sabato 30 marzo 2019

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il segreto".

Ebbene gioventù, a Verona, ormai lo sanno anche i sassi, si sta svolgendo una sorta di convegno in stile Voldemort e i suoi seguaci.

 Una roba talmente assurda che non riesco neanche ad essere arrabbiata, sono più che altro allibita e mi domando se seriamente qualcuno attorno a me creda a tutte quelle fregnacce o le derubrichi a folklore (tanto che je frega mica riguarda loro) o non so che altro.

 Tutto ciò che si può fare davanti a cotanto terrore è: resistere e prendere per i fondelli.

 Il potere teme la risata più di ogni altra cosa. Ma non la risata compiacente, quella che prende in giro senza ferire mai davvero o se la prende con le vittime e non i carnefici.
 Teme la risata che ti dice ciò che sei veramente. E guardate, possono essere invasati quanto vogliono ma sanno benissimo anche loro quale sia ed è per questo che odiano tanto chi gliela racconta, perché distrugge il mondo di menzogne che si sono costruiti a loro piacimento, per potere, per crudeltà, perché è più facile, per tanti motivi.

 Per l'occasione ho pensato di fare la vignetta su un episodio che mi accadde qualche anno fa in libreria. Non l'avevo mai disegnata perché mi intristiva e in un modo o nell'altro mi passava sempre la voglia.

 Poi qualche giorno fa mi è capitato di leggere le dichiarazioni di Silvana De Mari, dottoressa e autrice di libri per ragazzi (che non ho letto e mi guarderò bene dal leggere), fervente attivista antilgbt. Costei asseriva che l'omosessualità non esiste, ma che comunque la famosa lobby lgt la odia (non esistiamo, ma la odiamo, ha tutto molto senso). Noterete che alla sigla lgbt manca la B. E perché?
 Credo che la mia vignetta possa fugare il dubbio. La sanno lunga miei cari, molto più lunga di quanto vogliano far sembrare.

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il segreto"!



mercoledì 20 marzo 2019

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Processare".

Eh, credevamo tutti che una volta uscita dalla libreria il delirio sarebbe finito. Invece no, le persone che sono dentro la libreria sono anche dentro gli archivi e le biblioteche e finché mi ostinerò a lavorare in mezzo ai libri esse mi raggiungeranno.
 Perciò buone nuove per tutti noi! Le vignette realmente avvenute vivono e lottano insieme a noi!
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Processare"!



lunedì 18 marzo 2019

Ogni adolescenza coincide con la guerra. "Trottole" di Tillie Walden e la nostra incredulità davanti alle nostre capacità di sopravvivere al mondo

 Capita a tutti di pensare, più o meno spesso, man mano che l'età adulta avanza, che, in qualche modo, essere sopravvissuti alla nostra infanzia prima e alla nostra adolescenza poi, abbia avuto del miracoloso.
 In quanti e tali modi più o meno stupidi o più o meno gravi avremmo potuto perire, ci rendiamo conto con orrore non appena un bambino, figlio, nipote, figlio di amici, perfetto sconosciuto, ci capita (e ci sfugge correndo verso qualsiasi cosa possa procuragli ferite o peggio) per le mani.

 Cadendo da un'altalena, correndo troppo veloce, arrampicandoci su un albero, sbagliando un sentiero durante una gita, dopo aver mangiato troppo, per un'amicizia sbagliata, per aver deciso di andare in macchina con una certa amica una certa sera, per aver fatto una stupidaggine in gita scolastica, per essere caduto dalle scale, per aver ingoiato troppo in fretta qualcosa, per aver infilato le famose dita nella presa della corrente, per una qualsiasi malattia esantematica (prima dell'obbligo vaccinale), per tutto.

 Non che da adulti il rischio si contenga, se possibile, probabilmente aumenta
 Ma quello che s'impara con dolore e fatica durante l'adolescenza per la prima volta è la possibilità che un evento inevitabilmente dannoso o mortale avvenga.

