La fantascienza è uno dei miei generi preferiti per molti motivi.
Il principale è che, essendo stata considerata (ed essendo ancora considerata da molti), un genere per ragazzini, assolutamente secondario rispetto all'Alta" letteratura (conosco librai che considerano sconveniente mettere Huxley nella sezione di fantascienza perchè "merita" di finire in narrativa generale), ha sempre potuto sperimentare e trattare argomenti scottanti senza che benpensanti, conservatori o chi per loro ci mettessero eccessivamente bocca.
Devo dire che personalmente la branca che più mi affascina sono le ucronie e le distopie, mentre non ho particolare passione per gli alieni e manifesto un contenuto entusiasmo per i robot nonostante abbiano avuto un ruolo involontariamente importante nella mia vita universitaria.
Eppure, di tutte le creature futuribili finora prodotte dall'immaginazione umana, i robot sono probabilmente quelle su cui l'umanità intera dovrebbe riflettere di più, come dovrebbe farlo tutte le volte che deve vedersela con tutto ciò che rappresenta un suo doppio e, in tal modo, un suo Altro.
Ultimamente mi è capitato di leggere due libri curiosamente gemelli. Il primo è un grande classico della fantascienza, "Sogni di robot" di Asimov, il secondo "Identità Cyborg" di Daniela Gulino ed. Albo Versorio, un saggio sulla storia degli automi.
In realtà il libro di Asimov non si concentra tanto sui sogni dei robot quanto sull'impatto che la tecnologia avrà sulla storia umana sempre più dipendente da computer onniscienti, sempre più ossessionata dalla riduzione del margine di rischio in qualsiasi decisione.
I racconti in cui l'uomo demanda il proprio libero arbitrio ad un computer sempre più intelligente sono indubbiamente i più profetici e spaventosi della raccolta, tuttavia nell'introduzione Asimov dimostra di credere assai più nelle sue profezie robotiche.
I racconti in cui l'uomo demanda il proprio libero arbitrio ad un computer sempre più intelligente sono indubbiamente i più profetici e spaventosi della raccolta, tuttavia nell'introduzione Asimov dimostra di credere assai più nelle sue profezie robotiche.
Un giorno, pensava lui, i robot cammineranno con noi e faranno onore al nome (dal ceco robota "schiavitù") datogli dallo scrittore e drammaturgo ceco Karel Capek nel testo teatrale "R.U.R. I robot universali di Rossum" che immaginava per loro un futuro da schiavi dell'umanità. Al contrario di Capek che parlava in realtà di cyborg, ossia di costrutti non meccanici, ma organici, simili ai replicanti di blade runner, Asimov non si avventura nella coesione organica tra uomini e robot, ma rimane nell'ambito della tecnologia.
Nel suo immaginario i robot sono talmente simili agli uomini da poter sviluppare una coscienza e pensieri che sfuggono alla programmazione impostata. Eppure Asimov li percepisce non come parte dell'umanità, ma come specie altra, tanto da avere la necessità di creare un bellissimo personaggio, quello di Susan Calvin, una robopsicologa che viene chiamata ogni volta che i suoi superiori si piegano all'inaccettabile ammissione che esista una psiche nelle loro creature di ferro.
Se per i costruttori i robot non sono altro che macchine da smerciare in un'ottica capitalista (e più volte è ripetuta la frustrazione di non riuscire a smerciarli sulla terra per la diffidenza della popolazione), talvolta devono piegarsi all'evidenza e chiamarla per comprendere quello che per loro è qualcosa di assolutamente incomprensibile: una serie di variabili assai simili al libero arbitrio e ad una coscienza che alcuni robot finiscono per sviluppare contro il volere dei loro creatori.
Se per i costruttori i robot non sono altro che macchine da smerciare in un'ottica capitalista (e più volte è ripetuta la frustrazione di non riuscire a smerciarli sulla terra per la diffidenza della popolazione), talvolta devono piegarsi all'evidenza e chiamarla per comprendere quello che per loro è qualcosa di assolutamente incomprensibile: una serie di variabili assai simili al libero arbitrio e ad una coscienza che alcuni robot finiscono per sviluppare contro il volere dei loro creatori.
