su cui farò un post), eccovi la vignetta che volevo postare ieri, ma poi tra il lavoro e altro non ce l'ho fatta.


 Tra l'altro, per chi non mi seguisse su nessuno dei social che tento invano di seguire a mia volta, mi vanto anche qui.

  E' infatti uscito un articolo su Robinson, il nuovo inserto culturale de la Repubblica, sui librai blogger.

 Assieme all'Apprendista Libraio e a Marino Buzzi di Cronache dalla libreria, ci sono anche io!
 Posto prova fotografica, anche se, come ho detto su fb, ho esaurito la mia fortuna quando hanno azzeccato nome e cognome e ne ha fatto le spese il nome del blog.

 Vabbeh, gioia estrema comunque.
Dopo essermi indegnamente rivantata, vi lascio con la vignetta.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Miracolo"!






venerdì 20 gennaio 2017

Le prime perigliose presentazioni del libro in giro! Parte I! Un fumetto di aperitivi, ospitalità, danza del ventre, cittadine nordiche e treni perduti.

 In queste giornate drammatiche sotto molti punti di vista (il terremoto e la neve che incombono funesti sugli abitanti del centro Italia, la piega disagevole presa in generale dal mondo, la quantità di odio che fiotta incontenibile su qualsiasi social), ho trovato ben due libri i cui fondi verranno devoluti a progetti nei luoghi terremotati. 

 Sono "Palla rossa e il terremoto " e "Stanotte ha tremato Google Maps", ma vorrei dedicargli tutte le doverose attenzioni in un post la prossima settimana, intanto se qualcuno è a conoscenza di altri tomi con simili benefiche intenzioni, commenti (o mi scriva) pure.

 Il post di oggi è la prima parte del fumetto sulle tre presentazioni del libro che si sono svolte finora. 
 Oggi ammirerete le mie sordide imprese in quel di Padova, la prossima settimana si parlerà invece di quella che è stata la Grande Giornata delle Presentazioni Gay, come l'ho chiamata io.
 Godetevi ora il mio di certo appassionante viaggio in Veneto!
 "Presentazioni del libro in giro. parte I"!







giovedì 19 gennaio 2017

I dolori della giovane libraia su Sbam Comics! Una lunga intervista (per chi è interessato).

 Mentre sto cercando di preparare il fumetto sulle mie prime presentazioni (una è stata in una sorta di discoteca, dico solo questo), mi pregio di informare chi non mi segue su fb e social annessi e connessi, che una settimana fa è uscito il nuovo numero di Sbam Comics, una rivista digitale di fumetti, nella quale appare una mia intervista.

 Se vi va di leggerla potete andare al link, dove troverete un nutritissimo giornale pieno di cose interessanti a prescindere dalle mie ciarle.
 Torno a disegnarrrr!


mercoledì 18 gennaio 2017

Quando il giallo non comincia proprio mai. La recensione di "Un buon detective non si sposa mai" di Marta Sanz tra gemelle, omicidi che non avvengono mai e nervosismo.

 Nella mia famiglia nascono quasi solo femmine.

E' proprio un'involontaria tradizione familiare, perpetrata soprattutto da parte materna (anche se mio padre può vantare sei sorelle e zero fratelli) che peraltro non si sta spezzando neanche con la mia generazione visto che la mia prima cugina incinta aspetta, appunto, una femmina.

 Nasce, in media, un maschio per generazione, così tanto per fare un po' di statistica. 
 Inoltre, sempre per parte materna, sono frequenti i parti gemellari (di femmine, s'intende, anche mia mamma ha una gemella e sia le mie cugine che le mie sorelle puntano sul tratto ereditario per togliersi l'incomodo della doppia procreazione in una sola rapida mossa).

 Non so se ci sia molta differenza con le famiglie in cui maschi e femmine nascono in ugual misura o in cui invece nascono solo maschi, in generale però capisco per quale motivo le famiglie a maggioranza femminile affascinino molto gli scrittori.

