Nelle ultime settimane tra ritorni a casa, seggio, pride e robe varie che sto organizzando alla fine ho trascurato principalmente le recensioni, quasi che non fosse più un bookblog.
Ricordo a chi si collega ora che il simbolo delle Piccole Recensioni tra amici sono le stellette dell'incantevole Creamy |
In verità nel frattempo ho letto, in quel mio modo bulimico e senza senso che mi contraddistingue e ho anche stilato una piccola lista di libri da consigliarvi per l'estate (che se aspetto un altro po' l'estate è finita).
Nel frattempo cerco di recuperare un po' con un piccole recensioni tra amici.
Ho in coda la recensione dell'ultimo (che poi è il primo) di Murakami (nel frattempo vi suggerisco di comprarlo, merita) e quella di una graphic novel straziante che vedrete di sicuro domani e vi dico già di preparare fazzoletti.
Ma bando alle ciance, ecco a voi un bel triplete!
IL GATTO VENUTO DAL CIELO di Hiraide Takashi ed. Einaudi:
Libro che mi aveva incuriosito sin dalla sua uscita, lo avevo successivamente scansato data la mia poca propensione animalara.
A me quando la gente impazzisce per un gattino puccioso o ancor peggio per un cane coccoloso (almeno i gatti li trovo esteticamente belli, i cani neanche quello) mi parte la follia, praticamente non reggo neanche lo screensaver che mi parte ogni tanto sul cellulare in cui tra prati e palme, appare un cucciolo di cane con gli occhi chiusi.
Priva di questo cheap della tenerezza verso i cuccioli della terra, alla fine, nonostante il mio amore per qualsiasi cosa venga tradotto dal giapponese all'italiano, avevo rinunciato alla lettura.
Fortunatamente esistono ancora le biblioteche e, dovendo fare un lungo viaggio in treno, mi son detta: why not?
La recensione è: MAH
Nel senso: è un grazioso racconto lungo che davvero non mi spiego perché si ritenga degno di essere romanzo. Non ne ha la struttura, non ne ha la volontà, non ne ha l'approfondimento né i personaggi.
Si tratta del frammento di vita di una coppia: uno scrittore (non si comprende se sia autobiografico e quanto) e sua moglie. I due hanno la fortuna di vivere nella depandance di un'enorme proprietà dotata di un grandissimo giardino con un olmo maestoso.
I due amano molto la loro casa, la situazione bucolica in un contesto cittadino e persino la stradina adiacente "il vicolo del fulmine" da cui un giorno sbuca una gattina randagia di cui si appropria il figlioletto dei vicini.
La descrizione del rapporto tra i due e la gattina, ma soprattutto le loro vicissitudini affittuarie (ad un certo punto i due anziani padroni di casa decidono di smembrare la proprietà) rendono molto bene il senso di un momento specifico e precario dell'esistenza.
La vita, da un certo punto di vista, è fatta da periodi ora brevi ora lunghissimi nei quali ci adagiamo in cerca di rassicurazione, certi che se ci sforzeremo di farci piccoli piccoli, nessuno ci noterà e potremo continuare nella nostra placida routine, indisturbati.
Il pregio maggiore di questo libro è la straordinaria esattezza con cui fotografa l'istante in cui invece la vita ci scopre e ci intima di darci una mossa, alzarci e sloggiare verso nuove lande.
In una raccolta di racconti avrebbe potuto essere un piccolo gioiello, proposto da solo, non so, dà una sensazione strana, come di incompletezza e non gli giova. Talvolta la definizione di un'opera non è solo un'etichetta editoriale.
Consigliato a chi ama i racconti, le piccole storie poetiche (ma non stucchevoli) e ovviamente a chi ama i gatti, anche se, in effetti, non è una trama a solo uso e consumo gattaro.
VITA BREVE E FELICE DI UNO SCRITTORE DI FANTASCIENZA di Philip Dick e AAVV ed. Feltrinelli:
In questa annata che sta vedendo la ristampa da parte di Fanucci di molti dei capolavori di Philip Dick (tra cui l'inedita "Esegesi") e "Io sono vivo voi siete morti" da Adelphi (che spero di leggere a brevissimo), avendo letto qualche suo libro, ma essendomi sempre interessata poco alla sua biografia, ho deciso di saperne un po' di più.
