martedì 22 settembre 2015

Signora mia, questi giovani non studiano più. Ma è proprio vero?Sul serio studiare è rimasta una "Passione ribelle" per pochi? Non lo è sempre stata? Una critica ragionata al nuovo pamphlet della Mastrocola.

 E' l'argomento della settimana: la novella miss Italia in carica, diciottenne e per questo, teoricamente fresca di studi, ha dichiarato che le sarebbe piaciuto tanto vivere nel 1942, un periodo su cui molto si è scritto.
 
 Ok, c'era una guerra che ha fatto una cinquantina di milioni di morti, ma in fondo lei era una donna e in guerra non ci sarebbe andata (forse pensa che si sia svolta come nel medioevo con la castellana che filava a casa, mentre il prode cavaliere pugnava sugli Urali).
 Mettere alla berlina una diciottenne che non sa quello che dice, quando il mondo è pieno di persone che credono alle scie chimiche e alla teoria del gender, è un po' assurdo, soprattutto perché non credo le miss Italia precedenti pozzi di scienza. Se non altro, direte voi, avevano il buongusto di dichiarare che volevano la pace nel mondo senza avventurarsi in improbabili nostalgie storiche.
 Questa gaffe megagalattica si ricollega ad una sorta di instant book di Paola Mastrocola appena uscito per Laterza: "La passione ribelle".
 In questo pamphlet, l'autrice, che ha notoriamente insegnato in scuole pubbliche (ma non lo fa più da 16 anni) punta il dito contro la scomparsa dello studio.
 Si studia davvero a scuola? E come si studia? I genitori di adesso vogliono davvero che i figli studino o vogliono principalmente che si trovino un buon lavoro?
 Vista anche la gaffe della nuova più bella d'Italia, si capisce bene che il tema è pressante, vivo ed effettivamente calzante: studiamo tutti o quasi più a lungo, ma la qualità è scesa. Che ne sarà di noi? Lo studio e la riflessione svaniranno?
 Peccato che questo libercolo pur dicendo delle cose innegabilmente giuste, sembri frutto più che di uno studio, di un sentito dire.
 Andiam con ordine. Cose molto azzeccate, secondo me, del libro:
1) I genitori sono diventati dei grandi nemici dello studio dei figli. Non tutti ovviamente, ma è vero, per molti genitori lo studio è secondario rispetto a tutto il resto. Ho dato per due anni ripetizioni alle bambine di una famiglia alto-borghese con madre sciura insopportabile che mi costringeva a far fare loro tutti i compiti del fine settimana in un pomeriggio perché le pargole dovevano andare in montagna, a sciare, in barca, dai nonni, e in altri posti ben più interessanti. Pargole che già studiavano in modo ridicolo in una scuola privata ridicola.
 Non è un metro di giudizio, ma forse lo sono le decinaia di madri che si lamentano coi librai della lunghezza dei libri che gli insegnanti osano propinare ai figli.
2) Il tempo per lo studio è aggredito da altro. E' innegabile che avendo la perenne possibilità di stare connessi, diventa molto più difficile fare un pomeriggio di studio filato senza interruzioni. Non  è che secondo me, per questo, la gente non studi, ma la concentrazione di certo ne risente.

Cose che il libro toppa completamente.

Il buon Tiziano Treu
1) Il mito della formazione eterna.
 Forse l'ha scritto male, forse non conosce il mondo del lavoro dopo il pacchetto Treu, forse non sa cosa dice, ma ad un certo punto la Mastrocola punta il dito sulla "formazione eterna", una sorta di mitica entità in cui si crogiolerebbe una generazione pur di non lavorare. Per fare l'esempio dice: diploma, laurea, dottorato, post-doc, uno stage, due stage ecc.
 Peccato che lo stage non sia formazione, ma un forzato periodo di lavoro, spesso a tempo pieno, spesso non pagato o pagato male, che nel nostro pazzo mondo a base di precariato è diventato una regola a cui non puoi sfuggire. Non so, forse immagina orde di ragazzi che dicono "Che palle lavorare con uno stipendio, meglio fare uno stage gratis, così posso continuare a formarmi!".

