In quinta elementare la mia maestra di italiano ci fece leggere "La fattoria degli animali".
Non fu una lettura estemporanea di un mesetto, ma un progetto portato avanti per l'intero anno dove ci venne affidato a ognuno di noi un animale presente nel libro.
Non solo dovevamo recitarne le parti durante la lettura (che forse era la parte più divertente), ma dovevamo segnare ogni atto del nostro animale guida e cercare di capirne le motivazioni.
Perché Palla di neve faceva questo e quello? Perché Gondrano (strana traduzione italiana di Boxer) si faceva vessare e continuava a testa a bassa a lavorare incessantemente? Perché le galline scioperavano?
Cosa voleva dire secondo noi?
Ovviamente nessuno di noi poteva avere lontanamente idea che stessimo parlando della rivoluzione russa e dei suoi protagonisti, ma alla maestra non interessava, non era quello il punto.
Il punto era che anche noi bambini di dieci anni potevamo già intuire alcune dinamiche umane abbastanza complesse e trarne le dovute conseguenze (ovviamente con altalenanti risultati, ma eravamo sempre bambini di dieci anni).
A me toccarono le pecore e, all'epoca, ci rimasi anche un po' male perché avevano una parte completamente marginale, o almeno così pensavo.
Intervenivano poco, dicevano sempre le stesse cose e, in verità, erano forse l'animale più intuitivamente comprensibile per un bambino: le pecore erano la massa incapace di fare domande, in grado solo di ripetere gli slogan dei maiali dominanti, incapaci di un pensiero personale o di una vaga ribellione.
Intervenivano poco, dicevano sempre le stesse cose e, in verità, erano forse l'animale più intuitivamente comprensibile per un bambino: le pecore erano la massa incapace di fare domande, in grado solo di ripetere gli slogan dei maiali dominanti, incapaci di un pensiero personale o di una vaga ribellione.
Erano insulse, stupide, ottuse e irritanti.
Mi consolavo pensando alla mia compagna di classe Eugenia a cui era toccata Mollie, l'inutile cavallina vezzosa e piena di nastri che andava a tirare il calesse per i vicini e che, dopotutto, molti di noi un po' comprendevano.
Gli anni sono passati e viviamo adesso un momento storico in cui mi chiedo se i bambini di dieci anni non abbiano momenti di lucidità sconosciuti agli adulti.
Siamo molto seri, il problema di quest'epoca non è avere un'opinione diversa gli uni dagli altri, il problema è che molti hanno abdicato alla volontà di avercela un'opinione e non è solo una cosa grave, è una cosa spaventosa.
Così, quest'anno, ho deciso di dedicare il post della giornata della memoria al collaborazionismo perché ricordare questo fenomeno può gettare una luce più chiara sulle tenebre che su di noi s'addensano.
Così, quest'anno, ho deciso di dedicare il post della giornata della memoria al collaborazionismo perché ricordare questo fenomeno può gettare una luce più chiara sulle tenebre che su di noi s'addensano.
STELLE CRUDELI:
Uno dei grandi errori forse della giornata della memoria, è presentarla come qualcosa di manicheo: il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. Intendiamoci, è OVVIO che sia così, ma privarla a mio parere di una certa complessità per chi la visse, dà la percezione errata che fare la scelta giusta fosse sempre semplice.
Ci sono stati fulgidi eroi che DEVONO essere ricordati, a monito imperituro del fatto che quando si dice che "Non c'era altra scelta", in verità quella scelta, volendo, poteva esserci eccome. C'è sempre un modo per dire no, e questo è il messaggio più importante, ma quello che forse passa meno è il prezzo che fu pagato.
Ci sembra ormai un concetto lontano il fatto che molti furono torturati e uccisi per le loro scelte, come un romanzo eroico che non riguardò fino in fondo persone in carne ed ossa, persone esattamente come noi, ma personaggi speciali, romanzeschi, irraggiungibili nella loro bontà e perfezione.
E' importante, a mio modesto parere, parlare anche di quella zona grigia che potrebbe davvero scuotere la nostra coscienza, il famoso: se tu fossi stato al loro posto, cosa avresti fatto?
In questo contesto, vorrei parlare di due storie che pongono tutte l'accento sull'ambiguo sentiero del male, la famosa strada del diavolo che è lastricata di buone intenzioni, ma sempre all'inferno finisce.
Stella Goldsbach:
Conoscevo già in parte la storia di Stella Goldsbach, da cui Takis Wurger ha tratto un romanzo appena edito da Feltrinelli, tramite un'altra storia esemplare dell'olocausto, quella di Felice Schragenheim, giovane ebrea tedesca che visse un'appassionata storia d'amore con Lilly Wust, giovane madre tedesca, fino alla sua deportazione Bergen-Belsen.
