Trovo ci sia un certo filo comune nella vita degli autori e personaggi che hanno vissuto la loro infanzia e giovinezza in condizione di particolare isolamento familiare.
Probabilmente ci
saranno svariati studi scientifici in merito, ma non essendo una psicologa, mi
attengo alle prove letterarie.
Le sorelle Mitford, da questo punto di vista, sono molto
interessanti.
In Italia non sono molto conosciute, ma in Inghilterra sono personaggi così impressi nell’immaginario collettivo da essere diventate anche le protagoniste di una serie di romanzi storici by Jessica Fellowes, editi da noi da Neri Pozza.
E
sempre Neri Pozza ha edito in Italia una bellissima, coinvolgente, lunga (eppure
troppo breve) biografia: “Le sorelle Mitford” di Mary S. Lowell, il cui unico
difetto è una certa piaggeria cerimoniosa.
Si trattava di sei sorelle (e un fratello, l’indispensabile maschio senza il quale titolo ed eredità finiscono al primo parente maschio, pure se di vertordicesimo grado come si vede bene in “Downton Abbey”), figlie del David Freeman-Mitford, barone Redesdale e di sua moglie Sidney.
A parte il figlio
maschio, che ebbe un cursus honorum di studi abbastanza normale, (prima di
morire in guerra nonostante vaghe simpatie naziste), le sei sorelle furono
cresciute in casa, con rapporti abbastanza limitati con l’esterno e la
convinzione della madre che il corpo fosse in grado di guarire da solo (quindi
anche con pochi medici in giro e solo in casi estremi, tipo l’appendicite).
Se sia stata questa
infanzia tutto sommato molto tranquilla, ma anche molto isolata, a scatenare
l’immaginazione di queste sei ragazze molto intelligenti, è un dubbio che sorge
spontaneo in relazione, soprattutto ad alcune di loro.
La maggiore, Nancy Miford, era la classica ragazza brillante e arguta che, una volta debuttato in società ci sguazzò dentro con insolito fervore. Si innamorò delle persone sbagliate (per orientamento sessuale o per poca corresponsione), sposò un uomo abbastanza sbagliato perché si stava avvicinando ai trenta e troppi treni erano già passati invano, e scrisse alcuni famosi libri, piuttosto arguti, sul dorato mondo della nobiltà inglese.
Il più famoso rimane “L’amore in un clima freddo” che racconta le vicende di Fanny che assiste al disfacimento della ricca famiglia Montdore. Lady e Lord Montdore, dopo molti anni di matrimonio, riescono ad avere una sola adorata figlia, Polly, e la crescono viziatissima tra gli agi riponendo in lei grandi speranze (matrimoniali). Tuttavia, pur essendo molto bella, la ragazza risulterà poco attraente ai suoi coetanei gettando sua madre nella disperazione: se non si sposerà, a cosa sarà servito tutto ciò che hanno fatto per lei?
Le cose precipitano
quando Polly, con un abile colpo di scena, decide di sposare un suo zio
acquisito, da poco vedovo e abbastanza attempato. I suoi genitori la diseredano
e sono costretti a cercare il primo parente maschio disponibile per addossargli
tutta la loro fortuna, ma anche le loro morbose attenzioni.
Il libro sembra, da un certo punto di vista, rispecchiare pienamente quanto si racconta di Nancy Mitford: è brillante, arguto, spiritoso, sa cogliere le evidenti contraddizioni e follie di un sistema che si basa su matrimoni e figli, figli e matrimoni.
Tuttavia a me non è piaciuto particolarmente: mi sembra manchi la giusta profondità che dia un senso al tutto.
Ha le vesti di una sorta di satira che
però non affonda davvero il coltello nella piaga. Del resto Nancy nel belmondo
rimase tutta la vita, rimanendo fedele in qualche modo alla sé stessa che era
stata da giovane, nel bene, ma anche nel male.
L’ho trovato freddo,
proprio come il titolo e il finale è, a mio parere, abbastanza agghiacciante.