 Prima, a scanso di tragiche vite, viviamo una sorta di moratoria del pericolo

Non lo percepiamo eppur, la stragrande maggioranza di noi, inconsultamente sopravvive.
 A distanza di anni, se questo è avvenuto, potremmo però valutare che i casi possano essere tre:

1) Il mondo non è un posto così pericoloso come finisce per apparirci quando, verso i quarant'anni arranchiamo molto disillusi e costantemente in pena per il futuro.
2) Siamo più propensi alla sopravvivenza di quel che pensiamo.
3) Un mix di entrambe le cose.

Tuttavia credo sia doveroso ammettere che una certa casualità nel modo in cui impariamo a sopravvivere sia dolorosamente inevitabile

 Possiamo fare di tutto per proteggerci e possiamo far molto, possono fare molto i nostri genitori, ma non usciremo mai indenni dalle nostre adolescenze. Incontreremo sempre qualcuno che ci ferirà pesantemente, persone che ci prenderanno di mira, avremo periodi difficili a scuola, insegnanti che non ci comprenderanno, genitori che ci opprimeranno, personaggi che ci renderanno bersaglio o ci molesteranno. Accadrà, con sfumature più o meno gravi, ma accadrà.

 Sì, qualcuno può essere stato più fortunato e aver prolungato questo suo grado di spensierate fortune adolescenziali oltre la soglia massima, ma arriva sempre un momento in cui anche chi non ha mai perduto, improvvisamente, perde e cade.

 Ho letto nei mesi scorsi una straordinaria graphic novel che riassume un po' questo confuso pensare: si tratta di "Trottole" di Tillie Walden, vincitrice del premio Eisner.

 L'autrice ha 22 anni. 22. Ed è una di quelle persone baciate dalla grazia.

 Prima dell'inoltrarsi nel periglioso percorso dell'età adulta, ci sono una manciata di anni in cui viviamo una sorta di strano momento di chiaroveggenza: tutto è perfettamente trasparente.

  Riusciamo a vedere il nostro presente con una chiarezza sconcertante. Tutto ci appare ovvio e al contempo risolvibile. Non esiste il concetto di "E' così e le cose non possono essere cambiate". Noi, ci diciamo, saremo le persone che porteranno una cambiamento nel mondo, come una luce spettacolare che divorerà tutto.

 Tillie Walden ha preso questo stato di grazia e invece di applicarlo al presente, lo ha rivolto verso il suo recentissimo passato di campioncina di pattinaggio sul ghiaccio.

 La Walden dice sinceramente nel finale che la sua intenzione iniziale era quella di raccontare il delirio dietro al mondo del pattinaggio artistico, fatto di madri pazze che invece di farsi una vita caricano le figlie di aspettative di rivalsa sociale, di cattiverie, di allenamenti in enormi centri commerciali nel bel mezzo del Texas e di tutto ciò che finisce per rendere uno sport scintillante, un incubo competitivo.

 Quel che invece, con stupore autentico, la Walden scopre di essere riuscita a fare è parlare della sua preadolescenza e adolescenza con una precisione e una consapevolezza incredibile, ancora non offuscata dal revisionismo storico dell'età adulta.

 La vita di Tillie Walden è normalissima. Le accadono una serie di cose che potrebbero accadere a tutti: pratica uno sport a livello agonistico, verso i dieci anni si trasferisce in un nuovo posto con tutte le conseguenze del caso (nuovi amici, nuova scuola, nuovo tutto), durante l'adolescenza scopre che capire che razza di persona noi siamo davvero non è poi così facile.

 Al contrario di molti che preferiscono beatamente rimandare il problema ignorandolo a oltranza fino a un'età tarda che genera solo rimpianti per non averci pensato prima, Tillie si incaponisce su questo punto: chi sono io?

 E questa domanda si lega indissolubilmente al pattinaggio o, almeno, lei è convinta per anni che sia così. 

E' una campioncina e vince, ma non è ABBASTANZA brava per essere LA campionessa, perciò si domanda: perché non riesco a smettere?

 La risposta è semplice ed è la stessa per chiunque non riesca ad abbandonare qualcosa che lo ha definito per un'intera esistenza: se abbandono il centro dei miei pensieri, interessi e sforzi, cosa rimarrà infine di me?

 Attorno a questo arrovellarsi imperioso non si affastellano sorrisi da film preconfezionati o da libri adolescenziali rassicuranti. Non appaiono insegnanti che ti risolvono la vita o amici che ti salvano, accade invece quel che accade nella vita: cose belle e cose brutte. 
A entrambe sopravviviamo.

