martedì 18 ottobre 2016

Piccoli racconti crudeli d'ottobre! Quando le colpe dei nonni ricadono sui nipoti ne "Le zucche di Ognissanti".

 La scorsa settimana, tra una cosa e un'altra, non ho poi pubblicato il mio piccolo raccontino crudele.


 Ripeto la solfa usata nell'introduzione de "Le papere assassine" per chi se la fosse persa (per gli altri, potete anche saltare).

 All'inizio dell'università avevo scritto una manciata di raccontini a tema horror molti brevi, semplici e senza particolari pretese (negli anni poi ne ho scritti altri con lo stesso stile).

 In genere io non pubblico materiale personale su questo blog, ma questi racconti in particolare secondo me potevano avere un senso nel mese di Halloween.

 Il racconto che state per leggere, lo avevo già pubblicato su un sito che mi piaceva moltissimo durante l'università, "La tela nera" che parlava (e parla tuttora) di cultura horror, noir e scifi e organizzava anche concorsi (anche il racconto che vorrei pubblicare la prossima settimana era già stato pubblicato lì).

 Questa settimana, tutto per voi "Le zucche di Ognissanti", una storia sulle colpe dei padri, anzi nonni, che ricadono sui figli.


 "LE ZUCCHE DI OGNISSANTI"



Angela aveva dei vicini di casa molto silenziosi.

 Non li vedeva mai in giro, sapeva della loro esistenza solo perché talvolta si affacciavano a bere il loro the scuro e fumante.

 In tutto erano solo tre ragazzi: due femmine e un maschio e  lo furono per parecchio tempo o meglio finché una delle ragazze non svanì. 
 Nel nulla, proprio nel nulla. Venne la polizia, li interrogò entrambi, ma non ne cavò niente: alibi inconfutabili e nessun movente.

Era accaduto la sera della vigilia di Ognissanti.

 La mattina dopo Angela aveva trovato sui loro scalini due bellissime zucche arancioni intagliate con la classica boccaccia scura e dentellata, e con una candela dentro che spandeva tutt’attorno una breve luce.

Il giorno era davvero molto nuvoloso e le zucche contro la parete di pietra della casa erano davvero meravigliose, di un arancione vivo come non mai.

Erick ed Anne non credevano fosse una buona cosa festeggiare Ognissanti quell’anno: esattamente la stessa sera di dodici mesi prima, la loro amica Ira era svanita nel nulla proprio andando a cercare delle zucche per la vigilia.

 Ma dopo molto pensare, si dissero, il modo migliore per esorcizzare la paura forse era proprio quello di andare nello stesso posto a cogliere quelle zucche.

 Il campo dove crescevano, stranamente incolte, era a nord del paese. 
 Loro, che erano tedeschi, non avevano mai ben capito certi atteggiamenti così assurdi degli italiani: perché lasciare terreni incolti appena dietro il paese? Non aveva senso, se non il naturale lassismo che sembrava affliggere quell'incomprensibile popolo.

In ogni caso bisognava riconoscere che il campo delle zucche era un posto davvero insolito.
 Nei terreni attorno, c’erano infatti delle buone coltivazioni e il terreno era molto fertile: chissà perché lasciare quel fazzoletto di terra con le zucche così vuoto.
  Forse, avevano dedotto, privi di qualsiasi spiegazione plausibile, era un territorio statale lasciato inselvatichire da una legione di leggi contorte e burocrazia.

Questa volta in due, si avviarono nel plumbeo pomeriggio del 31 ottobre a cogliere queste due zucche.
Erano le cinque del pomeriggio, tirava un forte vento e non passava nessuno.

Una volta sul posto però, Anne si rese conto di non riuscire a parlare per l'angoscia: era dal momento in cui avevano avvistato quello strano campo costellato da macchie arancioni che aveva i brividi.

Sapeva, oscuramente, che non dovevano essere lì.

“Erick andiamo via, io ho paura”, gli sussurrò in italiano.
“Ma smettila!”, replicò lui bruscamente in tedesco.

Anne allora si guardò attorno e notò che le zucche erano sparse un po’ ovunque, scomposte al suolo, come abbandonate, e che erano unite dai loro tralci verdastri, ma prive di ogni perizia agricola. 
In quello stato di selvatico abbandono avevano qualcosa di minaccioso.

“Se i nonni ti vedessero adesso, sai quante risate si farebbero?”, continuò lui ridacchiando.

Anne ebbe la fulminea visione del glorioso nonno Von Larck, eroe della seconda guerra mondiale pluridecorato al valore. Era un’immagine, quella, che le si era stampata nella mente durante l’infanzia quando quell’enorme quadro che lo raffigurava era appeso nella grande villa di campagna della sua famiglia.

Lei, Ira ed Erick si erano conosciuti proprio perché i loro tre nonni erano stati molto amici durante la seconda guerra mondiale. Avevano combattuto in Italia nello stesso reggimento, esattamente dalle parti in cui loro abitavano in quel momento. 
 Purtroppo, nessuno di loro non era tornato se non il nonno di Anne, in preda ad un’assurda frenesia.

Non era stata una bella guerra, ma lui tanto fece e tanto raccontò di civili tratti in salvo ed eroiche gesta in favore delle popolazioni locali che nella loro città erano stati trattati come eroi nazionali, raggi di luce in una stagione di puro, oscuro, orrore.

La moglie di Von Larck e le vedove dei suoi due amici erano diventate inseparabili e i loro tre figli crebbero insieme.

