giovedì 26 ottobre 2023

"LottoxMile". Una campagna fondi per aiutare un'amica: Milena Cannavacciolo, la fondatrice di LezPop

 Come saprà chi legge da anni questo blog, per molto tempo ho tenuto la rubrica dei libri su "LezPop".

 Sembrano passati eoni, ma era solo una decina di anni fa e questo sito fu letteralmente rivoluzionario per una generazione di lesbiche e oltre. 

 Era letteralmente la prima cosa online e non solo in cui anche noi lesbiche potevamo ridere, caxxeggiare, commentare serie tv assurde, spettegolare a vanvera (il famoso "vedo lesbiche ovunque"), rifuggendo da una serietà che ci stava monacalmente stretta.

 Eravamo finalmente anche noi Pop e c'era soprattutto un posto dove esserlo.

 Ho avuto la fortuna di far parte di quel posto. 

 All'inizio, come in tutti i migliori film americani, ero solo un'avida lettrice del sito quando mi trovavo a Bergamo, un paio di anni in cui ho passato molto tempo in casa e mi sono sentita molto sola. 

 Mi ricordo benissimo i pomeriggi passati a leggere LezPop, mi dava l'impressione che ci fosse un mondo molto vasto da scoprire, una marea di lesbiche lì fuori che non esistevano solo nelle chat o in discutibili film.   Ripeto, il messaggio più importante è che finalmente qualcuno ci stava dicendo che anche noi potevamo divertirci, e quel qualcuno era Milena Cannavacciuolo, l'ideatrice di LezPop e la sua anima.

 Poi, una volta a Milano, mi sono proposta per scrivere la rubrica dei libri (non potete capire 10 anni per trovare un libro a tematica lesbica che scavi bibliografici toccava fare) e ci siamo conosciute anche dal vivo, che per me (animo vintage) rimane sempre imprescindibile.

 Ora è per lei che scrivo questo post. Due anni fa mentre si trovava a Venezia per lavoro, ha avuto una grave emorragia cerebrale e ha riportato conseguenze importanti che richiedono lunghe cure riabilitative e assistenza.

 La compagna e le persone che si prendono cura di lei, assieme a lei ovviamente, hanno lanciato una campagna fondi per sostenere le spese. 

 Vi lascio il link alla campagna nel caso voleste contribuire. Ogni contributo è importante, anche la più piccola condivisione:

 LottoxMile RACCOLTA FONDI


 

mercoledì 11 ottobre 2023

Halloween a Roma! Cinque luoghi e due fondi librari per vivere Halloween nella città eterna, tra martiri, esoterismo, falsi duomi di Milano, piramidi e confraternite

 Qualche anno fa, scrissi un post sui luoghi halloweenosi milanesi.

 Milano, come molte città del nord, si presta secondo me molto più di Roma alle fantasmagorie, gli esoterismi o più banalmente all'autunno.

 Non so, il sole incessante che batte sulle ottobrate romane (ormai ottobrate nazionali) rende Roma una città poco incline al gotico, alle sottili inquietudini, ai fantasmi e alle ombre (almeno secondo me).

 Tuttavia, dopo qualche anno che ormai sono tornata a viverci, devo ammettere che qualcosina qui e lì l'ho scovata anche a Roma.

 Sono tutte cose abbastanza conosciute, ma non vorrei avere neanche l'occhio dell'autoctona che pensa tutt3 debbano conoscere tutt3 perché Roma caput mundi.

 Un paio di anni fa un post così lo avrei apprezzato anche io e spero di poterne fare nei prossimi anni tanti altri. 

 Ad ogni luogo sono legati un film e un libro che potrebbero conciliarne il ricordo.


SANTO STEFANO ROTONDO:
 
 Poco lontano dal Celio, vicino a villa Celimontana, sorge una Chiesa strana, poco battuta dai turisti non essendo su nessuna delle vie principali dove essi sciamano.

E’ una Chiesa circolare che sarebbe strano Pupi Avati non avesse mai visto prima di concepire “La casa dalle finestre che ridono”

 Per i colpevoli che non hanno ancora assaporato questo capolavoro, ambientato in quel luogo dal retrogusto terrificante che sa essere la pianura padana, sappiate che è coinvolta una chiesa dagli affreschi inquietanti e minacciosi.
 
 Ecco Santo Stefano Rotondo è la MADRE di tutte le chiese con affreschi inquietanti e minacciosi. Dimenticate le danze macabre, gli scheletri nordici che ti ricordano che qua si ride e si scherza, ma tanto dura poco, in confronto state contemplando un’avventura delle principesse Disney.
 
 Gli affreschi di Santo Stefano Rotondo avvolgono tutte le pareti di questa chiesa fortunatamente immune dal barocco correndo circolarmente come un carosello macabro.
 
 Ogni scena vede raffigurati una serie di martiri sanguinosissimi e a dir poco splatter che riempiono tutto lo spazio del riquadro su prospettive diverse. Tutto si può dire tranne che non vi fosse una perversa fantasia malata nella tortura e morte dei vari santi e martiri cristiani.
 
 Diciamo che chiunque abbia deciso di adornare una chiesa di immagini così gratuitamente violente e le mani che si sono prestate qualche domanda te la fanno venire. 

