mercoledì 26 giugno 2019

"Le 11 cose che non mancano mai in un film lesbico", un fumetto ricco di disagio, uomini malvagi e porte lasciate aperte.

Lo scorso fine settimana sono andata al Festival Mix di Milano, il festival del cinema lgbt.
 Ovviamente come ogni anno la componente G e T aveva delle pellicole ora tragiche ora tragicomiche, mentre la componente L doveva vivere nell'ansia e nel pericolo.

 Dopo aver visto film molto apprezzabili per carità, ma alquanto disagevoli psicologicamente, ho partorito ad una velocità estrema (davvero estrema per me, sono fiera) questo fumetto su tutti i cliché che non possono mai mancare in un film lesbico.

 "Le 11 cose che non mancano mai in un film lesbico", un fumetto ricco di disagio.








lunedì 24 giugno 2019

Ragazzi che amano ragazzi parte II. Guide, coming out, intersessualità, agender, grandi classici e i favolosi anni '80!

Dall'elenco manca "Il blu è un colore caldo" di Julie Maroh,
la graphic dalla quale è tratto il film "La vita di Adele". Può
valere come consiglio, ma è molto tristerrimo. Ho comunque 
scritto un articolo vari anni fa  in merito.
Poiché, una decina di giorni fa, nel precedente post sui libri lgbt per ragazzi  avevo lasciato fuori alcuni titoli a cui tenevo, eccovi una seconda infornata.


 Ovviamente sono titoli che si possono leggere a tutte le età (io li ho letti quasi tutti da adulta per motivi di tempistica) e sono comunque piacevoli.


 Questa volta ci sono guide, classici, il tema dell'intersessualità e persino un romanzo sugli spesso ignorati bisessuali.

 Buona lettura!


GUIDE.
"Questo libro è gay" di Juno Dawson ed Sonda "Più che amiche" di Jennifer Quiles Castelvecchi ed.:
 Quando capisci di essere gay o quando devi far capire ai tuoi volenterosi genitori cosa fa, come si muove, dove trova il suo habitat e via discorrendo un gay, il primo istinto può essere quello di rivolgersi ai libri.  

Non hanno, del resto, tutte le risposte?

 Esistono guide che spieghino il mondo omosessuale for dummies? Ebbene sì, esistono guide per tutto, non mancano neanche queste.

 Le edizioni Sonda lo scorso anno hanno dato alle stampe un libro che sin dalla copertina non lascia spazio all'immaginazione "Questo libro è gay" racconta il mondo lgbt a chi non ne sa proprio niente o vi si approccia per la prima volta.
Ha un linguaggio molto semplice e affronta a tutto tondo il tema lgbtq dalla cultura alla sessualità, dal bullismo alla salute.

 Specifico sul mondo lesbico c'è "Più che amiche" (anche se vorrei che le case editrici prendessero nota e abolissero per sempre le parole "amica" e "diverso" dai titoli a tematica lgbt) di Jennifer Quiles.
 Lo segnalo benché molto molto datato perché affronta temi che magari alcune ragazze sentono di voler conoscere in modo più specifico.

Esistono persino guide su come fare coming out.

 Posto che questo evento varia incredibilmente da persona a persona che lo fa e da persona a persona a cui si fa, è comprensibilissimo aver bisogno del supporto emotivo di un libro che ci dica cosa fare e a cosa potremmo andare incontro (cose belle, ma anche cose brutte, non sapete quanti "migliori amici di una vita" non sono affatto migliori amici di una vita alla prova del coming out).

 Esistono alcune guide (avevo fatto un articolo per Lezpop qualche anno fa), quella che mi sento di consigliare è "Come non detto" di Roberto Proia da cui venne tratto qualche anno fa anche un grazioso film omonimo.

 Il libro raccoglieva coming out famosi, compreso quello dell'autore, ed è persino provvisto di esercizi per prepararsi al lieto evento. Per sdrammatizzare.


I RAGAZZI CHE FURONO. Consigli anni '80-'90:

"Generation of love" di Matteo B. Bianchi ed. Fandango e "Tutta colpa di Miguel Bosè"di Sciltian Gastaldi Fazi editore:

Per ravvispare un po' i consigli seriosi, i giovani d'oggi possono rivolgersi ai giovani di ieri.

 Esiste infatti un filone, purtroppo praticamente esclusivamente di produzione gay maschile (ignoto se le lesbiche non ne scrivano di simili o non glieli pubblichino), ambientato tra gli anni '80-'90 che fa molto simpatia nostalgica.

 Il più famoso e, a mio parere, il migliore anche a distanza di anni rimane "Generation of love" di Matteo B. Bianchi, di cui l'anno scorso è uscita anche la versione estesa.

Altri esempi sono "Tutta colpa di Miguel Bosè" di Sciltian Gastaldi e i recenti "Ma è stupendo!" di Diego Passoni e "Ora che sono nato" di Maurizio Morino.

 Le storie sono tutte accomunate da molta ironia, tanto ritmo, millemila ricordi comprensibili solo a chi è ha vissuto gli anni '80-'90 in pieno (godibili anche per chi è arrivato dopo, ma, immagino con google accanto per decriptare intere frasi).

 Fanno passare serate molto piacevoli e aprono uno schermo su un mondo che non era forse ancora tutelato legalmente quanto l'attuale, ma era finalmente ben lungi dalla tragedia di "Ragazzi che amano ragazzi".

Nel primo caso si tratta della storia di un tormentato primo amore scritta in modo particolarmente esilarante, nel secondo si racconta un po' più dello scoprirsi gay in una famiglia molto assurda tra fratelli fasci e sorelle ipercattoliche, anche qui ce n'è da ridere (my favourite rimane Bianchi però).


INTERSESSUALITA' e AGENDER QUESTI SCONOSCIUTI.

"Golden boy" di Abigail Tatterlin ed. Mondadori e "Middlesex" di Jeffrey Eugenides (:

 Se non ci fossero libri e arti audiovisive varie non si sentirebbe praticamente mai parlare degli/delle intersex.

  Quando si parla di binarismo sessuale infatti c'è una falla nel sistema: qualcuno nasce effettivamente a cavallo di quel binarismo e se la passa con estreme difficoltà sin dalla nascita.

E' un argomento di cui si è volutamente parlato poco per decenni proprio perché era così che si faceva per prassi medica. Poteva infatti capitare (e in verità capita ancora oggi, due anni fa un intervento su un bambino a Palermo fece finalmente scalpore) che una persona intersex venisse operata da bambina per l'asportazione degli organi collegati a uno dei due sessi: testicoli, uteri, clitoridi ecc.

 Vere e proprie mutilazioni sul quale il diretto interessato non aveva né diritto di parola e neanche di sapere. Bisognava mantenere il segreto (leggere la terribile e illuminante intervista di Francesca).

 Forse il romanzo più famoso sull'argomento è "Middlesex" di Eugenides che racconta le vicissitudini di una bambina che, adolescente, scopre di essere un bambino. Sembra una questione medica e invece è una gigantesca questione culturale? Come può la stessa persona essere due persone diverse a seconda del sesso che le viene attribuito in tempi diversi?

