sabato 19 aprile 2014

Piccoli libri per piccoli tragitti: "Una tragedia imperiale. Federico II e la ribellione del figlio Enrico". Il rapporto tra un padre e un figlio perso nelle maglie della storia.

Come promesso ieri oggi parlerò di un piccolo libro per un piccolo tragitto.
 Non ho ancora mai stranamente narrato la passione di molti clienti per il mondo medievale. 
 Ci sono delle epoche storiche infatti che hanno dei veri e propri aficionados che, interrogati, dimostrano banche dati di conoscenza degne dell'enciclopedia britannica. Tra di esse spicca il periodo medievale (le altre sono indicativamente l'antica Roma, Napoleone e la seconda guerra mondiale) per tanti motivi.
 C'è chi adora il medioevo per via di Giacobbo e dei suoi templari, chi apprezza le curiosità di un periodo oscuro dai lati  strani e dai sovrani col nome fantasioso e chi sogna periodi in cui cavalieri e principesse popolavano davvero le nostre terre esattamente come nei libri fantasy.
 Anche io non sfuggo a questo fascino, sebbene trovi mortalmente noiosa tutta l'infinita geopolitica e le innumerevoli battaglie, mi perdo nella ricostruzione di intere casate tramite matrimoni. Ciò che c'è di affascinante a mio parere nel periodo medievale è la capacità di tutti i personaggi coinvolti di aver avuto una vita assolutamente straordinaria.
 Se il principe Carlo d'Inghilterra al giorno d'oggi ha vissuto il suo periodo di massima gloria mediatica grazie al matrimonio peggiore della storia reale dai tempi di Anna Bolena, i suoi illustri predecessori medievali avevano guerreggiato, impalmato principesse dalle vite contortissime, sedato rivolte, creato scismi e già che c'erano avevano assunto anche un soprannome figheggiante. Persino Giovanni Senzaterra fa più effetto di Principe Carlo punto.
 Questo illustre preambolo è per spiegare cosa ci ho visto e per quale motivo ho scelto questo piccolo libro uscito ultimamente dal titolo "Una tragedia imperiale. Federico II e la tragedia del figlio Enrico" di Ortensio Zecchino Salerno editrice.
 In esso viene raccontato un episodio significativo eppure perso tra gli altri stupefacenti della vita di uno dei più grandi sovrani che il suolo europeo abbia mai visto. Federico II, stupor mundi come lo chiamavano già all'epoca, fu prodigioso fin dalla sua nascita.  La madre infatti era considerata all'epoca talmente vecchia per partorire (40 anni che adesso sono la norma, ma all'epoca c'era gente ormai bisnonna) venne piazzata durante il travaglio sulla pubblica piazza così che si vedesse che era davvero figlio dell'imperatore e non del demonio.
 Non ci mise comunque molto a rimanere orfano e a quattro anni già era sotto la custodia di un papa. A dodici anni si sposò per la prima di varie volte con un'omonima di sua madre Costanza, già vedova di dieci anni più grande. Fu da lei che qualche anno dopo ebbe il figlio Enrico, il primo dei suoi numerosi e guerreggianti figli. Il figlio che, almeno in apparenza, anni dopo si ribellò al padre.
 Zecchino ricostruisce infatti la storia di questa ribellione in modo curioso per uno storiografo, lasciando che molti tasselli vadano al loro posto secondo una logica umana, oltre che documentale. I libri di storia infatti peccano spesso di due differenti istanze: in certi casi sono troppo asettici, stilando un elenco di eventi consequenziali, dimentichi della variabile degli umani sentimenti, mentre in altri ci si lascia andare alla totale immaginazione romanzando eventi che insomma non eravamo lì trecento anni fa e non è che si possa sapere se tizio e caio erano disperati, piangevano o sospiravano.
 Mi pare invece che in questo piccolo libro si sia raggiunto un felice equilibrio: leggere una ribellione imperiale nell'ottica di un rapporto tra un padre lontano, potente e in altre faccende affaccendato e un figlio sì erede e primogenito, ma dimenticato a favore di altri figli, mogli e soprattutto risucchiato dall'ombra pesante ed enorme di un padre praticamente mitico.
Non proprio uno sguardo da padre
benevolo.
 Se infatti l'infanzia del povero Enrico sembra felicissima tra un padre bambino e una madre che in sostanza li alleva entrambi con successo, subisce un tracollo quando, partiti i genitori per essere incoronati in Italia, rimase solo in Germania fino alla maggiore età. Sua madre morì infatti poco dopo in Sicilia e il padre si dedicò ad altre attività come mettere su un fiorente regno nel sud Italia, sposare la giovanissima erede al trono Jolanda di Brienne da cui ebbe il secondo erede Corrado (poi padre di Corradino, l'ultimo degli svevi che come fosse uscito da "Il trono di spade" guidò eserciti in battaglia a 16 anni al fianco del suo cugino e coetaneo e forse amante Federico di Baden) far costruire castelli, tenersi buono il papa ecc. ecc.
