domenica 17 dicembre 2023

Consigli per il Natale 2023 parte II! Sabbie bituminose, distopie patriarcali, libri scomparsi, fantasmi dell'inverno, orti inquietanti e pamphlet editoriali

 Ed ecco a tempo ancora più record, il secondo post dei consigli natalizi, così avrete persino qualche giorno per pensare di usarli, nel caso!


DUCKS di Kate Beaton, Bao Publishing:

 Kate Beaton è un'autrice che fa fumetti umoristici sulla letteratura o almeno io l'avevo conosciuta così, ormai qualche anno fa.

 Bene. Dimenticate il lato umorista. "Ducks" è vita vera, vita vera e distopica, cruda e crudele. 

Un concentrato di rara forza in cui si può capire con estrema facilità in cosa consiste vivere in una società patriarcale intrisa di cultura dello stupro.

 Messa così, mi direte, sembra che vi stia presentando una tragedia shakesperiana, invece si tratta "solo" di due anni di lavoro in una zona del Canada in cui si estraggono sabbie bituminose. 

 Beaton, come molti studenti e studentesse, termina l'università con elevato debito universitario. 

 Il suo sogno è lavorare nell'editoria e con i libri, ma anche in Canada sembra non sia un lavoro abbastanza remunerativo per ripagare decine di migliaia di euro in un tempo che le banche possano giudicare consono.

 Così, spinta dall'esperienza di un parente (maschio, dettaglio non irrilevante), decide di andare a cercare lavoro nei grandi cantieri di estrazione di sabbie bituminose, luogo dove sostanzialmente c'è una donna ogni dieci uomini.

 E già qui entriamo nel campo della distopia. Aggiungete che per aumentare gli introiti e diminuire le spese (in modo da terminare quel periodo nel minor tempo possibile per poi potersi dedicare al resto della sua esistenza, quello per cui ha studiato), Beaton accetta di vivere all'interno del campo e fare doppi turni, entrando in una sorta di microcosmo autosufficiente che sembra esistere al di fuori delle regole e del tempo del mondo civilizzato.

 Ebbene, succede tutto quello che potete facilmente immaginate. 

 Molestie, battute da caserma, senso di straniamento, solitudine, infantilizzazione e sopraffazione.

 La cultura dello stupro in diretta, un universo di dominio e sopraffazione che va dallo stupro appunto, a quel clima generale per cui una donna non è un essere umano, (spesso parlano di donne davanti a lei come se lei non fosse presente, come se lei non fosse una persona né ovviamente lo fossero quelle di cui parlano), ma un oggetto, un essere vivente sottomesso e a completa disposizione e funzione degli uomini. 

 E' interessante e molto forte da leggere, forse più per gli uomini che per le donne. Perché noi sappiamo cosa dobbiamo vedere, sentire e subire dal giorno uno della nostra nascita. 

 Gli uomini invece si stupiscono dell'ovvio, non hanno idea di quanto tacciamo e sopportiamo e compartecipano spesso involontariamente al mantenimento dello status quo, nel senso che non hanno una reale volontà di non partecipare al banchetto dell'orrore.

 Ed è un libro che rende benissimo consapevoli del perché sì, si parla di TUTTI gli uomini. Non perché siano tutti colpevoli, non lo sono certo tutti gli uomini del libro, talvolta anzi si rilevano alleati inaspettati. Ma perché tutti detengono una posizione di privilegio e potere che rarissimamente desiderano realmente sovvertire. Spesso il massimo che credono di poter e di voler fare è rimanerne fuori. Ma come cantava De André, anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.

 E ci tengo a dire, che se batto anche io su questo punto è solo per un motivo: è un ottimo momento per capire, per usare il proprio tempo a distruggere questo sistema, lo è perché ora più di prima è finita l'era della sopportazione.

E' ora di distruggere tutto perché un giorno chi legga "Ducks" lo faccia pensando che fosse davvero una distopia e non la realtà.


LA VITA SEGRETA DEI LIBRI FANTASMA di Andrea Kerbaker:

 Chi ha lavorato in libreria, sa che molto raramente può accadere un fatto assai affascinante: il ritiro dal commercio di un titolo. Tu sei lì che hai appena finito di esporre le novità, quando arriva una tragica mail che impone di togliere dalla vendita un determinato titolo.

 

 Quando lavoravo in libreria mi è successo un paio di volte. 

 La prima non ho mai saputo perché (il libro, un'autobiografia, riapparve mesi e mesi dopo direttamente in una nuova edizione), nel secondo si trattava di un tragicomico caso di graphic novel apparsa senza la graphic novel: sostanzialmente era stata mandata in stampa solo la lunga e corposa introduzione, priva poi del contenuto fumettoso successivo. 

 Ci sono stati però altri casi famosi, di solito conclamati errori di stampa scoperti in extremis, titoli scritti male, copertine non abbastanza translucide.

 Ma nella storia della letteratura ci sono stati vari casi di libri usciti una volta e mai più riapparsi o riapparsi con altri titoli o in altre forme. 

 I motivi? I più svariati. Da un cambio di sensibilità nel pubblico (io vi giuro che mi sale il crimine tutte le volte che sento usare le parole "politically correct", mi verrebbe da mandare chiunque la pronuncia direttamente nella preistoria, all'alba dei tempi, a godersi i tempi privi di qualsiasi civilizzazione e a divertirsi a scoprire il fuoco e fare pitoti), a un pentimento sul contenuto alle molte altre molteplici possibilità date da quello straordinario oggetto che è il libro. 

 Andrea Kerbaker ci ha scritto questo volumetto per bibliofili molto molto gustoso e straconsigliato.


I FANTASMI DELL'INVERNO di AA VV, Neri Pozza:

 Nel mondo anglosassone, come tutt3 sanno, il natale non è solo racconti zuccherini, ma anche racconti di fantasmi ("Il canto di Natale" di Dickens docet).

Nel 2021 uscì per Neri Pozza l'antologia "Natale con i fantasmi" (poi ripubblicata lo scorso anno con la copertina cartonata originale, bellissima, ve lo dico così non vi sbagliate), quest'anno è stata la volta di "I fantasmi dell'inverno". 

 Dodici racconti di fantasmi di grandi autori autrici del gotico contemporaneo, perfetti per quei momenti morti dopo pranzi e cene, quando tutti pretendono che tu veda Disney+ mentre tu ricerchi solo l'agognato silenzio di una stanza con un camino, il vento che ulula e neve a perdita d'occhio fuori dalla finestra per chilometri.