 Se "Middlesex" è effettivamente un po' strong per gli adolescenti (anche se, a mio parere, legibilissimo) ci sono due libri che possono sopperire.

 Il primo, "Extraterrestre alla pari" di Bianca Pitzorno non parla effettivamente di un intersex,  ma di quelli che si definiscono "agender" (persone che non si riconosco nel binarismo di genere.

Il protagonista è un alieno, Mo, che arriva sulla terra per uno scambio culturale e che non si sa effettivamente di che sesso sia (sul suo pianeta si scopre molti anni dopo la nascita). La famiglia terrestre non sa però come rapportarsi con lui/lei senza potergli attribuire un sesso preciso, così prima decidono di trattarlo da maschio o femmina a giorni alterni, poi decidono che probabilmente è un maschio salvo scoprire da complesse analisi che è una femmina.

 L'alieno non ci capisce niente: perché il genere è più importante delle persone?

 Il secondo è per ragazzi un poì più grandi, "Golden boy" racconta la storia di Max Walker, ragazzo bellissimo, bravissimo e intelligentissimo, amato a scuola e provvisto di fantastica fidanzata MA con un segreto: è intersex. Segreto ben custodito se non fosse che rischia di venire a galla. Cosa succederà allora al golden boy?


GRANDI CLASSICI:
"Olivia" di Olivia Stratchey e "Maurice" di Edward Morgan Forster:

Potrebbe darsi il caso che alcuni giovinetti abbiano voglia di leggere qualche classico a tematica lgbt che non risalga ai tempi di Archiloco: esistono? E sono tutti una tragedia?

 No, miei cari. Avete pane per i vostri denti anche qui, e ho due consigli: uno  a tematica lesbica e uno a tematica gay.

 Prima i signori. 

 Se avete voglia di leggere una storia di giovani ragazzi che amano ragazzi vintage potete rivolgerci a Edward Morgan Forster, lo stesso autore di "Camera con vista" scrisse un'opera che non ebbe mai il coraggio di pubblicare in vita: "Maurice".

La storia, che incredibilmente non finisce in tragedia, racconta la storia del giovane Maurice e della sua ricerca del vero amore. All'università intreccia una relazione nascostissima con un suo collega che però, al suo contrario, decide di sposarsi subito dopo gli studi e di dimenticare tutto. Maurice, nonostante i ripetuti tentativi di "cura" non riesce a rassegnarsi e intreccia una relazione con un giovane guardacaccia.

 Tenero, appassionato e per niente drammatico. E' bello anche il film che ne trassero con un giovane Hugh Grant (lo vidi in cassetta alle superiori, ora non so quanto sia rintracciabile).

 "Olivia" è invece una storia d'ispirazione autobiografica scritta da Dorothy Stratchey, autrice bisessuale vicina al celebre gruppo Bloomsbury che venne data alle stampe, anonima, nel 1949.

 La storia è ambientata in un collegio francese e racconta una storia di amori e lesbodrammi tra due insegnanti della scuola, una coppia di lunga data che però subisce il fascino di altre due insegnanti dando vita a un caos non indifferente.

  L'Olivia del titolo è una signorina di buona famiglia inglese che si innamora perdutamente di una di loro, proprio come accadde all'autrice che nella prefazione scrisse: 

 "Non s’era mai sentito di una cosa simile per non per scherzo. Già, la gente soleva alludere scherzosamente alle “cotte delle studentesse”. Ma io sapevo fin troppo bene che la mia cotta uno scherzo non era”.



Due ultimi consigli in extremis:

"L'arte di essere normale" di Lisa Williamson che tratta il tema della transessualità e "Sempre e solo Leah" di Becky Albertalli, ambientato sempre nell'universo di "Tuo, Simon" parla di un'amica del protagonista del precedente romanzo che scopre di essere attratta anche dalle ragazze.

Del resto non avevo ancora citato nessun titolo per i bisessuali, la lettera forse più ignorata della sigla.

 Et voilà!
Ce n'è da leggere direi!

giovedì 20 giugno 2019

Una storia quasi soltanto nostra. I moti di Stonewall e la nascita del movimento LGBT tra esasperazione, favolosità e il diritto di splendere alla luce del sole

 Il primo pride non si scorda mai.

In realtà io mi ricordo anche il primo pride a cui non sono andata. Correva l'anno 2007 e un mio amico, l'unico gay oltre me che conoscessi bene all'epoca, aveva deciso di prendermi sotto la sua ala protettiva.

 Mi portò con sé qualche volta a Roma nei locali, ma io ero ancora una specie di palla di timidezza e spavento.

 Ricordo che in quel periodo, cercando di farmi forza, leggevo delle orribili raccolte di racconti "Le principesse azzurre", orribili perché i racconti erano quasi tutti davvero brutti (almeno per me), ma assai meritevoli perché era l'unica cosa lesbica che potevi trovare in libreria senza prima fare una ricerca bibliografica preventiva di ore.

 Pensavo, leggendoli, che a me non sarebbe mai capitato di avere un gruppo di amiche lesbiche, che l'amore chissà come avrei mai fatto a trovarlo, che quelle vite, insomma esistevano solo nei libri, nei film o al massimo in America.

 Lo stesso amico cercò, inutilmente, di trascinarmi al Pride, ma io mi vergognavo. 

 Non so dire esattamente ora perché, ma mi metteva un'ansia esagerata, come se, metterci piede volesse dire prendere una posizione definitiva: il mio posto adesso è realmente qui, io sono una di loro.

 E' stata forse la cosa che ci ho messo più tempo a capire: poiché di essere lesbica me ne sono accorta a 21 anni (anche se dei sospetti seri potevano venirmi già dalla preadolescenza, ma vabbeh) ho fatto proprio fatica a fare lo switch mentale. Quella che più comunemente si chiama accettazione.

 La presa di coscienza mi ha lasciato stordita quel paio di annetti in cui cercavo di illudermi che non sarebbe mai arrivato il vero momento di affrontare la questione di petto.
 Così nel 2007 avevo deciso, in preda a un'agitazione che ancora mi ricordo, che proprio no, non ce la facevo.

 Il primo pride a cui andai fu il Pride di Roma del 2009 e fu anche l'occasione in cui conobbi la mia attuale moglie. Lo ricordo come un evento bellissimo, enorme, colorato, mi sembrava di respirare come mai nella vita. Ero felicissima.
 L'unica ombra che ricordo è una vecchia che si prese la briga di fermarci e dirci che "Eravamo due belle ragazze, tanto normali, e allora perché? Perché?".
 E il perché gli etero si preoccupino tanto di quello che fanno gli omosessuali è un po' la grande domanda che aleggia sempre.

 Anche se ultimamente c'è la tendenza a credere che non ci sia bisogno di una sensata motivazione per compiere una determinata azione, in realtà esiste sia un motivo per il quale il pride è volutamente estroso, sia per il fatto che si svolge nel periodo meno adatto a mettere su una manifestazione di massa ossia l'estate (mai dico MAI mi dimenticherò il caldo che faceva al pride di Milano due anni fa, ho avuto una congestione per il caldo).