2) I ragazzi non sanno/vogliono studiare.
  Tutte le generazioni precedenti, pensano che le successive studino male. Penso anche io, in effetti, che la preparazione che avevano i nostri nonni all'uscita dalle superiori fosse infinitamente maggiore della nostra, ma non credo che la colpa sia per forza degli studenti.
Il buon Alfieri
 Meno pretendi da una persona, meno quella persona si sentirà autorizzata a darti. La Mastrocola lo dice, ed è, secondo me, vero.
 Se uno studente si sente preso per scemo o trattato coi guanti con risibili riduzioni scolastiche dei classici, se i genitori mimano infarti al pensiero di un'analisi logica, mi pare evidente che si finisce per percepisce una cosa sola: posso pure non farlo.
 Poi, ovviamente, ci sono quelli che lo fanno a prescindere perché gli piace, quelli, di solito non in agiate condizioni economiche che lo fanno con una speranza (studenti non considerati dalla Mastrocola), quelli che non lo farebbero mai manco se fossimo all'epoca di De Amicis.
  E' la media generale che si è abbassata, ma non penso sia perché abbiano di meglio da fare (c'è sempre stato di meglio da fare, mi sbaglio o Alfieri si legava a una sedia gridando "Volli sempre volli fortissimamente volli"?), accade perché c'è una giustificazione sociale al non studio molto più forte.
 Mi farei sfiorare dal dubbio che ci si voglia più capre e conformi, mediamente mediocri, mediamente incapaci di pensare ad un mondo diverso (eppur affascinati, come dimostra il perenne successo di libri come "Nelle terre estreme" di Krakauer o "Walden, Vita nei boschi", letti principalmente dai giovani che a quanto pare non leggono e non studiano).

3) Finiremo tutti molto male.
Le consiglierei la lettura di
"Galassia Gutenberg" così vede che un
certo impatto sociale l'invenzione della
stampa ce l'ha avuto, e non leggero.
 C'è un lungo pezzo sul fatto che essere ottimisti per forza forse sia un errore. Dopo aver glissato sul fatto che l'invenzione della stampa non è stata impattante per la società quanto quella di internet (ma dice anche di non amare molto la storia quindi viene il dubbio che non abbia mai avuto interesse ad approfondire una questione del genere), sostanzialmente la Mastrocola dice che abbiamo tutti bisogno di sentirci rassicurati e nessuno fa più predizioni fino in fondo. Se una cosa deve andar male, bisogna dire che ci andrà. Condivido. Però. 
 La palla di vetro non ce l'ha nessuno. Keynes, dice lei, affermava che i suoi nipoti avrebbero lavorato tre ore perché la tecnologia ci avrebbe liberato dal giogo lavorativo, ciò non è successo. Vero. Ma non sono successe tante altre cose che potevano a priori finir male, come una pessima risoluzione della guerra fredda, per dire.
 Il compito dei sociologi non credo sia cassandrare per forza. Penso che un ragionevole raggio di speranza possa sussistere senza diventare gente che non vuole affrontare la realtà.