 Per tenerlo stretto al suo volere Federico gli fece sposare una donna più vecchia scelta da lui, Margherita d'Austria (che poi Enrico cercò di ripudiare in ogni modo), non prima di aver pensato di darlo in sposa alla sorella del re d'Inghilterra che invece pensò bene di prendersi poi per sè come terza moglie. Inoltre dispose che diventasse maggiorenne a 18 anni e non a 14 come era stato per lui e lo aveva assiso sì sul trono di Germania, ma che non muovesse foglia che lui non volesse.
  Ortensio Zecchino sottolinea spesso come Enrico, altre volte dipinto come uno sporco orditore di trame, volesse in realtà solo un po' di spazio per sè e sgomitando sgomitando sgomitò molto male. Finché infatti tentò di aizzare principi elettori tedeschi a destra e a manca contro il padre, Federico lo ammonì e pure severamente, ma ciò che non potè perdonargli (oltre ad una mano troppo morbida contro gli eretici tedeschi) fu l'alleanza con la lega lombarda mentre lui se ne stava presa dalla stipula di un megacontratto prematrimoniale in terra d'Albione.
A una certa, il povero Enrico sbroccò.
 Tutto, ma i lombardi NO (bravo Federico ti appoggio), così, rientrato in Germania a far sentire la sua tonante voce ai riottosi principi tedeschi (che in effetti non lo vedevano mai), convocò il figlio, lo processò e condannò a morte.
 Tuttavia, il libro è appunto la ricostruzione storica del rapporto tra un padre e un figlio e Zecchino sottolinea più volte come Enrico, forse, dopotutto, volesse solo uscire fuori dall'ombra paterna e di certo, nonostante le sue malefatte, non si aspettasse un destino così duro. Non era il primo principe a ribellarsi al padre e nessuno dei precedenti aveva avuto un trattamento così tremendo. Insomma pure per i reali i figli erano pezzi 'e core. Non si sa se per questo pezzetto di cuore, se per ricordo alla prima moglie, se per pressioni papali et politiche varie, fatto sta che Federico graziò il figlio rinchiudendolo però a vita in una torre.
 Pare che in molti alla lunga si aspettassero una grazia che però non arrivò. Le sfighe per il povero Enrico non erano però finite. E' di qualche anno dopo una missiva di Federico che scrive ai carcerieri del figlio che sa delle sue pessime condizioni non solo di salute, ma anche di cura e aspetto e si raccomanda di aiutarlo. Un premuroso papì?
 No. Il poveretto, non si sa quando e come, era riuscito a contrarre la lebbra e piombato in cosmica depressione si stava lasciando andare. Finì male, molto male. Sfiancato probabilmente dalla malattia e dalle disgrazie, le fonti storiche concordano col dire che precipitò in un dirupo durante un trasferimento di prigionia, se suicida o meno non è dato sapere. Federico che forse avrebbe graziato il figlio se non fosse caduto malato di un male così socialmente riprovevole (e dovendolo perciò nascondere) lo avrebbe forse perdonato, se si deve credere al dolore di padre in lacrime che lasciò in una lettera scritta a Pier delle Vigne.
 Il volumetto merita una lettura perché è un curioso modo di affrontare la storia, con serietà eppure umanità, e soprattutto apre una finestra su un mosaico di vite di cui crediamo di sapere qualcosa e invece non sappiamo nulla. Federico II, i suoi genitori, le sue mogli, i suoi figli, il bel Manfredi ucciso, Corradino ultimo degli Svevi, le crociate, sono una miniera di storie infinitamente più interessanti e incredibili di quelle infiocchettate e vendute in un alone di esoterismo da tanti imbonitori del niente.

Miniatura tratta da "De arte venandi cum avibus"

 In tutto ciò se volete vedere qualcosa di meraviglioso date un'occhiata a questo link.
 Trattasi della versione digitalizzata del celebre trattato di falconeria attribuito a Federico II "De arte venandi cum avibus".
 E' bellissima.






3 commenti:

  1. A quattordici anni già se la faceva con una di ventiquattro: precoce il ragazzo.

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  2. Si è ampiamente rifatto in seguito. Pare che gli Svevi sposassero tutte donne più vecchie.

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  3. Federico II è un mito per me. Sarà che è stato il puer Apuliae, sarà che così incredibile c'è stato giusto Napoleone dopo, la sua figura è un unicum. A 17 anni mi feci fotografare davanti alla sua tomba a Palermo... non chiamate la neuro!

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