Vi ricordate qual è la prima cosa in assoluto che avete comprato appena sono entrati in corso gli ormai odiatissimi euro?
Io sì.
"Kitchen" di Banana Yoshimoto.
Peraltro vorrei super vedere il film, ma non lo trovo da nessuna parte, sigh |
Mio nonno che, nonostante avesse 70 anni, all'epoca era un entusiasta perenne delle novità, aveva preso per ognuno di noi nipoti il kit che la banca d'Italia aveva emesso per abituare gli italiani alla nuova moneta.
Si trattava di un sacchetto con dentro 25 euro in monete di diverso valore e ricordo chiaramente lo sconcerto quando me lo diede: come farò ad usarlo? Come farò a capire il resto??
Lo stesso sconcerto corse chiaramente sul volto della libraia da cui andai il primo ufficiale giorno dell'euro e che probabilmente sperava si trattasse solo di un brutto sogno. Volevo pagare in euro.
Ci mettemmo tipo venti minuti a calcolare il resto che peraltro, nei primi tempi della conversione, era preciso al centesimo (le cose costavano anche 6 euro e 13 centesimi).
Tra l'altro il libro lo avevo già letto e comprato, ma finivo sempre per riregalarlo (un altro mio libro con questa trista sorte è "Non ci sono solo le arance" che avrò ricomprato 4 volte), ma aveva quel quid in più che, tuttora, devo dire mi colpisce.
Alla fine del libro c'è un piccolo saggio che proprio non ti aspetti di Giorgio Amitrano, storico traduttore della Yoshimoto (e se posso dirlo, io che sono una che mai e mai fa caso alle traduzioni perché non ne ho le competenze, da quando ha smesso di tradurre i romanzi della Yoshimoto la differenza si nota eccome e in peggio).
O perlomeno non me lo aspettavo io, che essendo stata alle superiori una forte lettrice di manga (dopo ho continuato quasi solo con le storie autoconclusive), non avevo notato quello che un lettore medio forse aveva malmostato: le situazioni molto surreali, i problemi che si risolvono per caso o ispirazione del momento, i colpi di fortuna o sfortuna molesti.
Un mondo simile a quello reale eppure con qualcosa di inverosimile.
Lo stesso mondo dei manga.
Ed è quello che fa notare nel suo breve, ma denso intervento Amitrano che racconta come la Yoshimoto sia riuscita a trasferire nella narrativa il linguaggio degli shojo manga, i manga per ragazze per la precisione, (anche se poi alla fine della fiera le divisioni più che di pubblico mi sembrano di argomenti che magari interessano più o meno un certo pubblico).
Amitrano scrive:
"Quando critica e pubblico in coro hanno riconosciuto il rapporto tra alcuni dei libri più venduti in Giappone negli ultimi anni, Kitchen e Tsugumi (1989) della Yoshimoto e Noruwei no mori (Norwegian wood) di Haruki Murakami e il manga per ragazze, questo genere, sino ad allora ignorato se non da rari sociologi, nonostante le sue tirature astronomiche, è balzato di colpo all'attenzione della stampa, della critica letteraria e in genere di tutti coloro che l'avevano sempre liquidato come un fenomeno di subcultura.
Ill. by Heejine Park |
Molti hanno così avuto la sorpresa di accorgersi che lo Shojo Manga, nato come forma di intrattenimento convenzionale e edulcorato, si era evoluto in un genere narrativo sofisticato e complesso e che, nell'indifferenza generale, si era formata una cultura sommersa che dal manga si irradiava nella letteratura, nel cinema, nella musica e nella moda"
In effetti anche Norwegian Wood, l'unico romanzo di Murakami che avrebbe pretesa di verosimiglianza non introducendo nessun elemento fantastico, ha degli elementi tipici del manga.