Nel libro di Erika Fischer "La breve vita dell'ebrea Felice Schragenheim" Beit ed. (bellissimo, CERCATELO), in un capitolo, si raccontava la storia di questa bellissima ragazza ebrea, Stella, collaborazionista dei nazisti, incaricata di scovare quelli che venivano comunemente chiamati: U-boot.
Gli U-boot erano gli ebrei che si erano rifiutati o avevano dismesso la famosa stella di David e giravano con documenti falsi per non essere identificati come tali dalla Gestapo.
Uno dei metodi che la Gestapo aveva per stanarli era mandare in giro gente come Stella a RICONOSCERE gli U-boot facendo stilare poi loro identikit e indicazioni utili alla loro cattura.
Uno dei metodi che la Gestapo aveva per stanarli era mandare in giro gente come Stella a RICONOSCERE gli U-boot facendo stilare poi loro identikit e indicazioni utili alla loro cattura.
Perché Stella si prestava? Per soldi, ogni ebreo catturato grazie a lei fruttava parecchio denaro, per i suoi genitori, che erano stati catturati e deportati e di cui le era stata garantita la salvezza (anche se poi vennero uccisi comunque) e poi chissà.
La sua storia dopo la fine della guerra è sospesa tra l'ambiguo e l'inquietante: catturata dai sovietici, scontò dieci anni di carcere, quando uscì si convertì al cristianesimo e divenne una fervente antisemita.
Si uccise, ormai anziana, nella sua casa di Friburgo. La sua unica figlia, in una paradossale chiusura del cerchio, si era trasferita in Israele dove lavora come infermiera.
Celeste Di Porto (conosciuta come Stella):
Mentre cercavo info su Stella Goldsbach, mi sono imbattuta in una storia molto simile la cui protagonista condivideva curiosamente il nome (nel suo caso il soprannome) con la sua omologa tedesca.
Si tratta della storia di Celeste di Porto, detta Stella, una ragazza ebrea romana famosa nel ghetto per la sua bellezza che durante la deportazione degli ebrei fino all'occupazione nazista, collaborò col regime contribuendo, grazie alle sue soffiate, alla deportazione di altri ebrei.
Svolgeva, sostanzialmente, lo stesso "lavoro" di Stella, e aiutò i fascisti a stanare degli ebrei nascosti durante il rastrellamento del ghetto ebraico romano e a scovare ebrei da sacrificare durante l'eccidio delle Fosse Ardeatine.
In questo caso avvenne un episodio che definirei esemplare: proprio in occasione dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, salva suo fratello, inserito nell'elenco delle vittime da fucilare, offrendo in cambio il ventisettenne pugile romano Lazzaro Anticoli, padre di una bambina, che, sulle mura della sua cella scrisse: "«Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste. Arivendicatemi»
Dopo la guerra scappò a Napoli dove venne riconosciuta e rischiò il linciaggio, processata e infine amnistiata dopo pochi anni, tentò di tornare a vivere a Roma dove rischiò nuovamente il linciaggio. Convertitasi infine al cattolicesimo, vagò un po' per l'Italia per poi tornare nella capitale dove morì nel 1981.
Entrambe le stelle si salvarono, ma a quale prezzo? Grazie al sangue di quante persone? Cosa fu la loro vita? Quale significato ebbe?
E' facile immedesimarsi negli eroi, ma è qui il grande tranello: cosa avremmo fatto noi al posto delle due stelle? Avremmo sacrificato i parenti e gli amici di altri per i nostri? La vita di altri per la nostra?
Perché, se vogliamo, la maggior grandezza di chi si oppose fu la capacità di porre la collettività prima dei propri interessi.
Chiunque si sia esposto, abbia combattuto, abbia salvato, lo ha fatto con un grande sprezzo del pericolo proprio e dei propri familiari (pensiamo anche solo alle famiglie che hanno nascosto gli ebrei) in favore del bene di persone altre.
Molti penseranno che è il primo istinto di ogni persona: pensare prima a sé stessi che al prossimo, ma se tutti la pensassimo così cosa sarebbe della nostra civiltà?
E' difficile essere fratelli e rimanere umani quando l'unico diktat è il "mors tua, vita mea", ma in realtà diventa terribilmente semplice quando riusciamo a pensare che un giorno potremmo essere noi l'altro che ha bisogno d'aiuto e di essere salvato.