 Entrambi i motivi risalgono ai famigerati moti di Stonewall, famigerati almeno per chi del movimento LGBT fa parte, molto meno tra chi lo guarda da fuori.

 La notte tra il 27 giugno e il 28 giugno del 1969, cinquanta anni esatti fa, a New York la polizia fece irruzione in un bar gay (frequentato però anche da lesbiche e transgender) per sgomberarlo e chiuderlo, con solita retata, identificazione, manganellamento ecc.

 Era una consuetudine questa, piuttosto diffusa negli Stati Uniti: le retate improvvise nei bar gay per le motivazioni più disparate, dall'indecenza al divieto di servire alcolici agli omosessuali.

 Quella notte però non andò come previsto e la gente presente allo Stonewall Inn si ribellò dando vita a degli scontri con la polizia locale che andarono avanti per cinque giorni.

 Le motivazioni che fecero letteralmente e improvvisamente traboccare il vaso sono rimaste tuttora misteriose.

 C'è chi dice che ormai i tempi fossero maturi perché finalmente avvenisse, chi sostiene che la prima ad essere aggredita fu Stormé Delarverie, una drag king molto conosciuta nell'ambiente all'epoca, chi fantasiosamente dice che fosse collegato alla recente morte di Judy Garland, nota icona gay, che avrebbe dato fuoco alle polveri.

 Nessuno lo sa con certezza.

 In ogni caso, viene ormai ritenuto leggendario momento d'inizio degli scontri, la famigerata scarpa col tacco (o la bottiglia) che Sylvia Rivera, transgender e drag queen, lanciò contro la polizia dopo essere stata aggredita.

 Gli scontri furono un punto di svolta.

 Per la prima volta si capì che non era necessario sopportare tutto, lo sgombero, le retate, l'identificazione, le botte, la derisione, l'umiliazione. Si poteva e si doveva reagire. E si poteva e si doveva reagire solo smettendo di nascondersi.

 Bisognava essere visibili, bisognava mettere la società di fronte a quello che aveva sempre voluto nascondere, soffocare eppure usare quando ne sentiva la voglia.

 I moti di Stonewall sono il motivo per cui il pride si svolge a Giugno e per il quale continua a essere un evento variopinto, divertente, gioioso e anche eccessivo.

 Per secoli omosessuali e transgender sono stati costretti a nascondersi e a vergognarsi per l'ansia di controllo e possesso di una maggioranza eterosessuale che li ha accusati di ogni nefandezza possibile pur di annientarli.

 Ma ciò che rende la comunità LGBT diversa dalle altre minoranze è la sua assoluta casualità. Si nasce omosessuali o transessuali con un'assoluta casualità non predeterminata: si nasce soli in una famiglia composta da membri solamente eterosessuali (o quasi, solitamente c'è sempre uno zio strano che misteriosamente non si è sposato e ha una vita privata oscura), si frequentano scuole, associazioni, sport, piazzette, compagnie, gruppi composti quasi sempre per intero da altri eterosessuali.
Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera

 Non nasci in una famiglia o una comunità che è come te, come accade a tutte le altre minoranze che condividono religione o etnia o lingua.

 E allora cosa può unire persone che nascono ovunque, in ceti sociali diversi, etnie diverse, religioni diverse unite solo da un comune destino?

 Una cultura comune e condivisa. Ed è questo che il pride rappresenta: la sintesi di tutto ciò che siamo, la rivendicazione ad una non omologazione, quell'omologazione che ci è richiesta contro la nostra natura sin dalla nascita.

 Perché chiedere un pride sobrio se non per sentirsi rassicurati nel vedere gli altri "come noi"?

 E perché sentiamo la necessità di saperli esattamente come noi? Perché ciò che devia dalla norma è disturbante, mina le certezze, costringe a guardare le cose da altre prospettive, a prendere in considerazioni questioni che vorremmo solo dimenticare.

 Quando il ministro Fontana dice cose violente come "le famiglie arcobaleno per me non esistono" sa che non sta attuando una magia da Harry Potter che gli permetterà di veder svanire gli omosessuali e le loro famiglie dal pianeta.

 Si sta illudendo di tornare a quel passato ancora troppo vicino nel quale vivevamo nell'ombra, una parte di noi, quella privilegiata, col lusso di potersi permettere una doppia vita infernale: la famigliola etero di giorno e l'incoffessabile verità di notte.

  E la parte non privilegiata, le lesbiche e le transgender prese come barzellette e sogno erotico per uomini etero le prime e come malate da usare per le proprie fantasie sessuali le seconde.

 Ma noi non vivremo più in funzione di qualcun altro, alle leggi di qualcun altro, al sobrio e ipocrita buongusto di qualcun altro.

 Non si è più o meno meritevoli di un diritto se si va in giro vestiti da impiegati statali o coi boa di piume di struzzo, perché i diritti non sono un premio per chi si comporta bene, i diritti sono di tutti e vanno strappati e pretesi.

 Perciò con buona pace di Fontana, di Pillon, di chiunque storca il naso quando vede un seno di fuori, una gonnellina di piume, un crossgender, una lesbica butch o un uomo coi tacchi a spillo, qui nessuno tornerà nell'ombra.

 E c'è ancora molto, troppo, per cui purtroppo combattere per appendere le bandiere arcobaleno al chiodo.

Vorrei consigliarvi qualche libro da leggere sull'argomento, ma, ebbene sì, non esiste praticamente niente in lingua italiana.
  La Bonelli ha appena fatto uscire un fumetto e una trentina (trenta) di anni fa è uscito un volumetto di Massimo Consoli delle ed. Napoleone dal titolo "Stonewall. Quando la rivoluzione è gay".

Vi consiglio però di vedere una bella serie Netflix, "Pose".

 La serie è ambientata negli anni '80, proprio nel pieno dell'epidemia di AIDS.
Racconta in modo molto efficace la diversa stratificazione di discriminazione all'interno dello stesso mondo lgbt e i motivi alla base della costante ricerca di favolositàh del mondo lgbt, disperatamente proteso nel desiderio di splendere nonostante i continui tentativi di emarginazione e umiliazione.

Ps. Sì, ho notato che molte aziende quest'anno si sono arcobalenizzate, sì sono contenta per loro, ma non mi illudo che non ci sia una strategia che preveda qualcosa come "Ehi, i gay non ci hanno ancora dato tutti i loro soldi!".
 I diritti sono una cosa sera, non l'ennesima quota di mercato, ma questa è un'altra storia e un altro post.

domenica 16 giugno 2019

Piccole recensioni tra amici! La bella addormentata di Ottessa Moshfegh, i gialli di Qiu Xiaolong e una piccola storia Queer di Jen Wang


In questo mese del pride vorrei produrre all'incirca millemila post,  ma il tempo tiranno non me lo concede. 

 Ne ho messi però in cantiere svariati e cercherò di postare in giro sui social tutti i suggerimenti random che riuscirò (cercando di fare anche qualche fumettino).

