Quando avevo 22 anni, lessi, con un filo di presuzione giovanile, "La linea d'ombra" di Conrad.
Non avevo mai letto niente di suo, ma in libreria ero rimasta catturata dall'incipit fulminante, probabilmente uno dei più belli che siano mai stati scritti:
"Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo dire i giovanissimi. No.
I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. E' il privilegio della prima gioventù vivere in anticipo sui propri giorni, nella bella continuità di speranze che non conosce paure nè introspezione.
Uno chiude dietro di sè il cancelletto della fanciullezza - ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre rilucono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché ci sia una terra da scoprire. Si sa bene che l'umanità l'ha percorsa in folla. E' la seduzione dell'esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po' di se stessi.
Si procede riconoscendo i traguardi raggiunti dai nostri predecessori, eccitati e divertiti, accettando la buona e la cattiva sorte insieme - le rose e le spine, come si dice - la variopinta sorte comune che tiene in serbo tante possibilità per chi le merita o forse per chi è fortunato.
Sì. Si procede. E pure il tempo procede - finchè si scorge di fronte davanti a sè una linea d'ombra, che ci avverte che bisogna lasciare alle spalle anche la regione della prima gioventù. E' il periodo della vita in cui possono capitare quei momenti cui ho accennato. Che momenti? Ebbene, momenti di tedio, di stanchezza, di scontento. Momenti di irriflessione. Parlo dei momenti in cui chi è ancora giovane è incline a commettere atti inconsulti, come sposarsi all'improvviso o abbandonare un lavoro senza motivo.
Ma questa non è la storia di un matrimonio. Non arrivai a tal punto. Il mio atto, pur avventato, ebbe più il carattere di un divorzio, quasi di una diserzione."
Ci sono libri che si leggono ad età sbagliate e questo fu uno di quelli.
Due anni fa lessi una bella graphic novel di Alberto Madrigal, anch'essa in larga parte autobiografica che mi colpì molto: si chiamava "Un lavoro vero" e parlava del fatidico momento in cui si passa dai sogni della primissima giovinezza, da quella spinta propulsiva che sembra non dover finire mai cascasse il mondo, alla dura e amara realtà.
Dopo aver lavorato lungamente su un fumetto, Madrigal non riusciva a piazzarlo da nessuna parte e si ritrovava in quel di Berlino, città dove aveva scelto di abitare (se vuoi fare qualcosa di creativo in Europa ora è doveroso andare a Berlino pare), a domandarsi: ha senso continuare a seguire i miei sogni e vivacchiare in modo bohemienne o è ora che io mi trovi un lavoro vero?
La storia finiva bene, come è accaduto nella realtà, ma in effetti una domanda cinica era rimasta nell'aria: cosa ne è di tutti gli altri che non ce la fanno? E' incoerente, stupido e folle pensare che tutti possano farcela, non è realistico eppure quasi tutte le storie raccontano di qualcuno che, in un modo o nell'altro, ha vinto.
In questi giorni è uscito il secondo libro di Madrigal, "Va tutto bene", una sorta di faccia nascosta del primo. Parla di un gruppo di amici che non ce la sta facendo.
Hanno passato la linea d'ombra senza che nessuno sia riuscito a combinare niente e le domande crescono, il senso di diserzione dalla linea a cui erano stati ostinatamente fedeli cresce e si compiono gesti un tempo considerati inconsulti: Daniel è cresciuto col sogno di diventare musicista, ma quando i trent'anni si affacciano, inizia ad invocare un lavoro fisso, normale, che gli consenta di avere un figlio con la sua compagna di cui teme l'abbandono a causa di un altro, in un crescendo di insicurezza insostenibile.
Sara invece compie una scelta speculare: ha sempre avuto tanti sogni, troppi, non ha mai posseduto la costanza di farne avverare nessuno. Di colpo decide di tentare il tutto e per tutto aprendo una sorta di locale, un bar con un concept innovativo (forse troppo), nonostante nessuno degli amici la sostenga: ormai è tardi, le dicono, per i sogni. Il rischio è alto, non è mai stata buona a niente, perché insiste?
Soprattutto Daniel si dimostra insofferente, la attacca, la sgrida duramente, parlando chiaramente più a se stesso che a lei. La storia non ha un finale scontato: il locale non diventerà l'attrazione numero uno di Berlino e Daniel non incontrerà un favoloso imprenditore discografico che lo farà sfondare.
I personaggi di Madrigal rappresentano l'inquietudine davanti alla linea d'ombra con meno profondità di Conrad ovviamente.
Del resto non esiste più nessun tipo di epicità nel nostro presente, sembra quasi che ogni impresa debba essere contrassegnata da una sorta di irresponsabilità personale: lo faccio costi quel che costi. Ma il costo, si sa già a monte, non è mai la vita, al massimo sono i soldi che tanto metteranno mamma e papà confinandoci in quella regione della primissima giovinezza dove ormai siamo stanchi di stare.
Quel fuoco non esiste più per noi che navighiamo quietamente a vista, sospinti da venti non nostri, così si finisce per rimanere incerti sulla linea d'ombra di Conrad e il passaggio rimane appannaggio di quei pochi che attraversano esperienze fondamentali, spesso dolorose.
Madrigal descrive bene questo affanno contemporaneo del non riuscire mai a compiere niente di definitivo, neanche quando si vorrebbe. C'è un senso di vaghezza nella realtà ormai così opprimente da impedire persino a chi vuole una vita ordinaria di averla, a chi pretende un'ombra di concretezza di afferrarla.
C'era una volta la generazione dei Peter Pan, quella famosa dei trentenni che non volevano crescere, ora c'è quella raccontata da Madrigal: i trentenni che vorrebbero crescere ma viene loro impedito (con loro amplissima connivenza e indolenza) o, in varia misura, scoraggiato.
Rimanete sempre dalla parte di chi non ha responsabilità, non soffre, non combatte, non lavora mai davvero, non riesce mai a permettersi un figlio, un cinema in più con gli amici, rimanete dalla parte di chi non diserta, non si ribella, non vive.
Rimanete sempre dalla parte di chi non ha responsabilità, non soffre, non combatte, non lavora mai davvero, non riesce mai a permettersi un figlio, un cinema in più con gli amici, rimanete dalla parte di chi non diserta, non si ribella, non vive.
RispondiEliminaMi hai fatto venire voglia di leggere sia il libro di Conrad che il fumetto di Madrigal...
Ci si ritrova davvero.
RispondiEliminaCarissima, scopro oggi il tuo bel blog che ho spulciato un po' qua e là.
RispondiEliminaTrovo che questo post sia magnifico e vero. Anche io ho letto Conrad troppo presto, e l'ho capito talmente poco da averlo dimenticato. Ma la mia linea d'ombra è adesso, e sento molto forte ciò che dici.
Come minty, rileggerò Conrad e cercherò il fumetto.
A proposito del momento in cui la linea d'ombra arriva, penso che lo descriva bene anche A proposito di Davis dei fratelli Choen.
Da adesso in avanti ti seguirò!
Silvia