Non ho mai avuto un buonissimo rapporto coi manuali di scrittura.
Penso in realtà che chiunque aspiri a diventare uno scrittore (mestiere equivoco in tutti i sensi), non si fidi mai completamente di quello che gli consigliano gli altri, per quanto grandi scrittori.
Il motivo è presto detto, se da una parte possono esserci assiomi universali: lavora sodo, non scoraggiarti, impara qualcosa dai rifiuti che ricevi e continua a tentare, da un'altra è pur vero che ognuno ha un suo metodo di lavoro che deriva dall'esperienza e, spesso, da alcune esperienze di vita.
Personalmente ho sempre ritenuto una leggenda metropolitana per faciloni il fatto che starlette della tv, conduttori, attori o chi per loro siano in grado di scrivere un libro. Nessuno li ritiene scemi, ma se avete mai provato a scrivere, sapete che anche produrre un libro che appare semplicissimo, con una trama imbarazzante, ritiene un lavoro di costanza che è difficile apprendere improvvisamente.
Se c'è una cosa che i manuali di scrittura opera dei grandi scrittori insegnano, è che come diceva Capote, "Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta, e questa frusta è intesa unicamente per l'autoflagellazione". Ossia, senza un grandissimo lavoro, costante, senza sconti e giustificazioni, che inizia prestissimo, andare da qualsiasi parte, anche un vicolo cieco, è impossibile. Anche Shakespeare avrà avuto il suo da fare.
Come ce lo ha avuto Stephen King che lo ha descritto benissimo in un suo libro finalmente riedito dopo tanti anni fuori commercio: "On writing. Auotbiografia di un mestiere", che Frassinelli ha rieditato recentemente.
Non ho mai parlato di Stephen King nel blog perché pur avendo letto vari libri non ne ho mai subito, come lettrice, una grande fascinazione. Ovviamente sa scrivere molto bene, le sue trame, come lui stesso ammette partono da idee semplici, ma di enorme impatto nell'immaginario, e la cosa interessante è che pur spaziando più o meno nello stesso genere, l'horror (con punte di fantasy e fantascienza), riesce a trovare spunti assai diversi tra loro.
Detto ciò, preferisco trame che hanno idee più complesse e magari di meno immediato impatto, ma è un mio gusto personale.
Non mi aspettavo perciò che questo saggio sul mestiere di scrivere mi colpisse così tanto. Invece è superlativo perché riesce a centrare tutti i punti scoperti di chi desidera diventare scrittore.
La prima parte è costituita da una sorta di zibaldone autobiografico che fotografa diversi momenti della sua vita, dalla primissima infanzia fino all'età adulta. Malgrado seguano un percorso cronologico ben definito e pur non descrivendo tutti episodi inerenti strettamente alla scrittura, sono quelli che King ha scelto per parlare di ciò che lo ha reso un autore. Non si parla solo del primo racconto inviato e rifiutato, del primo soldo pagato da sua mamma come giusto compenso come un raccontino che, da piccolissimo, aveva scritto. Non ricorda solo le avventure tipografiche folli del suo intelligentissimo fratello maggiore o come, tra mille generi, abbia inconsapevolmente deciso di dedicarsi all'horror. Nel suo racconto complessivo si parla di come un essere umano si renda conto che tutto, nella sua vita, possa ricondurre ad un unico equivocabile destino, una sorta di vocazione che, senza misticismo o vanteria, non si può non riconoscere.
Stephen King giovane (ebbene sì) |
Dietro al suo primo lavoro riconosciuto, "Carrie", ci sono anni passati a scrivere su tavoli di lavoro tra un turno di lavoro in fabbrica e le lezioni scolastiche la mattina, c'è l'ansia di non sapere come campare una famiglia costruita giovanissimo e che non si riesce a sostenere con un lavoro prima da operaio, poi da insegnante. Ci sono i ricordi di quando bambino, figlio di una donna abbandonata dal marito (da quel che si capisce mai più rivisto), con due bimbi piccoli, costretta a vagare per gli Stati Uniti alla ricerca di un lavoro più umile dell'altro (ma King ha solo parole buone per questa madre che continua a definire spassosa e divertente), ha vissuto in una serie di case assurde, in campagne che ritornano nei suoi libri, in province addormentate e spaventose.