 Intanto che li termino (ne ho iniziati almeno 5 probabilmente usciranno poi a raffica tutti insieme), godetevi questo piccole recensioni tra amici queer almeno per un terzo.

 Big bottino perché tutti e tre i libri meritano davvero!

Let's go!


IL MIO ANNO DI RIPOSO E OBLIO di Ottessa Moshfegh ed. Feltrinelli:

Si può scrivere un intero libro su qualcuno che dorme e indefessamente vuole solo dormire? Sì.

 Ci aveva già provato in verità Banana Yoshimoto in "Sonno profondo", ma in quel caso era un racconto lungo che raccontava di una sorta di esaurimento che non lasciava le forze se non per dormire.

 Ne "Il mio anno di riposo e oblio" di Ottessa Moshfegh invece, la bellissima e abbastanza viziata protagonista senza nome, decide che la sua vita, dopo la morte di entrambi i genitori in un breve lasso di tempo, è in stallo. 

 E' bella, ricca, vive a Manhattan, lavora per una pretenziosa galleria d'arte, eppure ha una sola amica (che peraltro mal sopporta), un ex che torna a più riprese solo per umiliarla, e non capisce se i suoi genitori appena defunti l'abbiano mai davvero amata.

 Decide così di voler diventare una persona nuova e invece di partire in un viaggio per mezzo mondo in stile Mangia, prega, ama, decide di usare un solo verbo: dormire.

 Si convince che se dormirà per un anno intero, al suo risveglio, sarà una persona nuova. 
 Si procura così una psichiatra compiacente (o forse più che altro una vera pazza) che la riempie di medicine adatte allo scopo senza fare troppe domande (quelle che fa peraltro le dimentica) e inizia la sua avventura.

 La storia procede raccontando il suo tentativo di dormire e  tutto ciò che accade ad impedirglielo, meglio conosciuto come "la sua vita che, per quanto scarna, non scompare neanche se lei decide di farlo".

 Incredibilmente la trama è tutta qui, eppure la Moshfegh riesce, grazie a una scrittura scorrevolissima e una forte dose di black humor, a tenerla in piedi senza annoiare, fino a un finale che lascia un po' perplessi, ma che non posso svelarvi OVVIAMENTE.

 Molto consigliato.


Di seta e di sangue di Qiu Xiaolong ed. Marsilio:

 Amo moltissimo Qiu Xiaolong, giallista cinese (che non vive in Cina) in grado di costruire pregevoli trame investigative coinvolgenti e mai artificiose.

  Il protagonista è l'ispettore Chen, curioso esempio di dissidente integrato nel sistema, troppo intelligente per farsene fagocitare, ma anche per opporvisi apertamente e strenuamente

Sospeso tra le sue indubbie e brillanti capacità investigative e la volontà di dedicarsi allo studio della letteratura cinese, Chen porta avanti le sue indagini senza forzature o misteriose intuizioni , il tutto mangiando spesso cose che per i nostri stomaci occidentali sono davvero strong (se siete animalisti fatevi molto coraggio).

 La cosa più interessante dei suoi gialli è l'ambientazione: la Cina, un mondo distopico eppure realmente esistente, in cui un presente capitalista e un passato comunista si saldano in un modo che ha dell'inquietante e dell'orwelliano.

 Inoltre, per noi stolti occidentali che studiamo poco e male la storia dell'Oriente, è davvero una fonte di informazioni e un ripasso storico di quello che fu il periodo maoista visto che, solitamente, tutti i crimini su cui indaga affondano le proprie radici nel passato.

 In "Di seta e di sangue" un misterioso serial killer uccide giovani ragazze del mondo dell'intrattenimento dopo averle denudate e aver infilato loro un qipao rosso (il tipico abito cinese che in realtà in questo libro si scopre essere tipico solo di una minoranza etnica). 
Il qipao per intenderci


Perché le uccide? Perché fa indossare loro proprio un qipao?

 Le storie con i serial killer sono sempre ad altissimo tasso di rischio. Di solito finiscono in un casino assurdo o in un bicchier d'acqua, questa invece mantiene la sua promessa fino alla fine. 

 Pecca forse un po' di schematismo nella parte psicologica, ma che bellezza leggere finalmente un giallo che è un giallo e non qualcosa che procede per caso, intuizione, sesto senso e altri deus ex machina vari ed eventuali.

 I gialli dell'ispettore Chen sono tutti slegati gli uni dagli altri, anche lui ha una vita privata, ma non intensa come Ricciardi, un po' più, per intenderci, alla Montalbano.

 Succede qualcosa, ma quasi mai niente di così sconvolgente da precludere al lettore la possibilità di leggere i gialli nell'ordine che preferisce.

 Davvero bello, straconsigliato.


IL PRINCIPE E LA SARTA di Jen Wang ed. Bao Publishing:

 Molti avranno visto aggiungere all'ormai conosciuto acronimo Lgbt anche una q finale domandandosi cosa caspita potesse mai essere.

  Qualcuno avrà ricevuto una risposta senza eccessive spiegazioni: Queer, la classica parola straniera che uno si trova in giro senza che nessuno si prenda mai la briga di dire cosa sia perché tanto devi saperlo (tipo il Bureau sulle navi che per anni ho finto di comprendere prima di consultare un dizionario).

 Al contrario del Bureau però, la parola Queer è effettivamente intraducibile, esattamente come un altro mysterioso termine ombrello "Camp" (che magari sarebbe meno misterioso se qualcuno ripubblicasse il libro della Sontag "Note sul camp").

 Letteralmente dovrebbe significare "eccentrico-stravagante" e viene solitamente usato all'interno della comunità Lgbt per indicare qualsiasi variabile esistente nel mondo Lgbt sia in termini di orientamento sessuale che di identità di genere, ma non solo. 

 In verità il termine queer, come dimostra la bellissima graphic novel di Jen Wang, "Il principe e la sarta", è così inafferrabile da poter raccogliere al suo interno anche quegli etero che non si riconoscono in pieno nell'omologazione loro imposta dagli stereotipi culturali. 

 Nella storia, ambientata in una sorta di Belle epoque molto fantasiosa, la sartina Frances ha aspirazioni da stilista e disegna modelli innovativi e sensazionali sognando prima o poi di disegnare splendidi vestiti per i nascenti grandi magazzini e per il balletto. 

 Un giorno un suo vestito viene notato da una persona molto speciale che la assume in gran segreto per produrre meravigliosi vestiti, il più innovativi possibili: gonne piene di farfalle, svolazzanti abiti agrumati, stoffe colme di fiori. 

 Il committente però non è una bella principessa, ma un principe, che si sente libero solo quando si infila splendidi abiti da sera e lunghe parrucche che può pettinare.
 La sartina non fa tante domande, per lei l'importante è poter dare sfogo alla sua arte e il principe finalmente vive di notte una vita di libertà, malgrado di giorni i genitori insistano perché trpvi moglie.

 E qui arriva la variabile interessante.