Cosa manca di fondo a questo libro.
C'è una cosa che manca in questo libro, enorme, gigantesca: una anche solo vaga analisi socioeconomica del nostro tempo. La Mastrocola si sfoga verso genitori e nuove generazioni, ma la sua, alla fine, sembra la sterile polemica di una nonna che non comprende più i giovani. Molto strano per una che ha scritto un libro, "Non so niente di te" che puntava esattamente al problema: l'invadenza del denaro nelle nostre vite.
 Non farò nessun discorso pauperistico, non credo per forza che il denaro non dia la felicità ed essere poveri e poco ambiziosi sì (e viceversa). Penso che però in un'età fortemente capitalista come la nostra, in cui il denaro ha un posto così centrale in termini di possibilità di vita, scrivere un libro in cui la scomparsa dello studio e il dominio del denaro non siano messi in correlazione sia un errore enorme.
 Il punto non è che si studia di meno, perché si vogliono studiare solo le materie che ci danno un lavoro danaroso.
 Il punto è che questa società non consente a chi vuole studiare materie poco danarose di sopravvivere.
 Chiunque volesse dedicarsi solo allo studio o a materie poco redditizie dovrebbe scontrarsi contro una forte pressione sociale, un'impossibilità di fondo se non si dispone di denaro precedente (alias genitori, rendite, eredità o boh) e alla consapevolezza che i propri figli pagheranno cara questa scelta.
 Come analizzava benissimo il professor Giovanni Solimine in un suo, sì, riuscitissimo pamphlet al riguardo "Senza Sapere", in Italia si studia meno anche perché leggere e studiare non sono più ascensori sociali.
 Pretendere di dedicarsi ad una vita di studio è impossibile per la maggior parte delle persone che appartengono a strati sociali medio-bassi. Il discorso della Mastrocola infatti ha il grande difetto di rivolgersi ad un pubblico medio-alto senza prendere in considerazione il fatto che è sempre stato così! La storia della letteratura, diciamocelo, non è fatta di indigenti.
 L'esempio che lei fa del suo protagonista di "Non so niente di te", che rinuncia ad una vita di successo per pascolare le pecore è studiare è calzante nel momento in cui il punto focale non è lo studio, ma il coraggio di imporre un modo di vivere diverso, non conforme, in un panorama sociale che ti spinge sempre in avanti, puntando all'ego di alcuni e al bisogno di altri. Ma in questo caso, lo studio, in una società immobile, non è salvifico. 

4. Il problema sembrerebbe solo dei ragazzi.

Pare che siano gli studenti e i ragazzi a non leggere e studiare.
  Direi che questa mancanza di pensiero critico vada in giro da almeno una trentina d'anni. Sento parlare del vuoto pneumatico dell'Italietta berlusconiana da quando vado alle elementari. Un mix micidiale di gente senza arte né parte (o con arti e parti poco raccomandabili) che si ritrova al potere grazie a seni prorompenti e adulazione del capo, modelli di vita passati da una tv indecente (non indecente per le veline, ma per tutto il resto), signori nessuno che fanno migliaia di euro solo per aver fatto mezza puntata del Grande Fratello, edonismo al massimo, le tre I ecc.
 Ora del vuoto berlusconiano non si parla più. Di colpo è colpa dei cattivi social network che ci costringono ad una vita connessa. Non penso. O non penso che il problema sia solo quello. Rispolveriamo la vecchia teoria e magari un'analisi più profonda del "I ragazzini di oggi leggono poco perché l'introversione viene condannata socialmente" ci scappa.
 Pasolini scriveva che "E' la falsa tolleranza a rendere i giovani nevrotici". Io un pensierino al riguardo ce lo farei.

Un ultimo appunto, se posso sull'adagio: "All'università ORA non si studia, non come ai miei tempi."
 La Mastrocola lancia un lamento a nome dei prof universitari costretti a corsi innumerevoli che non consentono loro di studiare come vogliono. 