Nel libro di Daniela Gulino, un saggio veloce e molto chiaro, che affronta un excursus storico della figura del robot, si evince come Asimov possa aver anche inventato le leggi della robotica e Capek il nome, ma la fantasia di un essere artificiale creato dall'uomo a sua immagine e somiglianza (o a immagine e somiglianza di altre creature viventi) è sempre esistita, e ha assunto valenze e terrori diversi a seconda del rapporto del momento tra esseri umani, religione e scienza.
Questo perché il tema del doppio, del replicante, del robot, del cyborg come creatura frutto del genio umano, a lui sottoposta e al contempo passibile di rivolta, rappresenta sin dagli albori della conoscenza un grande e terribile desiderio dell'umanità: la possibilità di essere creatore al pari degli dei, o della natura.
Il punto è che il terrore degli esseri umani rimane ancorato alla limitatezza della loro stessa umanità: se non abbiamo niente di divino, chi ci garantisce che un giorno queste creature non ci diverranno superiori? Senza contare che se c'è proprio una cosa per cui l'umanità tutta non ha mai brillato è sempre stata la comprensione e accettazione dell'Altro. L'altro, il diverso da noi pur pacifico, pur ammesso alla nostra cerchia, rimane sempre per noi fonte di turbamento e timore. E deve essere controllato, e, all'occorrenza, allontanato ed eliminato. L'altro non siamo mai noi.
Questo perché il tema del doppio, del replicante, del robot, del cyborg come creatura frutto del genio umano, a lui sottoposta e al contempo passibile di rivolta, rappresenta sin dagli albori della conoscenza un grande e terribile desiderio dell'umanità: la possibilità di essere creatore al pari degli dei, o della natura.
Il punto è che il terrore degli esseri umani rimane ancorato alla limitatezza della loro stessa umanità: se non abbiamo niente di divino, chi ci garantisce che un giorno queste creature non ci diverranno superiori? Senza contare che se c'è proprio una cosa per cui l'umanità tutta non ha mai brillato è sempre stata la comprensione e accettazione dell'Altro. L'altro, il diverso da noi pur pacifico, pur ammesso alla nostra cerchia, rimane sempre per noi fonte di turbamento e timore. E deve essere controllato, e, all'occorrenza, allontanato ed eliminato. L'altro non siamo mai noi.
Sto riuscendo a spiegarmi? Non ci sto riuscendo? Per chiarire quello che dico riprendo gli episodi più gustosi di questo piccolo e densissimo libro, scoprirete cose che noi umani..
ERONE:
Il sistema di apertura automatica delle porte dei templi |
Gli antichi Greci, e in misura minore i loro cugini romani, hanno sviluppato conoscenze straordinarie che abbiamo opportunamente dimenticato in quasi blocco durante i terribili secoli bui.
L'idea del robot (costruzione completamente artificiale) e del cyborg (costruzione in parte artificiale e in parte organica) esisteva già nei loro miti: Dedalo costruiva esseri antropomorfi che si muovevano autonomamente (e di cui Socrate discute brevemente nel "Menone"), mentre Efesto, dio del fuoco, aveva una serie di aiutanti forgiati da lui stesso. Più simile ad un cyborg per via della sua vena vitale era il gigante Talos.
Forgiato da Efesto, fu donato a Minosse per difendere Creta, cosa che faceva con solerzia lanciando giganteschi massi verso le navi non gradite attorno all'isola. Fu ucciso dagli argonauti che approfittarono del suo unico tratto, e perciò debolezza, umano: la vena che si rendeva visibile sulla caviglia. Trapassata da una freccia ne causò la morte istantanea.
Se volete approfondire |
L'idea perciò dell'esistenza di esseri antropomorfi, ma artificiali, era perciò già presente nell'immaginario greco e i valenti scienziati e tecnici dell'epoca, liberi da molti dei pregiudizi che caratterizzarono l'infausto medioevo, si sentirono liberi di sperimentare in tal senso.