 Tuttavia, se le cose belle ci danno quella spinta per dire che tutto ciò che ci perseguita prima o poi avrà una fine, le cose brutte insegnano che possiamo sopravvivere a molte più cose di quel che pensiamo.

 Non è una frase consolatoria, anzi, è la constatazione dell'età adulta: sopravviviamo perché siamo più forti di un mondo che comunque sa essere molto cattivo.

 Così Tillie scopre che le piacciono le ragazze, scopre che la sua famiglia non è molto d'accordo, scopre che non tutte le persone che crediamo amiche lo sono sul serio, di solito sono solo conoscenti che non vogliono avere davvero a che fare coi nostri problemi.
 Scopre che accadono incidenti stradali dall'esito fortunatissimo e ripetizioni scolastiche all'apparenza innocue che finiscono in molestie di cui nessuno saprà mai niente (almeno finché non scriverai una meravigliosa graphic novel).

 Scopre che come cantavano gli Allegri Ragazzi Morti "Ogni adolescenza coincide con la guerra, che sia falsa o che sia vera".

 Eravamo così giovani, pensiamo davanti alla graphic novel di Tillie Waldem, così incoscienti, così confusi, così fiduciosi.

  Poi siamo sopravvissuti alla nostra adolescenza e abbiamo iniziato a chiederci come abbiamo fatto.


martedì 12 marzo 2019

Piccole recensioni tra amici! Se Edgar Allan Poe fosse stato giapponese e la triste e favolosa vita di Maria Callas secondo Vanna Vinci

Ed ecco finalmente un altro piccole recensioni tra amici.

 Ora che ho più tempo da dedicare al blog, sto cercando di tornare in pari, anche se vorrei cercare, al contempo, di ridare un senso alle mie letture.


 Mi sento in uno di quei disordinati periodi dell'esistenza in cui le abitudini sono completamente scombinate e scompaginate e tutto ciò che si finisce per fare sembra sempre disordinato o con poco senso.


 Se ricordo bene, l'ultima volta ci ho messo qualche anno a rimettere tutto a posto, quindi la vedo molto lunga.


 Bene, dopo questo momento confessione, passiamo alle cose serie: le recensioni.

 Buona lettura a tutt*!


LA STRANA STORIA DELL'ISOLA PANORAMA di Edogawa Ranpo Marsilio edizioni:

 Tempo fa mi avventurai a leggere "La strana storia dell'isola Panorama", graphic novel edition. Era opera di Suehiro Maruo (in Italia edita da Coconino Press) e mi aveva grandemente inquietato, come mi avevano grandemente inquietato altre opere dello stesso autore che avevo tentato di leggere.

 Si tratta di un morboso mix grottesco di sesso e violenza con un'abbondante spolverata di quel gusto per il morboso che solo gli orientali sanno dare. Era un'opera poderosa e mi era rimasto impresso, fun fact, il disegno della bocca del parco dei mostri di Bomarzo. Potere del Lazio che scavalca gli Urali e arriva fino al Sol Levante vieni a me!

 Non potevo sapere, nella mia ignoranza che, qualche anno, dopo Maruo sarebbe stato declassato a livello "sesso-violenza for dummies" da autori come Shintaro Kago (ne ho letto uno per sbaglio, i titoli traggono molto e volutamente in inganno, e non accadrà MAI più, mi spiace ma non è il mio genere).

 In ogni caso ignoravo che la storia fosse stata tratta da una sorta di novella lunga dello scrittore Edogawa Ranpo, pseudonimo di Taro Hirai, come ignoravo del resto che Ranpo fosse un omaggio ad "Allan Poe" di cui l'autore è evidentemente e manifestamente estimatore.

 L'opera infatti è un curioso racconto horror che avrebbe tranquillamente potuto scrivere Edgar Allan Poe in occasione di un suo immaginifico viaggio in Giappone.

 La storia parla di un giovane esaltato, con manie di grandezza e fantasie smisurate: il suo sogno è costruire qualcosa di talmente grandioso da poter essere paragonato all'opera di un dio. 