L'ORTO AMERICANO di Pupi Avati, Solferino:

 Un consiglio sulla fiducia. Amo il Pupi Avati da giallo all'italiana e avevo trovato il libro "Il signor diavolo" molto grazioso, con quell'atmosfera da provincia ultracattolica del nord-est soffocante e bigotta, davvero interessante e indovinata. Il seguito, "L'archivio del diavolo", era stato purtroppo troppo assurdo e lo avevo trovato pessimo.

 "L'orto americano", da cui verrà tratto un film, sembra invece promettere molto bene.

 Uno scrittore incrocia una ragazza americana poco dopo la Liberazione a Bologna e se ne innamora. Anni dopo, durante un viaggio in America, scoprirà casualmente che quella ragazza scomparve in Italia e decide di risolverne il mistero.

 Mi dà un po' di vibes da Scerbanenco con "Traditori di tutti" e un po' di "Gotico rurale" alla Baldini, amo il terrore della pianura padana. 


MANIFESTO CONTRO L'EDITORIA di Gog Edizioni:

Raramente mi piacciono i pamphlet perché raramente mi faccio fomentare dalle estreme opinioni altrui. Anche questo volumetto non fa eccezione al riguardo e non lo condivido in toto, ma ho apprezzato l'idea di spogliare l'editoria di quel manto di magia che divora tanta gente. 

 Troppe persone pensano al mondo del libro come un luogo fatato dove passi il tempo a cercare il nuovo Italo Calvino e rimangono impreparate a una realtà di industria e commercio, dove devi sgomitare tra molti e molte figli di papà per trovare un posto al sole.

 Questo non vuol dire che sia TUTTO e SEMPRE così, ma molte cose tocca dirle, pane al pane e vino al vino e in questo piccolo manifesto che prende di mira tutto e tutt3 (ho tremato al pezzo sui blogger, ma tutto sommato ci sono andati anche leggeri visto quello che gira).

 Il tono è sarcastico e i capitoletti, molto brevi, assomigliano ai post di un blog. Meno al vetriolo di quel che meriterebbe seriamente l'editoria, ma forse in questo caso sono io ad avere opinioni estreme (e non solo contro i colossi, ma anche verso molt3 indie).


venerdì 15 dicembre 2023

I consigli per il Natale 2023 parte I! Sciamane islandesi, dicerie, personagge LGBT, racconti gotico-femministi, pastasciutte antifasciste e femminielli

  Quest'anno, soprattutto dopo la mia breve, ma intensissima visita a Più Libri Più Liberi, dove ho visto un sacco di titoli bellissimi, mi sono imposta di fare almeno un post di consigli natalizi.

 Oggi, dopo un passaggio in una bella libreria del centro di Roma, con una selezione molto interessante, ho ancora più libri da consigliare. 

 Spero di riuscire ad arrivare a quota due post, ma intanto uno lo lancio nel cosmo!

 Non la faccio troppo lunga per non rubare troppo spazio ai libri: scatenatevi!


SEIDMADUR. Lo sciamano di Maddalena Marcarini, Agenzia Alcatraz:

 Un horror coi fiocchi e controfiocchi uscito dalla penna di un’autrice italiana, Maddalena Marcarini e ambientato in Islanda.

 Pregio assoluto e principale, oltre alla storia: lo sfondo islandese non è una cosa vaga per turisti degli iceberg e neanche la scusa per una vaga ambientazione esotica. Il setting in questo caso è letteralmente tutto, dal folklore che permea ogni pagina, alle descrizioni ghiacciate e selvagge all’enorme e raffinata conoscenza delle leggende e dalla magia islandese e groenlandese.

 La protagonista, Erlen, è una ragazza di origini islandesi che ha vissuto molti anni in Canada con sua madre, una donna peculiare che tutti credevano un po’ matta. La donna credeva e diceva infatti di essere una sciamana e neanche le suppliche della figlia, bullizzata e maltrattata a scuola, riuscivano a contenere le sue folli esternazioni.

 Morta la madre, Erlen vivacchia qualche anno tra case famiglia e tentativi di rimanere a galla con lavoretti vari, ma qualcosa di enormemente doloroso la consuma da dentro e decide infine di tornare in Islanda per uccidersi.

 La storia inizia nel momento in cui potrebbe finire: Erlen si getta nelle acque gelide, prontissima a morire, ma un uomo, Ottar, la salva. E non è un uomo qualunque, ma uno sciamano, esattamente come sua madre e forse quel loro incontro non è neanche così casuale.

 Nel frattempo una creatura ancestrale e mostruosa si aggira per le strade dell’Islanda, reclamando ossa, denti e bambini per un macabro rituale. Chi è? Chi potrà fermarlo? Chi è realmente ..?

 Una storia bellissima e avvincente, originale e imperdibile per gli appassionati del genere. 

 Ma soprattutto da leggere adesso, con il gelo (più o meno) e il buio che ci lasciano scivolare più facilmente in nordici incubi.


SCREAM QUEER di Javier Parra, Odoya edizioni:

 Chiunque abbia passato parte della propria vita a cercare scrupolosamente tracce LGBT in film e libri, sa che praticamente fino a 10/15 anni fa al massimo, l'unico genere in cui le persone LGBT venivano rappresentate con una certa regolarità era l'horror.

 I motivi sono molteplici. Da una parte era un genere di nicchia che lasciava effettivamente più libertà a registi e sceneggiatori, dall'altra era ammissibile, anzi condivisibile, che persone LGBT fossero invischiate in storie torbide e assurde, fuori dall'ordinario, inquietanti e in cui facevano quasi sicuramente una brutta fine.

 Eppure, non per forza questo ha significato rappresentazioni banali. Nei gialli all'italiana ci sono personaggi LGBT (tantissimi personagge lesbiche) molto interessanti, quasi psicanalitici (es. il sogno lesbico di "Una lucertola con le pelle di donna" o l'amico musicista del protagonista di "Profondo rosso").

 "Scream Queer" con un occhio più all'estero che al solo universo italiano, propone percorsi tra film horror, personaggi e immaginari LGBT nella storia del cinema. 

 Con lo stile divulgativo che contraddistingue i saggi Odoya, vi calerete in un mondo di suggerimenti cinematografici (non tutti da seguire perché talvolta trash, ma sicuramente da conoscere) e rimandi letterari risparmiandovi la fatica fatta da me e molt3 altr3 nel rintracciare tracce LGBT nei tempi del grande oscurantismo.


IL GLICINE RAMPICANTE e altri racconti gotico-femministi di Charlotte Perkins Gilman, Abeditore:

 Sono anni che un'amica mi consiglia di leggere "La carta da parati gialla" di Perkins Gilman e anni che ad Halloween mi dimentico di cercarlo (anche questa volta, andrò alla prossima annata).