Le storie surreali (ma potenzialmente credibili) di alcuni personaggi (come Reiko l'insegnante di musica sedotta dalla sua procace allieva adolescente), il carattere estremo o il destino fatale di molti personaggi (tasso di suicidio direi fuori dalla norma anche per il Giappone) e in generale la stessa pacata serenità, davanti alle più assurde sfaccettature dell'esistenza, propria della protagonista di "Kitchen" della Yoshimoto.
Leggiamo e ci diciamo, sì succede tutto questo, sì è triste, sì è drammatico, ma in sottofondo c'è quel quid irreale che lo rende (in)credibile.
Perché ho fatto 'sto pippone?
Perché stamattina volevo postare su fb la copertina di una light novel di cui è uscito in questi giorni anche il film nei cinema italiani (ma non temete, tra due giorni già lo tolgono): "Your name" di Makoto Shinkai (in Italia edito da JPop).
La storia racconta la vicenda di due liceali, una ragazza, Mitsuha, che vive in paese sulle montagne e Taki, un ragazzo di Tokyo.
Un giorno si svegliano e scoprono di essere l'uno nel corpo dell'altro e, una volta capita la strana situazione, cercando di aiutarsi vicendevolmente a risolvere i problemi delle loro rispettive vite.
Accade però che ritornino nei loro corpi e Taki cerchi in tutti i modi di contattare Mitsuha, ma lei non gli risponda..
Insomma, il film è acclamatissimo e la light novel sembra promettere molto bene.
E così è venuta l'idea di questo post.
Le light novel sono romanzi tratti da manga o dai quali sono stati tratti manga.
Hanno uno stile rapido, molto visivo e, proprio come i romanzi di Banana Yoshimoto e Norwegian Wood, anche quando trattano storie non fantastiche, hanno in comune con i manga la sospensione della credibilità e una serie di topoi che li rendono la versione in prosa degli shojo (proprio come detto da Amitrano).
Un esempio, che potrebbe essere l'anello mancante ideale tra le light novel e la Yoshimoto, è un romanzo di Kyoichi Katayama: "Gridare amore dal centro del mondo".
Non so se tuttora sia il romanzo più venduto nella storia del Giappone, ma nel 2004 superò il record proprio di Norwegian Wood di Murakami.
La storia è un sick-lit ante litteram (da cui poi è stato tratto anche un manga, belli entrambi) e racconta la drammaticissima storia d'amore tra due liceali: Aki e Sakutaro si innamorano e iniziano a vivere tutte le tipiche prime volte della prima grande storia d'amore.
Tutto fila tenero e liscio finché Aki non scopre di avere la leucemia e allora la storia vira su binari ovviamente tristissimi.
La storia, direte voi, è verosimile, ovviamente, la differenza infatti sta tutto nel modo in cui viene raccontata e che, in questo specifico caso, compie un passo ulteriore da Murakami e poi Yoshimoto: qualsiasi pretesa di letterarietà viene abbandonata.
Eppure, nella sua semplicità e assenza di pretenziosità, nella sua essenzialità che rischierebbe facilmente di scadere nel banale, riesce ad essere emotivamente coinvolgente, proprio come lo sono certi manga, in modo quasi inspiegabile.
E non c'è niente da fare, siamo proprio davanti a un altro genere letterario.
E non c'è niente da fare, siamo proprio davanti a un altro genere letterario.
Ebbene, non vedo l'ora di leggere "Your name" e sento di aver scritto dopo anni il primo post di quel tentativo di rubrica degli inizi: rieduchescional libraia.
L'editoria, proprio come la biblioteca, è un organismo vivente, tocca starci dietro.
E voi conoscevate già le light novel? Ne avete letta qualcuna? Ne consigliate qualcuna? Testimoniate!