Ci sono il primo dolore fisico, l'esperienza della droga, dell'alcolismo, la prima tristissima sbronza, presagio di un problema che sarebbe diventato enorme, un ritratto meraviglioso di sua moglie Tabitha, il dovere e la necessità di scrivere ovunque, qualsiasi giorno dell'anno sia, perché King riconosce questa principale grande fatica nello scrivere: la costanza.
Le storie, lasciate a loro stesse per troppi giorni, perdono smalto e gli autori stentano a riconoscerle e non riescono a vincere la stanchezza tipica di chi preferirebbe fare altro piuttosto che starsene incollato per ore ad una scrivania.
Quello del tempo è un grande cruccio sia di scrive che di chi legge.
Entrambe le categorie, scrittori e lettori sono accomunati, seppur in modo diverso, dalla necessità di ritagliarsi a tutti i costi il tempo per dedicarsi ai libri (i loro e quelli degli altri). In una vita che è composta da tante altre cose fondamentali, lavoro, famiglia, impegni e incombenze inderogabili di vario genere, riuscire a trovare il tempo per qualcosa che non è strettamente legato alla sopravvivenza può diventare oltre che difficile, un ulteriore carico di lavoro.
Perché, dopo una giornata passata a lavoro, si dovrebbe trovare il tempo, dopo cena, di scrivere o di leggere? Non sarebbe meglio rilassarsi e guardare la tv? Non sarebbe meglio, in pausa pranzo, ciarlare coi colleghi invece di cercare di scrivere un paragrafo? Addormentarsi sulla metro o il treno di ritorno invece di continuare almeno un poco a scrivere o a leggere?
Come moltissime persone, l'altra mattina ho preso la metro, dovevo starci un quarto d'ora, avevo il libro con me, ma avevo sonno e non l'ho tirato fuori. Distrattamente ho iniziato a guardare il cellulare. Poi ho alzato gli occhi e ho visto praticamente tutto il vagone intento a fare la stessa cosa e non solo mi è presa tristezza, ma ho capito che stavo buttando il mio tempo. Per aver scritto questa cosa si è scatenato il pandemonio: come mi permettevo di ritenere chi legge libri superiori agli altri? Come sapevo che gli altri non stavano leggendo sullo schermo? Tanta gente non legge perché ha bisogno di farlo in condizioni di rilassatezza e non coi minuti contati.
In questi giorni, sulla pagina di fb, ho scritto una frase semplicissima.
Premettendo che sì, ritengo i lettori forti mediamente più acculturati degli altri (e non vedo lo scandalo), non prendiamoci in giro: il 90% dei cellulari degli altri su cui mi cade l'occhio sono su fb, tetris con la frutta, video (porno e non) ecc ecc, altro che libri. Non avrei neanche bisogno del dato empirico: in Italia i lettori sono pochissimi, quelli di e-book ancor meno e sì, penso che siano una concausa del nostro tracollo civile. Alcuni, poi, mi hanno scritto che leggere è un hobby.
Ecco, io penso che questo libro di Stephen King esprima benissimo quello che penso io: leggere NON è un hobby, scrivere NON è un hobby. Leggere e scrivere, per chi è realmente appassionato è altro. Non voglio dire facilonerie come "è la vita" o "è tutto", io direi semplicemente che è ineluttabile.
E davanti a questa ineluttabilità si sacrificano tante cose, si scrive sui tavoli da lavoro nelle pause e si impara a leggere correndo da un bus all'altro. Si litiga coi familiari che non capiscono perché dopo ore che non vi vedete vi attaccate ad un pc, si rinuncia ad ore di sonno e si passano giornate di frustrazione e di vero e proprio odio verso la scrittura. Si passano pomeriggi di vacanza all'estero chiusi in albergo a scrivere e si va avanti, anche senza riconoscimento, solo perché qualcosa dentro dice che bisogna andare.