 Mi narrano in molti sia un piccolo gioiello gotico, ma anche l'unica cosa che si trova in giro di quest'autrice vittoriana. 

 Abeditore ha incrementato la sua bibliografia con questa raccolta di racconti.

 Perché gotico -femministi? Perché il gotico regna, ma l'autrice, attivista per i diritti delle donne e scrittrice di saggi sul mondo economico femminile di inizio '900, inserisce all'interno dei racconti tracce di quella che era la complicata e iniqua condizione femminile di quegli anni. E dei nostri.

  Nelle serate post pradiali delle vacanze natalizie, questi racconti saranno un toccasana.


IMBUSTASTORIE di AA VV, Abeditore:

 E’ qualche anno che Abeditore ha inventato gli Imbustastorie. Buste da spedire o tenere che hanno all’interno tre racconti impaginati su un solo foglio, fronte-retro, proprio come una lettera che giunge da lontano per raccontarci nuove terribili e affascinanti.

 Tutti gli imbustastorie hanno un tema specifico e le tre storie propongono dei racconti gotici e fantastici classici, sempre poco noti e molto ricercati, chicche per veri appassionati, nella solita splendida cornice grafica di Lorenzo Incarbone.

 Come sottolineo sempre, i libri Abeditore è un doppio piacere leggerli e averli perché il contenuto si sposa perfettamente all'estetica: un racconto può essere letto in un'antologia come tante altre e avere un sapore ed essere estratto da una busta, con illustrazioni e font d'epoca, e averne tutto un altro.

 Quello di un vero racconto di paura vittoriano, davanti a un camino in una sera d'inverno (con una tazza di cioccolata).

 

STORIE DI GUAPPI E FEMMINIELLI di Monica Florio, Guida Editori:

 Un piccolo saggio, molto interessante, avvistato a Più libri Più liberi, su due figure in qualche modo antitetiche dell'immaginario napoletano: i guappi e i femminielli.

 I primi sono l'espressione più orrendamente tossica di un modello patriarcale di prevaricazione e violenza, che pure nella memoria rimane talvolta paradossalmente come personaggio positivo, in grado di incarnare un certo desiderio di ordine.

 L'autrice sveste questi ricordi popolari positivi e riveste la figura della sua storia negativa e oscura, ancora non sopita in ambienti camorristici.

 Diversa, molto più antica e molto più affascinante, è invece la figura del femminiello, che affonda le sue radici nei miti nella Magna Grecia, con rituali (la figliata) e credenze (la fortuna) che ammantano questa figura della storia e dell'universo LGBT di un'unicità etnologica irripetibile e, spesso, ancora inafferrabile.


LA PASTASCIUTTA DEI CERVI di Marco Cerri, Viella Ed.:

 Ho scoperto l'usanza della pastasciutta antifascista al nord, dato che qua nel centro-sud non sia ancora particolarmente diffusa. Questo libro di Viella, uscito a Luglio 2023, racconta le origini di questo pasto condiviso, simbolo della resistenza.


 Il 25 luglio 1943, dopo la destituzione di Mussolini, i fratelli Cervi assieme ad altri antifascisti del posto, proposero una pastasciutta di festeggiamenti.

 Sul sito di Istoreco Reggio Emilia Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto Alcide Cervi, così spiega la nascita dell'usanza:

 "Mussolini era caduto il 25 luglio e i Fratelli Cervi lo avevano saputo stando sui campi, nelle ore successive. La risposta è stata questo dono, questa condivisione fra tutti. Una Festa, la pasta che nutre, la fiducia nel futuro. Qualsiasi cosa fosse accaduta, sarebbe stato questo sogno, questo legame tra la gente, cioè la democrazia, che avrebbe vinto sul buio di quei giorni. Cominciò così la Resistenza. I Cervi non videro il 25 aprile: alla fine di dicembre dello stesso anno furono fucilati a Reggio Emilia. Ma è rimasta la Pastasciutta, sono rimasti il loro sogno e l’idea di un mappamondo che appartiene all’umanità, non alla disumanità. Ci troveremo in tanti, insieme, con questo stesso sentimento di amore e di pace".

Il libro di Viella, scritto da Marco Cerri, racconta questa bella storia, da conoscere e diffondere, ovunque. 

 Perché ultimamente, a sinistra, sembriamo rifuggire l'immaginario, dimenticando molte cose sull'egemonia culturale e la memoria: si vive anche di simboli, di momenti, di condivisioni, di sogni.


VOSTRA BEFANA di Barbara Cuoghi e Elenia Beretta, Topipittori:

 Le feste natalizie non mi fanno impazzire, l'unico giorno per me veramente degno di nota è il 6 Gennaio, quando arriva la befana.

 Come sa chi segue il blog, per me Babbo Natale non è mai esistito, mi hanno sempre detto che era finto e che era un'invenzione degli americani, Santa Lucia nessuno me l'ha mai nominata e credo che tuttora i bambini del Lazio siano all'oscuro della sua figura, Gesù Bambino mai sentito portasse regali fino a quando sono stata adulta. 

 L'unica creatura fantastica preposta a farmi felice era la befana e in generale, a parte i doni e le calze di Piazza Navona che prendevano i miei nonni, a me della befana piaceva un po' tutto.

 Mi piaceva fosse un'anziana signora scorbutica e povera (precisamente "vestita alla romana" che nessuno ha mai saputo cosa volesse dire), che volasse su una scopa e che fosse molto irascibile (amava prenderti a scopettate). 

 Mi piaceva fosse una creatura misteriosa, senza un vero perché. Non aveva una connotazione religiosa, non aveva nessuna leggenda buona e neanche cattiva, non era rassicurante e nemmeno bonaria, non voleva farti nessuna morale, era un'anziana magica che una volta l'anno volava su una scopa per portare regali MA ANCHE carbone.

 Mi ricordo lo sconcerto, tutti gli anni, quando nelle calze piene di dolciumi di marche mai sentite, trovavo implacabilmente il carbone: come mi aveva scoperta? Come sapeva quello che combinavo?

 Da adulta, la amo ancora tantissimo e mi spiace che ci siano pochi libri a lei dedicati, sia per adulti che ne indaghino le origini folkloristiche, sia per bambini.

 Quest'anno a Più libri Più liberi ho visto il libro perfetto sulla befana: "Vostra befana" di Barbara Cuoghi e Eliana Beretta.

 Disegni e colori bellissimi, ma anche il contenuto è splendido. Racconta le origini antichissime di questa strega sopravvissuta al cattolicesimo, svela l'esistenza di tante colleghe europee e ovviamente spiega per filo e per segno cosa fa la notte del sei gennaio la befana nostra.

