martedì 2 agosto 2016

Le recensioni parallele. Il pessimo "Il fermaglio" di Sloane Crosley e il frizzante "Camera Single" di Chiara Sfregola. I trentenni non sono uguali sulle due sponde delle oceano, alcuni sono meno egocentrici dei loro coetanei.

 Nelle mie intenzioni c'era un'ultima infornata di consigli per le vacanze, purtroppo ogni tanto i miei sensi di ragno lettore fanno cilecca e il piano è stato rovinato dal primo dei due libri del post.

 Partita come un razzo, mi sono arenata in un pantano che ho superato solo perché potessi mettervi in guardia, fortunatamente, almeno, nel frattempo avevo l'altro tomo a cui attaccarmi che ha reso più sopportabile il tutto.

 Il filo rosso che inconsapevolmente lega le due recensioni è il fatto che in entrambi i casi i protagonisti sono dei quasi trentenni/trentenni alle prese con le giuoie e i dolori della vita.

 Devo dire che mai come in questo caso una scrittura potenzialmente migliore (quella del primo) è stata battuta da una storia oggettivamente più sensata. Per la serie, non è vero che basta avere un ottimo stile se lo butti in trame agghiaccianti.

 In ogni caso, sono felice di essere una trentenne in Italia, ebbene sì.
 Perché? Scopritelo in queste due appassionanti recensioni!


IL FERMAGLIO di Sloane Crosley ed. Einaudi:

 La recensione di questo libro potrebbe ridursi a quattro parole "Che è 'sta roba?".
 Siccome bisogna sempre argomentare una stroncatura, però, ci metterò un po' di righe per spiegare come questo sia uno dei libri più brutti che abbia letto negli ultimi non mesi, ma anni.

Ok, la quarta di copertina dava l'idea di una kinsellata universitaria e, francamente, anche la copertina, ma mi sono voluta fidare di una recensione (mi pare, ma potrei errare, comunque non è importante, su "Internazionale") in cui invece mi si diceva che era un libro bellissimo, valido, davvero bello. Va bene, mi fido, leggiamolo.

 Inizia come una sorta di "Grande freddo" di ex compagni di università quasi trentenni che si rincontrano tutti al matrimonio di una loro, tale Caroline, che oltre a essere ricca e insopportabile, sposata a uno altrettanto ricco e insopportabile, non ha pregi né caratterizzazione alcuna (e non sai neanche perché li abbia invitati al matrimonio).

 I tre protagonisti, che alternano (inutilmente) il loro punto di vista sono:

1) Nathaniel, una specie di manzo americano che aspira a diventare uno sceneggiatore di successo e che ha effettivamente avuto un folgorante inizio nel mondo dorato della tv statunitense. Classico caso in cui l'inizio corrisponde all'apice di una carriera, non riesce più a trovare lavoro e passa il suo tempo a macinare livore verso i colleghi più fortunati e a uscire con modelle.
 Grado di empatia provato verso questo individuo inutile e viziato: 0.

2) Kezia. Ve lo giuro, si chiama così. Kezia fa un lavoro di tipo amministrativo nel campo della bigiotteria e invidia a morte una sua ex compagna di stage che fa i soldi lavorando per una ditta di gioielli veri. Ha una capa che la vessa e disegna finti gioielli orrendi, ma non molla il lavoro non si capisce perché.
Grado di empatia verso questa tizia che a 28 anni frigna come se la sua vita fosse già finita perché non ha fatto i big money ed è single: 0.

3) Victor, all'inizio il più simpatico dei tre. Innamorato da sempre di Kezia (che non lo fila), lavorava per un motore di ricerca prima di essere licenziato rovinosamente per aver tentato la scalata al successo. La sua caratteristica più significativa è che sfigato e somiglia molto ad Adrien Brody.
 Grado di empatia lievemente più elevato, facciamo 3.