Io ho frequentato La Sapienza (posso dirlo, l'hanno fatta altre centinaia di migliaia di persone), ci mettevo quasi due ore ad arrivare e due ore a tornare a casa, ossia 4 ore della mia vita sui mezzi, perché non potevo permettermi una stanza in città.
 Spesso e volentieri giungevo e lezione non c'era, era stata spostata, ricordo un esame il 27 luglio a cui il prof non si presentò (ce ne furono altri annullati, ma quello in particolare mi rovinò le vacanze), esoneri mai visti né conosciuti (visto che pare ci sia abbondanza di esoneri secondo lei), professori che iniziavano lezione e sparivano a metà dimenticandosi di avere una classe in attesa (successo), libri che si pretendeva comprassimo perché frutto degli studi meravigliosi del prof (peccato che uscissero dopo la sessione e lui pretendesse che saltassimo la sessione per aspettare i tempi della casa editrice) ecc. ecc. Potrei continuare all'infinito.
 Non ho mai visto i miei prof oberati da mille corsi, non ho mai fatto esami da 100 pagine e basta (e ne ho fatti 52, quindi forse erano mediamente meno cicciuti di quelli fatti da lei, ma sono almeno il doppio).
 Non solo, ho anche avuto la sventura di viverci per un anno con una prof universitaria.
 Una che si alzava la mattina, studiava quel tanto, non andava quasi mai a lezione (annullandola all'ultimo of course), si scocciava se doveva andarci e passava il suo tempo a fare i suoi comodi.
 Un caso probabilmente non è indicativo, ma sono finita proprio a coabitare con questo insopportabile esemplare che molti dubbi ti fa venire sullo studio universitario, e non per la quantità di opprimente lavoro degli insegnanti.
 Perciò prima di lanciare il peana dell'insegnante oppresso, io lancerei anche il peana dello studente universitario oppresso, che da questo libro, pare venga coccolato e studi 100 pagine per sbaglio e pure male. Per onestà intellettuale, direi che non è che è proprio così.

12 commenti:

  1. Non c'è che dire! Dimenticano che i nostri insegnanti sono stati quelli della loro generazione e che, a rigor di logica, qualche responsabilità è di loro competenza.
    Alla fine sì, anche i genitori hanno la loro porzione di colpa, per cui questo bambino che deve fare i compiti è una tortura, non si può andare a spasso!
    Sì, lo studioso di materie poco redditizie o lo scrittore è colui che ha possibilità economiche, lo diceva anche Virginia Woolf in "Una stanza tutta per sé", citando non ricordo più che studioso: la poesia non nasce da chi ha problemi a sfamarsi, ma da chi può permetterselo.

    Se vuoi possiamo anche discutere della classifica delle università italiane, per cui si crea il devastante pregiudizio che in certe università non si faccia nulla e che la laurea te la regalino. Ci sarà ovunque la materia più facile, quella più tecnica, il professore più rigido e quello più largo di manica, non sono tutti uguali, per fortuna.

    Per concludere c'è anche chi dal ministero dà delle direttive allucinanti. Ho lavorato in una scuola primaria come esperto e una maestra deve essere un po' insegnante, un po' infermiera, un po' mamma, un po' tutto, portare avanti un programma sempre più depauperato di tutto, lasciare indietro chi non ce la fa perché altrimenti non riesci a svolgere manco un quarto di quello che dovresti. E la colpa è anche di noi esperti che togliamo ore a insegnamenti più utili, nel senso che se una classe di terza ha problemi a maggio con le divisioni, non mi pare il caso che faccia laboratorio di ginnastica, di arte, di teatro e di danza. Sembra di vivere in "Fahrenheit 451": mille attività fisiche, basta che non studino.

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    1. No, ma infatti il mio discorso sugli insegnanti valeva solo per quelli universitari. Gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie hanno tutta la mia solidarietà.
      La Mastrocola parla della diversificazione dell'offerta formativa (chiamiamola così), però in realtà insiste molto sul fatto che i ragazzini il pomeriggio siano costretti a fare altre mille attività. Cosa vera, ma anche lì, parliamo di ceti medio-alti, non è che tutte le famiglie possono permettersi pianoforte, inglese, violino, due sport, scout ecc. Anzi, la maggior parte credo che non possano, quindi non credo che il problema sia neanche nei pomeriggi sovraffollati. Lo è sempre per i famosi ceti medio-alti, i quali hanno papino e mammina che coi soldi pagheranno loro master, stage, università private e imbucanti costose e quindi non vedono perché la pargolanza debba studiare. Anche per quello dicevo, non ha senso un discorso del genere senza un'analisi socioeconomica. Ignorare questo distacco sempre maggiore tra ceti sociali, mi pare colpevole (Solimine infatti non lo fa).

