mercoledì 13 ottobre 2021

La sensazione del danno. Una recensione di "Mi stai ascoltando?" di Tillie Walden, quando il dolore travolge tutto ciò che è fuori e dentro di noi

 In questi tempi assai difficoltosi, dove talvolta sembra di camminare sulle uova ed è difficile inserirsi e comprendere la portata della rivoluzione che stiamo vivendo, una costante sembra essere la necessità di essere ascoltati.

In molti, ma soprattutto molte dicono di aver trovato coraggio dopo molti anni di parlare di un qualcosa di grave e traumatico solo quando hanno trovato qualcuno che gli disse ascolto.

 E' una sensazione che abbiamo provato tutti nella vita, l'ho provata anche io.

 Uscita da un contesto di lavoro molto pesante, ho trovato un sostanziale muro davanti al mio disagio: quello che ti è successo era davvero così grave? Non è forse quello che prima o poi accade a tutti nella vita? Perché dovrebbe essere speciale? Ma soprattutto, perché non dimentichi e vai avanti? Tutti viviamo qualcosa di spiacevole e rimestare nel passato non serve a niente.

 Fondamentalmente io ho avuto e ho tuttora questo approccio: evitare di rimestare e andare avanti. Il tempo della vita è limitato e spenderlo a girare su sé stessi non serve a niente.

 Ma accade, certe volte, di avere la sensazione esatta di aver subito una sorta di danno, come una macchina che, oltre al bozzo, si trova ad avere una luce rotta, un problema alla frizione, un qualcosa che impedisce di continuare a viaggiare bene.

Tu vuoi ignorarlo e continuare a guidare, ma non puoi.

I modi per uscire da questa impasse sono molteplici e talvolta coinvolgono degli specialisti, ma spesso misuriamo l'entità del danno dalla quantità di ascolto che riceviamo: se è poca, ci diciamo, non è davvero così importante.

 

 Il libro di Tillie Walden ragiona su alcuni grandi temi, tra i quali l'ascolto. In alcuni momenti lo fa in modo ingenuo, ma in generale la grande cavalcata onirica alla quale si lascia andare, ha molto a che vedere con l'inconscio e la nostra capacità di interpretarlo.

 Bea e Lou sono due ragazze che si conoscono di vista. Un giorno Lou, che ha da poco perso la madre alla quale era legatissima, incontra Bea in un autogrill e capisce al volo che sta scappando.

 Preoccupata per lei, che è giovane e chiaramente sta procedendo a caso rischiando di ficcarsi in strane situazioni, finisce per caricarla in macchina lasciando che l'accompagni nella sua visita a una lontana zia.

 Le due trovano insieme uno strano gatto, che Bea decide di voler riportare a tutti i costi ai misteriosi padroni.

 Il micio però si rivela un essere incredibile, una sorta di chiave verso un mondo assurdo, dove i paesaggi si confondono, strani esseri le inseguono e giungono in luoghi onirici e inaspettati.

 Lou si rende conto che il salvataggio del gatto è per Bea molto più di quel che sembra e assume le proporzioni di un qualcosa di fondamentale. La sensazione è che salvando quel gatto lei possa in qualche modo riparare un danno. Se qualcuno avesse cercato di aiutarla in tutti i modi, proprio come lei sta cercando di aiutare quello strano magico animale, forse avrebbe potuto (o potrebbe) salvarsi.

Sul bordo di una piscina abbandonata arriva finalmente il momento che tutti, compresi il lettore, stavano aspettando: perché Bea scappa? Da chi e da cosa lo fa?

 E la storia, fino a quel momento dolorosa, ma assurda, prende improvvisamente una piega reale, una piega cruda, quella di un abuso gravissimo e reiterato che Bea trova il coraggio di confessare solo fino a quel momento.

 Bea è disperata perché pensa di non essere stata in grado di reagire, di averlo fatto troppo tardi, di non aver lottato abbastanza, ma Lou le risponde, “Non è colpa tua, mi stai ascoltando?

La storia ha alcune allegorie un po' ingenue in confronto all'enormità onirica che è in grado di raccontare: Lou insegna a Bea ad guidare la macchina, nella sempre esplicita metafora dell'essere in grado di guidare la propria esistenza.

 Ma soprassedendo su queste allegorie della patente, il libro riesce a raccontare la devastazione che ci travolge quando pensiamo che un grande trauma abbia distrutto tutto ciò che c'è dentro e fuori di noi.

 La confusione, il dolore, il sentirsi braccati, il disperato desiderio di portare in salvo qualcosa di noi, anche se tutto sta crollando, anche se siamo stanchi, anche se non ce la facciamo, è trasmesso in un modo cristallino, con una bravura e una profondità incredibili.

 Non cadere nel retorico davanti ad un dramma che preferiremmo non vedere, non leggere, non ascoltare, dimostra un talento che porterà Tillie Walden lontanissimo. 

 E' incredibile la bravura di questa autrice, così giovane e così in grado di essere lucida nell'intercettare il dolore che scegliamo di ignorare. 

 Non avevo particolarmente amato la strana tranquillità dei sentimenti di “Su raggio di sole”, malgrado l'ambientazione fantascientifica incredibile, mentre avevo trovato straordinario “Trottole”, ma credo che in generale questo sia il libro che maggiormente ci mostra ciò che Tillie Walden, da autrice, sarà in grado di dare al mondo.

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