 Non sono i primi martiri che una persona nata e cresciuta in un paese come l’Italia vede in giro per chiese che traboccano corpi, pezzi di corpi e dipinti a tema, ma qui c’è un progetto d’insieme e un’omogeneità d’intenti che dona al complesso una dimensione a dir poco disturbante.
 
DA LEGGERE: "Almanacco dell'orrore popolare" di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni
DA VEDERE: "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati
 
LA PIRAMIDE CESTIA:
 
 Sono anni che sogno di entrare in questa Piramide, che non si capisce mai se sia davvero aperta al pubblico o meno. 

 Purtroppo per me la soprintendenza ha deciso di aprire a qualche sporadica visita nell’epoca degli stramaledetti influencer di Tik Tok, col risultato che si è avverato quello che dice un antico proverbio ovino delle mie parti: “Quando una pecora scopre il pascolo, poi tutte vogliono andarci”.

 Sperando che l’entusiasmo social si smorzi prima che la soprintendenza decida che non valga la pena continuare le visite (mai capito su quale base si muovano questi oscuri pensieri), posso intanto inserirla in questa lista halloweenosa.
 
 Forse non tutt3 sanno infatti che a Roma esiste una piramide, piccina in confronto alle altre piramidi, abbastanza vistosa se consideriamo che non siamo in Egitto. 

 Si erge, in modo abbastanza prevedibile, alla fermata della metro B Piramide e qualcuno del Comune ha anche pensato che fosse sensato piantarci delle palme vicino, in modo da rendere ancora più straniante il tutto.
 
 Si tratta della tomba di un ricco romano, Caio Cestio, che, alla fine del primo secolo avanti Cristo, impose agli eredi di erigere una piramide in suo onore entro 330 giorni dalla sua morte, pena la perdita dell’eredità. 

 L’eredità dovette essere un buon deterrente perché gli eredi, a cui darei seduta stante la direzione di una decina di enti pubblici, riuscirono nell’impresa.

 La Piramide è ovviamente perfetta per gli appassionati del genere horror in stile mummia e antichi monili egizi maledetti.
 
DA LEGGERE: "Lo scarabeo d'oro" di Edgar Allan Poe, Abeditore
DA VEDERE: "I predatori dell'arca perduta" di Steven Spielberg
 
IL CIMITERO ACATTOLICO:
 
 Lo so, lo so, è conosciutissimo, ma non si può non citare.

 Ai piedi della piramide Cestia c’è uno di quei posti che possono esistere solo in posti come la capitale, dove sono avvenuti fatti storici assurdi che hanno dato vita a luoghi altrettanto assurdi.
 
 Il cimitero acattolico nasce infatti per dar sepoltura ai protestanti, esuli inglesi della corte di re Giacomo Stuart (era anche detto, infatti, Cimitero degli inglesi). 

 Col tempo, in questo posto splendido che, pur trovandosi in una zona molto trafficata di Roma, mantiene un silenzio innaturale in mezzo a pratini verdeggianti, una colonia felina e l’ombra inconsueta della piramide, vi hanno trovato sepoltura molte personalità del mondo politico, artistico e letterario.
 
 Qui, in uno spazio raccolto che dà la dimensione di un piccolo paese rurale inglese, potete trovare le celeberrime tombe di Keats, Shelley, Gramsci, Togliatti e Camilleri. Ma ci sono anche attrici, politici, nobili, persone comuni che hanno fatto erigere statue splendide (che non posto perché le immagini sono tutelate).
 
 Un luogo da visitare col rispetto che si deve ai defunti, meglio se con una visita guidata.
 
DA LEGGERE: "L'antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters e "Guida ai cimiteri d'Europa" di Fabio Giovannini ed. Stampa Alternativa
DA VEDERE: "Zeder" di Pupi Avati
 
LA CHIESA DEL SACRO CUORE DEL SUFFRAGIO E IL MUSEO DELLE ANIME DEL PURGATORIO:
 
 Quando ero una giovanissima appassionata di Halloween
(io ho iniziato ad appassionarmi al liceo perché mi piacevano i racconti di fantasmi, l’atmosfera, l’autunno annessi e connessi) cercavo tracce halloweenose in quel di Roma attraverso ricerche liminari, sperando in vaghe tracce gotiche nella capitale.
 
 Niente. Roma è tante cose, ma non una città dove il gotico ha attecchito. Quindi l’unica chiesa segnalata era la Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, una piccola chiesetta vicino al palazzaccio, sul Lungotevere, che è una versione mignon del Duomo di Milano. 

 Si tratta in realtà di neogotico, un gotico fake, ottocentesco, e anche dentro imita lo stile in modo bisogna dire, un po’ artefatto, ma abbastanza riuscito.
 
 Quello che rende halloweenosissimo questo luogo però, è uno stanzino microscopico dove sono conservate una manciata di inquietanti testimonianze che proverrebbero dalle anime del purgatorio. E’ difficile non pensare che fossero tutti dei falsi, ma permane comunque una sottile inquietudine del passato, simile alle sensazioni ambivalenti che si provano davanti alle foto finte di epoca vittoriana.
 
 E’ tutto molto finto, ma in un certo senso comunicano un’inquietudine molto vera.
 
