giovedì 27 febbraio 2014

Marguerite Duras, la scrittrice che sapeva vivere. Dall'Indocina con le tigri portate dai fiumi, alla Francia in guerra, le ragioni di un fascino che bruciò fino all'ultimo.

Marguerite Duras
 Uno dei libri che andava più di moda leggere quando facevo le superiori era "Le memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar. Perché fosse così cool non l'ho mai capito, neanche quando, nonostante una certa ritrosia (che non riesco tuttora a spiegarmi, diciamo che proprio non avevo voglia di leggerlo) alla fine cedetti. E', non sarò io la saccente che ne nega la grandezza, un bellissimo libro, con una sua particolare struggenza, un esercizio di stile che richiede un grande talento, ma devo dire che non uscì ad entrare nel pantheon dei miei tomi imperdibili. 
Ci fu un'altra Marguerite che rubò il mio cuore e fu la Duras.
 Presi in biblioteca l'edizione riscritta de "L'amante" ossia "L'amante della Cina del nord" aka "Una diga sul Pacifico" aka persino un'ulteriore stesura contenuta nei suoi quaderni e appunti editi alias il libro più riscritto della storia.
 Mi decisi a leggerla perché una notte, su La7, (o quel che era all'epoca) avevano dato il film di Jean- Jacques Annaud tratto dal libro e mi aveva colpito. C'era qualcosa di affascinante in questa ragazzina che vive una storia con un ricco rampollo cinese con almeno dieci anni di più, in un'Indocina caldissima e avvolta dai miasmi dell'oppio.
 Il libro ai rivelò centinaia di volte più potente. Liberamente ispirato all'infanzia e all'adolesc  enza della Duras, prematuramente orfana di un padre che non viene nominato se non in quanto assente e in balia di una madre incapace di gestire tre figli, i risparmi di una vita (gettati in una proprietà letteralmente divorata dai granchi) e l'apparenza nel micromondo dei coloni francesi in Indocina. Ogni componente della sua famiglia è un personaggio da tragedia greca: la madre nervosa e incapace, il fratello maggiore viziatissimo, vezzeggiato, dissoluto e oppiomane, il fratello minore che rimane nell'ombra, silenzioso e probabilmente incestuoso, ma soprattutto appare lei, Marguerite. 
 Quando una scrittrice si descrive con tale vividezza e magia, ricordandosi graziosa ragazzina eccentrica in cerca di cinema nell'afa del sud-est asiatico, vittima delle angherie materne eppure luminosa e vincitrice, indipendente e fortissima, resta sempre il dubbio che ci sia una sorta di autocelebrazione, che quel celebre detto di Garcia Marquez "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla" sia vero.
 Nelle tre diverse versioni del libro cambia poco, qualche descrizione in più, meravigliosi fiumi in piena che trasportavano tigri sotto il sole incessante dell'estate, colloqui col rampollo cinese che la notò e la volle sedurre infilando tutti quanti in un gioco di specchi e di ruoli complessissimo.
 Né lui né lei erano degni di uscire l'uno con l'altra agli occhi delle rispettive comunità: lei troppo povera, lui cinese e non colono francese. Eppure non è mai, per nessun motivo, una storia d'amore contrastato. E' un incontro, un rapporto di forza che ha sempre come suo fuoco centrale il possesso: dei soldi di lui, dell'apparenza di lei, del corpo di lei, dei privilegi di lui. Tutti quanti desiderano qualcosa e strisciano per ottenerla, ma in quello strisciare si nasconde una frustrazione, un odio che rende il libro potentissimo.
In una strana e fantastica conversazione che Marguerite ebbe ormai anziana, con una giovane studiosa italiana , Leopoldina Pallotta della Torre, (recentemente riedita da Archinto "La passione sospesa"), la Duras, piccola, ma passionale fino all'ultimo dei suoi giorni, ricorda la sua infanzia indocinese e quella passione rivelatrice con un incanto fiabesco, privo però di qualsiasi rimpianto. Era una donna che seppe separare gli eventi della sua vita con straordinaria lucidità.
 Se oggi a 75 anni dovesse fare un bilancio della propria vita? 
 "Senza l'infanzia, l'adolescenza, la storia disperata della mia famiglia, la guerra, l'occupazione e i campi di concentramento, la mia vita, credo sarebbe ben poca cosa."
 Dopo l'Indocina infatti, c'era stata la Francia finalmente, in cui arrivò come una selvaggia, imparando a mangiare da capo, pane e bistecche, niente più riso, alcuni la credevano meticcia (ma i suoi occhi blu, identici a quelli del padre morto misero a tacere qualsiasi illazione), lei si laureò in legge e scoprì Parigi. Si sposò e venne la guerra, perse un figlio appena nato, partecipò alla resistenza assieme a Mitterand e al suo primo marito Robert, che venne catturato e deportato a Dachau. I ricordi che lei dedica al suo stremato ritorno nel quaderno beige di "Quaderni della guerra e altri scritti" sono splendidi e spaventosi.
 "Era seduto vicino alla finestra del salotto, con dei cuscini tutt'attorno e un bastone a portata di mano; i pantaloni gli ballavano sulle gambe e quando c'era il sole la luce gli passava attraverso le mani. Tornava da molto molto lontano, da dove di solito non si torna mai. E poi sapete dietro di lui c'era un abisso di dolore, c'era la morte, e lui ne usciva fuori, era evidente, si liberava della morte, stava aggrappato all'osso della sua cotoletta come un naufrago a un relitto, non osava mollarlo, non ancora, in quei primi tempi non lasciava perdere una briciola di pane. Io lo guardavo, tutti facevano altrettanto, anche uno sconosciuto lo avrebbe guardato perchè si trattava di uno spettacolo indimenticabile, quello della vita cieca."