 
Esempio di libro di "donna forte" con prole.
Tra l'altro questo nello specifico mi interessa
C'è quella sorta di possibilità inesplorata che è alla base anche di molti racconti di fantascienza:
cosa accade in un mondo dominato da donne? E cosa accade in un mondo, intimo, familiare, in cui gli uomini sono, per caso, minoranza?

 Fior fior di saghe familiari sono sorte da questa grande domanda generalmente risolta con una valanga di cliché: le donne sono forti, le donne forti si innamorano di uomini deboli che ne combinano di ogni rifilando loro un casino dietro l'altro e qualche figlio. 
 Generalmente le donne forti passano la vita a risolvere i casini degli uomini deboli e a crescere figli che non conoscono mezze misure: o combinano qualche casino gigagalattico (che poi le madri forti in quanto madri dovranno risolvere) o diventano il loro orgoglio, dando un senso a tutta la storia e alla loro vita.

 Scritte bene o scritte male, visto che alla donna si addossa la tendenza familista come destino naturale sin dalla nascita, le storie sono tutte più o meno simili.
 E chi non fa figli di solito è la parente strana sullo sfondo.

 La trama di "Un buon detective non si sposa mai" di Marta Sanz, ed. Nutrimenti, sembrava promettere qualcosa di diverso.

Innanzitutto il protagonista è un bell'uomo, Arturo Zarco, un detective privato divorziato da poco dalla moglie (un personaggio che appare di continuo come sua coscienza anche in modo abbastanza confuso) perché innamoratosi di un avvenente giovinetto, in stile bonazzo dell'antica Grecia, di nome Olmo.

 Si tira perciò (come vuole la citazione nel titolo che è una raccomandazione di Raymond Chandler a chi volesse cimentarsi nella nobile arte del romanzo giallo) fuori da qualsiasi gioco amoroso possibilmente previsto dalla trama (anche se, a un certo punto, nel casino rischia di finirci anche lui).
 Questo perché la trama racconta di una famiglia in cui nascono solo gemelle identiche.

 Di queste gemelle, solitamente, solo una delle due si sposa e ha altre due bambine, l'altra evita e si dedica ad altro.

 La prima coppia di gemelle, Amparo e Janni, è ormai anzianotta. 
 Amparo è diventata un'imprenditrice di successo e ha sposato non troppo giovane, un podologo di meravigliosa bellezza.
 Janni, invece, ha sposato un tedesco e con lui si è trasferito a Stoccarda. 
 Quello che non è molto chiaro è perché abbia avuto dal tedesco due gemelle, Marina e Ilse, e invece di portarle con sé le abbia lasciate alla cura e tutela di Amparo.

 In ogni caso, Marina e Ilse crescono, Ilse si sposa e ha due gemelle, mentre Marina, complice il fatto che è perdutamente innamorata del bel podologo, (il quale non la fila minimamente), non fa che viaggiare per il mondo in preda al disturbo bipolare e alla ricerca di sé stessa.

 Ed è Marina il motivo per cui Zarco entra in questa storia.
 I due si conoscono e lui è ospite di lei, nella lussuosa dimora dove vive assieme a tutta la famiglia: la vecchieggiante e ormai depressa Amparo, Ilse dopo la separazione dal marito, le due nuove gemelline e il meraviglioso podologo.

 Ecco, l'attacco è bello e ci sono pezzi scritti davvero benissimo, soprattutto il lungo monologo di Ilse, in cui scopriamo l'amore disperato di Marina per il patrigno, però c'è un grosso problema.
 Il problema è che il giallo post-moderno va benissimo, il tema del doppio piegato al giallo va ancora meglio, ma si deve capire che è un giallo.

 Anche l'idea di usare l'espediente delle gemelle, identiche esteriormente quanto diverse interiormente, simbolo ideale del doppio (nate insieme, due vite diverse con lo stesso viso) su di me devo dire ha poco appeal.

 Avendo una madre gemella identica che in paese dopo 50 anni ancora confondono con la sorella, (mentre ai miei occhi è completamente diversa da mia zia), il mito dei gemelli su di me ha una presa relativa.

 Sì, hanno visi magari uguali, sì nascono insieme e sono molto attaccati, ma lo stesso può succedere a fratelli che nascono in modo ravvicinato e comunque nessuna assurda leggenda su dolori correlati, telepatia, empatia e simili ha nessun vago fondo di verità.