 La storia inizia con ricordi universitari e tu pensi che stiamo per assistere a una qualche nostalgica resa dei conti: i tre si accorgono che i sogni di ventenni possono essere ridimensionati a trent'anni e ciò non vuol dire che la tua vita sia finita, anzi magari inizia a essere meno frustrante.

 No, non accade nulla di tutto questo.

 Ciò che accade è che la nonna dello sposo, una tedesca di nome Johanna che nel periodo post bellico aveva abitato in Francia, racconta a Victor dove nasconde i gioielli di famiglia e gli consegna il disegno di una collana che una sua amata zia aveva avuto in dono (il disegno non la collana) da parte di un ufficiale nazista.
 Costui, innamorato della zia di Johanna, aveva scovato il gioiello in un castello a nord della Francia, dove probabilmente si trovava ancora e le aveva consegnato il disegno prima di sparire durante il ritorno in Germania.
Due  giorni dopo Johanna muore e lascia scritto nel testamento che Victor è il solo che sappia dove sono i gioielli.

 Poi Victor parte per la Francia a cercare la collana (Perché? Non si sa) e scopre che è collegata a un racconto di Maupassant, poi si appassiona alla vita di Maupassant, poi trova la Francia orribile e viene picchiato in una bettola dopo aver ricevuto le peggiori indicazioni stradali della storia e aver trovato l'inglese dei francesi pessimo (parbleu!).

 Nel frattempo, Kezia ha un problema con la chiusura di una collana, una specie di fermaglio smaltato che producono solo gli insopportabili francesi (sappiate che i francesi nel libro sono una mandria di mangiabaguette pretenziosi e insopportabili che divorano cibo pessimo e vivono in posti discutibili e collegati male dai bus) e la sua capa la spedisce a Parigi a fare delle modifiche.
 Anche Nathaniel parte, non si capisce bene per quale motivo (mi pare perché una mail in cui Victor vaneggiava della collana lo avesse mosso a compassione).

  Una volta lì, i due decidono di essere preoccupati per Victor che, nonostante abbia un cellulare, non dà segni di vita e non li pensa proprio, occupato com'è a rintracciare senza motivo un'irrintracciabile collana nei castelli francesi.

 Non si capisce come, a un certo punto, Victor collega la collana al famoso racconto "La collana" di Maupassant e questo, suppongo, dovrebbe dare un senso letterario alla vicenda. Quale, è ignoto, visto che non basta nominare un racconto di letteratura francese per rendere degno un libro senza trama e con dei personaggi schizofrenici.
 Mentre Victor trova, ad caxxum, tra millemila castelli francesi, proprio quello giusto e viene portato in carcere per direttissima dopo essere stato scoperto ad introdurvisi, Kezia e Nathaniel lo rintracciano in un modo così casuale da farti pensare che forse gli americani pensano che la Francia sia grossa quanto la Repubblica di San Marino.

 Nel finale non impariamo nulla, se non che ai trentenni americani non frega una mazza del mondo circostante e il loro obiettivo unico è raggiungere il successo professionale e fare soldi.
 La qual cosa, forse, potrebbe essere l'unico vero insegnamento di un libro scritto coi piedi.

 Un libro senza senso, senza trama, senza personaggi credibili e, a mio parere, persino col titolo sbagliato: che cazzarola c'entra il fermaglio? Se proprio, doveva intitolarsi "La collana", inutile mcguffin narrativo, appresso al quale corrono tutti quanti, come se esaudire la volontà di una vecchia ignota fosse una motivazione sensata.
 Mi spiace. 0/0. 

 La scrittura non sarebbe neanche male, ma bisogna avere qualcosa da dire, non scrivere libri pieni di pregiudizi sugli Europei e retti sul niente solo perché si sente la necessità di sfornare un romanzo ogni tot di tempo. Gli Harmony sono scritti peggio di sicuro, ma almeno hanno una trama.