I risultati più celebri che molto avevano a che vedere con lo studio della pneumatica, furono la colomba di Archita e i marchingegni di Erone. La prima era opera di Archita, tarantino, politico e seguace di Pitagora, amico di Platone considerato il fondatore della meccanica, e consisteva in una colomba di legno in grado di volare di ramo in ramo grazie ad un gioco di contrappesi ed aria compressa (non chiedetemi, io per quel che riguarda fisica e matematica sono a livello degli uomini preistorici).
Il secondo, Erone di Alessandria, vissuto probabilmente nel I sec. a. C. , fu un inventore talmente straordinario da assumere caratteri mitici. A lui si devono molteplici automi semoventi da usare nelle rappresentazioni teatrali e fontane spettacolari, la pompa idraulica e l'eolipia, un marchingegno che tramite il vapore riusciva ad aprire e chiudere automaticamente le porte dei templi (altro che elettricità), inoltre creò dei teatrini in grado di mettere in scena rappresentazioni teatrali autonome e, una sorta di distributore di acqua nei templi che si azionava inserendo una moneta. Proprio come un distributore automatico.
Paura eh?
Paura eh?
PAPA SILVESTRO II:
Di tutte le storie inquietanti avvenute nel medioevo, quella che coinvolse il povero papa Silvestro II, conosciuto anche come il Papa Mago, si è guadagnata senza dubbio il mio amore.
Una delle macchine descritte nel compendio di Al-Jazari sulla teoria e pratica delle arti meccaniche |
Il risultato, almeno in Europa, fu che, anche a causa della perdita di molte delle tecniche scoperte dagli antichi, le ricerche sugli automi assunsero connotazioni di stampo esoterico che finirono per ammantare di una patina magica alcuni sofisticati automi del passato.
Un esempio per tutti le mitiche teste parlanti.
A quanto sembra questi marchingegni a forma di testa umana esistevano nell'antichità classica e venivano usati come oracoli in nome di antichi miti che vedevano teste vaticinanti quali protafoniste (il principio di funzionamento aveva le sue origini sempre nell'eliopilia anche se non so immaginare come). Ovviamente una testa in grado di rispondere sì o no era quanto di più demoniaco potesse partorire una mente medievale, ma la scienza araba aveva continuato a produrre degli automi molto realistici e riuscì a diffondere parte delle sue conoscenze tecniche almeno in Spagna dove probabilmente il futuro Silvestro II le apprese.
Silvestro II simpaticamente in compagnia del demonio |
Gerberto d'Aurillac, salito al soglio pontificio come Silvestro II, è stata una figura estremamente stravagante e mai più ripetuta nel parterre di papi che può vantare il cattolicesimo. Si trattava infatti di un papa scienziato, versato nell'astronomia, inventore ed estremamente colto in ambito scientifico, tanto che si prodigò (lo so, questa sembra vera fantascienza) per la diffusione di molte conoscenze perdute in occidente in ambito filosofico, matematico (reintrodusse l'abaco) e astronomico.
Era insomma, un papa molto molto strano e la Gulino ipotizza potesse essersi dedicato anche alla costruzione di automi, precisamente di una testa parlante.
Ovviamente non potevano non nascere su un personaggio del genere credenze e leggende di ogni tipo. Così, nell'immaginario comune, una probabile testa meccanica divenne un essere demoniaco e si attribuirono queste sue conoscenze ad un'improbabile unione con una maga musulmana in combutta col diavolo.
L'avreste mai detto?
AUTOMI DI VAUCANSON:
Col passare dei secoli, anche il medioevo finì e si raggiunsero epoche più razionali in cui divenne nuovamente possibile un approccio di tipo scientifico alla meccanica degli automi. Smessi i terrori demoniaci si iniziò a percepire la costruzione di robot come una sfida tecnica e fu così che la prese anche Vaucanson, rimasto celebre per aver costruito tre marchingegni particolarmente sofisticati.
Anatra di Vaucanson |
Le sue tre opere più famose rimangono il flautista, il tamburino e un'anatra.
I tre automi, che venivano portati in giro dal loro creatore come fenomeni della tecnica, erano straordinari per l'epoca: il primo era un suonatore di flauto traverso che muoveva lo strumento riproducendo melodie, il secondo era in grado di suonare due strumenti diversi e la terza aveva un complesso apparato digerente visibile grazie al petto trasparente.