Però capisco l'archetipo del doppio ecc ecc, ma che nell'economia abbia un senso logico.
  Anche il finale è molto intelligente e poeticamente cruento, ma manca quell'istante in cui si accende la luce sul palco della trama e appare un lampeggiante con scritto: apice del climax, delitto avvenuto qui.

 Perché il grosso problema di questo libro è che per tutto il tempo non capisci cosa stai leggendo.

Continui ad avere la sensazione che debba succedere qualcosa e che è lì lì per succedere, che Marta Sanz ti stia riempendo di confessioni di ogni membro della famiglia per qualche motivo. Pensi di scoprire indizi di un qualche delitto in episodi che si susseguono uniti da flebilissimo filo che però è a un passo dal perdere di senso, ma niet.

 Però ormai sei arrivata a pagina 190 e pagina 230 e ti dici che lo devi finire, anche solo per capire se è un giallo o meno. Ed ecco sì, alla fine è un giallo.

 E sì effettivamente c'è stato un delitto da qualche parte, anzi due, solo che: il primo non potevamo saperlo e il secondo hai la velata sensazione che sia avvenuto, ma giusto perché è l'unico evento che mostra qualche sospetto in quasi 300 pagine.

 Una vecchia regola del giallo dice che devi mostrare l'assassino durante la storia.
 Cioè, non puoi scrivere un giallo e poi dire che l'assassino era il vicino di casa del dodicesimo piano che nessuno ha mai visto né conosciuto (questo succede ne "La promessa" di Durrenmatt che infatti ha come sottotitolo "Requiem per un romanzo giallo", ma lì siamo da altre parti letterarie).

 Qui Marta Sanz è andata oltre: vediamo tutti gli assassini, ma non sappiamo che lo sono.
 Certo, anche questa potrebbe essere un'interpretazione interessante: l'orrendo doppiofondo che hanno tutte le famiglie, soprattutto quelle che appaiono splendide, ricche e felici.
 Davanti splendore, dietro orrore. 

 Però ecco, il tono del libro non è la sordida ipocrisia borghese, non è neanche il fascino della famiglia a maggioranza femminile, non è la famiglia, non è l'elemento impazzito che porta disordine (il podologo è una scheggia impazzita in un caos di schegge impazzite), il problema del tono del libro è proprio quello: non c'è.

 C'è una buona idea di partenza, un buon protagonista, bei momenti, ma arrivare alla fine è faticoso e lascia insoddisfatti e anche un po' nervosi. 
 O almeno è così che ci sono rimasta io che non vedevo l'ora finisse e le pagine mi sembravano moltiplicarsi (ma ormai volevo capire dove caspita andasse a parare).

 Peccato, si poteva fare di meglio. Inutile dire che anche se l'altro libro dell'autrice promette una trama comunque avvenente, mi guarderò bene dall'avvicinarmi.

 Qualcuno l'ha letto? Sono io che non ho capito il meraviglioso senso di questo tomo? Sono io che mi annoio troppo facilmente? O anche voi speravate solo che ad un certo punto il podologo finisse a letto con la figliastra o col detective pur di dare una svolta a un libro che non entra mai nel vivo?

lunedì 16 gennaio 2017

Artistiche dolci metà. Quattro compagne di grandi artisti che non si sono lasciate schiacciare dal genio e hanno brillato oltre l'amore e la morte.

Uno dei personaggi più interessanti de "I mandarini" di Simone de Beauvoir è Paule, la compagna dello scrittore Henry Perron.

L'immagine è presa dal film su Modigliani. Purtroppo non ho
trovato libri sulla tragica storia della sua compagna, Jeanne
Hèbuterne, pittrice, che si suicidò, incinta, subito dopo la morte
del pittore
 Bellissima e teatrale, la conosciamo nel momento in cui la sua relazione è nella fase calante. Noi lo sappiamo, lei lo sa e fa qualsiasi cosa per impedirlo. Tuttavia quello che sia lei che noi sappiamo sin dall'inizio è che ha già perso.

