Assolutamente incredibile (ma vero) avevo lasciato in sospeso il post con le recensioni delle mie letture estive dallo scorso settembre.
In nome dei miei rinnovati buoni propositi di seguire di nuovo maggiormente il blog a sfavore dei social che stanno tendendo verso la broligarchia reazionaria, inauguro questo nuovo corso terminandolo dopo mesi.
In realtà lo scorso anno anno temo di aver passato davvero troppo tempo sul cellulare a sfavore della scrittura e della lettura.
E' stato sicuramente colpa dello stress che porta a fare cose il meno impegnative possibili nel tempo libero, ma è stata più colpa mia che non ho saputo gestire la cosa.
Cercherò di tornare ai bei vecchi tempi nonostante tutti i limiti dati dal lavoro e dal fatto che, contro la mia totale volontà e per colpa della burocrazia italiana, sono dovuta tornare sui libri universitari.
Un giorno, quando non mi darà ai nervi anche solo il pensiero, racconterò bene la storia, (no non sono un'insegnante come sa chi legge il blog da secoli, sì la laurea magistrale ce l'ho già da 15 anni, ma per fare un lavoro sottopagato non basta manco più quella).
Intanto vi risparmio i miei rancori personali e vi lascio le recensioni.
Buona lettura!
GIALLOSARDO AAVV Pickwick ed.:
Raramente mi piacciono le raccolte tematiche perché in generale non mi sembra che gli scrittori e le scrittrici rendano troppo bene quando si tratta di scrivere racconti “su commissione”, legati a temi o, come in questo caso, luoghi specifici.
Ci sono però sempre felici eccezioni e “Giallosardo” è una di queste.
Devo dire che la media dei racconti è molto buona, si vede chi come Fois è del mestiere, e chi non lo è particolarmente come Ilenia Zedda (il suo racconto mi sembra un esemplare tipico di scuola di scrittura creativa: trick di base interessante, ma poi la resa si impiglia in alcune sottigliezze tipo la coerenza della trama).
Avevo nostalgia della Sardegna e l’ho letto durante alcuni giorni caldissimi a Rodi.
Assieme ai gyros e all’acqua cristallina, ha aiutato a farmela passare.
L’UOMO INQUIETO di Henning Mankell e SOTTO LA CITTA' di Arnaldur Indridason:
I gialli nordici hanno sempre il loro fascino.
Il problema, nella grande mole delle traduzioni, è non incappare in frequenti delusioni.
Quest’anno, siccome ho avuto una primavera/estate impegnatissima ed ero riuscita a leggere poco, ho voluto andare sul sicuro e ho puntato due certezze: Mankell e Indridason.
Per puro caso (ossia quello che passa l’usato) ho trovato “L’uomo inquieto” senza sapere fosse l’ultimo capitolo della lunghissima serie del commissario Wallander.
C’è da dire che in generale scrittori e scrittrici raramente trattano bene le loro creature e sanno dargli degni finali, ma in questo caso Mankell è riuscito in un libro molto malinconico, a tratti struggente, a tirare tutte le fila della lunga vita del suo commissario.
La storia inizia quando Linda, l’unica figlia di Wallander, poliziotta anche lei, si fidanza con un broker abbastanza ordinario, figlio di Hakan von Enke un importante ammiraglio svedese che fu coinvolto in un famoso caso di spionaggio ai tempi dei governi di Olof Palme.
Un sottomarino russo era stato individuato in acque svedesi e, invece di essere costretto a riemergere, all’ultimo era stato lasciato andare.
Hakan non si è mai dato pace per l’evento e aveva iniziato a indagare, convinto che vi fosse una spia del Kgb interna alla marina svedese.
Tutto questo non interessa poi molto Wallander finché prima von Enke e poi sua moglie svaniscono nel nulla. C’entra forse questo antico intrigo internazionale? E, nel caso, chi è che spiava chi e quando?
La storia, benché ricca di colpi di scena, è molto chiara e lascia ampio spazio alla chiusura di tutte le linee narrative della vita di Wallander rimaste in sospeso.
Sappiamo che fine farà Bajba, il grande amore estone del commissario, sappiamo cosa accade all’ex moglie e cosa alla figlia, conosciamo il suo crepuscolare tramonto che non anticipo per non fare spoiler, ma spezza il cuore.
Un grande autore che è riuscito a dire degnamente addio ad un grande personaggio con un’indagine interessante e un senso della fine dignitoso e palpabile.
Il romanzo di Indridason invece non ha una particolare rilevanza nella serie del suo commissario Erlendur.
Ambientato nell’esotica Islanda, racconta una cruda storia di violenza sulle donne e di tragici e ingiusti tranelli del destino.
Un uomo qualunque viene trovato assassinato nel suo appartamento. Sembra un delitto d’impeto, ma chi mai potrebbe voler uccidere un uomo qualunque? Qualcuno, probabilmente, che sa qualcosa in più, un segreto dietro la maschera della normalità.
Inizia un viaggio a ritroso nella cr. Non dico molto di più: bello da leggere, ma abbastanza tosto per gli argomenti trattati.
LA CUCINA COLOR ZAFFERANO di Yasmin Crowther ed. Guanda:
Ogni anno mi piace leggere un romanzo ambientato in Medioriente/India.
Non so perché, ma mi piace l’idea di leggere qualcosa di scritto o ambientato in luoghi lontani geograficamente e culturalmente da me.