 Mille di questi libri, e mille anni ancora di befana!


DICONO CHE di Gilles Rochier e Daniel Casanave, Comicout:

 Come nascono un pettegolezzo, una diceria, una calunnia, una fake news?

Anni fa mi capitò la rara opportunità di cortocircuitare una “diceria”. Mentre svolgevo il tirocinio in un archivio romano, mi capitò di chiacchierare con due tizie che vi svolgevano uno di quei sottolavori sottopagati. Erano molto affrante dal fatto che si stesse per svolgere un concorso per archivista, ma si sapesse già il nome del vincitore, perché “si sa come vanno queste cose”.

 Con molta sorpresa scoprii che il concorso era nel mio paese e con ancor più grande sorpresa scoprii che la vincitrice sarei stata proprio io.

 Ci rimasi di sasso, anche perché peraltro non ne sapevo l'esistenza visto che, non avendo i titoli, non avrei potuto partecipare neanche volendo. Loro erano mortificate, ma io ero sconcertata che qualcuno che nemmeno sapevo chi fosse, dava per certo che avrei vinto un concorso di cui nemmeno sapevo l'esistenza.

 Dopo un iniziale momento di smarrimento, trovai la questione interessante perché non a tutti capita di cortocircuitare un pettegolezzo in questo modo.

 “Dicono che” di Gilles Rochier e Daniel Casanave racconta proprio il modo subdolo in cui le voci corrono, e da innocenti diventano devastanti, da insinuazioni diventano certezze, da una sciocchezza diventano una catastrofe. E anche quale parte possiamo giocare noi, nel fermarle e nel trasformarle in qualcosa di terribile.

 

giovedì 26 ottobre 2023

"LottoxMile". Una campagna fondi per aiutare un'amica: Milena Cannavacciolo, la fondatrice di LezPop

 Come saprà chi legge da anni questo blog, per molto tempo ho tenuto la rubrica dei libri su "LezPop".

 Sembrano passati eoni, ma era solo una decina di anni fa e questo sito fu letteralmente rivoluzionario per una generazione di lesbiche e oltre. 

 Era letteralmente la prima cosa online e non solo in cui anche noi lesbiche potevamo ridere, caxxeggiare, commentare serie tv assurde, spettegolare a vanvera (il famoso "vedo lesbiche ovunque"), rifuggendo da una serietà che ci stava monacalmente stretta.

 Eravamo finalmente anche noi Pop e c'era soprattutto un posto dove esserlo.

 Ho avuto la fortuna di far parte di quel posto. 

 All'inizio, come in tutti i migliori film americani, ero solo un'avida lettrice del sito quando mi trovavo a Bergamo, un paio di anni in cui ho passato molto tempo in casa e mi sono sentita molto sola. 

 Mi ricordo benissimo i pomeriggi passati a leggere LezPop, mi dava l'impressione che ci fosse un mondo molto vasto da scoprire, una marea di lesbiche lì fuori che non esistevano solo nelle chat o in discutibili film.   Ripeto, il messaggio più importante è che finalmente qualcuno ci stava dicendo che anche noi potevamo divertirci, e quel qualcuno era Milena Cannavacciuolo, l'ideatrice di LezPop e la sua anima.

 Poi, una volta a Milano, mi sono proposta per scrivere la rubrica dei libri (non potete capire 10 anni per trovare un libro a tematica lesbica che scavi bibliografici toccava fare) e ci siamo conosciute anche dal vivo, che per me (animo vintage) rimane sempre imprescindibile.

 Ora è per lei che scrivo questo post. Due anni fa mentre si trovava a Venezia per lavoro, ha avuto una grave emorragia cerebrale e ha riportato conseguenze importanti che richiedono lunghe cure riabilitative e assistenza.

 La compagna e le persone che si prendono cura di lei, assieme a lei ovviamente, hanno lanciato una campagna fondi per sostenere le spese. 

 Vi lascio il link alla campagna nel caso voleste contribuire. Ogni contributo è importante, anche la più piccola condivisione:

 LottoxMile RACCOLTA FONDI


 

mercoledì 11 ottobre 2023

Halloween a Roma! Cinque luoghi e due fondi librari per vivere Halloween nella città eterna, tra martiri, esoterismo, falsi duomi di Milano, piramidi e confraternite

 Qualche anno fa, scrissi un post sui luoghi halloweenosi milanesi.

 Milano, come molte città del nord, si presta secondo me molto più di Roma alle fantasmagorie, gli esoterismi o più banalmente all'autunno.

 Non so, il sole incessante che batte sulle ottobrate romane (ormai ottobrate nazionali) rende Roma una città poco incline al gotico, alle sottili inquietudini, ai fantasmi e alle ombre (almeno secondo me).

 Tuttavia, dopo qualche anno che ormai sono tornata a viverci, devo ammettere che qualcosina qui e lì l'ho scovata anche a Roma.

 Sono tutte cose abbastanza conosciute, ma non vorrei avere neanche l'occhio dell'autoctona che pensa tutt3 debbano conoscere tutt3 perché Roma caput mundi.

 Un paio di anni fa un post così lo avrei apprezzato anche io e spero di poterne fare nei prossimi anni tanti altri. 

 Ad ogni luogo sono legati un film e un libro che potrebbero conciliarne il ricordo.


SANTO STEFANO ROTONDO:
 
 Poco lontano dal Celio, vicino a villa Celimontana, sorge una Chiesa strana, poco battuta dai turisti non essendo su nessuna delle vie principali dove essi sciamano.

E’ una Chiesa circolare che sarebbe strano Pupi Avati non avesse mai visto prima di concepire “La casa dalle finestre che ridono”

 Per i colpevoli che non hanno ancora assaporato questo capolavoro, ambientato in quel luogo dal retrogusto terrificante che sa essere la pianura padana, sappiate che è coinvolta una chiesa dagli affreschi inquietanti e minacciosi.
 
 Ecco Santo Stefano Rotondo è la MADRE di tutte le chiese con affreschi inquietanti e minacciosi. Dimenticate le danze macabre, gli scheletri nordici che ti ricordano che qua si ride e si scherza, ma tanto dura poco, in confronto state contemplando un’avventura delle principesse Disney.
 
 Gli affreschi di Santo Stefano Rotondo avvolgono tutte le pareti di questa chiesa fortunatamente immune dal barocco correndo circolarmente come un carosello macabro.
 
 Ogni scena vede raffigurati una serie di martiri sanguinosissimi e a dir poco splatter che riempiono tutto lo spazio del riquadro su prospettive diverse. Tutto si può dire tranne che non vi fosse una perversa fantasia malata nella tortura e morte dei vari santi e martiri cristiani.
 
