domenica 8 dicembre 2019

A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca. Le sardine, la piazza senza impegno e il nesso perduto tra persone, partiti e governi.

 Una domanda si aggira per l'Italia: cosa pensi delle sardine?

 Un tempo mi facevo prendere dall'entusiasmo. 
 Non dipendeva tanto dal fatto che fossi più giovane e credessi nella potenza della piazza, a quello, in un certo senso ci credo ancora. La piazza se ha un obiettivo chiaro è un'arma formidabile, basti pensare alla potenza che ebbe durante l'approvazione delle unioni civili.

 La mia fiducia universale nelle piazze è praticamente collassata quando ho perso gran parte della mia fiducia nei miei amati concittadini.

 A cosa serve la piazza? Epica domanda filosofica a cui non oso dare una risposta e della quale non esiste una risposta univoca.

 Di certo dà voce a chi non ne ha o pensa di non averla. 
 Serve da pressione ai governi, è stata spesso interpretata (male) come vox populi vox dei, serve a comunicare un malessere, a supportare qualcuno, a dare contro a qualcuno, a chiedere verità, diritti, a togliere verità e diritti. Di certo io non ho mai pensato che la piazza in sé fosse per forza buona perché per forza buono non lo è l'essere umano da solo figurati quando si trova in gruppo.

 Ma focalizziamoci sulla piazza sardina. 

 Un tempo la piazza sardina mi avrebbe entusiasmato senza se e senza ma, esattamente come all'università mi gettai, (è il caso di dirlo) a pesce, nell'Onda.

 Ve la ricordate l'Onda?

 L'ultimo movimento universitario di un certo livello e una certa partecipazione che infiammò l'autunno del 2008 prima di infrangersi contro le vacanze di natale e la sessione invernale.

Passai praticamente due/tre mesi sotto la pioggia romana (quanto piovve quell'autunno ancora me lo ricordo, a secchi) a camminare per chilometri e chilometri e chilometri. Si protestava contro la riforma Gelmini, ma in verità si protestava in modo generalizzato contro il sistema, principalmente lavorativo che già percepivamo ci avrebbe fagocitati senza tanti complimenti.

 Si era agli albori della crisi e forse adesso non sarebbe morta con le vacanze di Natale, chi può dirlo.
 Facebook era ancora nella prima fase di espansione, non c'era whatsapp, i fasci già facevano la cinghiamattanza sui liceali accompagnati dai prof in Piazza Navona, ma era un altro mondo comunicativo sicuramente.
 Eppure, ripensandoci, ci si riusciva a organizzare in massa anche senza fare gli eventi su fb, misteri della preistoria.

 Aldilà dello specifico casus belli della riforma e dei tagli, di certo, alla base c'era qualcosa di più, qualcosa che lo dico sinceramente, poteva essere sviluppato e invece si è quasi subito afflosciato su sé stesso.
 Credo interessasse manifestare un malessere diffuso e anche un terrore, quello appunto di un futuro fosco fatto di stage, calci nel sedere, call center e tutta la vita davanti solo se sei figlio di qualcuno. Perlomeno io l'avevo vissuta così.

 Col senno del poi fu probabilmente proprio questa mancanza di progettualità, come si dice freddamente, a uccidere un movimento che sembrava compatto, infiammato, infiammabile e privo, ve lo dico sinceramente, di connotazioni populiste.

 Eravamo giovani, eravamo confusi, ma avevamo ragione. Ma eravamo troppo confusi.
 Dopo il diluvio.

 Quando le piazze si sono riempite seriamente di nuovo sono diventate un movimento che, quando ha provato a tradursi il politica, ha passato l'80% del tempo a gridare che però politica non la stava facendo, finendo poi per farla in modo confuso, forsennato, ingenuo e onestamente privo, a mio parere, di un senso logico.

 E' passata negli anni l'idea che al popolo si adattano le idee semplici, pane ar pane, vino ar vino, mentre invece il popolo merita riflessioni complesse in cui essere coinvolto in prima persona.
 E lo dico da popolo, visto che ricca non sono, non sono mai stata, mai lo sarò, il mio nonno materno il diploma l'ha preso sotto le armi dopo essersi arruolato giovanissimo per sfuggire alla misera, l'altro faceva il muratore e aveva sette figli.

 E' passata l'idea che il popolo fosse in un qualche modo "il buon selvaggio" e dopotutto, visto che io non credo la massa esente da colpe, ci si è adagiato.

 Il mondo è un posto complesso e lasciarsi imbonire da chi dice che pensa al posto tuo e sei libero di non pensare, che anzi, pensare è una questione addirittura riprovevole quando esercitata, beh, era abbastanza semplice.

 Ovviamente non penso le sardine si aggirino da quelle parti. Mi sembrano, sin dai loro fondatori, qualcosa di più complesso, ma, incredibilmente, sembrano non tenerci molto a questa complessità. Non vogliono diventare qualcosa di politico, non vogliono dialogare con i partiti.

 Gli fa onore? Mah, non so, in altri tempi avrei detto di sì, ma adesso a me la piazza senza responsabilità, colpe o meriti, ha stufato.