 Ed è successo per molti motivi, il primo dei quali è che l'amore quando finisce, finisce davvero e non c'è niente che possa riportarlo indietro.

 Il secondo è che talvolta l'amore finisce perché la passione scema e i nodi vengono al pettine: quello che un'abbagliante bellezza poteva celare, ciò che un fortissimo trasporto poteva occultare, appare in tutto il suo sconcertante errore agli occhi di chi smette di amare.

 Paule sa di non essere all'altezza di Henry, ma fa di tutto perché appaia il meno evidente possibile. Tuttavia il dramma di una persona che si vede sfuggire dalle mani un amore di cui sapeva sin dal principio non essere all'altezza è qualcosa di particolarmente tragico e ingiusto.

 Il perché lo state pensando anche mentre leggete queste parole: l'amore dovrebbe bastare a sé stesso e non dovrebbe conoscere simili giochi meschini.
 Eppure le vite delle donne che condivisero le vite di grandi artisti sembrano confermare la regola: erano spesso persone eccezionali, muse, talvolta ancore di salvezza, altre nemesi.
 Le restanti volte rimangono una pallida nota biografica inghiottita dalle maglie della storia.

 L'idea di questo post dedicato ai libri scritti da o su le compagne di grandi artisti è nata dopo aver trovato l'ennesimo libro su Alma Mahler, una figura peculiarissima e purtroppo poco conosciuta che pure ossessionò i giorni di molti geni.

 Purtroppo manca la par condicio (ossia i mariti), ma quando scriverò il post sui libri sulle donne artiste sarà abbastanza chiaro il tristo perché.
 Detto ciò, pronti a scoprire queste splendenti dolci metà?


ALMA MAHLER:

Una donna bellissima si aggirava per l'Austria a cavallo tra l'800 e '900 collezionando mariti e amanti così importanti che Liz Taylor te dico fermete. Quella donna aveva nome Alma Schindler, ma ai più è nota col cognome del marito preferito: Alma Mahler.

 Compositrice e pittrice, si sposò col compositore Gustav Mahler che però morì lasciandola vedova e con una figlia (una seconda era già morta) a 32 anni.
 Andò oltre e si sposò con Walter Gropius, uno degli architetti fondatori della Bauhaus. 

 Questo non prima di aver avuto anche una breve relazione col pittore Oskar Kokoshka che rimase talmente ossessionato da lei da farsi costruire una bambola con le sue fattezze quando si lasciarono (se cercate l'immagine su Google di questo manufatto la trovate anche, è inquietantissima, altro che film horror).

 Quello con Gropius non fu un matrimonio molto felice. Nacque una figlia che morì giovane e terminò quando Alma conobbe lo scrittore di origine ebraica Franz Werfel per il quale divorziò da Gropius.

 A questo la Storia entra nella storia di Alma Mahler e non sotto le spoglie di un nuovo appassionato intellettuale, ma col volto del nazismo. La Mahler e Werfel sono costretti a fuggir,e prima in Francia e poi negli Stati Uniti dove lui nel 1945 muore.

 Definitivamente vedova, scrive un'autobiografia che non fuga il mistero di questa donna bellissima e irresistibile. Cosa attrasse fatalmente tanti geni novecenteschi? Chi era davvero questa splendida donna dagli occhi chiari?

 Vari i libri a cui potete rivolgervi per saperne di più:

 "La mia vita" di Alma Mahler-Werfel ed. Castelvecchi.
 "Alma Mahler" di Catherine Sauvat ed. Odoya.
 "Gustav Mahler" di Alma Mahler ed. il Saggiatore, una raccolta di ricordi e lettere.
"La creatura del desiderio" di Andrea Camilleri ed. Skira (sulla storia malatissima di Kokoshka).
 "La bambola di Kokoshka" di Afonso Cruz ed. La Nuova Frontiera.


LA VEDOVA BASQUIAT:

Meno male che c'è Francoise Gilot, altrimenti questo elenco di consigli sarebbe la fiera della vedovanza. Anche Susanne Mallouk, avvenente e intelligentissima, compagna del tormentato artista Basquiat, infatti, rimase precocemente vedova in pectore.