 Purtroppo per lui non ha i mezzi economici per esaudire i suoi desideri così si trascina sfaccendatamente in giro, compatito da tutti, finché, un giorno, un suo vecchio compagno d'università muore. 

 Casualmente il defunto era un suo sosia e, sempre casualmente, era incredibilmente ricco, così decide di sostituirsi a lui (raro caso di giapponese non cremato dopo la morte), fingendo di essere tornato in vita dopo una morte apparente.

 L'idea funziona, ma le conseguenze saranno prima strabilianti oltre ogni immaginazioni e, infine, devastanti.

 Se siete appassionati di horror è assolutamente imperdibile, anche se, in generale, mi sento di consigliarlo a chiunque apprezzi un tipo di scrittura raffinato e sorprendente al tempo stesso. 

 E' un consiglio per i lettori che hanno voglia di stupirsi e di tentare strade nuove, non rimarranno delusi da questa strana variazione sul tema.


IO SONO MARIA CALLAS di Vanna Vinci ed. Feltrinelli:

 Non fingerò una passione per la musica classica e lirica che non posseggo. 

 Gli unici rudimenti che ho sulla questione risalgono alle scuole medie e all'ostinazione disperata della mia professoressa di musica che mi sentirei di portare come esempio ai professori che guardano con devastazione alle genti incolte sbracate sui banchi davanti a loro.

 Era evidente anche a noi, tredicenni ingrati, che ella sperasse di trovarsi davanti una promessa della musica o almeno un giovane appassionato. Invece, nella prova d'ingresso che ci rifilò in prima media, l'unico direttore d'orchestra che venne in mente a qualcuno in classe fu "Renzo Arbore".

 Nessuno, anche successivamente, sviluppò tra noi mai una vaga passione per uno strumento né chiese ulteriori lumi su opere liriche o simili. 
 E vi assicuro che ce la mise davvero tutta.

  Grazie a lei ancora so a memoria la disposizione degli strumenti musicali in un'orchestra e un pezzo del Rigoletto. Ma niente, il sangue, dalle rape, non lo puoi cavare, neanche dopo 40 anni d'insegnamento (era stata la stessa disperata insegnante di mia madre).

 Le farebbe forse piacere sapere (o forse no) che lì dove non giunse lei, è arrivata Vanna Vinci con la sua straordinaria biografia della più straordinaria delle cantanti liriche:  Maria Callas.

 In un tripudio di occhi neri, più fondi del fondo di un pozzo nella notte del pianto: la divina Callas attraversa la sua storia accompagnata da continui cori di voci che parlano di lei e su di lei. 

Chi è stata Maria Callas?

 Una ragazza infelice con una madre ambiziosa, la sposa felice di un attempato e furbo industriale italiano, l'amante appassionata di un miliardario greco che preferì sposare la vedova di un presidente americano? L'artista incapace di accettare la fine della sua vita d'artista?

 Fu troppo sola, incapace di stare sola, bellissima, ossessionata dalla bellezza, ossessionata dal successo, una diva, una sciamana e una sacerdotessa, un dono del cielo.

 Fu forse, come sempre, tutte queste cose insieme fino a un finale troppo triste, lo stesso finale condiviso da tante donne di talento che molto ebbero dalla vita professionale e poco o male da quella privata.
  In una solitudine parigina dorata, con pochi amici e troppi ricordi, morì senza nessun mistero chiuso in sé.
 La sua vita era stata come un grande palcoscenico sempre illuminato che tutti ebbero modo di guardare dando mille interpretazioni di un'unica storia.
 Quale fosse quella più giusta, non lo sapremo mai.

mercoledì 6 marzo 2019

Piccole recensioni tra amici! Giappone lgbt ne "La locanda degli amori diversi" e amori che non decollano in "Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di Schiele appeso in camera".

Olivia de Havilland (1935)
 Finalmente eccovi scodellate due nuove recensioni, nel frattempo ho letto un bel po' di altri libri e chi mi segue su Instagram sa che ogni tanto ne parlo in allucinanti dirette che finiscono di solito con me che litigo col cellulare che s'impalla e non mi fa chiudere il video. Ne verrà apprezzata, immagino, l'irripetibilità.


 I libri di oggi sono due romanzi scorrevoli e freschi, quelli che si leggono in gran poco negli sprazzi di tempo, cosa che, ultimamente, sto apprezzando particolarmente.




