Alle superiori frequentavo
probabilmente l’unica classe della terra con un elevato numero di componenti
femminili nella quale nessuna e sottolineo nessuna era minimamente versata nel
benché minimo sport.
Questo rendeva possibile l’impossibile, ossia
che persino io, che non sono mai stata assolutamente portata per l’esercizio
fisico (unico sport in cui riuscivo: tiro con l’arco perché lo trovavo
divertentissimo) sembrassi un’atleta di discreta statura.
Del resto “nel paese
dei ciechi chi ha un occhio solo è re” (anche se il racconto di Wells "Nel Paese dei Ciechi" direbbe
il contrario).
Comunque, questo determinò che fossi costretta
a giocare nei due tornei sportivi scolastici nei quali tutti eravamo coinvolti
a gironi: pallavolo e calcio. La pallavolo era mista, il calcio, che veniva
comunque giocato con sprezzo del pericolo su un campetto di asfalto, era almeno
genderizzato.
Non fummo in grado mai di vincere una partita,
ma alcune compagne di classe, nel tentativo di peggiorare la già drammatica
situazione, coniarono per noi alcuni slogan ad hoc e siccome eravamo una classe
del classico, non erano slogan normali. Il mio ancora me lo ricordo: “Laura
Mango Laura Mango per te carmina lucida pango!”.
Ecco. L’unico merito di
queste partite è aver impresso nella mia memoria, per sempre, questo verso di
Lucrezio che letteralmente (almeno così mi spiegarono all’epoca, latinisti non
uccidetemi) vuol dire: “Rendere poesie lucide a furia di lavorarle con la pietra pomice”, averle quindi lavorate a lungo con un attento e
laborioso cesellamento delle parole.
Mi sembra che nessun verso descriva meglio
questo libro del quale avevo molto sentito parlare (benissimo) prima di
riuscire a leggerlo: “L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniels.
Di solito non mi fido delle grandi pubblicità
altrui sui libri, ma stavolta molti elementi mi portavano a pensare sarebbe
andata bene: il libro è ambientato negli anni ’80 (1984 precisamente),
provincia americana, estate, caldo, ragazzini, inquietudini, velature horror.
Insomma, gli ingredienti c’erano tutti.
La storia è ambientata a Breathed in Ohio nel 1984, uno di quei tranquilli e agghiaccianti paesini dove tutti si conoscono, va sempre tutto bene e quello che va male basta che nessuno lo sappia, nessuno lo veda e siamo tutti felici perché possiamo fingere non esista.
La famiglia Bliss, composta da madre (Stella), padre (Autopsy, sì esattamente)
e due figli, (Grand, liceale e Fielding sui tredici anni) vive tutto sommato
agiatamente nel suo villino sogno americano.
Eppure. Autopsy è un giudice che
prende molto seriamente il suo lavoro e vive col dubbio, fortissimo, di aver
commesso degli errori nel separare il bene dal male, la giustizia
dall’ingiustizia, la menzogna dalla verità.
Per questo decide di mettere un
annuncio sul giornale e di invitare il diavolo a casa sua.
Si presenta dopo qualche tempo un ragazzino di
colore dagli occhi verdissimi, vestito poveramente e con una ciotola. Dice di
essere il diavolo e si fa chiamare Sal.
Ovviamente la famiglia Bliss tende a
non credergli e lo prendono in affido, certi che sia un ragazzino scappato di
casa. Eppure. Il ragazzino sa molte cose, parla in modo molto profondo,
particolare e ha i segni di due grandi cicatrici sulla schiena.
In paese, complice il caldo, alcuni episodi
sfortunati e un vicino particolarmente insistente e dai tratti maniacali, iniziano a
credere che possa essere la verità e che Sal sia il diavolo e debba essere
punito.
Dove può portare il delirio collettivo? Di cosa siamo capaci quando smettiamo di ragionare e troviamo possibile e preferibile credere all'assurdo?
La lingua del romanzo è particolarmente
ricercata, tanto che in alcuni momenti si ha la sensazione che sia forse un po’
troppo costruita.
In altri invece ha serpeggiato nella mia mente una domanda:
e se mi sembrasse costruita perché ormai sono abituata a leggere in una lingua
scorrevole e particolarmente standardizzata?
E’ raro leggere stili particolari,
i libri ormai tendono a somigliarsi un po’ tutti a livello lessicale e
sintattico, è la bellezza della storia, la costruzione dei personaggi che fanno
la differenza.
Così, forse, abbiamo dimenticato che è bello anche carmina
lucida pango, avere versi luminosi e cesellati, una lingua che sia più
complessa e meno ovvia.
In ogni caso, anche io ho trovato la prima
parte del libro molto meno appassionante della seconda, ma, a mio parere è per
un motivo di trama che vado ora a sviscerare.
A QUESTO PUNTO SE NON VOLETE SPOILER NON
ANDATE OLTRE
Perché io finisca questa
recensione è necessario un grosso spoiler, quindi se volete evitarlo non andate
oltre.
La prima parte della storia porta a pensare
che Sal sia effettivamente il diavolo.