 Arrivò dal Canada a New York carica di ambizione e di belle speranze e lì conobbe Basquiat che da squatter stava per diventare uno degli astri nascenti dell'arte contemporanea. 

 Nel libro, "La vedova Basquiat" ed. Mondadori Electa, un collage di ricordi della Mallouk riportati e riscritti dalla scrittrice Jennifer Clement, si evincono chiaramente i motivi che l'hanno portata, dopo la morte dell'artista, a occuparsi di psicoterapia.

 Basquiat aveva molto talento, molti problemi (la droga in primis) e molti conflitti irrisolti (razziali in primis), era incapace di esserle fedele (con uomini e donne), ma la Mallouk rimase l'unica da cui continuava a tornare e ritornare, incapace di staccarsi davvero.

 Forse, azzardo, perché anche lei sembrava possedere un caratterino e un'originalità non da poco e per attrarre e sostenere il peso di un talento tanto grande, bisogna possedere per primi una sorta di personale splendore.


BELLA CHAGALL:

Pure i sassi, pure chi non sa niente di pittura, pure chi non è mai entrato in un museo (voglio essere ottimista va) sanno che Marc Chagall aveva una prima moglie, Bella, che amò tantissimo.

  La amò così tanto da riprodurla assieme a sè in numerosissimi quadri e da non dipingere più, (poi riprese e trovò anche un secondo amore), quando lei, tristemente, morì.

 Bella Rosenfeld e Marc Chagall, entrambi ebrei bielorussi, si conobbero giovanissimi, lui 23 anni lei appena 15, si sposarono, ebbero una figlia e rimasero sempre insieme fino alla morte di lei.

 Prima che anche loro, come Alma Mahler e Werfel, fossero costretti a spostarsi a Parigi e poi negli Stati Uniti per sfuggire alle maglie della guerra, prima che un'infezione virale la portasse via, era stata tra i soggetti preferiti del marito che la ritraeva bellissima, colorata e volante, come gli innamorati che, felici, non toccano mai l'amaro suolo di chi non conosce la felicità.

 Era una persona dolce e semplice, luminosa e gentile, come emerge da "Come fiamma che brucia" l'autobiografia della sua vita con Marc Chagall. La postfazione è dello stesso pittore che nel 1947 è ben lungi dal riprendersi dalla perdita dell'amata compagna e scrive:
 "La rivedo, qualche settimana prima del suo sonno eterno, fresca, bella come sempre, nella nostra camera in campagna. Sta mettendo a posto i suoi manoscritti: opere terminate, abbozzi, copie. Le chiedo soffocando la mia paura: "Perché tutto quest'ordine all'improvviso?". Mi risponde con un pallido sorriso, "Saprai allora dove stanno le cose..."

 Tutto in lei era profondo e calmo presentimento.

[...] Gli uomini frettolosi di oggi sapranno penetrare nella sua opera, nel suo universo? più tardi altri verranno e forse sentiranno il profumo dei suoi fiori, della sua arte.

Il tuono rimbombò, un diluvio si abbatté alle sei di sera del 2 settembre 1944 quando Bella lasciò questo mondo. Tutto è divenuto tenebre."

FRANCOISE GILOT:

 La vita sentimentale di Picasso fu alquanto travagliata. 
 Ebbe varie relazioni importanti e tutte, eccezion fatta, per quella con Francoise Gilot che non a caso fu l'unica che lo lasciò (e non fu lasciata) ebbero dei risvolti drammatici per le sue compagne.

 La prima fu la moglie, la ballerina russa Olga che venne ripetutamente tradita e lasciata quando una delle amanti, la modella Marie-Thèrèse Walter, rimase incinta del pittore. Entrambe rimasero impigliate nello stesso economico filo: Picasso pur di non dividere i propri aver con Olga rimase sposato legalmente con lei fino al 1955 quando la ballerina morì di cancro. Per questo motivo (e altri) non sposò mai Marie-Therese che si suicidò poco dopo la morte del pittore, molti anni dopo.