DA LEGGERE: "La donna in nero" di Susan Hill
DA VEDERE: "1921. Il mistero di Rookford" di Nick Murphy

CHIESA DI SANTA MARIA DELL'ORAZIONE E MORTE:

E' una chiesa vicino al Lungotevere che ho provato a visitare lo scorso anno trovandola sigh sigh chiusa.

 Pare che quest'anno abbia riaperto (voglio andarci prima della fine del mese) ed è promettente sin dagli inquietanti esterni in cui alcune colonne sono sormontate da teschi fioriti.

 Fu eretta nel '500 dalla confraternita dell'orazione e della morte che si occupava di seppellire i morti senza identità o abbandonati.

 Un tempo vi era annesso un piccolo cimitero che adesso non esiste più, ma permane una piccola cripta sotterranea.
Vorrei dirvi qualcosa di più, ma anche io appunto devo ancora visitarla, quindi sarà una scoperta anche per me!

DA LEGGERE: "Senza misericordia. Il «Trionfo della Morte» e la «Danza macabra» a Clusone" di Chiara Frugoni e Simone Facchinetti, ed. Einaudi
DA VEDERE: "The skeleton dance", Disney
 
IL FONDO VERGINELLI-ROTA:

 Mentre cercavo qualche biblioteca/archivio/fondo a tema magico-occulto -stregonesco ho scoperto un fondo librario che potrebbe fare al nostro caso.

 Da quel che ho evinto online (ergo da prendere con le pinze), una parte del fondo è conservato all'Accademia dei Lincei e un'altra all'Università di Roma Tre.

 Stiamo parlando del fondo Verginelli-Rota, una raccolta di manoscritti e testi alchemici ed ermetici raccolti da Vinci Verginelli e Nino Rota (sì, proprio il musicista).

 Stando ad un paio di cataloghi reperiti su internet (uno, "Bibliotheca Ermetica", lo trovate scansionato e a disposizione sul sito dell'Accademia dei Lincei, qui al link) la parte risalente ai secoli XV-XVIII è conservato all'Accademia dei Lincei, mentre la parte dei secoli XIX-XX si trova presso Roma Tre.

  Vorrei potervi dire di più, ma non conosco i fondi (e non sono neanche a conoscenza di quale sia la loro consultabilità, nel senso, il fatto che esistano non vuol dire automaticamente che siano accessibili), il sito dell'Università di Roma Tre, a proposito di questo fondo, chiamato "Fondo Myriam" dice: "2.500 volumi della biblioteca del “Circolo Virgiliano”, espressione romana del movimento ermetista fondato da Giuliano Kremmerz. Sono testi di religione, scienze occulte, esoterismo, mistica e astrologia.

 L'unica cosa che posso aggiungere è che il fondo prende vita dal lavoro congiunto di Nino Rota e di Vinci Verginelli, entrambi appassionati di ermetismo ed esoterismo.

 Più informazioni forse si potrebbero trovare in questo testo: "La biblioteca ermetica di Nino Rota. Il fondo Myriam dell'Università degli studi di Roma Tre alias Raccolta Verginelli di testi ermetici moderni (sec. XIX-XX)" di Pasquale Giaquinto,  Andrea Pacilli Editore.

DA LEGGERE: "Guida alla letteratura esoterica" di Claudio Asciuti ed. Odoya
DA VEDERE: "La nona porta" di Roman Polanski

sabato 7 ottobre 2023

I libri delle vacanze 2023! Parte II! Un libro malriuscito, "Il matematico indiano" di Leavitt, e un piccolo gioiello, "Quarantena" di Markaris

 Pian piano recupero tutte le recensioni delle letture estive (del resto siamo appena ad ottobre).

 In realtà ho in preparazione un post su luoghi halloweenosi romani che, se la domenica mi assiste, dovrebbe vedere la luce abbastanza presto.

 Intanto lancio almeno questo così mi porto avanti!

IL MATEMATICO INDIANO di DAVID LEAVITT (attualmente è edito da SEM, io l'ho letto in edizione Mondadori):

 Romanzo basato sulla vita del matematico indiano Srinivasa Ramanujan vista con gli occhi del suo mentore inglese Godfrey Harold Hardy.

 La storia, molto insolita e interessante, aveva effettivamente il potenziale per ricavarne un libro e grazie a questo potenziale regge nonostante il romanzo sia lungo, farraginoso e manchi totalmente della brillantezza e dello struggimento che rendono belli i romanzi e i racconti di Leavitt.
 
 Siamo a Cambridge, anni ’30. Godfrey Harold Hardy è un grande matematico che ci introduce con una dovizia di particolari spaventosamente noiosa all’élite culturale universitaria, dove grandi menti si dedicano spesso a passioni omosessuali come intrattenimento (credo in una sorta di emulazione ben riuscita del rapporto amante/amato di ispirazione greca, in cui si aveva il retropensiero che attraverso relazioni omosessuali fisiche si avesse una crescita spirituale e intellettuale).

Un giorno ad Hardy arriva la lettera di 
Srinivasa Ramanujan, un matematico indiano ventenne autodidatta che si rivela essere un genio e smuove mari e monti per farlo arrivare a Cambridge. 

 Qui Leavitt fa entrare in gioco una serie di personaggi inventati, soprattutto femminili, di cui non ci libereremo per il resto della storia e che ruberanno una quantità impressionante di inutili pagine all'argomento principale.
 