 Ognuno di loro ebbe a sua volta ebbe un solo figlio, Ira, Erick ed Anne, e decisero che dovevano crescere anche loro come fratelli.

Quindi, una volta cresciuti, ad Ira era venuta l’idea di passare qualche tempo in Italia proprio nel posto dove i loro nonni avevano così gloriosamente combattuto; così si erano ritrovati ad abitare in un appartamento nel mezzo di un bel borgo medievale.

Ira era scomparsa e loro cercavano le zucche.

 Ad un tratto, mentre saggiavano la consistenza di un esemplare grazioso ma piccolino, Erick gridò un’esclamazione in tedesco e indicò ad Anne una fila di dieci zucche bellissime sotto un noce su di una piccola altura lì vicino.

 Correndo tra i tralci, arrivarono fin lì e pensarono che quelle dieci zucche fossero davvero belle: grandi, sode, mature e di un arancione acceso ai limiti dello sgargiante. 

 Se ne stavano tutte e dieci in fila perfetta sotto questo noce da cui cadevano tante foglie rosse, come gocce di sangue. 

 Se fosse stata una coltivazione, avrebbero detto che dovevano essere di una qualità di gran lunga superiore a tutte le altre.

“Prendiamo due di queste”, disse Erick.

Anne annuì un po’ sollevata: avevano trovato le zucche e non era ancora sera, non c'era motivo di agitarsi dopotutto.

Con i coltelli portati da casa staccarono le due più grosse dal terreno e se le misero in braccio.

 Poi, mentre stavano per andar via, Anne notò un riflesso in controluce provenire tra le pieghe della corteccia del noce. 

 Si avvicinò e con una mano pulì la macchia splendente coperta dal muschio che le era parso di vedere. Sembrava una targa dorata.

“Cosa c’è Anne?”, domandò Erick tornando indietro.
“Aspetta un attimo. Qui c’è scritto qualcosa. Mi pare che sia una targa di commemorazione. Dice che…dice che nell’Ottobre del ’44 c’è una battaglia tremenda tra i tedeschi in ritirata e i partigiani. I partigiani furono massacrati e per giorni i loro corpi rimasero insepolti su questo campo. Sotto questo albero i tedeschi fucilarono i dieci capi partigiani una volta vinto e…”

Anne si interruppe e soffocò a malapena un grido.

 “Cosa c’è adesso Anne?”, chiese Erick esasperato.

Anne indicò tre nomi sotto la targa.

“Il massacro fu compiuto ad opera di…”

Anche Erick si fermò per deglutire, una foglia rossastra gli si poggiò sulla mano.

  Non riuscì a pronunciare  i tre nomi,

 Stava per gridare ad Anne di andarsene, quando i tralci della zucca che aveva tra le braccia gli si strinsero ai polsi, come se avessero preso improvvisamente vita.

Imprecò in lingua e guardò terrorizzato Anne, ma la vide combattere disperatamente con i tralci animati della sua zucca. 
 Gridò il suo nome prima di scorgerne molti altri uscire dal suolo come alti serpenti per cingerle le caviglie, la vita e il collo.

 La terra tra le zucche in fila indiana si aprì, ritirandosi come le acque del mar Morto, e lei venne inghiottita senza nemmeno un grido a causa di una foglia che le si era infilata in bocca di traverso.

Questa fu l’ultima cosa che Erick vide con chiarezza, poi il respiro gli mancò e con lui la terra sotto i piedi. 
 Decine di tralci lo avvolsero e sprofondò, tra le dieci bellissime zucche.

 Angela quella mattina di Ognissanti tornava da una festa col suo borsone rosso, sperò che anche quell’anno i vicini tedeschi avessero acceso le zucche sugli scalini di pietra della casa.

 Rimase felicemente sorpresa quando, tutte attorno al muro del loro appartamento, trovò dieci zucche incredibilmente belle, perfettamente intagliate e tutte con una candela splendente che spandeva tutt'attorno una breve luce.


9 commenti:

  1. Mi piaccion davvero tanto i tuoi racconti horror!

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  2. ottimo, davvero. perché non cerchi qualcuno che te li pubblichi? meritano!

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    1. Iniziamo col fumetto :) Poi conquista del mondo! ;) (Ah, oggi se ce la faccio, recensione di The Quick!)

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  3. Non capisco bene la parte iniziale, c'è uno stacco bruschissimo da un anno all'altro, ho dovuto leggere più volte per capire bene. Sembra manchi un pezzo.

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  4. Torno a scusarmi, come l'altra volta, ma occorre mi ripeta. Sono racconti ingenui, sembrano, e probabilmente sono, scritti da una quindicenne. Non ci sono leganti fra le parti. Insomma sono bruttini assai. Se tu li lasciassi nel cassetto dove sono stati finora?

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    1. Ad alcuni piacciono, ad altri no, mi pare francamente di non far male a nessuno se li pubblico sul blog, semplicemente se non piacciono basta saltare un post :)
      Non ho particolari pretese, li ho scritti in modo volutamente semplice (ho uno stile molto diverso di solito) come divertissement e tali voglio che restino.
      Se avessi avuto più alte pretese letterarie personali tramite questo blog, avrei pubblicato materiale inedito diverso.

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  5. Apprezzo il tuo blog e lo visito periodicamente; mi piace come scrivi e ho trovato brillanti molti dei tuoi ragionamenti. Per dirla in breve: mi stai proprio simpatica! Però non credo che questi racconti ti facciano onore. Spero tu non ti risenta per questo commento, perché deriva solo del fatto che credo tu possa dare molto di più. Un saluto

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