 Dopo di lei venne la celebre Dora Maar, fotografa di talento, incline alla depressione che, contro ogni pronostico superò (sebbene tra mille difficoltà, tra le quali la clinica psichiatrica) la rottura col pittore che ebbe con tutte le sue donne un rapporto strettissimo in gran parte basato sul dominio e una certa sudditanza psicologica.

 Fu per questo che Francoise Gilot, giovane, fresca e bellissima pittrice francese, lo lasciò dopo una relazione di dieci anni e due figli. 

 Picasso non glielo perdonò mai, come non le perdonò il memoir, "La mia vita con Picasso" ed. Donzelli, che lei scrisse successivamente e lui cercò in tutti i modi di bloccare, perdendo tutte le cause.

 Un resoconto dal quale il pittore esce come un genio che sapeva adorare le sue compagne, ma al tempo stesso era guidato dalla volontà di soggiogarle e annientarle.

 Francoise Gilot è ancora viva, vegeta e caparbia. Si è sposata altre due volte e dice di non aver mai conosciuto la paura e di aver fatto, in vita sua, tutto ciò che desiderava. 
 Non ha il talento geniale di Picasso e neanche quello tormentato di Dora Maar, ma dal suo libro si evince un dono non meno importante: sapeva vivere e ha vissuto, senza rimpianti e senza lasciarsi schiacciare da nessuno e da niente, fino alla fine.
 E non è poco.

domenica 15 gennaio 2017

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ho perso le parole".

 Dunque, avrei un post quasi pronto per oggi, ma visto che ieri su fb si è raggiunta la luminosa cifra di 9000 persone seguitrici, ecco una vignetta extra (che poi direte voi è fine settimana e non è extra, ma lo è lo stesso perché non era prevista).
 In essa potrete ammirare un simpatico esemplare di adolescente che avrebbe bisogno di un parrucchiere.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ho perso le parole"!



mercoledì 11 gennaio 2017

Il silenzio non sempre è d'oro. "Il cliente che si confessa", un fumetto di voci basse, cattivo udito, equivoci e segretarie.

Approfittando della reclusione di questi giorni, ho prodotto un fumetto su un cliente che meritava di essere portato alla vostra attenzione.

 Nelle prossime settimane entrerà in lavorazione invece, il fumetto evento del san Valentino di quest'anno: il fumettoso riassunto delle 50 sfumature di nero.
 Esce il film, non vorrete mica arrivare impreparati.

 Intanto godetevi, lui, il fumetto su "Il cliente che si confessa"!



lunedì 9 gennaio 2017

Piccole recensioni tra amici! Quattro nuovi consigli dal mio letto di malanno: "Blue", fumetto spettacolare, il fantasy di Jo Walton e una finestra inedita sulla vecchiaia in una raccolta di racconti.

 Da questa giornata di pseudoreclusione, funestata anche da una reazione allergica a un farmaco (quanta fortuna in questo inizio 2017), la nota positiva è che riesco finalmente a sfornare un piccole recensioni tra amici. 

Urgerà post sulla fiction. Già sul cast ci sarebbe da dire. La Crescentini per me
è perfetta: un'attrice che non sopporto per un personaggio che non sopporto.
A occhio azzeccati anche Gassman, la Tabasco (e l'attrice che farà la Martone)
e l'attore che interpreta Pisanelli. Gli altri, mah
 Tra i post natalizi, i consigli di Natale, le vignette, le feste, gli annessi e i connessi è un po' che non ammasso recensioni, perciò eccovene tre, anzi quattro tutte insieme.

 I libri di seguito sono due novità ( "Blue" e "Over60 Women") e due di qualche anno fa quindi di reperibilità magari più difficile, ma posso assicurare che stravalgono la pena.

Comunque, bando alle ciance, anche perché stasera c'è la prima puntata de "I bastardi di Pizzofalcone", la fiction tratta dalla serie di libri di Maurizio De Giovanni. E' la Rai, ma che dio ce la mandi buona.

 Ah, due comunicazioni di servizio. 

 Come i più segugi di voi avranno notato, nella barra a destra è comparso un nuovo widget a incasinare il tutto, è un calendarietto che dovrebbe illustrare i movimenti miei e del libro nei prossimi mesi.