In biblioteca ho razzolato una bella e purtroppo fuori commercio raccolta di scritti biografici e autobiografici che Dick e altri scrissero principalmente quando l'autore era ancora in vita.
Ci sono molti punti in comune, principalmente sul modo noncurante di descriversi, con "On wrinting" di Stephen King.
Con la forte differenza che Stephen King sin da bambino dimostra una forza di volontà e una chiarezza di intenti così massiccia da rendergli sostenibile il peso del suo lavoro, del suo talento, del successo e anche delle visioni interiori e dei sogni da cui sono scaturiti i suoi libri.
Prolifico e americano come lui, proveniente da un contesto sociale non propriamente ricchissimo, al contrario di King, Dick raggiunse una serenità economica solo nell'ultimo periodo della sua vita, saltabeccò tra vari matrimoni (ben cinque, mentre anche lì il buon Stephen sta con Tabitha da una vita) e un precario equilibrio psichico sospeso tra alcune diagnosi di schizofrenia e abuso di anfetamine con l'amichevole partecipazione di LSD e mescalina.
Siccome la mescalina è la stessa droga che, assunta una sola volta da Sartre gli donò allucinazioni di crostacei ed aragoste malvagie per mesi, tendo a pensare, dopo aver letto questo piccolo incantevole libro, che le visioni che ossessionarono il buon Dick siano da ricondursi alle succitate sostanze e a un sistema nervoso non proprio a prova di bomba.
Fortunatamente per lui i komplottari non hanno ancora scoperto la sua pagina di wikipedia, altrimenti gli toccherebbe lo stesso triste destino del buon Tesla:vedersi arruolato in un delirio che va da improbabili alleanza massoniche-ebraiche-komuniste-kapitaliste-gay guidate da alieni rettiliani che hanno fondato una colonia terrestre migliaia di anni fa.
O forse, nonostante il forte fascino che potrebbe avere su di loro il celebre 2-3-74 (durante il febbraio-marzo del 1974 Dick fu vittima di una potentissima crisi mistica/allucinatoria che lo condizionò per tutta l'esistenza e che tentò di analizzare per anni nella succitata "Esegesi"), qualche voce della sua esistenza gli è effettivamente arrivata. E preferiscono ignorarlo.
Perché potrebbe distruggere il loro castello di carte immaginarie gettando il velo dell'idiozia: a nessuno piace sentirsi dire che i propri deliri non sono altro che una trama interessante per un libro di fantascienza, che può raggiungere picchi favolosi se capita nelle mani di un genio o profondi abissi di beceraggine se colpisce menti non atte a distinguere con ragionevole successo la fantasia dalla realtà.
PANZEROTTA E CROCCHETTO di Ana Oncina ed. Bao Publishing:
Premessa, se prima di leggere questo fumetto vi premunite di un piatto di crocchette e/o panzerotti (a seconda di cosa preferite) è meglio.
Oh, non è il fumetto della vita e non pretende neanche di esserlo, ma il tratto semplice, le storie che possono condividere tutti i trentenni d'Europa (l'autrice è spagnola, ma vi assicuro che fino a metà potete tranquillamente pensare che viva a Torino o Milano o Parigi o Londra o Berlino) tra concerti, ostelli, viaggi low cost, animali domestici, romanticismo ucciso da piccoli infausti eventi, paste bruciate e allergie ai gatti, lo rendono ipnotico.
Perciò è tutto un "Anche a me succede!" "Anche tu sei così!" "Pure il mio fidanzat*/convivente/compagn* è identico!"
Il tutto condito da una gigantesca spruzzata di Kawaii visto che l'autrice appunto si immedesima in una graziosa panzerotta e rende il suo fidanzato una crocchetta (anche commestibile tra l'altro).
Consigliatissimo a chi si sente in very love come regalo di compleanno o ancor meglio regalo senza nessuna ragion d'essere.
Compratelo, tornate a casa e dite distrattamente "Mah, ti ho preso una cosetta".
La giornata, vedrete, si illuminerà.
Chissà perché gli animali nei libri e nei film muoiono nel 90% dei casi. Anche se l'arco narrativo dura un paio di settimane, zac!