 Bando alle ciance perché ho cianciato abbastanza: a voi!



LA LOCANDA DEGLI AMORI DIVERSI di Ito Ogawa Beat edizioni:

 Era parecchio tempo che avevo adocchiato questo romanzo che, in verità, aveva ben due motivi per piacermi: Giappone e tematica lgbt.

 Tuttavia avevo sempre rimandato la lettura per altri due altrettanto validi motivi: il precedente libro di Ito Ogawa "Il ristorante dell'amore ritrovato" era uno strano concentrato di melassa che finiva con un piccione arrosto (un piccione non d'allevamento specifico), e ormai ho una sorta di rifiuto immediato per tutti libri con storie lgbt che portano la dicitura "diverso" nel titolo.

Basta.

 Ormai in libreria avevo persino sviluppato un sesto senso per i libri in cui apparivano romanzi gay non solo dai pietosi titoli, ma anche dalle fumose quarte di copertine piene di allusioni tra il drammatico e il pietistico.

 Giovanni si accorge che la vita può diventare "speciale" quando incontra "una persona".

Adele scopre che la parte più vera di sé è anche la più "segreta", ma l'amore la sorprenderà in modi incredibili.

 Vi do una notizia: il mondo è bello perché è vario, ma a nessuno fa piacere sentirsi dire che è "diverso", questo perché "diverso" non corrisponde a "speciale" nell'immaginario comune, ma a qualcuno che non è "normale", nell'accezione negativa del termine.

 Comunque. Poiché a inizio mese ero un po' giù di morale, ho deciso di andare in libreria a colpo sicuro e ho preso, oltre alla versione italiana de "La mia prima volta" di Kabi Nagata (l'unico fumetto mai letto in vita mia in inglese), anche questo romanzo, certa che comunque, mi avrebbe distratto un po'.
 Ebbene. Il romanzo è molto grazioso, parla di due donne, una sui venti, l'altra sui trent'anni, che si conoscono, si amano immediatamente e insieme decidono di andare a vivere in una parte del Giappone rurale e un po' spopolato da cui tutta la gente scappa, ma in cui, sembra, si viva in pace col mondo e la natura (peraltro lo fanno in parecchi manga, tipo anche "Wolf children", sembra sia la soluzione adatta se vuoi sparire).

 Lì, mettono su una famiglia felice assieme a due bambini: un maschio, nato dal precedente matrimonio della più donna grande, la femmina, concepita dalla più giovane in un rapporto occasionale precedente. Negli anni, le due aprono una sorta di ryokan gay friendly (quindi il titolo è pure sbagliato perché non ci vanno solo "gli amori diversi").

 Cose apprezzabili: la storia d'amore trattata nella sua quotidianità con i frequenti riferimenti ai problemi della comunità lgbt giapponese, priva di qualsiasi tutela. In un paese in cui sposarsi è ancora praticamente d'obbligo e in cui matrimonio e amore ancora non devono per forza coincidere (anzi, anche no, hanno ancora gli incontri combinati per ovviare al problema dei single), l'omosessualità è vista come una sorta di capriccio del singolo che potrebbe essere vissuto in privato e in contemporanea a un rispettabile matrimonio eterosessuale, se proprio.

 Ho devo dire, anche amato il fatto che il libro sia diviso in quattro macrocapitoli che permettono di vedere le storie da quattro punti di vista: le due donne, e ciascuno dei figli.

Cose disprezzabili: il finale.
  Il finale rovina tutto il libro perché è troppo strong e perché è affidato al personaggio più insopportabile dei quattro: la figlia femmina che non solo è viziata da morire, ma si lascia andare anche ad un castello di inquietanti supposizioni che non trovano alcun riscontro nei libri precedenti, inquinando, di fatto, quella che fino a quel momento era stata una storia d'amore stupenda.
 Il libro comunque vale la pena, soprattutto se amate i due punti di forza alla base: Giappone e comunità lgbt.


TUTTE LE RAGAZZE CON UNA CERTA CULTURA HANNO ALMENO UN POSTER DI UN QUADRO DI SCHIELE APPESO IN CAMERA di Roberto Venturini Sem edizioni:


 Se non amo i titoli con l'oscura parola "diverso" , è pure che vero che ho sviluppato un'antipatia per i titoli minimal: "Amore", "Espiazione", "Orrore", "Sole".