Questa estate è stato il turno di “La cucina color zafferano”, ambientato in parte in Inghilterra e in parte in Iran.
Le protagoniste sono Maryam, iraniana immigrata in Inghilterra ai tempi della rivoluzione islamica, e sua figlia Sara, nata dal matrimonio con un gentile coetaneo inglese.
Tutto parte da una tragedia involontaria: Maryam si rivela violenta verso il nipote, figlio della sorella minore appena morta e arrivato da poco dall’Iran. Sara cerca di difenderlo e nel tentativo si ferisce perdendo il bambino che ha in grembo.
Disperata per l’avvenimento, Maryam decide di tornare in Iran ad affrontare i fantasmi del passato.
In una serie di flashback la scopriamo ragazzina, figlia di un generale dello scià, desiderosa di diventare infermiera e di decidere la sua vita. Riuscirà a fare tutto quello che desidera, ma pagando un prezzo troppo alto nel fisico e nell’anima che la traumatizzerà per sempre.
Allora. La parte migliore sono i flashback dell'infanzia e della giovinezza di Maryam in Iran. Finché il libro parla delle sue vicissitudini fino al momento della partenza per l'Inghilterra devo dire che merita. Il resto, che purtroppo è parecchio, è abbastanza noioso.
La coda del libro è inutilmente lunga e assume anche vaghi contorni da telenovela turca, le parti dedicate alla figlia Sara sono abbastanza prive di forza.
Non lo consiglierei a meno che non siate appassionati di storia dell’Iran, per il resto perdibilissimo, infatti l’ho lasciato a Rodi.
LA STRANIERA di Claudia Durastanti ed. La nave di Teseo:
Interessante e molto molto molto difficile da scrivere questo memoir di Claudia Durastanti.
Erano anni che volevo leggerlo e quando finalmente qualcuno l’ha provvidamente lasciato all’usato mi ci sono fiondata.
Conoscevo a grandi linee la storia: i genitori dell’autrice sono entrambe persone sorde che non comunicano attraverso la lingua dei segni.
Inoltre Durastanti è nata a Brooklyn dove si erano trasferiti anni prima i nonni materni, lucani, alla ricerca di fortuna e dove lei ha vissuto fino ai sei anni, quando è poi rientrata in Basilicata.
Dico un memoir difficile perché il grande problema dei memoir è sempre lo stesso: perché quelli che sono fondamentalmente fatti tuoi dovrebbero avere un valore per qualcuno?
Rendere il personale qualcosa di universale è davvero un’impresa enorme e il pericolo di tracimare nel diario psicanalitico è sempre dietro l’angolo, anche quando si ha una storia interessante da raccontare.
Durastanti riesce a evitare questo fosso non solo perché è brava a raccontare, ma soprattutto perché ha scelto una chiave di lettura e vi è rimasta fedele (quasi) sempre dal titolo al finale: il concetto di straniero nel senso più ampio possibile.
Il senso di estraneità è la base del libro: sono estranei ad un mondo basato sulla parola e i suoni i suoi genitori sordi, è straniera lei quando nasce in America ed è straniera quando torna in Italia, la povertà la rende estranea al benessere dei suoi compagni di classe ed è estranea al contesto lavorativo nel quale osa catapultarsi dopo la laurea poiché il mondo culturale in Italia è appannaggio per la quasi totalità di eredi alto-borghesi.
Dà, a mio parere (anche se fatico a sopportarne i toni un po’ troppo epici qui e lì) il meglio nella prima parte quando riesce a raccontare con l’amore, il dolore, nonché il distacco necessario, due genitori complessi, tormentati, non integrati loro malgrado, anche per loro ostinata e rivendicata volontà.
La seconda ha alcune pennellate che ho trovato interessanti, in primis la sensazione di sentirsi un simpatico trofeo sociale per i propri datori di lavoro: ehi, guarda, ho trovato l’intelligente presentabile tra i povery e la introduco in società. Una sorta di versione moderna del romanzo ottocentesco coi nobili che innalzavano lo zotico brillante di turno per divertimento.
Per altri versi ho trovato mancasse qualcosa. Pensavo e speravo in una qualche complessa riflessione politica sull’estraneità di classe, anche perché aveva tutto il materiale per raccontarla da un punto di vista interessante.
Invece su quel punto l'ho trovata stranamente debole, l'unica in cui ogni tanto mi è sembrata debordare nel diario personale abbassando il livello del racconto.
In generale comunque un gran bel libro che consiglio e che è meritatamente finito nella cinquina dello Strega del suo anno.
ELIZABETH GEORGE:
Questa giallista statunitense era la passione di una mia ex collega di libreria. Quando usciva un suo nuovo libro impazziva letteralmente di gioia e, per anni, me l'aveva caldamente consigliata.
Io non ho particolare passione per i giallisti anglosassoni quindi avevo tentennato a lungo e mi sono decisa solo questa estate.
Presa da un moto di ottimismo e allettata dai numerosi titoli in vendita nella mia libreria dell'usato di fiducia, avevo addirittura comprato due titoli!
Ebbene. Li ho iniziati entrambi e in entrambi i casi ho cercato disperatamente di andare avanti nella trama con tutte le mie forze. Non ci sono riuscita, troppo noiosi, troppo dispersivi e pieni di lungaggini che non lasciavano mai entrare nel vivo dell'indagine.
Magari sono stata sfortunata io, ma mi sa che non sono il tipo che ama la cara Elizabeth. Mi spiace.
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