CAMERA SINGLE di Chiara Sfregola ed. Leggereditore:

 Visto che viviamo nell'epoca del conflitto di interessi pure quando saluti il vicino di casa e si vedono favoritismi e komplotterie ovunque, metto le mani avanti: Chiara Sfregola scrive su LezPop come me.

 Ma non è ovviamente per questo che ho letto il suo libro, l'ho letto invece perché tento di leggere un po' tutto quello che esce a tematica lesbica in Italia, cioè un numero di libri praticamente prossimo allo zero (sono settimane che non riesco a scrivere un articolo decente per la rubrica di libri perché c'è il niente cosmico editoriale).
 Quando perciò un mese e mezzo fa è uscito il libro (a sorpresa anche per me visto che siamo una redazione virtuale ed essendo sparse per tutta l'Italia non ci vediamo mai dal vivo o quasi), ero curiosa di leggerlo. Che fosse arrivato il momento per un chick-lit in salsa lesbica anche in Italia?

Ebbene, è arrivato.

 Quando ero più gggggiovane, mi chiedevo sempre chi erano i ragazzi e le ragazze descritte da film, libri e telefilm (ne ho anche parlato in un post sul libro di Eleonora Caruso tempo fa). Gente che non solo non somigliava a me, ma neanche a nessuno che avessi mai conosciuto.
 La domanda perciò era lecita: questi autori descrivono una realtà che esiste, ma io non conosco o una realtà che non conoscono loro, ma immaginano che esista?

 La stessa cosa vale per i libri con protagoniste lesbiche, un coacervo di drammi, sesso fantastico con donne dalla pelle sempre e comunque morbida e serica, difficoltà di genere vario e fisime mentali mode on a tutto andare.
 Per carità c'è pure questo, ma la vita vera NON è questa. E va bene il romanzo d'invenzione, ma se ogni tanto avesse delle basi reali non è che farebbe schifo a nessuno.

 "Camera single", probabilmente anche per la sua componente autobiografica (sebbene non sia un'autobiografia) racconta finalmente un mondo che esiste e lotta insieme a noi.

 Linda, assistente di produzione cinematografica (un lavoro un po' raro da fare lo ammetto, ma in effetti la Sfregola lo fa), viene mollata dall'oggi al domani dalla sua fidanzata Margherita, con cui si vedeva praticamente sposata e con figlie a carico.
 Libera e infelice, torna a vivere con Annalisa, sua amica d'infanzia pugliese assieme alla quale anni prima si era trasferita a studiare a Roma.


Per spiegare meglio. "Camera single" è una rubrica tenuta da
Chiara Sfregola su LezPop a partire dalla rottura con la sua ex
(prima si chiamava "Camera doppia"). Il libro aggrega in modo
fluido e in forma di racconto le varie vicissitudine raccontate
in questi ultimi due anni,
 E comincia la faticosa caccia che contraddistingue la popolazione lesbica: la fidanzata con cui nidificare.

 Peccato che nonostante le potenzialità di una città popolosa come Roma, non sia così semplice.
  Ninfette ventenni si susseguono a vicine di casa strapiene di soldi, ma non di calore umano, costumisti di scena gender fluid si avvicendano a dottorande in studi di genere vestite come "suore laiche", il tutto in una capitale ben più magica di quello che appare dai tg (se non siete di Roma, vi avviso, tenete una cartina della città a portata di mano se no rischiate di essere più confusi di un hobbit nella Terra di Mezzo).