 Il principe e la sartina si innamorano. Il motivo per cui al giovane principe piace vestire lunghi abiti sta semplicemente nel fatto che gli piacciono, è, quel che si dice, un crossdresser. 

 Non si sente una donna, finge di esserlo solo perché è l'unico modo per indossare gli abiti favolosi che adora. Ecco, questo è molto queer anche se i protagonisti sono etero.

 La fissazione sul significato culturale, in questo caso sessuato, dei vestiti è una vecchia ossessione del genere umano. 

 Sembra molto importante distribuire subito le preferenze in tale ambito: alle donne piacciono le gonne agli uomini no (ma se sono scozzesi o di qualche cultura a noi ignota sì), alle donne piacciono i fiocchi agli uomini no (ma ai dandy sì), alle donne piace il rosa agli uomini no (ma a Formigoni sì) e via discorrendo. 

 Si capisce che è una cretinata visto che è impossibile nascere con la voglia predeterminata di mettersi le scarpe col tacco e il rossetto eppure viviamo un'intera esistenza dandolo per scontato.

 Il principe e la sarta racconta con una dolcezza e una delicatezza impagabili una piccola storia queer che ha tanto da insegnare nella sua apparente semplicità.

 Davvero bello. Superconsigliato in questo mese del pride!

mercoledì 12 giugno 2019

Ragazzi che amano ragazzi. Libri lgbt per ragazzi tra commedia, fumetti, l'orrore delle teorie riparative e ragazze che amano ragazze.

 Quando ero una giovinetta, in verità non tantissimi anni fa, trovare un libro lgbt per ragazzi era qualcosa ai limiti dell'impossibile.

 Non ricordo quale fu il primo libro lgbt che lessi, immagino quello di letteratura greca delle superiori, ho poi memoria di aver pescato a caso in biblioteca "Il pozzo della solitudine" (una tragedia che fortunatamente sembrava più che altro un romanzo storico molto tragico) e "Non ci sono solo le arance", assolutamente splendido.

Ero però già alla fine delle superiori, alle medie o ancor prima non se ne parlava.
 O facevi il liceo classico o il nulla.

 E, devo dire, a posteriori mi ritengo anche fortunata nel non essere incappata in "Ragazzi che amano ragazzi", storica pietra miliare di Piergiorgio Paterlini che, riletta ad anni di distanza, quando fu un lampo che squarciò il buio, appare un film dell'orrore
.
 Vi consiglio di regalarlo a tutti quelli che dicono che il pride dovrebbe essere più sobrio o che non serve o che i gay hanno "già tutti i diritti". Rimane anche un valido consiglio per tutti i ragazzini che si sentono in vena di scherzi.

 Io mai mai mi posso dimenticare quanto trovai agghiacciante la lettura, l'impressione che mi fece la storia di uno dei ragazzi che raccontava di aver conservato un bicchiere di plastica che gli aveva offerto un banchetto dell'arcigay. Mi viene da piangere ancora adesso.

 Non so esattamente le cose editorialmente quando le cose abbiano cominciato a cambiare, probabilmente quando anche la società ha finalmente vissuto quello straordinario cambiamento e ha avuto uno scatto in avanti.

 I ragazzini di oggi hanno molti libri lgbt tra cui scegliere, alcuni allegri, altri meno, ma ne hanno, ce ne sono così tanti che farò un secondo post.

 Così magari un ragazzino di qualsiasi provincia o qualsiasi città che cercasse un consiglio potrà trovarlo e sentirsi un po' più al sicuro.

 Bando alle ciance! Let's go!


COMMEDIA

"Io no!...forse sì" di David Larochelle Bianconero ed. e "Tuo, Simon" di Becky Albertalli ed. Mondadori:

 Fanno entrambi parte del filone dei libri da high school americane. Adolescenti che scoprono la propria omosessualità tra mille ansie.

 "Io no!...forse sì" è un grazioso e scorrevole libro, molto divertente e senza angosce, che racconta le difficoltà di ammettere la propria omosessualità. Non è semplice capire che il proprio percorso di vita non è quello che ci è stato prefissato fin dalla nascita, così a sedici anni Steven decide che deve prendere il toro per le corna e farsi piacere le ragazze a tutti i costi.
 Non succederà, ma vivrà avventure assai comiche.

 "Tuo, Simon" affronta in qualche modo la variante del cyberbullismo. 

 Simon è un diciassettenne, con una migliore amica molto innamorata di lui (ma lui non lo sa), altri amici fantastici e un segreto: è gay. Non riesce a confessarlo a nessuno se non a un ragazzo conosciuto online che frequenta la sua stessa scuola.

 I due si scrivono lunghe mail finché un giorno Martin, un odioso ragazzetto in verità solo molto molto sventurato col gentilsesso, lo scopre casualmente e lo ricatta: se non lo aiuterà a conquistare una sua amica svelerà a tutta la scuola che è gay.

 Meno spensierato di "Io no!" riesce comunque ad affrontare il tema dell'ingerenza benevola e malevola del virtuale nel reale con una certa forza. Non vi preoccupate, finisce bene.

Aggiungerei al duetto anche "Il club di geografia" che purtroppo non è stato tradotto in italiano, ma esiste un bel film omonimo che parla anche di omofobia interiorizzata.

 Ossia quando il problema non è la tua famiglia, che è apertissima, o i tuoi amici, che tifano per te, ma sei tu che hai il problema di essere omosessuale e al contempo omofobo e sessista. Eh già. Al governo sembra essercene più d'uno.


RAGAZZE CHE AMANO RAGAZZE

"L'altra parte di me" di Cristina Obber ed. Piemme e "L'uovo fuori dal cavagno" di Margherita Giacobino ed. Elliot:

 Esistono ben (ben!) due libri italiani che raccontano storie di adolescenti lesbiche. Il primo, l'altra parte di me, è della giornalista Cristina Obber e, in un certo senso, è assai più duro del secondo, della scrittrice Margherita Giacobino.

 Nel libro della Obber due ragazze, Francesca e Giulia, si conoscono online (dove, vi dicono, si conoscono credo la stragrande maggioranza delle coppie gay) e iniziano un'appassionante storia d'amore molto osteggiata soprattutto dai genitori e dagli amici di Francesca.

 Mentre Giulia viene dalla Puglia e da una famiglia tutto sommato tranquilla a cui ha potuto confessarsi senza eccessivi problemi, Francesca deve scontrarsi con la pericolosissima e poco conosciuta borghesia nordica, tanto perbenina quanto bigotta.

 Se i suoi genitori a parole si dimostrano apertissimi, quando Francesca gli racconta di Giulia ingaggiano una vera e propria battaglia fatta di recriminazioni e silenzi. Gli amici non sono meglio visto che sostengono, ma poi non devi esagerare eh, stai attenta, nasconditi che c'è un limite a tutto.

 Le due riusciranno a stare insieme perché è giusto che gli adolescenti capiscano una cosa santa: la vita è la loro e non dei genitori e affrontare le avversità può essere durissimo, ma è l'unica strada per essere felici.