RispondiEliminaSe non si ha una buona conoscienza della storia e della cultura pop Giapponese e di tutti i suoi usi e costumi, allora difficilmente si riuscirà a comprenderne anche la letteratura — e di conseguenza apprezzarla. E' un errore commesso in buona fede da molti lettori.
RispondiEliminaPer esempio, noto che spesso gli Italiani non comprendono le opere di Banana Yoshimoto¹, osannandone quelle minori ed immature (le prime) e sminuendone invece quelle maggiori (le ultime); ciò avviene perché il lettore tenta di proiettare la sua cultura Western su quella nipponica, ciccando alla grande il messaggio finale del libro.
Neko No Kyaku di Takashi Hiraide ne è un altro bell'esempio: il gatto non c'entra nulla, è solo una metafora. E' un artefizio narrativo usato spesso dagli autori Giapponesi per introdurre gli argomenti principali dell'opera, ma senza parlare direttamente di essi (In Giappone si fa tutto sempre "indirettamente"). Nel caso specifico di Neko No Kyaku, l'autore usa Chibi come punto di unione dei vari capitoli (l'opera è un insieme di brevi storie e saggi che non hanno un ordine cronologico) con cui descrivere la società Giapponese della fine degli anni '80 ed inizio anni '90 (è il periodo della recessione Giapponese, ed è l'epoca in cui l'opera è ambientata) e di come essa stia cambiando molto velocemente; è dunque un'opera che parla del cambiamento subito dal popolo Giapponese dopo la recessione degli anni '90, non della vita di coppia o della perdita di una persona/animale amato.
I personaggi del libro manco hanno un nome, ma vengono indicati indirettamente (io, mia moglie, i vicini anziani, eccetera), mentre solo il gatto ha un nome proprio, Chibi. I personaggi rappresentano dunque l'evoluzione della società Giapponese: i vicini anziani rappresentano il passato, con la loro casa che presto verrà demolita per lasciare spazio ad appartamenti nuovi; i giovani coniugi scrittori rappresentano invece la società attuale che si è ammodernizzata (passando da una società prevalentemente contadina ed ignorante degli anni 60/70 ad una fortemente industrializzata, iper-tecnologica, e metropolitana degli anni 90); il gatto ed i cuccioli rappresentano il futuro in divenire. La chiosa finale dell'opera ne è anche il messaggio, dove la voce narrante dice i cuccioli assomigliano molto a Chibi, ma non saranno mai come Chibi. Cioè un modo molto poetico per dire che la cultura e le tradizioni popolari Giapponesi non verranno mai eradicate, nonostante la forte influenza del mondo Western avvenuta nel dopo-guerra (il Macchiavelli, il baseball, ecc). Che è poi la descrizione perfetta della moderna società Giapponese: fortemente avanzata ed acculturata, ma ancora molto radicata agli usi e costumi del passato.
E' una sorta di versione Giapponese de Il Canto di Natale di Charles Dickens, ma più astratta e senza il drama Dickensiano.
Mi fa specie che mezzo mondo occidentale si sia focalizzato esclusivamente sulla gatta, ignorando tutto il resto! Le recensioni su Amazon sono in maggioranza ridicole, con gente che si straccia le vesti perché non si è "parlato abbastanza" di Chibi, preferendo invece focalizzarsi sulle descrizioni degli interni. Bha! :D
¹- senza adeguati riferimenti culturali, è un'autrice difficile da comprendere.
p.s.: il titolo italiano dell'opera di Hiraide è senza senso 3:)
La Yoshimoto mi spiace, ma secondo me ha avuto un tracollo dopo il figlio. Non capisco bene perché, ma una volta diventata madre ha perso quel non so che di sovversivo che avevano le sue storie e si è adagiata in una sorta di panteismo molto giapponese, ma anche molto noioso.
EliminaHiraide Takashi supponevo avesse un doppio fondo anche perché lui è un poeta, ciononostante, non so, a me la storia continua a non convincere del tutto, ma in effetti un'introduzione in cui si spiega il simbolismo come hai fatto tu nel commento, non è che guasterebbe e magari renderebbe il tutto più apprezabile (la Marsilio, per esempio lo fa). Grazie mille per avermi dato almeno una chiave di lettura! :)