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    2. Sì, tutto giusto, però basta considerare irrilevante la "ginnastica". Per tutti, ma soprattutto per un bambino delle elementari, l'attività fisica è fondamentale. Parliamo di ragazzini che stanno sui banchi dalle 8 alle 16, vanno a scuola accompagnati in macchina e passano spesso e volentieri il pomeriggio chiusi in casa (compiti, pc, tv). E non è un problema che si risolve con un corso di nuoto o di calcio, è proprio questione di stili di vita sbagliati. Io non ci vedrei nulla di male se alle elementari il pomeriggio fosse dedicato anche integralmente al gioco in movimento, non lo considero per nulla antitetico allo studio. Basta sapere distinguere i momenti e insegnare fin da piccoli la necessità della concentrazione e dell'impegno per superare e vincere le difficoltà.

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    3. Ma veramente non tutti i ragazzini fanno 8-16, la maggior parte esce alle 13. Inoltre se non impari a studiare alle elementari difficilmente lo saprai dopo, non bastano mistiche tecniche di concentrazione. Nessuno dice che la ginnastica non sia importante, ma tanto il problema si risolve da solo: non sono molti i genitori che possono permettersi due sport e di seguire i pargoli che dovrebbero fare movimento tutto il pomeriggio. Sia per ragioni economiche sia per ragioni di tempo. Io considero non studiare antitetico allo studio, e penso anche che un bambino possa fare sport e studiare in contemporanea. Ovvio se non fa il tempo pieno, ma da quel che ricordo, perlomeno quando alle elementari ci andavo io, i bambini del tempo pieno non avevano gli stessi compiti di quelli a tempo parziale.

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    4. Marina, ho parlato anche contro il mio interesse, visto che io lì ho tenuto un laboratorio artistico. Capitava che restassi per mettere a posto il materiale e loro riprendevano la lezione. Ho proprio palpato la necessità che questi bambini avevano di cementare certi concetti e, dopo un'attività che li eccitava, era ancora più difficile.

      Sono d'accordo quando parli dello stile di vita, che è sbagliato. Esempio, sempre in quella scuola avevano aderito a un programma sulla sana alimentazione: ricevevano per la merenda frutta o verdura. Molti genitori, nonostante questo, continuavano a mettere in cartella merendine industriali e in certi casi le maestre distribuivano la merenda sana all'uscita "perché le fragole sporcano", "perché non sanno sbucciare un mandarino" e altre scuse. Allora di che parliamo? Ci prendiamo solo in giro!

      Per la ginnastica a cosa serve aderire a un programma del CONI per due ore a settimana, se poi è un evento raro quell'ora di palestra ministeriale? Non ci siamo nemmeno in questo caso.

      Dobbiamo tener conto che molto dipende anche dai genitori, dal livello economico, come appunto dice Nathan. C'è chi può permetterselo e chi no. Almeno io ricordo che nella bella stagione si era tutti in giardino, in campagna, in bicicletta e d'estate almeno il movimento c'era, ora si rintronano al pc molto di più.

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  2. Io penso solo che una ragazza a 18 può farsi prendere dall'agitazione e sparare due ca**ate. Ci sta.
    A me è sempre piaciuto studiare, leggere ed essere informata... ricordo che a 18 anni vinsi un concorso regionale e davanti alla telecamera sparai tutto tranne quello che volevo realmente dire. Bocca e cervello erano scollegati. Insomma, con tutte le corbellerie che sentiamo da professionisti, politici e giornalisti, questa è veramente una goccia in mezzo al mare.

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  3. Ha proprio ragione Solimine. Non ci si può lamentare che "signora mia non si studia" se poi lo studio e le competenze acquisite con lo studio sono sistematicamente snobbate dal mercato del lavoro e anche dal senso comune.
    Se dovessi avere un figlio lo indirizzerei a una scuola il più possibile tecnica per avere una possibilità in più di trovare lavoro in fretta, invogliandolo a leggere, girare, curiosare per conto suo le cose che lo interessano. Forse è una visione rinunciataria, ma anche continuare a farsi prendere in giro non mi sembra una bella prospettiva.
    Quanto a Miss Italia, vorrei sapere quanti sapientoni del web supremo saprebbero dirmi senza googlarle le date della seconda guerra mondiale.

