domenica 1 luglio 2018

Basta un po' d'impegno e il romanzo va su. L'occasione sprecata di "Orrore" di Pietro Grossi tra illustri predecessori, aspettative tradite, vita nei boschi e la trama che certe volte serve eccome.

 Come in tutti i posti di provincia, circondati da una certa boschività, anche nel mio paese si rincorrevano leggende sulla presunta presenza di sette e riti satanici.

Le rovine di Canale Monterano appaiono anche ne "Il marchese
del Grillo" che, forse non tutti sanno che era duca di Bracciano
Nulla di mai comprovato , non pensate alle bestie di Satana che stavano mille e passa di km a nord, ma avrò sentito decine di volte terribili storie di gatti che svanivano, case nelle quali i fratelli di Tizio, Caio e Sempronio (mai Tizio, Caio e Sempronio in persona) si erano introdotti furtivamente trovandovi scritte sui muri, gatti immolati e altre amenità.


 Del resto i luoghi suggestivi dove ambientare fantasticherie horror (lo stesso Dario Argento ha abitato per anni in una villa in quel di Cerveteri) non è che manchino: dalla chiesa scoperchiata in cima a una collina in un parco naturale con tanto di albero al centro, ai boschi fitti, passando per le terme abbandonate.

 Probabilmente non esiste paese di provincia, boschivo o meno, che non abbia la sua dose di oscure dicerie: fatti di cronaca del passato, cugini di cugini che asserivano di aver visto fantasmi, case abbandonate, mostri, maniaci e chissà che altro, senza che però ci fosse uno straccio di prova o, almeno, il cugino del cugino in persona a confermartelo.

 Un esperto d'antropologia forse saprebbe dirci esattamente il nome di questo fenomeno che, nonostante i secoli e i cambiamenti, perdura pervicace in vari topoi, tra i quali l'immancabile casa infestata.

 Una buona fetta di chi ha frequentato il liceo è incappata fatalmente nella famosa versione di Plinio il Giovane sulla casa stregata, una sorta di insuperato archetipo copiato a oltranza per i millenni successivi.

 Plinio racconta di come filosofo Atenodoro fosse capitato ad Atene e si fosse insospettito per il prezzo un po' troppo modico di una certa casa. Facendo le dovute ricerche aveva scoperto che essa era infestata dallo smagrito spirito di un vecchio che si trascinava lamentoso in catene.

 Deciso a venire a capo del mistero, affitta la casa e attende che lo spirito si manifesti. Quando accade, si mostra coraggioso e segue il fantasma fino al posto che egli gli indica e sotto il quale, scavando, trova le ossa incatenate dell'uomo.

 Sostanzialmente la trama di infiniti horror.

 All'archetipo della casa stregata ricorre anche Pietro Grossi in "Orrore".

 Un aspirante scrittore, che vive in America assieme alla giovane moglie e al figlioletto di pochi mesi, torna in Italia e rimane affascinato dalla folle storia che il suo migliore amico d'infanzia e la moglie gli raccontano a proposito di una casa.

 Pochi mesi prima, i due avevano scoperto per puro caso una casa disabitata in un bosco, proprio vicino al paesello di campagna dove affittavano una villa per i fine settimana. 

 Dentro quella casa avevano fotografato alcuni strani particolari: il foglio col disegno di un bambino, un bagno perfettamente pulito nella sporcizia generale, circondato da sospette taniche e tutta una serie di elementi fortemente inquietanti tra i quali una maschera di cartapesta.

 L'aspirante scrittore, affascinato dal potenziale della storia (io fossi stata in lui più che una cosa horror avrei paventato qualche losco rifugio per mafiosi latitanti) decide di non ripartire per l'America e di rimanere a indagare. 

 Ci sarebbe da dire una cosa ogni tanto ad alcuni scrittori: se avete una buona idea e una buona scrittura, mettetevi l'anima in pace e prendetevi il tempo necessario per scriverci un romanzo.

 I racconti hanno il loro fascino, ma non è che se una cosa è corta è sempre legittimata a non avere una trama, soprattutto se stiamo parlando di racconti "di genere".
 I migliori racconti horror-sci-fi-fantasy hanno in loro tutto un mondo in miniatura: un'idea fulminante sviluppata bene in cui si sacrifica qualcosa (in genere lo sviluppo del personaggio a discapito del colpo di scena). 