 Diciamo che chiunque abbia deciso di adornare una chiesa di immagini così gratuitamente violente e le mani che si sono prestate qualche domanda te la fanno venire. 

 Non sono i primi martiri che una persona nata e cresciuta in un paese come l’Italia vede in giro per chiese che traboccano corpi, pezzi di corpi e dipinti a tema, ma qui c’è un progetto d’insieme e un’omogeneità d’intenti che dona al complesso una dimensione a dir poco disturbante.
 
DA LEGGERE: "Almanacco dell'orrore popolare" di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni
DA VEDERE: "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati
 
LA PIRAMIDE CESTIA:
 
 Sono anni che sogno di entrare in questa Piramide, che non si capisce mai se sia davvero aperta al pubblico o meno. 

 Purtroppo per me la soprintendenza ha deciso di aprire a qualche sporadica visita nell’epoca degli stramaledetti influencer di Tik Tok, col risultato che si è avverato quello che dice un antico proverbio ovino delle mie parti: “Quando una pecora scopre il pascolo, poi tutte vogliono andarci”.

 Sperando che l’entusiasmo social si smorzi prima che la soprintendenza decida che non valga la pena continuare le visite (mai capito su quale base si muovano questi oscuri pensieri), posso intanto inserirla in questa lista halloweenosa.
 
 Forse non tutt3 sanno infatti che a Roma esiste una piramide, piccina in confronto alle altre piramidi, abbastanza vistosa se consideriamo che non siamo in Egitto. 

 Si erge, in modo abbastanza prevedibile, alla fermata della metro B Piramide e qualcuno del Comune ha anche pensato che fosse sensato piantarci delle palme vicino, in modo da rendere ancora più straniante il tutto.
 
 Si tratta della tomba di un ricco romano, Caio Cestio, che, alla fine del primo secolo avanti Cristo, impose agli eredi di erigere una piramide in suo onore entro 330 giorni dalla sua morte, pena la perdita dell’eredità. 

 L’eredità dovette essere un buon deterrente perché gli eredi, a cui darei seduta stante la direzione di una decina di enti pubblici, riuscirono nell’impresa.

 La Piramide è ovviamente perfetta per gli appassionati del genere horror in stile mummia e antichi monili egizi maledetti.
 
DA LEGGERE: "Lo scarabeo d'oro" di Edgar Allan Poe, Abeditore
DA VEDERE: "I predatori dell'arca perduta" di Steven Spielberg
 
IL CIMITERO ACATTOLICO:
 
 Lo so, lo so, è conosciutissimo, ma non si può non citare.

 Ai piedi della piramide Cestia c’è uno di quei posti che possono esistere solo in posti come la capitale, dove sono avvenuti fatti storici assurdi che hanno dato vita a luoghi altrettanto assurdi.
 
 Il cimitero acattolico nasce infatti per dar sepoltura ai protestanti, esuli inglesi della corte di re Giacomo Stuart (era anche detto, infatti, Cimitero degli inglesi). 

 Col tempo, in questo posto splendido che, pur trovandosi in una zona molto trafficata di Roma, mantiene un silenzio innaturale in mezzo a pratini verdeggianti, una colonia felina e l’ombra inconsueta della piramide, vi hanno trovato sepoltura molte personalità del mondo politico, artistico e letterario.
 
 Qui, in uno spazio raccolto che dà la dimensione di un piccolo paese rurale inglese, potete trovare le celeberrime tombe di Keats, Shelley, Gramsci, Togliatti e Camilleri. Ma ci sono anche attrici, politici, nobili, persone comuni che hanno fatto erigere statue splendide (che non posto perché le immagini sono tutelate).
 
 Un luogo da visitare col rispetto che si deve ai defunti, meglio se con una visita guidata.
 
DA LEGGERE: "L'antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters e "Guida ai cimiteri d'Europa" di Fabio Giovannini ed. Stampa Alternativa
DA VEDERE: "Zeder" di Pupi Avati
 
LA CHIESA DEL SACRO CUORE DEL SUFFRAGIO E IL MUSEO DELLE ANIME DEL PURGATORIO:
 
 Quando ero una giovanissima appassionata di Halloween
(io ho iniziato ad appassionarmi al liceo perché mi piacevano i racconti di fantasmi, l’atmosfera, l’autunno annessi e connessi) cercavo tracce halloweenose in quel di Roma attraverso ricerche liminari, sperando in vaghe tracce gotiche nella capitale.
 
 Niente. Roma è tante cose, ma non una città dove il gotico ha attecchito. Quindi l’unica chiesa segnalata era la Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, una piccola chiesetta vicino al palazzaccio, sul Lungotevere, che è una versione mignon del Duomo di Milano. 

 Si tratta in realtà di neogotico, un gotico fake, ottocentesco, e anche dentro imita lo stile in modo bisogna dire, un po’ artefatto, ma abbastanza riuscito.
 
 Quello che rende halloweenosissimo questo luogo però, è uno stanzino microscopico dove sono conservate una manciata di inquietanti testimonianze che proverrebbero dalle anime del purgatorio. E’ difficile non pensare che fossero tutti dei falsi, ma permane comunque una sottile inquietudine del passato, simile alle sensazioni ambivalenti che si provano davanti alle foto finte di epoca vittoriana.
 
 E’ tutto molto finto, ma in un certo senso comunicano un’inquietudine molto vera.
 
DA LEGGERE: "La donna in nero" di Susan Hill
DA VEDERE: "1921. Il mistero di Rookford" di Nick Murphy

CHIESA DI SANTA MARIA DELL'ORAZIONE E MORTE:

E' una chiesa vicino al Lungotevere che ho provato a visitare lo scorso anno trovandola sigh sigh chiusa.

 Pare che quest'anno abbia riaperto (voglio andarci prima della fine del mese) ed è promettente sin dagli inquietanti esterni in cui alcune colonne sono sormontate da teschi fioriti.

 Fu eretta nel '500 dalla confraternita dell'orazione e della morte che si occupava di seppellire i morti senza identità o abbandonati.

 Un tempo vi era annesso un piccolo cimitero che adesso non esiste più, ma permane una piccola cripta sotterranea.
Vorrei dirvi qualcosa di più, ma anche io appunto devo ancora visitarla, quindi sarà una scoperta anche per me!

DA LEGGERE: "Senza misericordia. Il «Trionfo della Morte» e la «Danza macabra» a Clusone" di Chiara Frugoni e Simone Facchinetti, ed. Einaudi
DA VEDERE: "The skeleton dance", Disney
 
IL FONDO VERGINELLI-ROTA:

 Mentre cercavo qualche biblioteca/archivio/fondo a tema magico-occulto -stregonesco ho scoperto un fondo librario che potrebbe fare al nostro caso.