 Diciamoci la verità. Stare in piazza non è sempre così difficile. L'ho fatto tantissime volte anche io. Le uniche volte in cui stare in piazza è stato difficile è stato in momenti in cui quell'esposizione rischiava di creare una reazione ostile.
 Parlo di aver fatto il gay pride a Treviglio con le madri che coprivano gli occhi ai figli al passaggio di una manifestazione talmente poco trasgressiva che quando c'ero arrivata l'avevo scambiata (ve lo giuro) per un assembramento dello SPI.

 Stare in piazza dà forza, è liberatorio, fa sentire meno soli, uniti, fa sentire che stai facendo qualcosa e in genere, nell'immantinente, lo stai facendo: dai sostegno o esprimi il tuo dissenso in modo fisico. Ma poi. Torni a casa, il pomeriggio è finito, l'entusiasmo scema, bene che va i giornali ne parlano, male che va la questura dice che eravate in 5, e amen.
 Sarebbe tutto giusto e normale se la piazza forte fosse complementare a partiti politici altrettanto o più forti, come era un tempo.

Ma adesso ci sono piazze e movimenti fortissimi a fronte di partiti svuotati.

 E' colpa dei partiti, certo, ma non voglio e sottolineo NON VOGLIO cadere nella trappola facilona che deresponsabilizza da tutto. Perché come le piazze sono fatte da persone, anche i partiti sono fatti da persone. E, miei cari, è INCREDIBILMENTE più semplice stare in piazza che in un partito.

Lo è in termini temporali (un pomeriggio ogni morte di papa a fronte di una riunione di circolo a settimana, riunioni per altri 3000000 di motivi, elezioni, volantinaggi, raccolte fondi, volontariato digitale ecc), lo è anche in termini di responsabilità personale: la piazza non governa, la piazza non propone e se propone non applica, non fa, non si sporca le mani.
 Il movimento che si è fatto partito è andato in crash proprio su questo e da questo crash ancora non si è ripreso.

 Poi lo so, c'è una fetta che al solo pensiero di dover fare qualcosa in prima persona ha le convulsioni, ma c'è anche tanta gente che le maniche se le rimbocca, in tanti tantissimi modi, ma la politica dio mio no. E capisco anche questo. Ma quello che non capisco e non ho mai capito e rischio di non capire mai è, al netto della componente anarchica, abbiamo ben chiaro che le cose le fa e e le decide principalmente chi governa?

Perché a me 'sto rapporto di causa-effetto sembra sia andato in crash svariato tempo fa. Immagino, voglio immaginare, nel momento in cui i partiti massa sono andati depauperandosi, un po' per suicidio politico, un po' perché obiettivamente erano mutati i tempi e i modi.

 Proprio perché come diceva Don Milani "A che serve avere le mani pulite se le tieni in tasca" a me la risposta sardina del non impegno sembra condannare il movimento alla stessa fine dell'Onda. Magari, al contrario dell'Onda almeno avrà il duraturo risultato di evitare all'Emilia Romagna una triste fine in mano leghista, ma si è saggi quando si guarda sul lungo periodo e non sul breve.

 Vorrei essere entusiasta, ma non ci riesco. Come si dice, sono bravi ragazzi, ma forse è il momento di crescere per la mia generazione e qualcosa la dobbiamo fare e seriamente. Lamentarsi e sgobbare, sgobbare e lamentarsi, come facciamo da anni, non serve a niente. Bisogna reagire e FARE qualcosa.

Storia di Leda Colombini e della vocazione
 pedagogica che i grandi partiti di massa
 seppero esercitare in quegli anni
nei confronti della base
 Sul virtuoso e interrotto dialogo tra massa e partiti massa che decenni fa salvò molta gente dalla facile trappola del buon selvaggio che delega il pensiero ad altri, voglio citare a margine una storia che ho colpevolmente scoperto da poco: quella di Leda Colombini.
 Bracciante poverissima dell'Emilia Romagna divenne dirigente di partito e dedicò la sua esistenza prima ai diritti dei braccianti, poi dei disabili e infine dei figli delle detenute. E' morta a 82 anni, al termine di una riunione sulla legge a tutela delle madri detenute con figli.
 A 82 anni.
 Voi dite, è semplice ed emotivo portare questi esempi, ma io dico: dovremmo sentirci persone microscopiche quando li leggiamo, perché ci dimostrano che gli unici responsabili del modo in cui vanno le cose siamo noi. Ma non ci pensiamo, ma ci perdoniamo e lasciamo che tutto proceda ineluttabilmente. 
Perciò per me brave sardine, bene le sardine, benedette sardine, ma non basta. E' ora di fare politica sul serio e anche di rivendicarlo.

Ps. Sottolineo a beneficio di chi non legge tutto lo spiegone che ovviamente non credo la politica si faccia solo nei partiti, ma che non possiamo prescindere dal fatto che è al governo che si decidono le politiche di un paese e questa faccenda da anni sembriamo non avercela presente.

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