 Ramanujan in Inghilterra si dedica alla matematica, ma la fonte di tutti i problemi e l’ossessione del libro è in realtà la sua dieta vegetariana.

 Ve lo giuro, ci sono più pagine dedicate al vegetarianesimo e ai complessi modi per cucinare piatti vegetariani (in pentole poco consone che causeranno a Ramanujan l’avvelenamento da piombo che lo ucciderà e di cui nessuno si accorgerà) in un paese carnivoro e gorgogliante grasso animale come il Regno Unito, che al mondo della matematica.
 
 La cosa peggiore rimane comunque la menzogna in quarta di copertina, dove viene promessa una tormentata storia d’amore tra i due matematici che NON ESISTE.

  Cioè, non è che l’autore se l'è inventata, non esiste proprio all’interno del libro. Non succede niente tra i due, manco un flirt, manco un timido pensiero sfuggente, manco un sogno, uno sguardo, uno sfioramento di mani. NIENTE.
 
 Hardy è vagamente attratto, ma come sembra attratto da tutti gli uomini piacenti. Ramanujan invece sembra completamente disinteressato alle avances ambosessi (perché le uniche avances palesi che riceverà peraltro saranno da una donna) perché col pensiero fisso alla giovane moglie indiana rimasta in patria che per anni non gli scrive mezzo rigo.
 
 Ne avevo sentito parlare male ed effettivamente è un libro che spreca tantissime occasioni. 

 Non racconta bene la storia di nessuno dei due matematici, non restituisce bene il contesto, inventa personaggi di cui nessuno sentiva la necessità e alla fine parla poco anche del lavoro dei due matematici, spendendo invece decine di pagine sulla preparazione del cibo al tamarindo. Lasciate stare.

 
 QUARANTENA di PETROS MARKARIS ed. La Nave di Teseo:
 
 Ultimamente Markaris inizia a perdere qualche colpo.

 Soffre un po’ della sindrome di Camilleri: iperproduce (forse perché sente il tempo scadere) e le trame si somigliano tutte, tanto che la cosa migliore delle storie sono le vicende personali dei personaggi.
 
Quello che rimane eccezionale e costante nei suoi libri è per l’attenzione ai temi contemporanei.

 I romanzi di Markaris non sono ambientati in un contesto storico vago, i romanzi di Markaris avvengono ORA e non ignorano crisi politiche, economiche, migratorie e sociali. 

 Ci sono i poveri, i barboni, gli impiegati, la gente che non arriva a fine mese, i sobborghi, gli immigrati, regolari e clandestini. 

 Nessuno è necessariamente buono né cattivo, tutti sono ciò che il presente li ha portati ad essere nell’ambito delle loro possibilità. 

 Essere barbone o povero o clandestino non è un ruolo artificiale comodo per lo sviluppo della storia, ma una condizione dell’essere umano meritevole di trovare rappresentazione.
 
 “Quarantena” è in questo caso un piccolo gioiello: una raccolta di racconti, quasi tutti ambientati nell’universo del commissario Charitos (talvolta è protagonista, altre appare come forza dell’ordine liminare nelle vite dei protagonisti) durante il periodo del Covid.
 
 Indagini fatte da remoto a causa del Covid, si intersecano ad emigranti passati e presenti e a quel mondo che non poteva “stare in casa”. 

 Sono ben due infatti i racconti che hanno per protagonisti dei clochard (e uno mi ha pure spiegato cosa succede quotidianamente ai cassonetti sotto casa mia e a quella specie di mercato improvvisato sotto il palazzo di ACEA alla stazione Ostiense).
 
 Assolutamente da recuperare. Io poi me lo sono gustato a Creta ingozzandomi di dolcetti al miele, quindi la condizione più ideale di tutte, ma rendono anche sul divano di casa, assicuro.
 

mercoledì 20 settembre 2023

Dove siamo finiti tutti? Una recensione di "Doveva essere il nostro momento" di Eleonora Caruso, tra colpe che è ora di prenderci, pensiero magico e sette in cui non sappiamo di vivere

 Anni fa, prima che Eleonora Caruso pubblicasse “Le ferite originali”, scrissi una recensione sul suo primo libro: "Comunque vada non importa", Indiana Editore.

 Il titolo del post “Dove eravate tutti” era risposta e domanda che veniva da una storia in cui finalmente qualcuno raccontava con una dose di verità l’adolescenza e la giovinezza di quella che pensavo e tuttora penso essere una parte consistente della società italiana: i millennial nati non benestanti.

 I non benestanti non sono “i poveri”, categoria invece amatissima da scrittori, registi e sceneggiatori che, quando non si occupano di gente che ha accatastato almeno 7 immobili di pregio, amano ravanare in vicende sulle soglie dell’indigenza, anzi peggio, dell’indigenza come se la immaginano.

 I non benestanti sono quella parte di società, di cui io anche ho fatto e faccio parte (ora non ho nessun immobile accatastato, comunque) e che prevedeva genitori lavoratori, ma senza aiuti, provenienti da un hummus sociale assolutamente non degradato, ma che già vedeva con difficoltà l’acquisto di libri per la scuola, scarpe nuove e l'affitto.

