lunedì 19 febbraio 2018

Piccole recensioni tra amici! "Ultima notte ad Alessandria" di Aciman e "Drinking at the movies" di Julia Wertz tra dolcetti al miele, mondi che finiscono e trasferimenti traumatici.

 Oggi, in questa sempre più rara giornata a disposizione, avevo tanti bei progetti, quasi tutti vanificati dalla tortura a cui sono stata  sottoposta dalle 8 alle 18.

 Ho sostanzialmente avuto operai a trapanare per le due pareti esterne ininterrottamente da ore. Voi vi chiederete perché non abbia preso la via della biblioteca. Eh, magari.

 I suddetti operai infatti hanno nell'ordine: incidentalmente fatto due buchi nel muro e tranciato un filo della corrente, motivo per il quale hanno poi vagato per casa mia alla ricerca del punto di raccordo per sostituirlo solo che, a causa di precedenti lavori, non lo hanno trovato.

 Quindi io niet libertà e domani mattina speriamo risolvano il tutto.

 Mi sono permessa questo sfogo sia perché letteralmente mi sanguinano le orecchie sia perché non so se le piccole recensioni tra amici possano averne risentito.

 Speriamo di no!


 ULTIMA NOTTE AD ALESSANDRIA di Andrè Aciman ed. Guanda:

 In astinenza da "Chiamami col tuo nome", ho cercato nella bibliografia di Aciman un altro libro che potesse essere di mio gusto, ma, onestamente, non l'ho trovato.

 L'unico che aveva destato il mio interesse era "Ultima notte ad Alessandria" nel quale Aciman ripercorreva la storia della sua famiglia fino alla cacciata degli ebrei da Alessandria d'Egitto voluta dal presidente Nasser.

 La storia parte in un modo abbastanza confuso, ma in verità, andando avanti con la lettura non se ne può fare una totale colpa al povero Aciman che, effettivamente, ha delle origini abbastanza variegate perse in tutto il mediterraneo tra Italia, Turchia, Grecia, Spagna e infine Egitto.

 Ebrei poco praticanti, (una novità devo dire nel panorama degli scrittori ebrei dove l'identità viene, solitamente, prima di qualsiasi altra cosa) si trasferirono dalla Turchia (dove vivevano rivendicando però chiare origini italiane che nulla aveva a che fare coi disprezzati arabi) ad Alessandria d'Egitto in cerca di fortuna.

 E i suoi brillanti e un po' malandrini zii la trovano.

 Diventano spie inglesi, fondano fabbriche di tessuti, sposano donne dal carattere a dir poco forte, progettano trasferimenti in Giappone per vendere auto italiane e studiano quante più lingue possibile (tranne l'arabo) che insomma non si sa mai.
 Aciman racconta questa storia, ma ne racconta anche altre due, quella della sua famiglia ristretta, lui, suo padre e sua madre, nata sorda (curiosamente come la madre di Camus) e quella di una città che fu non è più stata: Alessandria d'Egitto.

 Non conoscevo quasi nulla dell'Egitto prima di Nasser.

Ora peraltro ho una voglia pazza di dolcetti arabi
 Avevo letto la biografia romanzata di Umm Khultum ("Ti ho amata per la tua voce" ed. E/O se siete interessati), cantante e icona nazionale egiziana, e la graphic nove, "Leda" ed. Coconino in cui Leda Rafanelli partiva a cercar fortuna in un'Alessandria d'Egitto conturbante.

 Ma a pensar bene questa Alessandria sbucava fuori spesso qui e lì nelle mie letture: Kavafis, Corto Maltese, un'Anna  Magnani che non si è mai capito se fosse nata lì o a Roma, un Ungaretti che invece, di sicuro ci nacque.

 Eppure non me ne ero mai, colpevolmente, interessata.

 Invece, leggendo il libro di Aciman ho scoperto un mondo perduto fatto della quintessenza stessa del mediterraneo: musulmani, ebrei, cristiani e ortodossi, spagnoli, turchi, francesi, inglesi, italiani, arabi, tutti insieme, pacificamente, senza estremismi e senza neanche particolari rivendicazioni identitarie.

Sono bellissimi i pomeriggi e le serate descritte da Aciman: cieli che si riempiono di quaglie stremate dalla migrazione che cadono nei cortili pronte per essere arrostite da chi le trova, tè alla menta e frittelle che grondano miele, gelati al mango, tramonti meravigliosi sul mare, le nonne che litigano al mercato del pesce, i cinema sempre pieni e le domeniche piene di cinema dalla mattina alla sera.
Da "Leda" di Colaone, Satta, De Santis ed. Fandango

 Ci sono i sarti, gli avventurieri italiani, i balconi dove giocare a carte, i marinai greci e una lingua comune fatta di ogni lingua che tutti parlano e tutti capiscono perché nessuno si arrocca su nessuna convinzione e nessuna sopraffazione dell'altro.

 Poi arriva Nasser ed è la fine di un mondo.