 Un lampeggiante "Che peccato" era apparso nel mio cervello già all'epoca di "Accabadora" della Murgia: una bella intuizione, una storia apparecchiata con personaggi, sviluppi in divenire, dissidi interiori e via discorrendo e pam, appena ingrana muore in una ventina di pagine.

 Tu stai lì e ti chiedi: perché? Per quale arcano motivo è successo?

 Cosa ha impedito alla Murgia di scriverci una bel romanzo stile realismo magico in salsa sarda con annessi e connessi lungo almeno 250 pagine in più? Boh.

 Viene in mente che solo la pigrizia può averla fermata perché un finale così repentino su una storia che stava praticamente nascendo non ha senso alcuno.

 Anche "Orrore" di Pietro Grossi ha lo stesso identico problema.

 I gialli all'italiana sono stati un felicissimo momento della cinematografia italiana, peccato che non si ricordino romanzi all'altezza (forse Scerbanenco si presta).

 Eppure la struttura dei film di Dario Argento, ad esempio, sarebbe perfetta per un libro giallo: è un'indagine nella quale lo stesso investigatore, un perfetto outsider finito in mezzo alla faccenda per puro caso, ad un certo punto rischia di soccombere.

 Il libro di Grossi, sebbene preoccupantemente breve, sembrava poter in qualche modo colmare la lacuna: i presupposti c'erano tutti: l'outsider, la storia strana, forse troppo strana, l'amico di una vita che sembra stranamente sospeso tra la voglia di spingerlo nella casa e il desiderio di farlo scappare, l'ossessione del protagonista per le oscure pieghe del mondo, un paesello che sembra fuori dal tempo,

 Inizia in modo fulminante, finisce in modo inquietante, il problema è che manca tutta la parte al centro.

 La cosa interessante dei gialli all'italiana e, se vogliamo, anche quella più difficile non era tanto l'idea di fondo, quanto l'indagine. 

 I comprimari inquietanti, il passato oscuro che interferisce col presente, quell'elemento, lampante fin dall'inizio che non siamo capaci di vedere (persino Grossi cita questa frase di Argento), false piste, oscuri avvertimenti, un senso di pericolo che precipita protagonista e spettatori/lettori nell'ansia crescente.

 Ecco.

 Grossi questa parte la salta e decide di precipitarci per una cinquantina di pagine (il libro ne conta un centinaio) in una sorta di mistica comunione tra protagonista e il bosco dove cerca di intravedere chiunque possa entrare nella casa.
 La noia.

 L'indagine si arena all'inizio, l'unico altro personaggio è una tizia che serve per sfogare carnali istinti, l'ansia che parte ben congegnata, svanisce nelle soporifere riflessioni di un uomo che ad un certo punto inizia a sentirsi un sasso nel bosco.

 Anche per quello non si comprende bene come il protagonista possa precipitare nel suo abisso interiore.

 Casualmente qualche giorno fa mi è capitato di vedere "Un ragazzo d'oro" di Pupi Avati (il cui capolavoro assoluto per me rimane "La casa dalle finestre che ridono" non le robe melense successive) nel quale il protagonista finiva anch'esso risucchiato da una sua personale ossessione che lo precipitava nella follia.

 In entrambi i casi c'era un evidente forzatura nell'improvvisa instabilità mentale dei protagonisti.

Da "La casa dalle finestre che ridono"
 Cioè, se tu vuoi che uno passi da una vita normale a una nel quale sta fuori come un balcone, devi lavorare seriamente, non basta un'ideuzza buona e qualche para mentale sulle bellezze campestri stile "Into the wild".

 Come si dice a Roma "Volemo er sangue" che alla fine c'è pure, ma talmente veloce, talmente buttato come un sasso in uno stagno che intuisci, qualcosa capisci e rimani ancora più insoddisfatto.

 Ci sono libri che vengono buttati  in caciara perché onestamente lo scrittore non sa bene dove andare a parare, ma stavolta Grossi lo sapeva eccome, ed era anche una buona idea. 
 Allora, perché sprecarla così?

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