 Sono quella fascia sociale che è esistita, esiste, ma se ne parla poco da qualche decennio a questa parte, come se di colpo fossimo tutti diventati benestanti, non esistessero più le difficoltà finanziarie, fossero stati appianati i limiti economici, dalle cure allo studio, e lo stato del benessere potesse essere misurato su soli criteri fenotipici (che non a caso sono quelli che interessano gli ossessionati dalla fuga dal ceto sociale come vergogna e rivalsa, aka tutti quegli inutili orrori trapper, che oh sarò vecchia, ma voglio essere libera di dire che mi fanno schifo), come la macchina, il vestiario e le vacanze in posti esotici.

 Esistono i benestanti ed esistono gli indigenti, tutti gli altri sono spariti.

 Questa premessa è doverosa per capire questo libro che è estremamente generazionale, nei deliberati intenti, nel titolo, nello svolgimento e financo nel finale e conferma la domanda che feci nel titolo del post tanti anni fa.

Se prima mi chiedevo “Dove eravate tutti?”, ora mi chiedo “Dove siamo finiti tutti?” a livello di rappresentazione sociale, politica, letteraria e artistica.

Con “Doveva essere il nostro momento” Eleonora Caruso cerca di colmare ancora una volta questo vuoto.

 I trentenni (ormai talvolta quasi quarantenni) che leggiamo e vediamo su Netflix non siamo quasi mai noi.
 Non abbiamo quelle case, non abbiamo quei lavori e se anche li abbiamo non possediamo mai le disponibilità economiche mostrate perché gli stipendi sono irrisori anche a fronte di lavori iperqualificati, anzi, spesso in campo umanistico più sono iperqualificati, peggio sono pagati.

 I protagonisti del libro, che sono tre, rappresentano in tre diverse forme la pessima deriva di una generazione, quella dei millennial, nata con alcuni ottimi propositi inculcati con una certa veemenza sin dall’asilo: la pace nel mondo, l’uguaglianza, la fratellanza tra i popoli.

 Questi propositi sono diventati molesti a livello geopolitico all’altezza dei primi anni 2000, quando si sono intersecati con le crisi migratorie e una "globalizzazione" che in realtà era solo sinonimo di liberismo sfrenato e regolamentato in cui ingoiare alla cieca tutto il mondo.

 I ggggiovani non possono ricordarlo, ma noi non eravamo così. La gente già moriva in mare, ma non c’era l’idea che se lo meritassero e anzi c’era una certa propensione a volerlo affrontare questo problema, anche criticando il modello economico proposto.

 Poi catastrofi a catena. Genova, (ma non solo, Genova è stata la punta dell’iceberg della demonizzazione di un intero movimento politico e di pensiero), l’11 settembre, la crisi economica del 2008 e l’immissione pervicace di contratti precari sempre più fantasiosi e privi di diritti.

 Se ti trovi a 25 anni con una laurea e nel mentre ti hanno cambiato le regole sotto i piedi, la professione per cui hai studiato è sparita e il massimo che ti propongono per campare sono 300 euro di rimborso spese per 40h di lavoro, hai molto altro a cui pensare.

 Eppure, non sono giustificazioni perché è necessario ammettere che abbiamo solo subito e non abbiamo mai agito. 
 Abbiamo permesso che ci facessero tutto questo senza protestare, attendendo un immaginario turno che non esisteva, insultati da generazioni precedenti che avevano ottenuto con molto meno, incredibilmente di più.

 Insomma, siamo diventati una generazione che non ha saputo trasformare la rabbia in una protesta generativa, ma ha finito per soccombere a un livore tanto livido, quanto inutile. 

 Regà, ce la possiamo raccontare come ci pare, anche io dovevo portare la pagnotta a casa per vivere, ma il disinteresse per la politica istituzionale e il vivere tutto come un affronto e mai come un “ora mi sono rotto e FACCIO qualcosa che cambi le cose” è innegabile.

 Finalmente un libro racconta TUTTO questo: le nostre colpe generazionali, i tradimenti che abbiamo subito, la nostra incapacità di farvi fronte preferendo rifugiarci in una sorta di pensiero magico pericolosissimo in un eterno ritorno all’unico periodo carico di promesse che abbiamo vissuto: l’adolescenza.
 
 I protagonisti del libro, come dicevo, sarebbero 3, ma il protagonista vero è Leo, un millennial talmente tipico che ne conoscerete a bizzeffe anche voi, se non siete voi.

  Famiglia troppo modesta per riuscire a diventare un meme del Corriere della Sera in cui si spiega come con 10 euro (e 10 milioni di euro del papi) si è costruita la propria azienda, si è diligentemente laureato per finire in quella che Eleonora Caruso definisce il posto dove sono finite le migliori menti della nostra generazione: le agenzie di comunicazione di Milano.

 Lì, ha subìto quello che abbiamo subito in tanti (me compresa): si è bruciato a causa dell’superlavoro, dell’insensatezza ad esso connessa, dell’inutilità di un sistema che nutre idoli social che muoiono nel giro di qualche anno.  

 La storia prende le mosse dalla decisione di Leo di partire per la Sicilia alla ricerca di un suo vecchio amico, Simone, finito in una strana setta composta da millennial che hanno deciso di vivere come negli anni ’80-’90. 

 Vedono solo programmi e film di quegli anni, leggono fumetti e libri pubblicati fino a quel momento lì, tengono gruppi di lettura su “No logo” di Naomi Klein e ovviamente non hanno social, internet e tecnologia annessa e connessa posteriore al 2001.