 Poi venne l'impegno nel partito comunista, un altro compagno, un figlio, l'amicizia con Mitterand, una certa sensazione di superiorità verso il pur ottimo mondo intellettuale dell'epoca. 
 Le sue altre storie di pura fiction, come "Occhi blu, capelli neri" sono invece un'incredibile palla, (evitatelo come la peste è tipo "Ultimo tango a Parigi" ma lui è gay e lei è etero, fate voi), molti racconti banali, le sceneggiature, tra cui quella di "Hiroshima mon amour" vengono definite non eccezionali. 
 Ci sono autori straordinariamente dotati nello scrivere memoir, che perdono qualsiasi talento quando si cimentano in altro. 

Non posso dire con assoluta certezza che questa piccola, incredibile donna sia uno di questi casi, mi mancano troppe letture, una su tutte "Yann Andrea Steiner" il libro che lei scrisse per il compagno dei suoi ultimi sedici anni di vita. Si conobbero che lui aveva 27 anni e lei 66 e la loro fu una storia d'amore strana, ma intensa. Vivevano insieme, scrivevano l'un dell'altra in stanze separate, nonostante l'intensa passione anche fisica (aggiungendo il piccolo particolare che lui nel frattempo aveva storie con altri uomini, ma del resto nell'intervista la Duras asserisce che in fondo tutti gli uomini sono omosessuali) si continuarono a dare del voi fino alla morte di lei, che approssimandosi la terrorizzò sempre di più.

  Nell'intervista, la Duras parla spesso della paura, della lebbra che imperversava nei paesi della sua infanzia, della morte che sfiorò più volte a causa della dipendenza dall'alcol. Si sentiva come un animale braccato, diceva, e quelle ultime notti passate insonni costringendo Yann Steiner a stare sveglio, perché il suo tempo stava per scadere, confermano l'intensità di una scrittrice che seppe vivere e omaggiare la propria vita e che davvero merita di essere letta.

 "Credo a volte che tutta la mia scrittura nasca da lì, tra risaie, foreste, solitudine. Da quella bambina macilenta e sperduta che ero, piccola bianca di passaggio, più vietnamita che francese, sempre a piedi nudi, senza orari e regole da rispettare, abituata a guardare il lungo tramonto sul fiume, con la faccia tutta bruciata dal sole."
 Riassumendo: Cercate "L'amante" e "I quaderni della guerra"!

5 commenti:

  1. Sono veramente colpita. Sarà una coincidenza, ma proprio questa sera sono tornata a casa con, nella borsa, "Il cinese e Marguerite", ed. Sellerio. Ho amato molto "L'Amante", anche se ammetto di averlo letto solo dopo aver visto il film di Annaud che, all'epoca (quanti anni ha, una ventina?) mi sembrò terribilmente sfacciato, anche se fotograficamente affascinante, con tutte quelle scene di sesso...suono bacchettona a me stessa quindi devio qui. "I quaderni della guerra" sono un libro indispensabile, secondo me. E questa scrittrice ha saputo raccontare bene se stessa, senza fronzoli, nessuna biografia che ho letto mi ha soddisfatta, tendono tutte a diventare troppo introspettive e supponenti...
    A parte lo splendido "Hiroshima mon amour", film che consiglio di mettere in lista e che si sente da subito è sorretto da una sceneggiatura "letteraria", consiglio anche "Il pomeriggio del signor Andesmas". Scritto per il teatro, leggibilissimo ma, se qualcuno è incuriosito, se ne può trovare in podcast una versione radiofonica interpretata da nostri bravi attori di tanti anni fa...

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    1. Io il film lo vidi alle superiori e non ho un ricordo così vivido delle scene di sesso, ricordo che faceva molto caldo e c'era taaaanto oppio. Era l'atmosfera che sembrava affascinante.

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    2. Del film di Annaud la parte che mi piace di più è l'inizio: la scrittrice che scrive rapida, le dita inanellate, la stilografica che scivola scricchiolando appena sulla carta, mentre la sua voce fuori campo inizia a ricordare. Com'era quella frase? "Presto fu tardi, nella mia vita...
      Mi piaceva la colonna sonora, e poi la scena bellissima del traghetto che attraversa il Mekong. Quei colori, la fotografia.
      Lessi da qualche parte che la Duras aveva disapprovato l'idea del film.
      In ogni caso, L'amante può essere letto prima o dopo aver visto il film, ne' l'uno nè l'altro ne vengono intaccati.

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  2. ...dimenticavo: bella recensione riepilogativa. Ci voleva.

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  3. Questo è l'anno del Centenario dalla nascita (4 aprile 2014) della Duras.
    E' uscito "Marguerite" di Sandra Petrignani, ed. Neri Pozza. Che ne pensi?
    Ho appena finito di leggere "La vita tranquilla", e mi è piaciuto molto più di quanto mi aspettassi. Un pò duro da digerire, all'inizio.

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