L'ultimo "piccole recensioni tra amici" che ho postato era, casualmente su tre novità.
Federico Baccomo |
Una di queste era un delizioso piccolo libro raccontato da un cane in modo canino: "Woody" di Federico Baccomo aka Duchesne.
Ho sempre avuto un'istintiva simpatia per questo autore, in primis perché aveva avuto la voglia e il coraggio di svelare l'ipocrisia di un mondo per cui non provo molta simpatia (l'ambiente degli avvocati), in secundis perché anche lui, come me e ben prima di me, scriveva sotto uno pseudonimo per raccontare più liberamente un mondo altrimenti celato.
In Italia non c'è una grande tradizione di racconto dell'ambiente di lavoro, forse non c'è tradizione, forse c'è un po' di (in parte giustificabile) timore, forse poca immaginazione.
In ogni caso gli ambienti di lavoro vengono ritratti in modo spesso superficiale, (a meno che non si sia poliziotti o investigatori privati, lì si può scavare nell'animo umano a iosa pare), la maggior parte delle storie raccontate nei romanzi avviene fuori dall'orario lavorativo.Una mancanza un filino sospetta visto che passiamo molto più tempo coi nostri colleghi che con i nostri cari. I libri di Baccomo rimangono una testimonianza che "Si può fare"! Narrare le follie di un ambiente di lavoro può essere possibile, Fantozzi meriterebbe degli eredi, nonostante le inquietanti derive prese attualmente dal sistema.
Detto questo, di seguito potrete trovare l'intervista che Baccomo mi ha gentilmente concesso e di cui lo ringrazio molto.
Ma bando alle ciance! Buona lettura!
La
prima passione è stata Topolino, ci son storie di cui ricordo ancora
i veri e propri sconvolgimenti che mi procurarono: dalla saga di
“Storia e gloria della dinastia dei Paperi” a “Qui Quo Qua e il
tempo delle mele”, e in mezzo le avventure di Carl Barks.
Ci
sono dei libri che leghi in particolar modo a Natale?
Più
che i libri, è il gesto della lettura che lego molto al periodo
delle feste, soprattutto da ragazzino, quando andavo in vacanza in
case senza televisione.
Quali
libri regalerai (se lo farai) questo Natale?
Devo
ammettere di non regalare molti libri, ho la sensazione di consegnare
un piccolo obbligo. Per cui, più che scegliere con cura il libro,
scelgo con cura i destinatari. E la maggior parte dei libri finisco
per regalarli a me, per questo Natale: tanta fantascienza e narrativa
di genere.
"Woody" è un piccolo libro che affronta una questione molto grande, quello
della violenza domestica. Perché hai scelto proprio questo tema?
In
realtà, in questo libro la sola scelta è stata quella degli occhi
del protagonista: un cane.
Volevo raccontare una storia guardandola
dal basso, in uno stato di perenne stupefazione e purezza. Tutto
quello che è venuto scrivendo, soprattutto l’episodio drammatico
al centro della storia, è venuto fuori senza meditazione,
semplicemente inseguendo quegli occhi fino agli angoli in cui
andavano a guardare,
Pensi,
da scrittore e da uomo, che gli uomini potrebbero e dovrebbero fare
di più per sconfiggere il problema della violenza di genere?
Agli
uomini è data la responsabilità più grande, quella di sconfiggere
un modo di pensare che si trascina da millenni, una cultura che trova
nella prevaricazione, soprattutto fisica, un nucleo tanto
teoricamente inaccettabile quanto in pratica gradito.
Ci
sono altri cani e gatti narratori nella storia della letteratura.
Alcuni, come il gatto di Natsume Soseki sono profondi e arguti. Woody invece ragiona proprio come ci si aspetta ragioni un
cane. Perché questa scelta? E come hai lavorato per riprodurre tanto
fedelmente i pensieri canini?
Pur
sapendo che la mia sarebbe stata una finzione, cercavo di ottenere
una finzione vera, credibile. Se davvero avevo intenzione di affidare
la mia penna a un cane, dovevo regalargli la massima fiducia.