 Il capo della setta è il misterioso Zan, un ex moderatore di contenuti social, lavoro che sfonda la distopia (ed esiste sul serio, ne avevo già letto su “La valle oscura” di Anna Wiener) e prevede che degli esseri umani guardino in loop video che non rispettano gli standard dei social (violenti, pornografici, pedopornografici, incidenti auto ecc) per poter nutrire l’algoritmo con i giusti input di discernimento (che a noi piace pensare ad esempio che le AI pensino, ma siamo noi che le nutriamo).

 Devastato da questa esperienza e comprensibilmente certo che tutto ciò che è accaduto dopo il 2001 sia da depennare come la catastrofe e il male, ha fondato questa setta in Sicilia. 

 Leo ci rimane qualche mese finché, a un certo punto capisce che è il momento di partire e se ne va per tornare al nord.

 Si unisce a lui Cloro, un’ex influencer bambina che, una volta cresciuta, non sta riuscendo a mantenere gli standard richiesti dai social e sta vedendo la sua stella declinare. 

 Completamente bruciata da un’esistenza sovraesposta, ha più strumenti per capire il mondo virtuale di quello reale, nel quale si muove a caso, con affanno e senza mai riuscire a decodificare realmente persone, rapporti e contesti.

 La storia, tra flashback personali e sulla setta, si svolge nel loro viaggio on the road dalla Sicilia alla Lombardia alle soglie del lockdown. Menzione d’onore peraltro ad un uso sensato a livello narrativo del Covid, evento che sembra praticamente non essere esistito, esattamente come la generazione dei millennial.

 Il romanzo, al netto della sua trama, finalmente dice quello che onestamente sono anni che spero qualcuno dica fuori dalla mia testa sulla nostra generazione, sui suoi sbagli, le sue paturnie, le sue inutili ironie social che sono tanto appaganti personalmente, ma assolutamente inutili a livello politico e collettivo.

 Racconta di venti anni perduti, in cui “doveva essere il nostro momento” e siamo solo riusciti a intraprendere una variante allucinogena della perdizione delle generazioni precedenti.

 Se genitori e (ormai talvolta anche i nonni) non sono riusciti effettivamente a cambiare il mondo è stato per quell’effetto Venditti che canta: “Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o lavori in banca pure tu?”.  
 Per dirla meglio: il sistema li ha assorbiti e da incendiari si sono fatti pompieri custodi dell’ordine.

 Ma la nostra generazione non ha fatto neanche quello. 
 Il nostro momento è passato e non lavoriamo neanche in banca, il sistema non ci ha assorbito perché gli costa molto meno opprimerci e sfruttarci, tanto stiamo zitti, maciniamo livore e non diciamo niente.

 Non siamo diventati socialmente e politicamente adulti, siamo ancora lì, nell’adolescenza ipertrofica che non riusciamo ad abbandonare.

 C’è un momento per me chiave nel romanzo che sembra quasi passare inosservato, ma per me dice tutto. 
 Leo sta per andare via dalla setta e va in cerca di Simone che sta tenendo un gruppo di lettura su “No logo”.
 Leo lo vede e Caruso scrive: 
"Potendo farlo, ognuno tornerebbe al punto della propria storia in cui è stato più felice. Per Simone quel punto era il liceo nel 2001, nonostante tutto, la foto di classe in cui indossavano la kefiah e i tentativi fatti di convincere sua madre a mandarlo a Genova per il G8. Diceva sempre che non esserci stato era il suo più grande rimpianto. Come si potesse rimpiangere di non essere stati torturati nella palestra di una scuola era un mistero per Leo, ma che ne capiva lui?"
 Ecco, siamo mentalmente incollati a quel momento, il più felice della nostra vita, quello in cui tutte le promesse tradite sono ancora intatte. 

 E rimaniamo aggrappati alla nostra adolescenza di fine anni ’90 in un loop eterno che ha molto a che vedere col pensiero magico di Didion: un giorno, sembriamo dirci, tornerà quel momento, quell’esatto momento, e noi saremo felici.

 Il capitalismo l’ha capita questa cosa, e per tenerci buoni ci nutre di quest’illusione proponendoci solo il passato (merendine che tornano sugli scaffali, serie tv rifatte in mille salse, cinema che non inventa niente di nuovo): vieni, illuditi di poter tornare al momento più felice della tua vita e intanto, mi raccomando, non dare mai fastidio perché l’importante non è cambiare il mondo, ma aspettare supinamente la fine del mondo in cui non ti riconosci.

 Siamo nella setta di Zan ed era ora che qualcuno lo dicesse.


Ps. Sono perfettamente conscia che non è che siamo stati del tutto inermi e alcune cose, con le nostre possibilità, le abbiamo fatte. Tuttavia credo sia necessario ammettere tutto quello che NON abbiamo fatto e che ci ha portato ad accettare cose inaccettabili: lavorare senza essere pagati, contratti che avrebbero meritato le barricate, incapacità di incidere sulla politica istituzionale perché per vedere un* millennial che conta qualcosa in politica abbiamo dovuto aspettare il colpo di mano di Schlein all'alba del 2023. Se non partiamo dalla consapevolezza del fatto che "doveva essere il nostro momento" e non lo è stato anche per colpa nostra, non ne usciremo MAI.

mercoledì 6 settembre 2023

La versione di padre. Una recensione di "L'amica geniale" uscita direttamente dalla penna di mio padre

 PREMESSA

 Questo post è molto particolare. In questi mesi mio padre ha voluto leggere la tetralogia di "L'amica geniale" di Elena Ferrante.