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    1. Penso che a prescindere dal mercato nessun ragazzino dovrebbe essere "indirizzato", ognuno nel bene e nel male dovrebbe essere libero di scegliere. Esistono ingegneri disoccupati e laureati in lettere occupati. Inoltre qui rientriamo nel campo del "conformismo", l'imposizione ormai sistematica di un solo stile di vita a furia di ricatti economici. Io per prima posso dire che non è che sia proprio una passeggiata di salute, ma non lo è neanche vivere una vita che magari ti permette di campare, ma di cui non ti piace niente, lavoro in primis.

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  4. 1) I genitori sono diventati dei grandi nemici dello studio dei figli.
    2) Il tempo per lo studio è aggredito da altro.

    Meno pretendi da una persona, meno quella persona si sentirà autorizzata a darti. (...) c'è una giustificazione sociale al non studio molto più forte. Mi farei sfiorare dal dubbio che ci si voglia più capre e conformi, mediamente mediocri, mediamente incapaci di pensare ad un mondo diverso.

    Il punto è che questa società non consente a chi vuole studiare materie poco danarose di sopravvivere. Chiunque volesse dedicarsi solo allo studio o a materie poco redditizie dovrebbe scontrarsi contro una forte pressione sociale, un'impossibilità di fondo (cut) e alla consapevolezza che i propri figli pagheranno cara questa scelta. (...) in Italia si studia meno anche perché leggere e studiare non sono più ascensori sociali.


    Tutto tristemente vero e puntuale. La situazione non è rosea e la cultura non è più un valore. E chi la cultura ama, è uno zimbello e un perdente. Amen. :-\

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  5. Da insegnante mi sento tirata in causa.
    La situazione è complessa e le mie considerazioni saranno sicuramente poco coerenti e caotiche.
    1) in Italia saranno vent'anni (?) che la cultura viene svilita e svalutata su tutti i fronti. La gente non legge più visita meno i musei e i siti archeologici, dà meno importanza allo studio. Questo non può far bene agli studenti e alla loro motivazione.
    2)La scuola italiana è allo sbando. Si dice sempre che gli insegnanti dovranno essere valutati e poi si studiano sistemi di assunzione folli con gente spostata da una parte all'altra dell'Italia (e il merito?). Chi lavora al risparmio ha di fatto una vita più facile. Caliamo un velo pietoso poi, sulle strutture (non più "io speriamo che me la cavo", ma "io speriamo che non mi cada in testa il soffitto"). E si noti che io lavoro nel privilegiato nord. Una volta sono entrata in una scuola dove c'erano delle transenne a segnalare dove si pensava che sarebbe crollato il controsoffitto. Giuro.
    3) I ragazzi che studiano non fanno notizia.Ce ne sono in ogni classe, ma non fanno notizia, purtroppo. da che mondo è molto, dei ragazzi si è sempre e solo parlato male. Mai sentito dire "Ah, che bravi i giovani d'oggi, mica come noi..."

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  6. dal web della frase di miss italia escono diverse versioni,ma il discorso del 42 è stata una cantonata clamorosa, che potrei anche perdonare per l'emozione, e su quella di jordan successiva ci sono ombre sul servizio, a dire della miss alice,manipolato da striscia.

    Ma mi resta una domanda: oggi diamo valore alla cultura? la società che valore gli dà? basta vedere i modelli proposti dai mass media,come corona e co, per farsi la domanda.

    E allora,forse, non è che vi è questo dare addosso mediatico a miss italia perché ci accorgiamo che abbiamo una società senza il valore della cultura ma non vogliamo ammetterlo?

    ps. bel articolo questo,penso d condividerlo (come t dicevo non critico solo,ma se guardi il mio profilo google plus vedrai che m piacciono i fumetti).

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