 Da quel che ho evinto online (ergo da prendere con le pinze), una parte del fondo è conservato all'Accademia dei Lincei e un'altra all'Università di Roma Tre.

 Stiamo parlando del fondo Verginelli-Rota, una raccolta di manoscritti e testi alchemici ed ermetici raccolti da Vinci Verginelli e Nino Rota (sì, proprio il musicista).

 Stando ad un paio di cataloghi reperiti su internet (uno, "Bibliotheca Ermetica", lo trovate scansionato e a disposizione sul sito dell'Accademia dei Lincei, qui al link) la parte risalente ai secoli XV-XVIII è conservato all'Accademia dei Lincei, mentre la parte dei secoli XIX-XX si trova presso Roma Tre.

  Vorrei potervi dire di più, ma non conosco i fondi (e non sono neanche a conoscenza di quale sia la loro consultabilità, nel senso, il fatto che esistano non vuol dire automaticamente che siano accessibili), il sito dell'Università di Roma Tre, a proposito di questo fondo, chiamato "Fondo Myriam" dice: "2.500 volumi della biblioteca del “Circolo Virgiliano”, espressione romana del movimento ermetista fondato da Giuliano Kremmerz. Sono testi di religione, scienze occulte, esoterismo, mistica e astrologia.

 L'unica cosa che posso aggiungere è che il fondo prende vita dal lavoro congiunto di Nino Rota e di Vinci Verginelli, entrambi appassionati di ermetismo ed esoterismo.

 Più informazioni forse si potrebbero trovare in questo testo: "La biblioteca ermetica di Nino Rota. Il fondo Myriam dell'Università degli studi di Roma Tre alias Raccolta Verginelli di testi ermetici moderni (sec. XIX-XX)" di Pasquale Giaquinto,  Andrea Pacilli Editore.

DA LEGGERE: "Guida alla letteratura esoterica" di Claudio Asciuti ed. Odoya
DA VEDERE: "La nona porta" di Roman Polanski

sabato 7 ottobre 2023

I libri delle vacanze 2023! Parte II! Un libro malriuscito, "Il matematico indiano" di Leavitt, e un piccolo gioiello, "Quarantena" di Markaris

 Pian piano recupero tutte le recensioni delle letture estive (del resto siamo appena ad ottobre).

 In realtà ho in preparazione un post su luoghi halloweenosi romani che, se la domenica mi assiste, dovrebbe vedere la luce abbastanza presto.

 Intanto lancio almeno questo così mi porto avanti!

IL MATEMATICO INDIANO di DAVID LEAVITT (attualmente è edito da SEM, io l'ho letto in edizione Mondadori):

 Romanzo basato sulla vita del matematico indiano Srinivasa Ramanujan vista con gli occhi del suo mentore inglese Godfrey Harold Hardy.

 La storia, molto insolita e interessante, aveva effettivamente il potenziale per ricavarne un libro e grazie a questo potenziale regge nonostante il romanzo sia lungo, farraginoso e manchi totalmente della brillantezza e dello struggimento che rendono belli i romanzi e i racconti di Leavitt.
 
 Siamo a Cambridge, anni ’30. Godfrey Harold Hardy è un grande matematico che ci introduce con una dovizia di particolari spaventosamente noiosa all’élite culturale universitaria, dove grandi menti si dedicano spesso a passioni omosessuali come intrattenimento (credo in una sorta di emulazione ben riuscita del rapporto amante/amato di ispirazione greca, in cui si aveva il retropensiero che attraverso relazioni omosessuali fisiche si avesse una crescita spirituale e intellettuale).

Un giorno ad Hardy arriva la lettera di 
Srinivasa Ramanujan, un matematico indiano ventenne autodidatta che si rivela essere un genio e smuove mari e monti per farlo arrivare a Cambridge. 

 Qui Leavitt fa entrare in gioco una serie di personaggi inventati, soprattutto femminili, di cui non ci libereremo per il resto della storia e che ruberanno una quantità impressionante di inutili pagine all'argomento principale.
 
 Ramanujan in Inghilterra si dedica alla matematica, ma la fonte di tutti i problemi e l’ossessione del libro è in realtà la sua dieta vegetariana.

 Ve lo giuro, ci sono più pagine dedicate al vegetarianesimo e ai complessi modi per cucinare piatti vegetariani (in pentole poco consone che causeranno a Ramanujan l’avvelenamento da piombo che lo ucciderà e di cui nessuno si accorgerà) in un paese carnivoro e gorgogliante grasso animale come il Regno Unito, che al mondo della matematica.
 
 La cosa peggiore rimane comunque la menzogna in quarta di copertina, dove viene promessa una tormentata storia d’amore tra i due matematici che NON ESISTE.

  Cioè, non è che l’autore se l'è inventata, non esiste proprio all’interno del libro. Non succede niente tra i due, manco un flirt, manco un timido pensiero sfuggente, manco un sogno, uno sguardo, uno sfioramento di mani. NIENTE.
 
 Hardy è vagamente attratto, ma come sembra attratto da tutti gli uomini piacenti. Ramanujan invece sembra completamente disinteressato alle avances ambosessi (perché le uniche avances palesi che riceverà peraltro saranno da una donna) perché col pensiero fisso alla giovane moglie indiana rimasta in patria che per anni non gli scrive mezzo rigo.
 
 Ne avevo sentito parlare male ed effettivamente è un libro che spreca tantissime occasioni. 

 Non racconta bene la storia di nessuno dei due matematici, non restituisce bene il contesto, inventa personaggi di cui nessuno sentiva la necessità e alla fine parla poco anche del lavoro dei due matematici, spendendo invece decine di pagine sulla preparazione del cibo al tamarindo. Lasciate stare.

 
 QUARANTENA di PETROS MARKARIS ed. La Nave di Teseo:
 
 Ultimamente Markaris inizia a perdere qualche colpo.

 Soffre un po’ della sindrome di Camilleri: iperproduce (forse perché sente il tempo scadere) e le trame si somigliano tutte, tanto che la cosa migliore delle storie sono le vicende personali dei personaggi.
 
Quello che rimane eccezionale e costante nei suoi libri è per l’attenzione ai temi contemporanei.

 I romanzi di Markaris non sono ambientati in un contesto storico vago, i romanzi di Markaris avvengono ORA e non ignorano crisi politiche, economiche, migratorie e sociali. 

 Ci sono i poveri, i barboni, gli impiegati, la gente che non arriva a fine mese, i sobborghi, gli immigrati, regolari e clandestini. 