 Aveva visto le prime due serie ed essendo lui napoletano si era incuriosito e mi aveva chiesto i libri.  Quando li ha terminati, come molt3, ha elaborato una sua teoria sul rapporto tra Lila e Lenù e più in generale sul significato del libro.

 Con un inaspettato colpo di scena, ha deciso di scrivere un post sulla sua teoria che ci teneva  a condividere. E' un post molto più stringato di quel che mi aspettavo, visto che a voce ha una soluzione a qualsiasi obiezione al riguardo. In caso di dubbi, però, risponderà nei commenti su fb (attraverso me).

 Ho trovato interessante questo desiderio paterno e mi sono chiesta quanta parte di quella generazione rimane fuori dal dibattito letterario, quanta necessità ci sarebbe di più luoghi di condivisione che non siano solo virtuali e di come si dia per scontato che la letteratura sia un gioco di tutti i lettori e le lettrici, ma di come in realtà non lo sia più.

 Cosa rimane oltre al virtuale per condividere un'idea e cominciare una discussione? E' un dubbio che mi pongo io a latere di questo post, che vi lascio leggere senza più rubare spazio.

 "L'AMICA GENIALE" una recensione di P. Mango

 Per comprendere le impressioni che ho avuto leggendo “L’amica geniale” e di conseguenza le riflessioni che farò, non si può prescindere dalla realtà italiana degli anni ’50 e ’60.

 Chi vorrà, potrà approfondire, l’analfabetismo era altissimo, spesso si veniva fermati alle elementari, pochi continuavano per la licenza media, pochissimi per il diploma e la laurea era appannaggio dei ceti abbienti.
 
 Veniamo al dunque. Leggendo “L’amica geniale” ho avuto come l’impressione che l’autrice abbia un po’ giocato sulla dualità di questa amicizia, lasciandoci credere che esistono due bambine, amiche, che crescono, che evolvono ognuna a modo suo, ma che continuamente hanno bisogno l’una dell’altra, ed è questo il punto. 

 Io penso che Lila in realtà non esista e che serva all’altra come fonte d’ispirazione per proseguire nella sua vita.
 
Lenù immagina, attraverso Lila, come sarebbe stata la sua vita se non avesse studiato, e da qui porta avanti due storie di vita parallele.
 
 Ne ha bisogno perché le radici non si possono dimenticare, ne ha bisogno perché per anni si sente inadeguata al nuovo ruolo che le compete per gli studi che ha portato avanti e perché al tempo non era facile un inserimento in ambienti culturali a loro modo chiusi.
 
 Pertanto fino a quando la protagonista (perché la protagonista è solo una) non farà quel salto culturale,(e ci vorranno anni, addirittura la maturità), ha bisogno di tornare a casa, al rione, al quartiere, alla famiglia d’origine.
 
Questo perché non è ancora pronta al salto definitivo di classe sociale, e quando alla fine lo farà, quella parte di sé stessa che nel libro è Lila, sparirà.
 
 In poche parole, Lila sparisce quando Lenù ha risolto la sua dualità, affrancandosi dall’ambito familiare e culturale in cui è cresciuta.
 

domenica 27 agosto 2023

I libri delle vacanze 2023! Parte I! "La zona morta" e "Dalia nera", un capolavoro e un romanzo da dimenticare

 E le vacanze sono finite. Ne ho già nostalgia, ma ammetto che quest'anno ho fatto delle ferie degne di questo nome e torno riposata e carica.

 A dimostrazione di ciò, ho persino già prodotto il primo post sui libri letti in spiaggia (spezzetto le recensioni altrimenti viene una cosa infinita) e inizio con un capolavoro e un romanzo di una noia mortale.

 Non tutte le scelte per l'ombrellone riescono col buco. Il secondo libro è stato abbandonato in un hotel a Rethymno.


LA ZONA MORTA di Stephen King:

 Stephen King lo leggo lentamente da molti anni un po' alla volta. 

 Ormai avrò macinato parecchi titoli, ma siccome non ho mai passato un periodo della mia vita a leggere SOLO lui, è finita che con involontaria regolarità leggo 1-2 titoli l'anno. Questo mi permette di scovare ancora delle perle di un certo livello dalla sua bibliografia, anche grazie alla libreria dell'usato di fiducia.

Per qualche motivo questa estate molte persone hanno deciso per mia fortuna di disfarsi di "La zona morta" e gliene sono molto grata perché è un libro BELLISSIMO.

 Spodesta dal podio "Pet Semetary" non tanto per la scrittura, quanto per l'ingegnosità nella costruzione della trama.

  Il libro infatti si regge su un Mcguffin magistrale: tu leggi convinta che il libro stia andando in una direzione e invece King ti rifila un Mcguffin alla Hitchcock in piena regola.