 Per ora sono segnate le due presentazioni che ci saranno il 15 di questo mese (se vi ho già ammorbato su fb andate pure direttamente alle recensioni e saltate il tutto).

 La prima sarà dalle 18 alle 19:30 all'Arcigay di Milano, Via Bezzecca 3.

 La seconda dalle 20:15 (o comunque quando riesco ad arrivare) ad libitum al Mare Culturale Urbano sempre a Milano, organizzato da LezPop e Gaia 360 (sarà all'interno di un evento in cui si trinca e balla).
 Ovviamente sono aperte a tutt*!

 Bene, buone recensioni a voi!


BLUE di Angela Vianello ed. Shockdom:

 Sapete quelle volte in cui aprite un fumetto e rimanete sconcertati dalla bravura grafica dell'autore? 

  Voi direte (soprattutto chi legge pochi fumetti), beh deve succedere spesso. 
 In realtà con tutto il bene e l'ammirazione che posso avere verso i tantissimi talentuosi fumettisti esistenti nel mondo, non avviene abbastanza spesso. 

 Molti tratti si somigliano, molti tratti non li capisco (tutti quelli mostruosi per dire), molti sono incredibilmente minimal (e non c'è niente di male, ma non è che ti facciano proprio rimanere con la bocca aperta di primo acchito).

 Poi succede, apri un albo e dici, "Ma come caspita fa questo/a a disegnare e colorare in questo modo?".

 Mi capirete se aprirete "Blue" di Angela Vianello, talentuosissima autrice italiana che ha esordito nel 2010 disegnando e animando completamente sola l'anime "White", come noterete ampiamente debitore di un certo stile manga.

 "Blue" è la sua ultima opera, cartacea, ed è il primo capitolo di una storia fantascientifica che ha per protagonista la giovane Aqua, un'adolescente come tante che vive in un mondo che sembrerebbe simile al nostro se non fosse per continui accenni a misteriose irrorazioni nei cieli, a razionamenti e altri riferimenti che ci suggeriscono un mondo malato.

 Chi irrora cosa e perché non è spiegato  in questo primo albo in cui vediamo, tra un disegno spettacolare e un altro, la trasformazione di Aqua. Inspiegabilmente inizia a star male lontano dall'acqua, le sbucano delle branchie sul collo e riesce a mangiare solo pesce crudo.
  Si sta trasmutando in qualcosa, ma cosa? E perché?

 La storia appare interessante, anche se ancora appena accennata. 

 Ma, bisogna dirlo, per quanto i dialoghi siano tratteggiati  in modo delicato e per niente artificioso (anche se si nota un certo debito verso una serie di archetipi manga: il vecchietto sciatto e saggio, il bad boy attraente e in fondo buono), sono il tratto splendido e soprattutto la spettacolare colorazione dovuta alla commistione di acquerelli e ritocco digitale a rendere questo fumetto davvero superiore.
 Provare per credere.


"LE MIE DUE VITE" E "UN ALTRO MONDO" di Jo Walton, entrambi Gargoyle edizioni:

 C'è un certo tipo di fantasy che andava di moda anni fa che non riesco a capire se è scomparso o semplicemente in Italia non si traduce più(entrambe possibilità di rilievo). 
 Sono quelle storie ben scritte, non per forza saghe, con protagonisti forti, ottima scrittura e un certo tema di fondo.

 Per capirci, non erano fantasy fini a loro stessi. La storia, come più spesso avviene nella fantascienza, era un'ottima scusa per raccontare anche altro.

 Adesso trovare qualcosa del genere è estremamente difficoltoso perciò quando mi sono imbattuta per vero caso in "Le mie due vite" di Jo Walton sono rimasta non solo piacevolmente affascinata, ma quasi commossa.

 Si tratta di una storia che di fantasy in realtà ha solo lo spunto: una donna molto anziana, con forti problemi di memoria, vive in un ospizio e ricorda due vite, una in cui si è sposata con un cinico, quasi crudele uomo ipercattolico, e un'altra in cui è diventata una scrittrice di viaggio innamorata dell'Italia e di una donna, Bee.