DUCE!TU SEI UN DIO:
Non è che Pupi Avati mi faccia impazzire, fa film di cui non sempre capisco bene il fine se non la necessità di dirigere un film in media all'anno (i pupiavatiani mi perdoneranno), ma alcuni sono, in effetti, delle autentiche perle.
Uno dei più belli del suo ultimo periodo è "Il papà di Giovanna" (da cui ha anche tratto un libro), film che parte da una strana intuizione: ambientare un delitto nel periodo fascista.
Diciamoci la verità, la narrativa italiana (e ancor più il cinema), a meno che non abbia specificatamente risvolti politici, fatica ad ambientare trame durante il periodo fascista. In effetti, in un paese che quel periodo non lo ha mai elaborato, per uno scrittore dev'essere come camminare sulle uova.
L'unico esperimento interessante degli ultimi anni è il commissario Ricciardi di De Giovanni e, a mio parere, questo strano film che parte da un omicidio.
Una ragazza un po' strana, su cui il padre ripone altissime aspettative intellettuali, uccide una sua coetanea, bella e intelligente, l'unica peraltro a riporre in lei un qualche affetto.
Il padre a quel punto deve fare i conti con la realtà: sua figlia ha effettivamente qualcosa che non va, e forzarla ad una vita che non era in grado di affrontare, aveva aggravato la sua condizione fino a farla diventare un'omicida.
In tutto lo sfilare di personaggi ce n'è uno che mi ricorda molti nostri connazionali allo stato attuale: una donnina iperfervente fascista, completamente innamorata del duce, che ascolta le canzonette fasciste alla radio con fare innamorato. Non pensa, non elabora neanche una qualche teoria personale sulla questione, non sembra nemmeno rendersi conto, marcia sul suo posto con fare stolido e la fiducia del fanatismo.
Quel personaggio mi torna spesso in mente in questi ultimi tempi e lo ricollego a un libro che ho già citato qui, ma ho intenzione di continuare a citare: "Duce sei un dio!", una raccolta di lettere che gli italiani e le italiane, in un epoca presocial, sentivano il bisogno di inviare a Mussolini per dimostrare il loro ferventissimo ardore e la loro incomparabile fedeltà.
Donne che avevano perso figli in battaglia pronti a offrirne altri, uomini in grado di scrivere lettere che manco al primo amore di gioventù, un delirio collettivo di adorazione mistica ai confini del fanatismo.
Poiché, esattamente come Magneto, io ripongo pochissime aspettative nel raziocinio della masse, non mi stupisce minimamente che quello che accadde un tempo si ripresenti, in modo molto farsesco ma non meno pericoloso, di nuovo.
Non mi illudo che la storia non possa ripetersi, ma mi illudo che forse, avendola vissuta non moltissimi anni fa, saremo in grado di porre, stavolta, una giusta resistenza preventiva. Forse.
Non mi illudo che la storia non possa ripetersi, ma mi illudo che forse, avendola vissuta non moltissimi anni fa, saremo in grado di porre, stavolta, una giusta resistenza preventiva. Forse.
E' un post più strano degli altri per la giornata della memoria, ma penso che sia un momento storico in cui è necessario tornare a un certo livello di complessità.
E' ovvio, neanche a me piacerebbe, tendenzialmente, arrovellarmi sui grandi dilemmi della vita o pensare ai grandi problemi del mondo quando anche i miei, che in confronto sono microscopici, mi sembrano già così insormontabili.
Eppure è così semplice la tentazione di autoassolversi sostenendo che è talmente tanta la fatica di vivere che mettersi a pensare pure ad altro, agli altri, per giunta altri così lontani da noi, va oltre le nostre possibilità, ma nessun uomo come si dice, è un'isola.
Soprattutto nessuna parte della storia è slegata dal passato e dal futuro e l'indifferenza stanca che si è appropriata di noi, facili pecore che trovano meno stressante brucare l'erba che alzare la testa verso le stelle, un giorno la pagheremo cara, la pagheremo tutta.
Il passato non scompare.
Verissimo. Si dovrebbe mettere maggiormente in luce il collaborazionismo in quei tempi nonché l'antisemitismo diffuso in tutte le classi e in tutti i paesi, altrimenti diviene una storia tipo Barbablù, pochi criminali definiti perdipiù pazzi (così siamo sicuri che non ci possono assomigliare) che commettono delitti immani. Quello che è successo invece è dovuto appunto a tutte quelle persone "normali" che hanno svolto il proprio lavoro come se niente fosse. Oggi guidi un treno carico di farina domani un treno carico di ebrei.
RispondiEliminaLa recitazione è sempre ricordata https://www.cineblog01.cloud/ dallo spettatore? Cosa si può imparare da questo?
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