Non fu però l’unica
sorella scrittrice. Altre si tentarono e quella che lo fece con maggior
successo fu Jessica, detta Decca, la sorella comunista, autrice di
un’autobiografia (a cui purtroppo ha dedicato un solo volume che si interrompe
troppo presto), “Figlie e ribelli”, in cui racconta la sua infanzia e la sua
prima giovinezza.
E’ da lei che la Lowell pesca a piene mani per raccontare il tedio dell’isolamento al quale le sorelle erano costrette, ingegnandosi con continui giochi tra di loro. Jessica cercò di convincere la madre a mandarla a scuola, ma ci riuscì solo per brevissimo tempo e venne ritirata quasi subito, dopo un innocuo gioco tra bambini.
Passò quasi tutto il suo tempo a desiderare il mondo esterno, tanto che, ragazzina, aprì in banca il conto “Fuga da casa”, sul quale riversò i soldi di varie paghette e regali per anni. Giovanissima, si appassionò al socialismo e venne a sapere che un altro suo lontano parente, il giovane Edmond Romilly, nipote di Churchill, era un fervente comunista. Riuscì a incontrarlo, fortunosamente, solo anni dopo, quando, dopo aver debuttato in società, si ritrovarono allo stesso tavolo.
Bastò una cena e
pochi mesi dopo, con uno stratagemma, riuscirono a raggiungere la guerra civile
spagnola. Fu addirittura mandato un cacciatorpediniere a recuperarla, ma non ci
fu modo di dissuaderla. Tutto ciò che ottennero fu che si trasferissero a
Parigi, dove si sposarono e vissero per qualche tempo in condizioni di relativa
povertà.
La sua è una vita
avventurosissima. Dopo poco decisero di raggiungere gli Stati Uniti, dove
svolsero i lavori più disparati, sempre in un crescendo di incoscienza
giovanile, fedeltà agli ideali e genuina voglia di divertirsi e prendersi
DAVVERO gioco del sistema.
Se Romilly morì
giovane in guerra, lei ebbe ancora molti e molti anni che passò tra battaglie
per i diritti civili, figli, matrimoni, inchieste sul lucro nel sistema funerario
americano (libro che la rese famosissima e che mi piacerebbe leggere), comunismo e molto altro. Il suo libro è un vero gioiello (purtroppo,
come dicevo, si interrompe troppo presto).
Mettendo a confronto
i due libri, a mio parere, è lampante la differenza di intenti e personalità
tra le due sorelle.
Delle altre, due
furono un po’ meno straordinarie:
Pamela si dedicò alla campagna, si sposò, divorziò ed ebbe
una lunga relazione con una donna, la cavallerizza italiana Giuditta Tommasi
(che è stranamente omessa nella biografia, dove, a quanto sembra, va bene
parlare di nazismo, ma non di lesbismo, che insomma sappiamo sempre che è
meglio fingere che le lesbiche non esistano).
La più giovane, Deborah, divenne duchessa dopo che suo
marito, a seguito della morte del fratello maggiore in guerra, ereditò titolo e
magione alla Downton Abbey.
Ultime, ma non certo
per importanza, vengono Diana e soprattutto Unity, le sorelle naziste.
Diana era ritenuta,
per l’epoca, di straordinaria bellezza e fece, giovanissima, un ottimo
matrimonio con l’erede Guinness, a cui diede due figli. Pochi anni dopo però,
si innamorò di Oswald Mosley, un politico britannico che, parabolò da idee
conservatrici a idee fasciste, fondando quello che fu il partito fascista
britannico.
La sua storia è molto
interessante per comprendere la fascinazione che parte della nobiltà inglese
ebbe, tutto sommato, nei confronti del nazifascismo. Non solo Edoardo VII, il
re che aveva abdicato (e forse pensava di tornare sul trono grazie a Hitler),
ma se ne parla anche in “Quel che resta del giorno”, in cui il duca mostra
simpatie naziste davanti alle quali lo sconcertato e fedele maggiordomo non sa come comportarsi.
Prima dell’eroica
resistenza inglese agli attacchi nazisti, ci fu anche la tentazione di
un’alleanza o di una non belligeranza coi tedeschi, e la storia di Diana e di
quello che divenne il suo secondo marito è davvero interessante in questo
senso.