 L'uovo fuori dal cavagno ha un tono molto più scanzonato. Le protagoniste sono due ragazzine piene di energie e di grandi capacità nel mettersi nei guai: Gioia ha due genitori atei e comunisti, ma va in una scuola cattolica che proprio non le garba, inizia una focosa storia d'amore con la bella Stef che però si rivela il prototipo di gattamorta da evitare per il resto della vita.

 Col cuore spezzato cercherà nuove avventure da vivere e la sua strada fuori da bigottolandia.

 Nel frattempo la sorella di Stef, quella che si ritiene meno carina (ma ognuna ha i suoi tempi), Debora, cerca il suo posto nel mondo: possibile sia proprio l'unica lesbica del pianeta (le due sorelle non si parlano molto)? E dove trovare le altre?
Divertente, forse un po' vintage, ma se lo trovate è godibilissimo.


TEORIE RIPARATIVE E ALTRI ORRORI:

 "Boy Erased" di Garrard Conley edizioni Black Coffee e "La diseducazione di Cameron Post" di Emily M. Danforth ed. Rizzoli:

 Malgrado l'omosessualità sia stata definitivamente cancellata dal novero delle malattie mentali da anni e venga considerata per quel che è, ossia una variabile naturale della sessualità umana, qualche genitore proprio non vuole arrendersi all'evidenza e pensa che un lavaggio del cervello sia comunque meglio alla felicità del proprio figlio.

 Tenete presente che per me non esiste motivazione alcuna per trovare scusanti a questa gentaglia che di essere genitore non se lo meriterebbe né ora né mai, perché se nell'abisso della tua ignoranza pensi sia normale sottoporre tuo figlio a sessioni di violenza psicologica che rischiano di annientarlo, beh per me meriti un solo posto assieme a chi ti asseconda: la revoca della patria potestà e la galera.

 Mentre in Italia fanno tutto di nascosto perché ecco la galera non lo so, ma qualcosa genitori bigotti, preti e compagnia cantante qualcosa rischiano, negli Stati Uniti, il luogo dove è nata questa geniale idea, invece prosperano.

 L'idea è praticamente prendere dei ragazzini e delle ragazzine che mostrino tendenze omosessuali  e sottoporli a un programma di assurdità che dovrebbe riportarli sulla retta via eterosessuale.

 Si cercano improbabili cause per la devianza, (tipo la madre che lavora invece di stare a casa a fare la calza e fornire un prototipo di donna da imitare), si costringono le ragazze a femminilizzarsi" e i ragazzi a "virilizzarsi" con umiliazioni persistenti varie e diffuse.

 "Boy erased" è una storia autobiografica, "The miseducation of Cameron Post" no, ma entrambi parlano dello stesso argomento con un protagonista maschile e uno femminile.

 Sono molto molto molto duri. Li farei leggere ai ragazzini omofobi più che a quelli gay per fargli capire il peso delle loro azioni sul mondo.

 A tutti invece fare vedere "But I'm a cheerleader!", tradotto in Italia, incomprensibilmente con, "Gonne al bivio".

 La storia racconta in modo volutamente surreale nei toni (ma mostrando le reali tecniche riparative utilizzate in questi centri) le disavventure di una povera ragazzina che, appunto, pur essendo lesbica non mostra evidenti segni di lesbitudine: ha i capelli lunghi, è molto femminile, fa la cheerleader, è aggraziata, ama i trucchi e i parrucchi.

 Insomma, nulla lascerebbe immaginare che invece abbia bisogno di essere "riparata" e invece. Invece sembra che infilare degli adolescenti gay confusi in una sorta di campo scout dell'orrore sembra la soluzione ideale. E' orribilmente tragicomico.

Da vedere.


FUMETTI

"Skim" delle cugine Tamaki ed. BD, "Trottole" di Tillie Walden ed Mondadori e "La mia cosa preferita sono i mostri" di Emil Ferris ed. Bao Publishing:

Quanti, quanti fumetti per adolescenti lgbt potrei consigliarvi. A piovere! Il mondo del fumetto è assai più prolifico di quello dei romanzi.

 Ho scelto di consigliarvi solo il meglio del meglio, tre graphic novel assolutamente superlative.

 La prima è "Skim" (per la recensione dettagliata qui) che racconta la rarefatta stagione d'amore della giovane Skim, studentessa di liceo canadese con madre giapponese (e per questo discriminata dalle amichette di scuola wasp), lei e la sua scontrosa migliore amica pensano di essere due giovani streghe e si dilettano con qualche rituale di magia bianca che consiste in erbe, candele e incensi.


 Poi arriva una professoressa bellissima, affascinante carismatica, una di quelle creature che sembrano meravigliose e in realtà nascondono solo una gran confusione e confusione seminano. Skim ne rimane soggiogata, ma è anche una ragazza abbastanza intelligente da sapere quando qualcuno la sta usando, quel che non sa è quanto fa male il cuore quando si spezza per la prima volta.

 "Trottole" è la storia autobiografica di Tillie Walden (recensione dettagliata qui), un ex campioncina di pattinaggio sul ghiaccio che ad appena 22 anni ha scritto una storia straordinaria.

 E' riuscita a condensare tutte le inquietudini e i silenzi che avvolgono quella che non è certo l'età più semplice della vita.
 Inizia come un romanzo sullo sport: chi pratica sport a livello agonistico, ma non è abbastanza bravo per arrivare primo rischia una vita di immani sforzi, poche soddisfazioni e tante domande, una su tutte: chi sono io senza?

 Se ci si mette un trasferimento traumatico, madri pancine che (al contrario della sua) stanno dietro alle figlie h24 per portarle alla vittoria, ragazzetti che dovrebbero dare ripetizioni e invece si danno alle molestie, la frittata è fatta. Se poi ti piacciono anche le ragazze, sei in Texas e neanche il tuo fratello gemello ti capisce, beh, la depressione potrebbe essere totale.

 Invece Tillie condensa questa enorme massa di esperienze potenzialmente traumatiche in un libro spettacolare.

L'ultimo fumetto è "La mia cosa preferita sono i mostri" , una delle mie graphic novel preferite in assoluto, possente, monumentale (recensione dettagliata qui).

 La protagonista, Karen, è una ragazzina che negli anni '60 vive in un quartiere malfamato di Chicago assieme a suo fratello maggiore (che ha preso tutto dal padre messicano ed è il latinos per eccellenza), la madre (che però sta morendo) e un grande mistero: la morte della bellissima vicina del piano di sopra. Chi è stato?

 Spettacolare nel riuscire a condensare l'essenza stessa del mostruoso.

 Karen adora gli horror di serie B e si disegna come una licantropa, ama la sua migliore amica anche se sa che non glielo può dire e immagina di essere inseguita dai veri mostri: i cittadini tanto perbene. Ma è anche una riflessione su ciò che ci fa diventare mostri, se è possibile che ognuno di noi, in determinate circostanze, possa effettivamente trasformarsi in un "vero" mostro, non in quello che la società si crea.