 Sono una jattura per i lettori e per i librai perché si tratta del tragico caso in cui il titolo non solo non basta, ma è perfettamente inutile: ci saranno altri 1000 libri che si chiamano così o quasi e senza l'autore (sperando che non si chiami pure lui Mario Rossi), è praticamente impossibile scovarli.

Poi in generale a me piacciono quei titoli strani e un po' evocativi, perciò lo ammetto, questa storia di Roberto Venturini, mi aveva attratto principalmente per il suo nome alla Lina Wertmuller.

 La storia è una storia d'amore come tante: inizia in un modo fantasmagorico per poi arenarsi nei noiosi campi della quotidianità.
 Qualcuno mi aveva detto, dopo aver postato la foto del libro su facebook, che è un libro carino che non decolla mai. E' vero. 

 Però c'è la sensazione che non decolli perché racconta di una storia d'amore che non decolla, una di quelle che capita di vivere a molti.

 Conosci qualcuno con cui stai benissimo, ti entusiasmi, pensi che sia la persona giusta che più giusta non c'è, ma poi, ad un certo punto ti accorgi che il volo pindarico, romanticamente intrecciando i corpi alla Paolo e Francesca, non prende quota.

 Voli sì, ma sempre basso, e a un certo punto, quella quota che dovevi prendere la perdi e niente, il grande amore viene declassato a storia di media importanza, arrivederci e grazie.

 E' in effetti una parte poco romanzata dell'amore (ed è comprensibile visto che l'amore è il sentimento romanzato per eccellenza): quelle storie che non hanno il briciolo di eternità che permettono a due persone di funzionare magnificamente insieme, anche se non necessariamente per tutta la vita.
 Non è tempo perso, ma diciamocelo, capita pure di pensare che è tempo che avremmo potuto spendere meglio, magari anche solo troncando prima.

 Venturini rende tutto più interessante con un linguaggio pop pieno di citazioni anni '80-'90 che forse sul finale (onestamente non all'altezza del libro, un po' da "sogno dello scrittore") diventa un po' troppo pesante, ma ci può stare.

 In ogni caso il libro è carino, soprattutto all'inizio, quando c'è meno melassa e il protagonista inizia a malvagiare sulle persone che incontra.
 Mi riconoscevo molto in questo modo di "pensar male" delle persone e mi ha anche sollevato sapere che i miei pensieri non sono poi così strambi (anche se malvagi).

 Grazioso, per trentenni (chi ha più o meno anni credo faccia proprio fatica a capirlo, tipo Zerocalcare, ma ancora più pop), secondo me funzionava anche senza il riferimento alla ciclotimia.

sabato 2 marzo 2019

"Memento. Il primo mese del mio nuovo lavoro", un fumetto pieno di buchi di memoria e ricco di post it.

Finalmente dopo un bel po' (quasi due mesi!!) ecco un nuovo fumetto.

 Come avrete potuto intuire, il nuovo lavoro mi ha un po' molto assorbito, ma posso assicurarvi che sto eroicamente cercando di portare avanti blog e social in ogni momento libero che ho.
 Già che siamo qui riuniti, ne approfitto per accennare ad una nuova notizia: sto progettando il mio primo fumetto autoprodotto. Nei miei sogni è un librettino letteralmente cucito a mano, la tematica sarà lgbt, ed è un mix tutta la follia che mi verrà in mente.

 Mi sembra una buona idea per sperimentare e imparare nuove cose e, onestamente, ho proprio voglia di dedicarmi a qualcosa di  completamente diverso. L'idea è di farcela in tempo per il Campo lesbico di Agape per il quale ho disegnato il fumetto-logo di quest'anno (per la quale pretendo il tesserino di fumettista impegnata underground).

I tempi sono un po' stretti, vediamo un po'.

 Dopo tuuuuuuuutte queste ciance (ah in settimana arriva almeno un post di recensioni) ecco a voi il nuovo fumetto: "Memento. Il mio primo mese del nuovo lavoro", un fumetto pieno di buchi di memoria.









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