Sa cose particolari e personali, parla
in modo molto mistico, si muove con una sicurezza e un'autorità che non sono
propri di un ragazzino spaventato e in fuga, inoltre non viene mai spiegato il
particolare della pelle scura e degli occhi verdi.
La prima parte è quindi
molto onirica, se non fosse Fielding a raccontare la storia e a infilarci qui e
lì considerazioni terra terra di un ragazzino di tredici anni, sembrerebbe a
tratti di leggere un qualche tipo di romanzo con pretese filosofiche.
Circa a metà romanzo il registro, non
linguistico, ma di ritmo e intreccio, cambia completamente.
La storia prende forma, i personaggi, rimasti
quasi solo sullo sfondo a far da corollario a Sal, saltano fuori con potenza e
iniziano a giocare la loro partita.
Stella Bliss e il suo terrore della pioggia
che la rende agorafobica, Grand e i suoi terrori, così semplici eppure con
conseguenze così ingiustamente devastanti nel 1984, i demoni di una provincia
in preda alla canicola, al pregiudizio e alle apparenze.
Tutti iniziano a
muoversi, come attori che dopo essere rimasti congelati sulla scena a causa di
un monologo troppo lungo, finalmente possono recitare.
Il mio parere personalissimo, che però mi
sembra sostenuto qui e lì da alcuni contraddizioni poco spiegabili (il gesto di
Autopsy come avvocato difensore nel finale), l’angoscia perpetua (quasi paura) di Fielding
per il resto dell’esistenza, è che la McDaniel sia partita con un’idea e poi
abbia cambiato gradualmente posizione.
Sembra quasi che l’idea fosse: faccio credere
che Sal sia il diavolo, poi facciamo che tutti credono sia un ragazzino, poi in
realtà è il diavolo.
Solo che poi, mentre raccontava le vicende della famiglia
Bliss e della sua devastazione, la trama l’abbia portata altrove.
Ci sta eh. Molti autori dicono che i
personaggi, alla fine, fanno ciò che desiderano loro, che stravolgono trame,
acquisiscono quasi vita propria. Solo che il libro risulta poi sbilanciato: con
una prima parte onirica e una seconda molto più d’intreccio, quasi alla King
(King se lui carmina lucida pango ovviamente).
Ovvio che sia una mia
idea personalissima, non supportata da niente e che anzi, di certo la McDaniels avrà invece avuto il totale controllo di una trama studiata al millimetro così eh.
Però non so, il dubbio mi rimane.
Avevo avuto
la stessa sensazione solo in un altro caso, con “Oceanomare” di Baricco, in cui
c’è questa intro un po’ sconclusionata coi personaggi che non si sa bene cosa
dicono e fanno e poi di colpo (molto prima rispetto a “L’estate che sciolse
ogni cosa”) la storia assume un senso.
Chissà. In ogni caso è un
libro che vi consiglio, senza però assicurarvi che possa essere nelle vostre
corde, e non perché non sia un libro di valore che non valga la pena leggere, ma
perché ha un gusto elaborato molto particolare, forse più da racconto raffinato
(i pezzi più magnifici del romanzo sono alcuni capitoli presi singolarmente, a
mio parere, soprattutto sul passato dei personaggi).
Rimane il fatto che la McDaniel sia riuscita a
scrivere un romanzo struggente e agghiacciante al tempo stesso sul peso del
male nelle nostre vite, sul male che non è una condanna ineluttabile, ma un patto
che stringiamo in prima persona col diavolo quando siamo persone molto
disperate o molto sospettose o alla perenne ricerca di qualcuno da odiare
perché non siamo capaci di accettare quello che, effettivamente, rimane
inaccettabile: il dolore di un mondo che spesso è più ombre che luce.Più dolore che amore, più male che bene.
E soprattutto accettare, esattamente come avviene a Fielding, che alcune scelte non sono reversibili e mai, mai, abbassare la guardia, perché è nella paura che il diavolo si annida.
[QUESTO COMMENTO CONTIENE DEGLI SPOILER :-)]
RispondiEliminaHo letto il libro, stimolato dalla tua recensione - letta in prima battuta evitando la sezione spoiler.
Mi è piaciuto; allo stesso tempo mi ha lasciato una sensazione di incompiutezza.
DA QUI IN POI, SPOILER
Molti sono gli irrisolti, a partire dall'identità di Sal - e ci sta, che sia lasciata alla decisione del lettore - personalmente, opto perché sia il diavolo; che il diavolo sia diverso dall'idea che ne abbiamo (che ne propone la tradizione); che il rapporto fra l'essere umano e il male non sia mediato dal ruolo del diavolo; che, come dici tu, male e dolore abbondino più dei loro contrari.
Dopo di che, il gioco fra il presente del narratore e la narrazione in flashback genera una marea di insoluto su quei 70 anni (il narratore vive negli anni 2050), con lampi di luce solo sporadici, a illuminare la vicenda di Fielding - il quale, alla fine, sembra vivere un'esperienza di dannazione in terra, come conseguenza delle sue scelte e delle vicende narrate.
(Rileggendomi, poi, mi viene da pensare che il senso di irrisolto sia voluto: dei futuri anni 50 ci interessa solo conoscere la disperazione di Fielding?)