TRANSGENDER

"Luna" di Julie Anne Peters ed. Giunti e "Cinzia" di Leo Ortolani ed. Bao Publishing:

 Dulcis in fundo. Esistono romanzi che parlando di transessualità a un pubblico giovane? NI. Sono purtroppo pochissimi rispetto ai già pochi romanzi lgb.

  Il primo che posso consigliarvi è "Luna", è interessante perché racconta il tema della transessualità non in prima persona, ma attraverso gli occhi di altre, per la precisione di una sorella.

 Liam è un ragazzo bello e pieno di ragazze che nasconde un segreto.

  Il suo sogno è diventare quel che è tutte le notti, quando è libero, una ragazza di nome Luna. Sua sorella Regan lo sostiene e si fa carico di una solidarietà e di un amore che richiedono un impegno più grande di quel che aveva previsto.

 Ma i fratelli e le sorelle esistono anche e soprattutto per questo: per non essere mai soli, mai.

 Il secondo è il recentissimo "Cinzia" di Leo Ortolani. Cinzia è un personaggio storico della serie Ratman, la transgender che per buona parte della serie cerca di sedurre il buon Ratman, l'esempio che si può fare ironia su tematiche delicate senza diventare dei cafoni burini maledetti (per la recensione completa qui).

 La graphic che Ortolani le ha dedicato è un capolavoro di delicatezza, dolcezza e irriverenza adattissimo a un pubblico giovane.



Fine del primo round!

mercoledì 5 giugno 2019

Prigionieri del sogno di qualcun altro. 10 cose (+1) dei bei tempi andati di cui i Millennial sentono nostalgia senza averle mai vissute dalla Dc alla felicità fino a Yalta.

Dice una celebre fase di Garcia Marquez che: "la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la ricorda per raccontarla".

 E' inevitabile applicare questa massima alle nostre piccole vite, ma forse, usandola come chiave di lettura del nostro presente sempre più discutibile, potrebbe essere illuminante.


 Sfido qualsiasi trentenne attuale a non essere stato prigioniero di un sogno. Quello dei propri genitori.


 I baby boomers ritengono di aver vissuto un'epoca privilegiata e di certo hanno ragione, ciò sul quale forse e probabilmente errano è il loro strenuo e continuo tentativo di riviverla in un presente che ha connotati e caratteristiche completamente diverse e non paragonabili (anche per colpa o merito loro, altra parte che sfugge sempre).

 Pur essendo, a mio parere, una delle grandi malattie del nostro tempo (una sorta di febbre generazionale che non passa e ci rende deboli e confusi), non esistono molte pubblicazioni sul tema.
 Quella che forse meglio esprime questa mia idea svolazzante è "Utile per iscopo" un piccolissimo saggio di Wu Ming 2 che analizza le problematiche di una società di retromaniaci.
 Una società che vive nel culto del passato ha dei grandi problemi di rinnovamento e creatività perché non farà altro che tornare sulle potenzialità del passato nell'ansia perpetua di reinterpretarle, "affamata di passato".

 Ho quindi deciso, anche se magari sarà un post poco libresco (anche se un altro saggio da consigliare potrebbe essere "Contro i bei tempi andati" di Michel Serres) , di elencare le cose di cui i Millenial hanno maggiormente nostalgia anche se non le hanno mai vissute.

 Liberissimi di aggiungerne altre che ho dimenticato!


LA DC:

E il Pci. Ma più DC. 

 Nessun millenial era abbastanza senziente all'epoca per ricordare le due formazioni politiche all'opera eppure sappiamo tutti per certo che si stava meglio quando si stava peggio.

 La DC è la formazione politica più rimpianta trasversalmente da chiunque fosse lucido prima degli anni '90, al punto che la rimpiangiamo anche noi che l'abbiamo presa solo di striscio.

 Certo, i governi cadevano ogni 5 mesi (ma anche lì ci sono buchi di memoria se gente che ha visto i 345354 governi Andreotti ora bercia online di "governi non eletti dal popolo"), governi balneari, pentapartiti, trasformismi, lotte intestine che manco il trono di spade, manuali cencelli che c'erano e almeno nessuno faceva finta non ci fossero, cristiani che però "hanno approvato il divorzio" e tante altre meraviglie.

 Tutte cose che, da quanto ci raccontano, all'epoca sembravano il demonio e adesso non c'è persona che non rimpianga.

 Non abbiamo mai visto la DC all'opera ma noi millenial sappiamo istintivamente che i guai dell'Italia sono iniziati nel momento in cui la sua rassicurante ala protettiva si è allontanata da tutti noi lasciandoci in balia delle nostre (pessime) decisioni politiche.


MA ANCHE IL PCI:

Qualsiasi partito di sinistra sarà per sempre destinato a fallire finché dovrà reggere il confrontato col Pci.



 Il Pci era radicato sul territorio, il Pci parlava agli operai, il Pci aveva una vera dirigenza, il Pci aveva l'intellighenzia, la scuola di partito, Frattocchie, Togliatti e Berlinguer.

 Poco importa pensare razionalmente che il Pci fondava la sua forza principale nel fatto di essere il partito giusto nel contesto storico e sociale giusto, un partito di un presente che ormai è trapassato, poco importa anche che il territorio stesso fosse radicabile perché le persone erano diverse, più permeabili a certe esigenze e meno ad altre.

 Poco importa anche che fu un partito profondamente bigotto (ma ho parlato con tanti giovani d'oggi di partito che contrappongono diritti sociali a diritti civili come se ci fosse una gara di supremazia e non potessero andare insieme).

 Il PCI rimane il grande immortale fantasma a cui tutti aneliamo e che non può ritornare ma che bramiamo come se potesse salvarci da un sistema economico sulla via della catastrofe.

 Intanto il tempo passa e noi lo passiamo a sospirare sperando in un impossibile ritorno. Torna torna questa casa aspetta a te.


GUERRA FREDDA:

 Manicheismo a gogò. Chi è che non ne ha bisogno? 
 Ora non si capisce più niente: russi che influenzano le elezioni americane ed europee. Europei che non sanno più se stanno coi russi, con gli americani o coi cinesi. Repubbliche ex sovietiche che non sappiamo mai bene cosa stiano combinando (quante siano) e se ci dobbiamo preoccupare.

  La Germania che, unita, ha ripreso a randellarci, sovranisti che giocano a fare i capetti da repubblica delle banane in giro per mezza europa e popoli storditi che votano per uscire dall'Europa, ma alla fine non trovano il mondo di andarsene.

 Insomma, ce lo ripetono in ogni modo: rivenisse Yalta! 

 Sì, c'erano tanti casini, però almeno avevi la certezza che gli americani e i loro alleati erano x e y e che i russi erano z e k. I cinesi chiusi in una strana e ossessiva autarchia se ne stavano per i fatti loro e tutto procedeva se non bene almeno con un senso logico.

 Eh, come si stava bene prima della caduta del muro anche se oh, la caduta del muro è uno degli eventi più importanti e commoventi dell'ultimo secolo eh!