 Così Alessandria diventa una vittima necessaria della fine del colonialismo, il vento del nazionalismo soffia e molti europei e tutti gli ebrei vengono dichiarati persone non gradite, i loro beni confiscati ed infine espulsi dal paese.

 Aciman riesce a rendere il senso della fine di un'epoca, ma al contempo sa lasciare spazio all'avventura: se non chiudi il tuo cuore in un solo posto, puoi seminarne i pezzi in ogni dove e sentirti, ovunque, sempre un po' a casa tua.
 Se anche voi siete in astinenza da "Chiamami col tuo nome" è il libro giusto.


DRINKING AT THE MOVIES di Julia Wertz ed. Eris:

 E' da un po' che mi trascino la recensione di questa graphic che mi sono fatta regalare da mia sorella a Natale, una graphic che ha per me una particolarità fondamentale: se mai dovessi riuscire a scriverne una vorrei che venisse fuori così.
 Julia Wertz (che vi consiglio di non googlare perché il suo vero aspetto stride completamente col suo fumettoso aspetto e con tutto quello che le succede) è una giovane fumettista di san Francisco. 

 Precisamente è una di quelle fumettiste indie, che scrive cose indie, fa una vita indie, ma, al contrario di molti indie, non ha davvero un soldo né personalmente né di famiglia.

 La storia prende le mosse dal fatidico momento tra i 25 e i 30 anni in cui quella che credevi fosse la tua vita discretamente avviata, di colpo, crolla, e crolla tutta insieme.

 Julia perde il lavoro da cameriera in una caffetteria causa chiusura, il suo fidanzato la molla di punto in bianco, suo fratello, cronicamente tossico, sparisce e infine i suoi fumettosi lavori, benché apprezzati, non decollano.

 Decide che, nonostante San Francisco le piaccia e tutto sommato abbia lì famiglia e amici, sia venuto il momento di dare una svolta alla sua vita e decide di punto in bianco di trasferirsi a New York.

 E lì viene il bello, ossia il brutto, perché bisogna dirla la verità, non è sempre vero che trasferirsi sia facile.
 Non è vero che basta trasferirsi in una nuova città per trovare subito lavoro e amici, una bella casa, per sentirsi a casa e capire che quello che hai trovato è comunque apprezzabile come quello che hai lasciato.

 Spesso bisogna stringere i denti per non assecondare la bruciante voglia di mandare tutto all'aria e tornare indietro. 

Sembra sempre così facile e condivisibile del resto: perché devo soffrire in un posto che non sento mio e sentirmi così sradicata, lontano dai miei amici e dalla mia famiglia? Basta prendere un treno o un aereo e rinunciare a tutto, capitolare, e tutto tornerà a posto.

 Eppure, sappiamo bene che spesso, se non molliamo è perché tornare indietro non è così semplice e neanche così conveniente. Se siamo andati via un motivo c'era e continuerà a tormentarci rendendo impossibili le nostre di nuovo troppo semplici giornate.

 Julia ci mette un anno a sentirsi a casa.

 Un anno in cui beve troppo, cambia casa mille volte, fa millemila lavori diversi, alcuni pessimi e sottopagati, altri meno pessimi e meno sottopagati, scopre il clima di New York (a quanto sembra a San Francisco è sempre un meraviglioso settembre, mentre NY ha un clima simile a Milano con inverni molto più freddi), viene trattata male, licenziata e bistrattata.

  I suoi lavori non vendono abbastanza, la sua concentrazione è pessima a causa del troppo bere, l'apatia sempre in agguato.

 E' una sensazione di frustrazione che ho provato anche io, continuamente, incessantemente, per i due terribili anni in cui ho abitato a Bergamo e anche per i primi due in cui ho abitato a Milano.
 Quattro anni che mi sono sembrati infiniti, senza amici, quasi sempre chiusa in casa, sempre più abbattuta. Ma sono stati anche i quattro anni in cui, per disperazione ho aperto questo blog grazie al quale mi sono successe poi tante cose magnifiche.

 Ed è la stessa cosa che ci racconta la graphic novel autobiografica della Wertz: stringere i denti non è mai vano, affannarsi non è mai vano, cercare un senso in giornate sempre uguali e spesso sempre peggiori non è mai vano.
  Vano è arrendersi o pensare che non finiscano o che non si possa cavarne qualcosa di buono.

 Lo so, sembra una frase da film americano, ma è davvero così e vorrei ci fossero parole meno retoriche per dirlo.
 E in verità penso che sia questo che la Wertz è riuscita a fare: raccontare in modo poco retorico un momento che pur non avendo ragione di essere terribile si è rivelato comunque difficile e allo stesso tempo necessario.

2 commenti:

  1. Naturalmente quando hai scritto di non googlare Julia Wertz, è la prima cosa che poi ho fatto :) Sembra un po' Amy Adams. Comunque artista molto interessante.

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    1. Se mai leggerai la sua graphic capirai perché il suo aspetto stride completamente con la sua immagine fumettosa

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