E' nell'ultimo capitolo che King descrive cosa significa essere uno scrittore.
Un pomeriggio, durante una tranquilla passeggiata, sul finire degli anni '90, viene investito da un pazzo in macchina, un personaggio degno dei suoi libri. E' un incidente gravissimo, che comporta una convalescenza molto lunga e svariate operazioni alle gambe. King è costretto non tanto a stare a casa molto tempo, quanto a soffrire dolori atroci che gli antidolorifici non soffocano.
Sua moglie gli consiglia velatamente di scrivere, anche se il dolore gli offusca le idee e rende difficile creare frasi di senso compiuto. Tre settimane dopo King è chino sulla scrivania e cerca di terminare lo stesso libro che stiamo leggendo: "On writing".
Lo aveva iniziato tempo prima e mai continuato per frustrazione. Scopre, rileggendolo che non è così male, così ricomincia a scrivere e si accorge che col passare delle ore il dolore non scompare, ma si attenua, che diventa in qualche modo una parte sopportabile all'interno di quella che la sua vita. Perché è questo il grande premio della scrittura (e a mio parere anche della lettura), è talmente potente da continuare a mantenere la rotta nella propria vita, anche quando quella rotta sembra perduta.
Se si è fedeli alla scrittura e alla lettura, esse non possono mai abbandonarci. Se noi siamo costanti nella nostra devozione, anche loro lo saranno nei nostri confronti.
Penso che al di là dei consigli di grammatica e sintassi, che a prescindere dalla meravigliosa parte autobiografica, questo libro meriti tra tutti i materiali di scrittura per questo motivo: non ci dice come scrivere, ci dice perché scrivere. E leggere. Due attività che sono diversissime eppure unite in mondo indissolubile.
E proprio per questo, anche se non è la più bella o la più importante, voglio chiudere questo post con la citazione di cui sotto.
"Mi trascino dietro un libro dovunque vada e approfitto di qualsiasi opportunità per sbirciare tra le sue pagine.
Il trucco sta nell'impratichirsi a leggere a piccoli sorsi e non soltanto a lunghe golate. Le sale d'attesa sono l'ideale, ovviamente, ma anche gli atri dei cinema prima di uno spettacolo, le interminabili e noiose code alla cassa del supermercato, e il posto preferito del mondo intero, il cesso. [...]Secondo il galateo leggere a tavola è da maleducati ma, se intendete sfondare, la maleducazione deve essere la penultima della buona società. Tanto i giorni come i suoi membri sono contati, se siete intenzionati a scrivere con schiettezza. Dove altro potreste leggere? C'è sempre il tapis roulant o qualsiasi altro attrezzo adoperiate al centro sportivo dei dintorni per tenervi in forma. Io cerco di esercitarmi un'ora al giorno e credo che impazzirei senza un buon romanzo a farmi compagnia. Molte palestre ormai sono dotate di uno schermo televisivo. Però la tv è l'ultima cosa di cui avete bisogno. Leggere richiede tempo e il capezzolo catodico ve ne ruba fin troppo.
Soltanto dopo lo svezzamento dall'ossessione effimera per la tv si apprezza il piacere della lettura. Mi spingo a suggerirvi che, spegnendo quello scatolone che blatera senza posa, migliorerete la vostra qualità di vita oltre a quella di scrittura. Quante puntate di Frasier o ER ci vogliono per rendere completa l'esistenza di un cittadino americano medio? Quante televendite? Quanti servizi esclusivi da Washington di pasciuti cronisti bianchi della CNN? Oddio tappatemi la bocca. Scusatemi, cari presentatori, predicatori e intrattenitori: ho finito".
Ps. Il libro è del 1997, King ancora non poteva sapere di smartphone, social e internet diffuso, per lui la grande distrazione era ancora la tv. Penso che in luogo di tv si possano tranquillamente aggiungere tutti questi nuovi mezzi di comunicazione.