ASSISTENZIALISMO DI STATO:

Ma volete mettere i bei tempi in cui si poteva andare in pensione con 15 anni di contributi, avere rendite dai titoli statali da capogiro, casa comprata, casa al mare comprata, i figli che stavano meglio dei genitori e via discorrendo.

Certo poi che questa cosa fosse dovuta a una congiunzione astrale irripetibile come boom economico e possibilità di creare abissali deficit di stato (ossia lasciare cambiali con scritto "pagherò" e il nome di figli e nipoti) è del tutto secondario.

 Abbiamo sostanzialmente la casa ipotecata, ma sogniamo di poter vivere come quando era nostra. 

 Nel tentativo, stiamo cercando di ipotecarla due volte, ma il gioco non riesce e ci arrabbiamo cercando colpevoli che non c'entrano niente coi nostri bagordi passati.

 Nel frattempo, misteriosamente continuiamo a non voler riscuotere le quote condominiali dagli appartamenti che non hanno mai cacciato una lira.


 LA FABBRICHETTA:

I nostri nonni sì che la sapevano lunga! 

 Altro che master, stage e perdite di tempo, bastava rimboccarsi le maniche e non aver paura di faticare!. Senza neanche il diploma crearono interi distretti industriali a gestione familiare con idee geniali e tanta voglia di fare.

 Peccato la creatività si sia diluita e che i loro nipoti non siano in grado neanche di farsi assumere in una pizzeria al quarto stage e al terzo apprendistato.

 Certo l'assetto economico mondiale era del tutto diverso, ma di certo è un particolare trascurabile.

Ma non temiamo, se continuiamo a concentrarci sul fatto di diventare dei padroncini e mai dei lavoratori, le cose non potranno fare altro che peggiorare.


PARTO E CI RISENTIAMO TRA 20 MESI:

Siamo sempre attaccati ai cellulari, non come quei tempi mitici in cui partivi e se ti andava mandavi ogni tanto una cartolina a casa.

Potevi non sentire nessuno per MESI. MESI. Potevi sparire.

Poi certo, questo poteva anche significare non sentire i tuoi cari per secoli se ti trasferivi lontano, ma al momento ci sembrano inutili sottigliezze. 

Le stesse persone che ci hanno passato la nostalgia per la libertà estrema dei bei tempi andati, ora vuole le telecamere nelle scuole, infila app nei cellulari dei figli per geolocalizzarli, controlla registri elettronici e monitora i pargoli h24, spedisce mail d'ufficio a qualsiasi ora del giorno e della notte in qualsiasi giorno dell'anno ferragosto compreso.


 Incredibile che gli stessi siano in grado di farci rimpiangere i bei tempi della mancanza di tecnologia pervasiva accusandoci di esserne dipendenti.

E però è successo.


FATALISMO:

Se si leggono le cronache degli anni '60-'70 è sconcertante pensare che le stesse persone che li hanno vissuti accettando il fatalismo degli anni di piombo, siano state in grado vivere attualmente un tale livello di paranoia che in confronto "1984" è una vacanza.

 Genitori e nonni passano il tempo a raccontarti gli anni di terrorismo interno, agguati, rapimenti e stragi come gli anni più tranquilli mai vissuti in Italia.

Sì, succedevano delle cose, ma era così, era il fato, il destino, la sorte, quella a cui noi millenial non sappiamo affidarci (e neanche più loro a quanto sembra).

 Erano anni bellissimi, non come quelli di adesso che non sai mai cosa può succedere.


POSTO FISSO:

 Se c'è un concetto che è difficile spiegare alla maggior parte dei genitori quello è il posto fisso. Rimane loro inspiegabile come figli che hanno studiato per il doppio dei loro anni facciano lavori per i quali prendono la metà, se non la metà della metà dei loro.

 Un tempo a 20 anni e con un diploma potevi comprare casa e campare una famiglia. Ora non siamo neanche in grado di pagarci una stanza. Ah, il posto fisso che non sappiamo più meritarci!

Poi certo, se vediamo i film a episodi degli anni '60-'70 non è che la vita del lavoratore sembri proprio una pacchia, ma con una raccomandazione si risolveva tutto.

 Mica dobbiamo pensare male, erano altri tempi.


QUALSIASI ARTE ERA AL TOP DELLA SUA MERAVIGLIA:

La musica era meglio. C'era il vero rock. Lo Strega lo vincevano Bassani e la Morante. Gli artisti avevano una vera coscienza politica. Pasolini scriveva editoriali. I Beatles e i Rolling Stones. Jules e Jim e la Nouvelle Vague.

La swinging London. Raffaella Carrà che preveggeva Lady Gaga. I parrucchieri avevano già provato qualsiasi tipo di pettinatura e colore. La minigonna. Antonioni e Fellini. L'arte era vera arte. La provocazione vera provocazione. La droga non era manco vera droga, ma un modo per aprire le porte della percezione. Brigitte Bardot. I figli dei fiori.

L'unica cosa sui quali siamo liberi di non avere l'ansia da prestazione è l'informatica che, almeno quella, non c'era.

 E ovviamente si stava meglio.


LOTTA DURA E SENZA PAURA:

 Ti ricordi quella strada? Eravamo io e te? E la gente che correva e gridava insieme a noi! Ma tutto quel che voglio pensavo è solamente amoreeeeee

Qualsiasi tentativo di battaglia potremmo o vorremmo mettere in atto non sarà mai paragonabile alle conquiste dei bei tempi che furono.

 Poco importa che la lotta dura e senza paura sia difficilissimo concepirla e farla in una società liquida e in un mondo globalizzato.
 Il senso di sconfitta collettivo permane.

 Quando si diceva che i lavoratori di tutto il mondo avrebbero dovuto unirsi non era una boutade, ma un secoletto dopo si è scoperto che i lavoratori non sono naturalmente di sinistra e la cara vecchia competizione per la sopravvivenza e la selezione naturale possono essere applicate su scala lavorativa.

 Ma non illudiamoci, la colpa non è mai di un sistema che anche loro hanno contribuito a creare, la colpa sarà sempre nostra che non siamo abbastanza duri, abbastanza puri, abbastanza senza paura.
 Ah, se avessimo vissuto 50 anni fa! 


LA FELICITA':

 Dicono tutte le leggende che effettivamente il boom economico fu un periodo di assoluta e straordinaria felicità e che gli anni '80 yeah quanta spensieratezza nonostante il capitalismo prendesse il volo e vuoi mettere gli anni '90 quando ancora potevi prendere un aereo senza fare 2 ore di controlli?

 I tempi andati, in confronto ai nostri, sono un concentrato di energia e speranza che appare sempre più come una mitica età dell'oro verso il quale i nostri anni non possono che essere definiti che stanchi, logori e decadenti.

 La nostalgia per un periodo in cui non tutti fossero perennemente arrabbiati e incattiviti è forte, ma fu vera gloria?
 Non lo sapremo mai, intanto rimpiangiamo di aver perso l'opportunità del secolo per essere felici.

Una canzone ben riassume cotanto rimpianto verso l'età dell'oro italiana: "L'estate di John Wayne" di Raphael Gualazzi. Da ascoltare in loop.







Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...