venerdì 23 luglio 2021

Cos'è che vogliono e possono raccontarci le storie di fantasmi? Una recensione di "Pet Sematary" di Stephen King (con un pizzico di "Zeder" di Pupi Avati)

 Di tutti i libri di Stephen King che ho letto finora, "Pet sematary" è forse quel che si avvicina di più al mio personale concetto di horror.

Tra le varie propaggini in cui può incanalarsi il genere, ammetto che la mia preferita è quella dei fantasmi.

 Considerando la morte come una delle più spaventose paure del genere umano e l'unica con la quale tutti, prima o poi, avremo a che fare, è come guardare un abisso che prima o poi ci riguarderà anche se tentiamo di non pensarci. 

Anche per questo, mi domando spesso come mai molte persone  considerino il genere horror una forma di narrativa minore.

 In molti casi, la scusa del sovrannaturale consente di esplorare domande che temiamo di farci per paura, paura che in questo caso viene sublimata in un corpo orrorifico, sia esso un fantasma, un vampiro, un licantropo o un serial killer.


 "Pet Sematary" è,
nonostante il finale splatter (comunque qualcuno dovrebbe aiutare King a scrivere i finali), una grande riflessione narrativa sul tema della morte.

 La trama prende le mosse dalla tenera e allegra giovane famiglia del medico Louis Creed.

 L'uomo, accompagnato dalla bella moglie Rachel, dalla figlioletta Ellie di sei anni e dal piccolo Gage di due, si trasferisce in una splendida casa nel Maine per lavorare come medico universitario.

 La villetta dove la famiglia si trova a vivere è un sogno. Circondata da campi e da un bosco che si perde in altri campi. L'unico neo è una strada assai trafficata da camion che taglia in due la zona dove vengono spesso investiti animali di ogni sorta. 

 La famiglia Creed si trova ad avere come vicini di casa un'affabile coppia di anziani, Jud Candrall e sua moglie, coi quali legano immediatamente. 

 Proprio Jud mostrerà a Creed una stranezza presente vicino casa: un piccolo cimitero in cui i bambini del posto seppelliscono da qualche decennio i loro animali domestici. La vallata retrostante, selvaggia e paludosa, è invece un luogo misterioso e incolto, un tempo appartenente a una tribù indiana che ne reclama il possesso.

 Nei mesi successivi la morte sarà una compagna costante della vita di Creed che, in quanto medico, la sfiora ben più spesso di molte altre persone. Per lui, l'elaborazione della morte sembra non essere qualcosa di problematico avendola sublimata (lui pensa) in un mestiere. 

 Lo è per sua moglie che non ha mai superato la morte della sorella e che diventa una furia quando si tratta di affrontare il tema con la figlioletta, naturalmente curiosa come tutti i bambini.

 Proprio per questo quando muore il gatto di famiglia, investito sulla famosa statale, Creed è piuttosto disperato perché sa che la bambina, influenzata dalla madre, reagirà tragicamente. E' lì che Jud gli svela l'esistenza di un modo per far tornare il gatto dalla morte in un modo che sembra solo apparentemente innocuo.

 L'elemento sanguinario e crudele arriva solo nell'ultimissima parte del libro, mentre per centinaia di pagine assistiamo sostanzialmente alla vita di una famiglia che viene toccata dalla morte proprio perché incapace di affrontarla

 In qualche modo, King allegorizza quello che è il rapporto umano con la morte: se non accettiamo che sia una parte integrante della vita, se non capiamo che solo lasciando andare chi non c'è più, allora saremo destinati a soccombere.

 L'inarrestabile catena di eventi che porta al finale inizia infatti da un primo peccato originale: l'incapacità, da parte della moglie di Creed (e il suo assecondarla in questo), di spiegare la morte a una bambina che in seguito si rivelerà l'unica invece capace di elaborarla e in qualche modo salvarsi.

 Quello che sembra il gesto di pietà e di amore di un padre è invece l'inizio di un'infezione. Quando si dice che la morte è parte della vita s'intende anche che solo morendo gli esseri umani possono lasciare posto ad un nuovo ciclo, a nuove persone, a nuove vite. Il tentativo di interrompere questo ciclo non può che innescare un processo malato e in qualche modo malvagio e di certo innaturale.

 "Pet sematary" affronta questa idea con grande perizia e partendo da un elemento interessante: la morte di un animale, che spesso è il primo contatto di un bambino con la morte. Una sorta di rito di passaggio che non risparmia chi fallisce.

 Non so dire quanto King  ne fosse consapevole, visto il finale truculento, ma sono discretamente convinta che fosse il vero tema alla base del libro, al netto degli indiani, del wendigo e di tutto il contorno mitico americano.

 

Stranamente, "Zeder" di Pupi Avati è un film con un'idea alla base praticamente identica (ma essendo usciti quasi in contemporanea è escluso il reciproco plagio): un aspirante scrittore, trova dei riferimenti a dei misteriosi terreni K all'interno di una macchina da scrivere usata.

 Indagando per mezza pianura padana, scopre che esiste una teoria per la quale alcuni specifici terreni sono in grado di rianimare i morti che vi vengono sepolti. 

 Al contrario del libro di King, Pupi Avati descrive un'indagine in cui è la curiosità il motivo del disastro.

 La curiosità nei confronti della morte è qualcosa che prima o poi, a volerla inseguire a tutti i costi porterà al medesimo (perché peraltro il finale è identico) risultato di chi la morte non riesce ad affrontarla. 

 E' una dicotomia interessante che dimostra, come anche da una stessa identica idea, possano scaturire pensieri e conseguenze completamente opposte e che ci porta un po' al punto iniziale: cos'è che vogliono e possono raccontarci davvero le storie di fantasmi?

  Se non lo avete letto e non avete visto il film di Avati, recuperateli entrambi! Anche se l'horror non dovesse essere il vostro genere, non ve ne pentirete.

1 commento:

  1. mi è piaciuta molto la recensione... solo non sono sicura che il tema della morte coincida con quello dei fantasmi... per lo meno non sempre... in ogni caso appena ho tempo leggerò entrambi i libri...

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