Ma ancor più
interessante è la figura di Unity, il vero personaggio da tragedia greca (o
farsa suprema) della schiera di sorelle. I genitori, che la concepirono
inquietantemente a Swastika, le appiopparono anche un nome improbabile, Unity
Valkirye, che non promise bene sul resto della sua esistenza.
Unity Mitford |
Da ragazza sembra fosse brillante, spiritosa e originale, e scoprì. grazie a Diana e al marito le idee fasciste della quale divenne fervente sostenitrice. Convinse i suoi a inviarla, per il suo anno all’estero, non a Parigi come tutte le altre sorelle, ma a Berlino e lì, non appena ebbe imparato il tedesco, iniziò una minuziosa opera di avvicinamento a Hitler.
Pedinandolo in uno dei suoi ristoranti favoriti, riuscì a farsi rivolgere la parola e col tempo entrò nella sua cerchia più ristretta. Il loro rapporto divenne così intimo che non solo Eva Braun fu gelosissima di lei, ma girarono voci che avesse avuto un figlio segreto da Hitler o che lui volesse sposarla.
Il suo sogno era un’alleanza tra Inghilterra e
Germania e lavorò alacremente anni per questo. Quando però divenne evidente che
ci sarebbe stata una dichiarazione di guerra, sospesa tra la fedeltà alla
patria e quella verso Hitler, si sparò alla testa.
Incredibilmente
sopravvisse e venne rimpatriata con l’aiuto del dittatore che teneva moltissimo
a lei. Non fu, ovviamente, più la stessa, e morì una decina di anni dopo per
complicanze dovute alla ferita.
Diana Mitford |
Quando anni dopo Decca scriverà la sua autobiografia, non riuscirà, nonostante le distanze siderali tra di loro, ad averne un ricordo o un giudizio negativo. Anche questo è notevole nel suo libro: la mancanza di tesi e lo spazio a quell’ambiguità dei sentimenti che ti consentono di voler bene a qualcuno che non vedi da decenni e che ha commesso le azioni peggiori. I fratelli e le sorelle sono anche questo.
Leggere “Le sorelle
Mitford” è una grandissima avventura, trepidante, piena di colpi di scena, di
azioni incredibili e avventurose, di guerre e prigioni, ideologie e prese di
posizione. Furono tutte, indubbiamente, delle donne non solo brillanti, ma
anche abbastanza coraggiose da gettarsi nella vita.
Da un certo punto di vista fanno tenerezza i genitori.
Come
molti genitori di persone particolarmente intelligenti e spericolate, sono
invece pacatissimi e ordinari (pur con qualche fondamentale stranezza che ha
comunque impostato il corso degli eventi) e non si capacitano dei continui
colpi di testa della loro prole.
La mela, si dice, non
cade lontano dall’albero, ma certe l’albero sottovaluta la sua natura.
Ho letto con molto gusto "Le sorelle Mitford" quando mi sono fatta prendere dalla passione dell'universo "Dontown Abbey" (quando un argomento mi interessa leggo se possibile anche "il circondario"), ma mi manca il libro della sorella socialista,lo recupero ora.
RispondiEliminaNel frattempo ho scoperto Maugham con "Storie ciniche" e come al solito ne sto facendo un'abbuffata: fantasticamente cattivo, disincantato e appunto cinico nei suoi pettegolezzi dell'alta società inglese nell'inizio secolo
Ciao
Betty
Il libro della sorella socialista è davvero bello! Mi chiedo perché non abbia continuato. Ha avuto una vita interessantissima e secondo me, se si leggono in contemporanea il suo e quello di Nancy, si ha proprio chiarissima la frattura tra due mondi: uno stantio e ormai decadente nonostante la ricchezza, e uno nuovo completamente proiettato nel futuro. Fa porre anche delle domande sulla società britannica attuale, che, da molti punti di vista, (non tanto i reali, quanto i lord con annessi e connessi), sembra davvero appartenere a un'altra epoca ed è stranissimo non sia collassata.
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