King è uno dei millemila autori che ho in lista da leggere,convinta che potrebbe proprio piacermi.Hai visto mai che per assurdo comincio proprio da questo! ;)
RispondiEliminaQuesto libro se ne sta buono buono nel mio tablet da un po' di mesi. Adoro King ma questo, non so perché, ancora non mi era venuta la voglia di leggerlo; mi sa che me l'hai appena fatta venire tu, grazie! ^^
RispondiEliminaAfferra quell'e-book e leggilo!! ;)
EliminaQuanto lo desidero!! Al momento però è un po' proibitivo per le mie tasche :(
RispondiElimina"Il trucco sta nell'impratichirsi a leggere a piccoli sorsi e non soltanto a lunghe golate.", ecco il mio prossimo obiettivo.
RispondiEliminaSi può fare. Secondo me se si è stati costretti a studiare in una casa molto rumorosa si è molto avvantaggiati ;)
EliminaDavvero bello questo articolo, ci sono molte riflessioni interessanti :) io non credo che chi legge sia superiore agli altri, perché anche considerando quanto si legge e cosa si legge comunque dipende molto anche quanto e cosa si assimila da un libro e poi si può essere superiori anche senza essere lettori... però è comunque vero che spesso un lettore forte ha una cultura più vasta di altri e comunque leggere offre molte più possibilità di migliorare le proprie conoscenze rispetto a cose come la televisione... una cosa che mi capita a volte di notare è che chi non legge ha spesso un lessico più ristretto e la trovo una cosa molto triste perché ormai l'istruzione è aperta a così tante persone...
RispondiEliminasono d'accordo quando dici che leggere non è un hobby, ma qualcosa di ineluttabile... per fare un esempio una volta sono andata a dormire alle due di notte per leggere e poi mi sono svegliata alle sette, senza mettere la sveglia ma in modo automatico, per continuare a leggere.... perché leggere un libro davvero bello vuol dire anche mettere in secondo piano gli stimoli esterni o del nostro corpo...
per quanto riguarda la distrazione della televisione sono d'accordo... ricordo che quando ero piccola, poco prima di andare alle elementari, mia madre tolse la televisione che stava davanti al tavolo dove si mangiava... in questo modo fare a meno della televisione è molto più semplice perché ha meno momenti per catturare la nostra attenzione... purtroppo troppo spesso mi lascio distrarre dal cellulare oppure mi metto a perdere tempo su internet... mi rendo conto che così perdo parecchio tempo a non fare nulla e ogni volta mi riprometto di migliorare, ma ci vuole forza di volontà e sono una persona molto pigra :)
Sì, concordo anche io che dipende tutto da cosa si legge. E ovviamente non si può fare un discorso assoluto: esistono persone che leggono molto ottuse come pini, e non lettori illuminati. Tuttavia, di certo leggere apre la mente su tante cose e permette di scoprire mondi altrimenti ignoti.
EliminaPer dire, mi sono molto appassionata ad un giallista cinese Qiu Xiaolong e ho scoperto l'assurda società cinese contemporanea, cosa che avrei conosciuto in modo molto fumoso (sospetto anche leggendo un saggio). Non era una lettura "impegnata" eppure ha avuto il modo di aprire una finestra enorme su un mondo. Leggere, molto più di tante altre cose (anche la musica, nobilissima arte per carità, che insegna indubbiamente passione e disciplina) permettere di conoscere. Per quel che riguarda leggere ovunque, non deve diventare l'ossessione, anche io quando esco da lavoro sono stanca e mi metto a guardare fb, però durante il giorno, in coda da qualche parte come dice King, arriva il momento in cui mi chiedo: ma perché caspita non sto leggendo??? Così sfodero il libro che ho sempre dietro. E' un assioma quello che dà King, non un'imposizione, e dal suo libro molto americano, amico, yeah, secondo me si capisce benissimo (molto meglio che dal mio post).
Ovviamente non deve essere un'imposizione :)
EliminaLeggere e per me anche scrivere, ma ok anche solo leggere, è semplicemente un'occasione per essere felici, perché mai buttarla via? Ho scritto un post con un finale motivazionale, se ti va di passare. In ogni caso, ottimo post il tuo, grazie.
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