 Nessuno è necessariamente buono né cattivo, tutti sono ciò che il presente li ha portati ad essere nell’ambito delle loro possibilità. 

 Essere barbone o povero o clandestino non è un ruolo artificiale comodo per lo sviluppo della storia, ma una condizione dell’essere umano meritevole di trovare rappresentazione.
 
 “Quarantena” è in questo caso un piccolo gioiello: una raccolta di racconti, quasi tutti ambientati nell’universo del commissario Charitos (talvolta è protagonista, altre appare come forza dell’ordine liminare nelle vite dei protagonisti) durante il periodo del Covid.
 
 Indagini fatte da remoto a causa del Covid, si intersecano ad emigranti passati e presenti e a quel mondo che non poteva “stare in casa”. 

 Sono ben due infatti i racconti che hanno per protagonisti dei clochard (e uno mi ha pure spiegato cosa succede quotidianamente ai cassonetti sotto casa mia e a quella specie di mercato improvvisato sotto il palazzo di ACEA alla stazione Ostiense).
 
 Assolutamente da recuperare. Io poi me lo sono gustato a Creta ingozzandomi di dolcetti al miele, quindi la condizione più ideale di tutte, ma rendono anche sul divano di casa, assicuro.
 

mercoledì 20 settembre 2023

Dove siamo finiti tutti? Una recensione di "Doveva essere il nostro momento" di Eleonora Caruso, tra colpe che è ora di prenderci, pensiero magico e sette in cui non sappiamo di vivere

 Anni fa, prima che Eleonora Caruso pubblicasse “Le ferite originali”, scrissi una recensione sul suo primo libro: "Comunque vada non importa", Indiana Editore.

 Il titolo del post “Dove eravate tutti” era risposta e domanda che veniva da una storia in cui finalmente qualcuno raccontava con una dose di verità l’adolescenza e la giovinezza di quella che pensavo e tuttora penso essere una parte consistente della società italiana: i millennial nati non benestanti.

 I non benestanti non sono “i poveri”, categoria invece amatissima da scrittori, registi e sceneggiatori che, quando non si occupano di gente che ha accatastato almeno 7 immobili di pregio, amano ravanare in vicende sulle soglie dell’indigenza, anzi peggio, dell’indigenza come se la immaginano.

 I non benestanti sono quella parte di società, di cui io anche ho fatto e faccio parte (ora non ho nessun immobile accatastato, comunque) e che prevedeva genitori lavoratori, ma senza aiuti, provenienti da un hummus sociale assolutamente non degradato, ma che già vedeva con difficoltà l’acquisto di libri per la scuola, scarpe nuove e l'affitto.

 Sono quella fascia sociale che è esistita, esiste, ma se ne parla poco da qualche decennio a questa parte, come se di colpo fossimo tutti diventati benestanti, non esistessero più le difficoltà finanziarie, fossero stati appianati i limiti economici, dalle cure allo studio, e lo stato del benessere potesse essere misurato su soli criteri fenotipici (che non a caso sono quelli che interessano gli ossessionati dalla fuga dal ceto sociale come vergogna e rivalsa, aka tutti quegli inutili orrori trapper, che oh sarò vecchia, ma voglio essere libera di dire che mi fanno schifo), come la macchina, il vestiario e le vacanze in posti esotici.

 Esistono i benestanti ed esistono gli indigenti, tutti gli altri sono spariti.

 Questa premessa è doverosa per capire questo libro che è estremamente generazionale, nei deliberati intenti, nel titolo, nello svolgimento e financo nel finale e conferma la domanda che feci nel titolo del post tanti anni fa.

Se prima mi chiedevo “Dove eravate tutti?”, ora mi chiedo “Dove siamo finiti tutti?” a livello di rappresentazione sociale, politica, letteraria e artistica.

Con “Doveva essere il nostro momento” Eleonora Caruso cerca di colmare ancora una volta questo vuoto.

 I trentenni (ormai talvolta quasi quarantenni) che leggiamo e vediamo su Netflix non siamo quasi mai noi.
 Non abbiamo quelle case, non abbiamo quei lavori e se anche li abbiamo non possediamo mai le disponibilità economiche mostrate perché gli stipendi sono irrisori anche a fronte di lavori iperqualificati, anzi, spesso in campo umanistico più sono iperqualificati, peggio sono pagati.

 I protagonisti del libro, che sono tre, rappresentano in tre diverse forme la pessima deriva di una generazione, quella dei millennial, nata con alcuni ottimi propositi inculcati con una certa veemenza sin dall’asilo: la pace nel mondo, l’uguaglianza, la fratellanza tra i popoli.

 Questi propositi sono diventati molesti a livello geopolitico all’altezza dei primi anni 2000, quando si sono intersecati con le crisi migratorie e una "globalizzazione" che in realtà era solo sinonimo di liberismo sfrenato e regolamentato in cui ingoiare alla cieca tutto il mondo.

 I ggggiovani non possono ricordarlo, ma noi non eravamo così. La gente già moriva in mare, ma non c’era l’idea che se lo meritassero e anzi c’era una certa propensione a volerlo affrontare questo problema, anche criticando il modello economico proposto.

 Poi catastrofi a catena. Genova, (ma non solo, Genova è stata la punta dell’iceberg della demonizzazione di un intero movimento politico e di pensiero), l’11 settembre, la crisi economica del 2008 e l’immissione pervicace di contratti precari sempre più fantasiosi e privi di diritti.

 Se ti trovi a 25 anni con una laurea e nel mentre ti hanno cambiato le regole sotto i piedi, la professione per cui hai studiato è sparita e il massimo che ti propongono per campare sono 300 euro di rimborso spese per 40h di lavoro, hai molto altro a cui pensare.

 Eppure, non sono giustificazioni perché è necessario ammettere che abbiamo solo subito e non abbiamo mai agito. 
 Abbiamo permesso che ci facessero tutto questo senza protestare, attendendo un immaginario turno che non esisteva, insultati da generazioni precedenti che avevano ottenuto con molto meno, incredibilmente di più.

 Insomma, siamo diventati una generazione che non ha saputo trasformare la rabbia in una protesta generativa, ma ha finito per soccombere a un livore tanto livido, quanto inutile. 

 Regà, ce la possiamo raccontare come ci pare, anche io dovevo portare la pagnotta a casa per vivere, ma il disinteresse per la politica istituzionale e il vivere tutto come un affronto e mai come un “ora mi sono rotto e FACCIO qualcosa che cambi le cose” è innegabile.

 Finalmente un libro racconta TUTTO questo: le nostre colpe generazionali, i tradimenti che abbiamo subito, la nostra incapacità di farvi fronte preferendo rifugiarci in una sorta di pensiero magico pericolosissimo in un eterno ritorno all’unico periodo carico di promesse che abbiamo vissuto: l’adolescenza.
 