Sovrapporre la mia voce alla sua sarebbe stato un tradimento, al
protagonista e alla sua storia. Così è nata da un lato l’idea di
cercare di ragionare proprio come farebbe un cane, con un pensiero
fatto di istinti poco meditati, di affetto puro, di astuzie
primordiali, di paure incontrollabili; dall’altro, l’idea di
adoperare una voce coerente, primitiva, essenziale. La sfida più
grande – ho scoperto scrivendo – non è stata quella di
sviluppare queste intenzioni, ma quella di tenere a bada la mia voce
interna che ogni tanto mi diceva: “Usa questo aggettivo, fai vedere
che sai scrivere”.
Cosa
stai leggendo in questo momento?
Una
splendida raccolta di novelle, La torre d’ebano, di John Fowles.
"It",
di Stephen King, tutto il potere della giovinezza, del mistero e
della scrittura.
Molti
dicono che i ragazzi leggano poco. Hai suggerimenti per invitarli
alla lettura?
È
difficile trovare qualcosa di efficace.
Nessuno si sognerebbe mai di
avviare una campagna di sensibilizzazione per il consumo di
cioccolato o i tuffi nel mare in estate. Se non dovesse piacerti
l’uno o l’altro, ci sembrerebbe impossibile, ce ne dispiaceremmo
ma finiremmo per dire: peggio per te. Ogni tanto mi viene da pensare
sia lo stesso per la lettura.
Progetti
prossimi venturi?
Ci
son nuove storie, la speranza è di dar loro la miglior veste.
Ben
due tuoi libri sono diventati film. Com'è vedere il proprio libro
trasformarsi in altro?
Una
strana forma di perversione: probabilmente è il solo tradimento che
ci si augura di subire spesso.
Nei
tuoi libri precedenti tu fai un feroce ritratto della borghesia e
della società delle apparenze, della gente che sta bene. E' un tema
che, a mio parere, viene poco affrontato e spesso male nella
narrativa italiana contemporanea, nonostante sia un punto focale del
nostro malessere sociale. Perché avviene secondo te?
Confesso
di non avere molti titoli per parlare della narrativa italiana
contemporanea. Devo dire che mi sembra molto viva, articolata, ma è
vero che a volte ho l’impressione che si rivolga a storie più
individuali che non a ritratti sociali più ampi.
Ogni tanto mi do
una spiegazione che non so quanto sia sensata: forse una certa
difficoltà a usare il registro ironico (o persino comico), il più
utile a illuminare le storture sociali, fa sì che un certo tipo di
letteratura fatichi ad affermarsi.
Era
lo pseudonimo con cui ho pubblicato per la prima volta i miei
racconti in rete, nel blog “Studio Illegale”, per un po’ me lo
sono portato addosso, un po’ coperta di Linus, un po’ schermo
dietro cui nascondere i pudori.
L'ambiente
lavorativo è adeguatamente delirante, anche se purtroppo, anche in
questo caso, pochi romanzi ne parlano. Pensi anche tu che ultimamente
alla fantozziana frustrazione italica si sia aggiunta l'inquietante
componente del sistema da guru all'americana?
Son
tempi difficili da interpretare, il lavoro si è preso buona parte
del tempo e dei pensieri quotidiani, ma questo va di pari passo con
quella famosa precarietà che ormai, da problema, sembra diventata un
cliché. Qualcosa non funziona, l’han capito tutti, eppure ci si
trascina, incapaci di capire dove trovare una soluzione.
Certe
volte non hai la sensazione che lavorare bene, in certi ambienti
almeno, sia ormai diventato secondario rispetto alla capacità di
apparire social, spigliato e ovviamente, il famoso, leader?
Diciamo
che a volte essere in gamba non è il primo dei requisiti, ma secondo
me anche tra i preistorici c’era qualcuno bravo a ritrarre i mammut
che ha dovuto lasciare la pietra a qualcuno più bravo a vendersi
come incisore.
Sperando vi sia piaciuta, ringrazio ancora l'autore e date un'occhiata a Woody, specialmente se siete amanti del mondo canino! :)
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