 Una storia leggera, frizzante, con amiche che tutti potrebbero avere, persino amici maschi etero, un po' di sesso (senza stravolgente pelle serica e sempre tesa nei punti giusti), Bologna come massima aspirazione festaiola e persino una visione meno fabulosa di un lavoro che, sulla carta, sembra fantastico.
 Lo consiglio a tutti e tutte. 
 Se siete appassionati di quelle storie frizzanti (in genere anglosassoni) e senza impegno che in genere si leggono con estremo piacere sotto l'ombrellone, se volete sapere cosa alberga nei trentenni italici di adesso (ve lo dico, se prendiamo "Il fermaglio" come unità di misura, siamo meglio dei nostri coetanei americani), se volete leggere una variante poco esplorata su un tema esploratissimo: giovane che credeva di essere arrivata a una svolta nella sua vita e viene rigettata nel grande mare contro la sua volontà.
 Vi accorgerete che i passi avanti fatti dalla nostra Italia, nonostante i commenti beceri di fb diano un'altra sensazione.
 I trentenni di qualsiasi orientamento sessuale sono tutti uguali. Alle prese con la crisi economica (presa come una tranvata in faccia) e con le crisi esistenziali proprie di ogni generazione.
 Non siamo meglio e non siamo peggio, siamo come tutti. Ed è un grandissimo risultato, almeno secondo me.

4 commenti:

  1. Scommetto che quel risicato 3 di empatia per Victor deriva quasi interamente dal fatto che assomiglia a Brody ;P

    Comunque è incredibile la concezione geografica dell'Europa che hanno gli americani! Conoscono di nome una mezza dozzina di città, tipo Roma, Venezia, Parigi, Berlino, e sono convinti che stiano a un tiro di schioppo l'una dall'altra. Spesso confondendo Italia con Francia, Spagna con Italia, Francia con Germania... tanto "stanno tutti là".
    Ne derivano convinzioni allucinanti, tipo che i tedeschi bevono il tè alle 5 o che gli italiani fanno la corrida, roba da mettersi le mani nei capelli!
    Capisco che loro siano abituati alle distanze siderali, che per andare da una parte all'altra del loro paese gli scattino venti fusi orari e quindi 100 km gli sembrino poco, capisco che per loro la concezione di "paese dentro una Nazione" corrisponda a un'idea di Stato unico e unitario, e quindi non arrivino a comprendere che gli stati dentro l'Europa siano tutte realtà indipendenti... ma siamo nell'era dell'informazione accessibile, immediata, gratuita, spesso pure invasiva, due caspita di cosette sul resto del mondo potrebbero anche studiarsele!
    Mì quanto riescono a farmele girare a volte gli ammerregani!

    Fine della divagazione. Sfregola inserita in wishlist ^__^

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  2. E' vero pure il contrario però,io viaggio tanto negli USA(la apssione comune mia e del mio compagno),ed ogni volta che ho prenotato gli amici mi dicono"eh ma di nuovo in america vai?Ma se ci sei già stata tante volte!!!" , senza pensare che gli stati uniti sono una cinquantina,ed essere stati nel maine non implica non andare a visitare la california o la florida etc etc XD E quando parlo della cucina,tre quarti delle persone con cui dialogo sono convinti che gli statunitensi mangino solo hamburger e patatine.Solo ed unicamente.
    Grazie per averci evitato la sòla de "Il fermaglio"!L'altro libro sembra divertente,segno ;)

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    1. Sì, sì, l'America ha distanze enormi, per forza gli stati europei devono sembrargli piccoli, ma non è comunque verosimile che riescano a reperire informazioni complicatissime (tra l'altro neanche da internet, ma dalla biblioteca) in mezzo pomeriggio scarso. Poi va bene tutto, ma trovarsi casualmente a pochi km da un paesello sperduto della Francia del Nord in tre mi pare vada oltre le coincidenze sopportabili (già una aveva fatto passare la coincidenza che fossero tutti in Francia negli stessi tre giorni senza essersi messi d'accordo).

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  3. Mi hai convinta. Non ho mai letto romanzi con protagoniste lesbiche - e non perché non abbia voluto leggerli, ma perché non credo di averli mai beccati - e sono davvero curiosa. L'altro che citi, effettivamente, non ha senso: cioè, il problema non è la carriera o il far soldi qua, ma proprio il fatto che, ad un certo punto, mi sono detta: "Aspetta, ma che c'entra? Sembrano scene messe a caso, una dietro l'altra, senza senso".

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