 Qual è la realtà, la storia non ce lo dice, ma lo suggerisce, come suggerisce che la vita che vogliamo dobbiamo sceglierla con più forza e non lasciare che ci cada addosso perché siamo troppo spaventati dal futuro.

 "Un altro mondo", invece, il suo unico altro libro tradotto in italiano, fa invece parte di quelle particolarissime opere, come il film "Il labirinto del fauno" o il libro e poi film "Un ponte per Terabithia" in cui l'immaginazione dei protagonisti è così forte da essere credibile e instillare il dubbio in chi legge/vede che la realtà possa avere volti sconosciuti e misteriosi.


Non si capisce il motivo di questa copertina
che lo fa sembrare un romance
 La protagonista, Morwenna Markova è un'adolescente gallese che vive in un collegio femminile dopo essere scappata da sua madre.

  Da quanto ci racconta lei, ragazza intelligentissima e avida lettrice di romanzi di fantascienza, la folle genitrice sarebbe una strega che nel tentativo di corrompere delle forze oscure avrebbe causato la morte della sua altra figlia (gemella di Morwenna).

 Tutto il romanzo, raccontato sotto forma di diario può essere letto in due modi: il post trauma di una ragazza molto fantasiosa che cerca di dare un senso alla disgrazia che le è capitata (oltre a perdere la gemella è rimasta anche claudicante), o le confessioni di una strega moderna che conosce il lato oscuro della magia. 

 In entrambi i casi è credibile, in qualsiasi caso è un romanzo splendido che trabocca amore per la letteratura fantastica e strizza l'occhio a tutte le ragazze e i ragazzi che hanno avuto un'adolescenza molto silenziosa e introversa in cui i libri erano l'ancora di salvezza in mondo troppo spaventoso.


"OVER60 WOMEN" AA. VV. , Elmi's World:

 Questa raccolta di racconti (che ha una versione gemella maschile precedente, "Over60 Men"),ha come filo conduttore un tema spesso trattato in modo marginale o scontato: la vecchiaia o (sessantenni non ammazzatemi) il limitare di essa, quando inizi a vedere la collina che declina e il sentiero che a vent'anni riluceva di splendenti promesse, comincia a spegnersi calando verso il buio.

 In realtà per l'esattezza tratterebbe la vecchiaia di donne lesbiche, ma devo dire che l'orientamento sessuale delle protagoniste pur dando quella caratterizzazione e sollevando una coltre di ricordi comuni a una generazione (il femminismo, i collettivi, l'emancipazione, la ribellione), rimane secondo me un elemento marginale.

 Il punto è che queste storie  raccontano così bene le sfaccettature della terza e ultima età della vita da lasciare in secondo piano l'orientamento sessuale delle protagoniste.

 Nelle storie, tutte riuscite (solo due mi hanno lasciata un po' così), le autrici hanno sviscerato tante cose:
 la paura della morte e dell'ignoto che si avvicina, quella sensazione che sia ormai troppo tardi per imbarcarsi in qualsiasi avventura e che il tempo sia ormai agli sgoccioli, i ricordi che svaniscono, le persone amiche che improvvisamente se ne vanno lasciandoci sempre più soli, le occasioni che una volta perse scompaiono davvero per sempre, il timore di accettare i rischi perché la vecchiaia non è mai vista come un'età in cui iniziare qualcosa, ma in cui terminarla prima dell'inevitabile. 

 Eppure non ci si chiede mai, perché? Cosa succede se la inizio e non la finisco? Avrò dei rimpianti come la madre di Ulisse nell'oltretomba?

 Personalmente le due storie che mi sono piaciute di più sono quelle di Delia Vaccarello e di Angela Siciliano perché affrontano la vecchiaia sotto una luce diversa, trattando le attempate protagoniste come donne a prescindere dalla loro età e non solo in funzione di essa.
Istruttivo.
Ps. Sessantenni che mi leggete, non sto dicendo che siete anziane, alcune delle protagoniste hanno anche 80 e passa anni!

 Vi intriga qualcuno? Li avete già letti? Testimoniate!

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