 I protagonisti del libro, come dicevo, sarebbero 3, ma il protagonista vero è Leo, un millennial talmente tipico che ne conoscerete a bizzeffe anche voi, se non siete voi.

  Famiglia troppo modesta per riuscire a diventare un meme del Corriere della Sera in cui si spiega come con 10 euro (e 10 milioni di euro del papi) si è costruita la propria azienda, si è diligentemente laureato per finire in quella che Eleonora Caruso definisce il posto dove sono finite le migliori menti della nostra generazione: le agenzie di comunicazione di Milano.

 Lì, ha subìto quello che abbiamo subito in tanti (me compresa): si è bruciato a causa dell’superlavoro, dell’insensatezza ad esso connessa, dell’inutilità di un sistema che nutre idoli social che muoiono nel giro di qualche anno.  

 La storia prende le mosse dalla decisione di Leo di partire per la Sicilia alla ricerca di un suo vecchio amico, Simone, finito in una strana setta composta da millennial che hanno deciso di vivere come negli anni ’80-’90. 

 Vedono solo programmi e film di quegli anni, leggono fumetti e libri pubblicati fino a quel momento lì, tengono gruppi di lettura su “No logo” di Naomi Klein e ovviamente non hanno social, internet e tecnologia annessa e connessa posteriore al 2001.

 Il capo della setta è il misterioso Zan, un ex moderatore di contenuti social, lavoro che sfonda la distopia (ed esiste sul serio, ne avevo già letto su “La valle oscura” di Anna Wiener) e prevede che degli esseri umani guardino in loop video che non rispettano gli standard dei social (violenti, pornografici, pedopornografici, incidenti auto ecc) per poter nutrire l’algoritmo con i giusti input di discernimento (che a noi piace pensare ad esempio che le AI pensino, ma siamo noi che le nutriamo).

 Devastato da questa esperienza e comprensibilmente certo che tutto ciò che è accaduto dopo il 2001 sia da depennare come la catastrofe e il male, ha fondato questa setta in Sicilia. 

 Leo ci rimane qualche mese finché, a un certo punto capisce che è il momento di partire e se ne va per tornare al nord.

 Si unisce a lui Cloro, un’ex influencer bambina che, una volta cresciuta, non sta riuscendo a mantenere gli standard richiesti dai social e sta vedendo la sua stella declinare. 

 Completamente bruciata da un’esistenza sovraesposta, ha più strumenti per capire il mondo virtuale di quello reale, nel quale si muove a caso, con affanno e senza mai riuscire a decodificare realmente persone, rapporti e contesti.

 La storia, tra flashback personali e sulla setta, si svolge nel loro viaggio on the road dalla Sicilia alla Lombardia alle soglie del lockdown. Menzione d’onore peraltro ad un uso sensato a livello narrativo del Covid, evento che sembra praticamente non essere esistito, esattamente come la generazione dei millennial.

 Il romanzo, al netto della sua trama, finalmente dice quello che onestamente sono anni che spero qualcuno dica fuori dalla mia testa sulla nostra generazione, sui suoi sbagli, le sue paturnie, le sue inutili ironie social che sono tanto appaganti personalmente, ma assolutamente inutili a livello politico e collettivo.

 Racconta di venti anni perduti, in cui “doveva essere il nostro momento” e siamo solo riusciti a intraprendere una variante allucinogena della perdizione delle generazioni precedenti.

 Se genitori e (ormai talvolta anche i nonni) non sono riusciti effettivamente a cambiare il mondo è stato per quell’effetto Venditti che canta: “Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o lavori in banca pure tu?”.  
 Per dirla meglio: il sistema li ha assorbiti e da incendiari si sono fatti pompieri custodi dell’ordine.

 Ma la nostra generazione non ha fatto neanche quello. 
 Il nostro momento è passato e non lavoriamo neanche in banca, il sistema non ci ha assorbito perché gli costa molto meno opprimerci e sfruttarci, tanto stiamo zitti, maciniamo livore e non diciamo niente.

 Non siamo diventati socialmente e politicamente adulti, siamo ancora lì, nell’adolescenza ipertrofica che non riusciamo ad abbandonare.

 C’è un momento per me chiave nel romanzo che sembra quasi passare inosservato, ma per me dice tutto. 
 Leo sta per andare via dalla setta e va in cerca di Simone che sta tenendo un gruppo di lettura su “No logo”.
 Leo lo vede e Caruso scrive: 
"Potendo farlo, ognuno tornerebbe al punto della propria storia in cui è stato più felice. Per Simone quel punto era il liceo nel 2001, nonostante tutto, la foto di classe in cui indossavano la kefiah e i tentativi fatti di convincere sua madre a mandarlo a Genova per il G8. Diceva sempre che non esserci stato era il suo più grande rimpianto. Come si potesse rimpiangere di non essere stati torturati nella palestra di una scuola era un mistero per Leo, ma che ne capiva lui?"
 Ecco, siamo mentalmente incollati a quel momento, il più felice della nostra vita, quello in cui tutte le promesse tradite sono ancora intatte. 

 E rimaniamo aggrappati alla nostra adolescenza di fine anni ’90 in un loop eterno che ha molto a che vedere col pensiero magico di Didion: un giorno, sembriamo dirci, tornerà quel momento, quell’esatto momento, e noi saremo felici.

 Il capitalismo l’ha capita questa cosa, e per tenerci buoni ci nutre di quest’illusione proponendoci solo il passato (merendine che tornano sugli scaffali, serie tv rifatte in mille salse, cinema che non inventa niente di nuovo): vieni, illuditi di poter tornare al momento più felice della tua vita e intanto, mi raccomando, non dare mai fastidio perché l’importante non è cambiare il mondo, ma aspettare supinamente la fine del mondo in cui non ti riconosci.

 Siamo nella setta di Zan ed era ora che qualcuno lo dicesse.


Ps. Sono perfettamente conscia che non è che siamo stati del tutto inermi e alcune cose, con le nostre possibilità, le abbiamo fatte. Tuttavia credo sia necessario ammettere tutto quello che NON abbiamo fatto e che ci ha portato ad accettare cose inaccettabili: lavorare senza essere pagati, contratti che avrebbero meritato le barricate, incapacità di incidere sulla politica istituzionale perché per vedere un* millennial che conta qualcosa in politica abbiamo dovuto aspettare il colpo di mano di Schlein all'alba del 2023. Se non partiamo dalla consapevolezza del fatto che "doveva essere il nostro momento" e non lo è stato anche per colpa nostra, non ne usciremo MAI.

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