Grazie, ho imparato una cosa nuova (anche se non credo che possano entrare in lista letture, per dire per me "Norwegian Wood" è una canzone dei Beatles)
RispondiEliminaEppure, caro Marzio, Norwegian Wood è un romanzo sontuoso, che non merita di essere ignorato perché il titolo ti ricorda dell'altro
EliminaAggiungo che il protagonista ha un rapporto speciale proprio con il già citato brano dei Beatles
In epoca tardo adolescente adoravo la Yoshimoto... Ma non avevo idea dell'esistenza delle light novel! Grazie!, g
RispondiEliminaNe ho letta qualcuna. Ho le due light novel tratte da Death Note e ho letto qualcuna del ciclo di Slayers.
RispondiEliminaNon le trovo imprescindibili e ultimamente ne ho lette un paio scritte male, che ho rimpianto le fanfiction.
Di certo vorrei leggere qualcosa della Yoshimoto, mentre Murakami l'ho un po' mollato: troppo deprimente per i miei gusti.
Della Yoshimoto consiglio i primissimi, da "Arcobaleno" in poi una catastrofe
EliminaDa lettrice di manga conoscevo già il fenomeno delle light novel, ma ammetto che generalmente ne diffido. Questo anche perché sono anni che non riesco più a leggere Banana Yoshimoto: dopo un grande entusiasmo provato ai tempi di Kitchen, Lucertola, Tsugumi, NP, ecc., quasi tutti i libri successivi mi sono sembrati onestamente brutti e vuoti. E quel che è peggio, trovandomi a risfogliare di recente anche quelli che ai tempi mi erano piaciuti molto, non ci ho minimamente ritrovato l'originario fascino :-\
RispondiEliminaNon so se sia un problema della Yoshimoto, o solo mio, che sono cambiata come lettrice. Ma dalla letteratura-che-imita-il-manga mi tengo ormai accuratamente lontana. Preferisco leggere un manga, direttamente (e pure lì ho imparato a selezionare tanto. Ma ancora ne trovo che mi piacciono, eh!).
Questo post mi è piaciuto moltissimo, l'ho trovato interessante ma non troppo 'faticoso' da leggere.
RispondiEliminaAvevo sentito parlare delle Light novel, e ne avevo anche regalata una ad un'amica che legge molti manga (tratto appunto da uno di questi, "La malinconia di Haruhi Suzumiya", se non ricordo male il titolo). A me hanno sempre dato l'idea di avere uno stile troppo semplice per i miei gusti ma, in realtà, non posso opinare perché non ne ho mai davvero letta una.
Ammetto che mi hanno incuriosita di più i riferimenti a romanzi giapponesi e mi piacciono proprio per quel qualcosa di irreale che hanno, come se stessi leggendo di un sogno :)
In realtà appena metterò le mani su "Your name" anche per me sarebbe la prima light novel!
EliminaDa lettrice (distratta) di manga conoscevo il fenomeno per sentito dire ma non sapevo avesse un nome o fosse proprio un genere. Ma il termine light novel si applica anche ai romanzi tratti da serie tv tipo star trek, star wars, doctor who etc?
RispondiEliminaApplicato ai manga comunque mi sembra uno di quei prodotti né carne né pesce. Io sono consumatrice abituale di shojo manga come toilet literature, a cervello semi-spento. Raramente trovo qualcosa di rimarchevole nella scrittura o nei disegni tanto da andare a leggere chi è l'autrice o il titolo, eppure mi rilassano. Se dovessi leggere le stesse cose in prosa, dovrei fare quel quid in più di fatica (leggere) per cui non ne varrebbe più la pena. D'altro canto se faccio la "fatica" di leggere un romanzo,voglio essere ricompensata con molta carne al fuoco. Questo non per dire che i fumetti siano in sé più fruibili della prosa, sono proprio gli shojo sceneggiati così; insomma non rinuncerei ai disegni per quel tipo di contenuti. Sono molto pigra, lo so...
Non farei di tutta l'erba un fascio, eh! Esistono anche shojo che danno soddisfazione e impegnano nella lettura, mostrando originalità e "corpo". Certo, il grosso del mercato mainstream è fatto di trame a stampino e cliché a pioggia. Ma credo succeda un po' in tutti i settori, e non solo nel fumetto.
Elimina