L'anatra era quella dei tre che si potrebbe più definire un cyborg perché nelle intenzioni del suo creatore c'era quella di farle compiere una vera e propria azione naturale: la digestione. In effetti apparentemente l'obiettivo fu raggiunto, ossia l'anatra beccava cibo ed espelleva una sorta di rifiuto. Tuttavia, anni dopo venne scoperto l'inghippo: il bolo espulso era una finzione che passava per un secondo canale. L'anatra non digeriva e gli studi pseudobiologici di Voucanson che cercò anche di produrre un automa con un apparato circolatorio funzionante, una truffa.
IL CYBERPUNK:
E poi venne la rivoluzione industriale, i terrori di Capek, le nuove frontiere dell'automazione.
In epoca contemporanea, dopo aver impiegato per il lavoro industriale macchine sofisticate, ma ben lungi dall'essere antropomorfe, l'automazione sta prendendo altre vie orientandosi verso quello che è stato definito un transumanesimo. I cyborg siamo noi. Sempre più simbiotici con le nuove tecnologie, iniziamo ad avere innesti non umani (viti nelle ossa, pacemaker o anche solo lenti a contatto) che migliorano la nostra vita ed entrano a far parte del nostro corpo. Le nostre stesse relazioni umani sono ormai mediate in larga parte da oggetti che di umano hanno assai poco.
Lo stesso termine cyborg è nato non in ambito letterario, ma medico. I primi ad usarlo furono i medici Manfred Clynes e Nathan Kline a proposito di una sorta di potenziamento genetico degli esseri umani in previsione di loro eventuali viaggi spaziali.
Non era l'idea che Asimov si era fatto della nascita dei robot (a me la cosa che stupisce di più leggendo i suoi racconti ora è il pensiero che gli esseri umani potessero viaggiare nell'universo e creare robot pensanti, ma continuassero a parlare per ricetrasmittenti), e fa un po' sorridere che l'abbia creduta la sua più grande intuizione quando pochi anni dopo scienza e tecnica hanno lasciato che il mito dell'automa si intersecasse in modo imprevedibile alla storia degli esseri umani.
Anche la letteratura a quel punto ha dovuto cercare nuovi punti di riferimento e lo ha fatto col cyberpunk. Nel 1984, una data stranamente profetica e ricca di eventi determinanti, William Gibson manda alle stampe "Neuromante", sorta di distopia in cui si immagina un futuro in cui la vita avviene in uno spazio reale e al contempo in un gigantesco spazio virtuale, il cyberspazio, dove si può anche non morire mai. Come dice Gulino nel cyberpunk l'idea di base è che il progresso non si possa bloccare in alcun modo, nel bene (nel senso che proseguiremo verso un'evoluzione tecnologica costante) e nel male (le eventuali derive infauste di questa evoluzione non avranno rimedio). Perciò nella trilogia di Gibson, che comprende anche "Laggiù nel cyberspazio" e "Monna Lisa cyberpunk" il mondo è un posto impregnato di tecnologia, ma socialmente liquefatto. Non ci sono più stati, ogni individuo è estremamente solo e usa il cyberspazio per sfuggire ad una realtà su cui non ha nessun potere.
La lessi all'università, è una lettura molto particolare e ammetto di non aver sempre capito quello che Gibson cercava di comunicare, ma alla luce della crescente confusione in cui versa il nostro mondo, direi che è un passaggio obbligato.
Ebbene, spero di avervi dato spunti di lettura fantascientifica e non. Il libro della Gulino può essere una buona introduzione per stilare una buona bibliografia su un argomento che all'apparenza sembra in genere di puro intrattenimento.
Sembra, e continuiamo a fingere che lo sia, prima che qualche benpensante si svegli con vari decenni di ritardo e inizi a metterci i bastoni tra le ruote.
Sembra, e continuiamo a fingere che lo sia, prima che qualche benpensante si svegli con vari decenni di ritardo e inizi a metterci i bastoni tra le ruote.
Bell'articolo! Quest'antologia dell'editrice Nord l'hai mai letta? Fu una grande rivelazione per me.
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