 Il libro quindi parte come un racconto d'autunno di Bradbury, con questo luna park pieno di giochi fantasmagorici, affascinanti e inquietanti, cibo così saporito su carta che viene voglia di mangiarlo anche dal vivo, odore di fieno, e quell'immaginario che regala un'America scoppiettante e affascinante, provinciale e (pensando a come vivevamo in Italia negli stessi anni) futuribile, venata da una nostalgia tremenda, perché scomparsa.

 Cosa se la sia mangiata ce lo dice King nello stesso libro, a dimostrazione che i mali degli Stati Uniti non sono nati con internet, ma hanno viaggiato con altri mezzi per molti decenni: complottisti, circonvenzione di persone fragili, teorie contro gli ebrei, religione usata come arma politica.

 E King indovina anche, con decenni di anticipo, la valle finale di questo incubo: l'imbonitore che distruggerà l'America nutrendosi dei suoi stessi incubi, dell'irrealtà delle proposte, delle stupidaggini conclamate e affascinanti, dell'ignoranza.

 Nel libro King immagina un finale difficilmente applicabile nella realtà, ma per il resto disegna la degenerazione della democrazia americana dall'inizio alla fine.

 La trama, senza fare troppi spoiler, vede come protagonista un giovane e dinoccolato insegnante molto amato dagli studenti e dal nome significativamente anonimo: Johnny Smith.

 Di ritorno da una bellissima serata passata assieme a Sarah, la graziosa collega che intende sposare, ha un terribile incidente d'auto e rimane in coma per quattro anni. Nel frattempo Sarah si sposa e ha un figlio, sua madre precipita in una preoccupante ossessione religiosa con forti tendenze al complottismo e suo padre finisce per sperare che muoia per liberarli dall'attesa della sua dipartita.

 Invece Johnny si sveglia. E quando si sveglia scopre di poter vedere nel passato e nel futuro toccando semplicemente le persone.

 La trama promette quindi un romanzo scritto benissimo, ma dai temi sovrannaturali, e invece King finisce per scrivere un libro incredibilmente politico e, molto molto preveggente, proprio come il suo protagonista.

 King prevede con chiarezza impressionante la degenerazione del paese d'ottobre di Bradbury. La scomparsa di quell'anima sana e sognatrice della società americana: un mondo divorato dall'opportunismo, dall'ignoranza, dalla creduloneria, da forze malvagie che troppa gente ha deciso fosse compito di altra gente contrastare.

 Un romanzo incredibilmente politico, assurdamente contemporaneo. Da leggere, rileggere e straleggere, E regalare a chiunque in questi tempi inquietanti.

Ps. Se posso permettermi a me ste copertine nuove non piacciono, le trovo tutte uguali e spersonalizzanti.


DALIA NERA di James Ellroy:

 Sono da sempre dell'opinione che molt* scrittor*, perlopiù uomini, amino scrivere storie e soprattutto protagonisti che incarnano qualcuno o qualcosa che vorrebbero essere.

 La quantità di commissari e agenti delle forze dell'ordine/investigatori vari ed eventuali che sono sempre sexy, seducenti, pieni di donne (pure se soffrono per qualche oscuro trauma passato) e dediti a hobby solitamente molto virili, assieme ai loro bro, è piuttosto elevato e secondo me riconducibile a questo desiderio manco celato di immedesimazione.

 "Black Dalia", di cui mi avevano parlato benebenissimocapolavoro, straborda in questo senso. 

 La storia ha per protagonista un poliziotto, ex pugile (le prime 70 pagine sono solo sul pugilato, una noia mortale), ovviamente pieno di donne, che fa il poliziotto in coppia con un suo ex avversario che ora è il suo bro. 

 Una ragazza, che si scoprirà essere troppo facilina, viene trovata orrendamente uccisa e mutilata e loro iniziano a indagare.

 Metodo di indagine prediletto: menare la gente per farla confessare o andare a letto con la testimone di turno. Non importa se la testimone è lesbica, pure se è lesbica vorrà andare a letto col sexy poliziotto pugile (perché si sa, una è lesbica finché non incontra l'uomo giusto).

 La storia, nonostante potenzialmente abbia pure una trama complessa, è di una noia mortale, probabilmente per quel costante desiderio del protagonista di raccontarci tutto in modo carichissimo, come se stesse sempre incontrando la donna più gnocca, o pestando il criminale peggiore o incontrando la famiglia borghese più becera.

 E' tutto talmente hard boiled che finisce per essere una parodia dell'hard boiled (genere che a me piace molto) di una noia devastante.

 Lo eviterei come la peste. L'hard boiled è un'altra cosa. Prevede uomini che si scazzottano, femme fatale e amicizie virili, ma non prevede che il tutto sia una caricatura vuota atta a spargere virilità ostentata e compiaciuta su ogni riga. 

 Chandler, nei suoi delitti, sapeva essere anche commovente e profondo, amaro e umano. Qua oltre le scazzottate, le lesbiche convertite e il sangue un tanto al chilo, niente.


martedì 25 luglio 2023

Sabato 29 Luglio a Bracciano presentazione di "Come fu che organizzai la mia unione civile" alla Birreria dar Toro Seduto!

 Ultima presentazione estiva di "Come fu che organizzai la mia unione civile"!

Stavolta gioco in casa e sarà a Bracciano alla Birreria dar Toro Seduto (centro storico) dove si mangia e si beve magnificamente!

Sabato 29 Luglio ore 18:00!




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