La settimana scorsa, nonostante abbia passato quasi tutto il mio tempo laziale in quel di Roma, sono riuscita comunque a farmi passare, come ogni volta, la nuova fissazione televisiva dalle mie sorelle.
L'ultima volta ero risalita con la risata malvagia di RuPaul (nel frattempo ho visto due stagioni e mezza, la dolce metà ha fatto una full immersion ed è arrivata a ben cinque), stavolta con "Boris"7.
L'avevo visto tutto anni fa, ho persino il film e la seconda stagione, ma, malgrado la magnificenza intrinseca, erano anni che non facevo una ripassata.
Ora, cosa c'entra tutto questo con noi e con queste recensioni che finalmente rendono di nuovo questo blog un bookblog?
Con la fascinazione che mi ha lasciato la parola "fegatelli" pronunciata da René durante la puntata sulla pubblicità occulta di una merendina.
Sostanzialmente sono i riempitivi che raccordano più scene principali e l'ho trovato particolarmente adatto per quelle recensioni piccoline di libri che in realtà leggo tra un libro che mi piace molterrimo e un altro. I fegatelli riempiono quel necessario vuoto che serve ad aiutare il lettore forte a mantenere il suo grado di lettura standard giornaliero anche in assenza di volumi particolarmente interessanti.
Tutti i fegatelli sono perciò libri gnègnè?
Non è detto.
Magari sono bei libri, ma, semplicemente non sono adatti a me che ho gusti particolari e diciamo forse non sempre condivisibili dalle masse (per dire, non amo particolarmente gli autori americani contemporanei che potrebbe essere un piccolo problema).
In ogni caso non temete, quando il fegatello è proprio andato a male non mi farò scrupolo di dirlo.
Ah, la differenza (ideale) con le piccole recensioni tra amici sta nel fatto che, almeno teoricamente, le piccole recensioni dovrebbero essere più particolareggiate.
Vediamo se alla fine diventa tutto un piccolo fegatello tra amici o riesco a tenerli separati, non garantisco.
Finito lo spiegone, let's go!
LA FINE DELL'ESTATE di Harumi Setouchi ed. Neri Pozza:
Molti anni fa, ricordo persino chiaramente il giorno, era il 2 Giugno che da poco era tornato festa nazionale della repubblica, (potrei dire con bastante precisione che fosse il 2001), passai l'intera giornata a leggere un bellissimo libro di Harumi Setouchi: "La virtù femminile".
A dispetto del titolo, purtroppo fuorviante, erano le sue romanzate memorie di geisha poi divenuta monaca buddista (aver letto questo libro tratto da un'esperienza in prima persona mi ha peraltro sempre dissuaso dal leggere "Memorie di una geisha" che a quel punto ai miei occhi è diventato un surrogato di cui potevo fare a meno).
Ne ho il ricordo vivido di una lettura coinvolgente, una di quelle che appunto, anche se è l'inizio dell'estate, la scuola sta finendo ed è festa, riesci solo a stare a casa perché vuoi assolutamente finire un libro (altro ricordo vivido è l'aver visto quel giorno, non meno di 30 volte, il video di Imitation of life dei Rem che Mtv mandava inspiegabilmente a ripetizione).
Anche per questo ricordo, come avete potuto capire molto forte, mi aspettavo molto da "La fine dell'estate" altro romanzo della Setouchi, incidentalmente trovato in biblioteca.
Invece, che delusione.
Si tratta sempre di un frangente autobiografico, ma assolutamente privo delle violente emozioni e dei dissidi che laceravano il primo.
Certo, bisogna dire che l'autrice sin dal titolo mi aveva avvertito: se è la fine dell'estate non puoi che attenderti il letargo delle passioni (l'autunno è la mia stagione preferita, ma non sembra esserlo per i creatori di proverbi e metafore che lo dipingono come l'ineluttabile preludio della fine) e infatti è proprio così, con l'aggravante che c'è anche il letargo della scrittura.
Certo, bisogna dire che l'autrice sin dal titolo mi aveva avvertito: se è la fine dell'estate non puoi che attenderti il letargo delle passioni (l'autunno è la mia stagione preferita, ma non sembra esserlo per i creatori di proverbi e metafore che lo dipingono come l'ineluttabile preludio della fine) e infatti è proprio così, con l'aggravante che c'è anche il letargo della scrittura.
La trama. Tomoko, affermata creatrice di stoffe, convive con un uomo sposato che passa parte del suo tempo con lei e parte con la legittima famiglia, formata da moglie e figlia adolescente.
Il triangolo regge perché in fondo a Tomoko, donna indipendente economicamente, ma non emotivamente, reduce da un traumatico divorzio dopo il quale le è stato impedito di vedere la figlia, va bene.
Poi un giorno torna la causa del divorzio di Tomoko: Ryota. Un tempo allievo giovane e spregiudicato del suo ex marito, si palesa come un debosciato a cui però Tomoko, ormai annoiata da otto anni di clandestina, ma ormai noiosa relazione, non sa resistere.
Avrebbe dovuto essere credo, il ritratto del fatidico momento in cui ci si rende conto che le passioni di gioventù, rivissute venti anni dopo, non sono che una pallidissima imitazione di ciò che fummo in grado di vivere.
Anzi, forse, ci dimostrano una cosa ancor peggiore: se non abbiamo la forza di evolverci, a quarant'anni rischiamo di essere una pallida e patetica imitazione di ciò che fummo a venti.
Anzi, forse, ci dimostrano una cosa ancor peggiore: se non abbiamo la forza di evolverci, a quarant'anni rischiamo di essere una pallida e patetica imitazione di ciò che fummo a venti.
Argomento forte, resa davvero deludente. Consiglio moltissimo "La virtù femminile", questo è molto evitabile.
FAIR PLAY di Tove Jansson ed. Iperborea:
Molti miei colleghi (colleghe principalmente) vanno pazzi per i libri dell'iperborea che un catalogo raffinato e originale.
In verità io riesco ad appassionarmi meno (e colpevolmente) agli scrittori del nord Europa, ma per qualche misterioso motivo, ho l'impressione che tra qualche anno, quando avrò una vita meno tumultuosa, li troverò molto più adatti ai miei umori.
In verità io riesco ad appassionarmi meno (e colpevolmente) agli scrittori del nord Europa, ma per qualche misterioso motivo, ho l'impressione che tra qualche anno, quando avrò una vita meno tumultuosa, li troverò molto più adatti ai miei umori.
In realtà il misterioso motivo potrebbe ravvisarvi benissimo in un libro come Fair Play che racconta, in una manciata di frangenti di vita quotidiana, la storia d'amore, ormai giunta alla fase della terza età, tra due artiste: Mari e Jonna (che mi sono accorta non si chiamasse Joanna solo molto oltre la metà del libro).
Le due vivono assieme in una casetta su un'isoletta della Finlandia (mi pare di capire non lontana da Helsinki visto che lì hanno i loro studi), un posto selvaggio e pieno di quello sferzante e gelido vento marino che buoni scrittori nordici sanno restituire assai bene sulla carta stampata.
Qui ricevono visite inaspettate (la vecchia ex scout ossessionata dal ricordo della madre di Mari, una delle fondatrici delle girl scout in Finlandia), ospitano allieve più giovani di cui sono poi neanche troppo velatamente gelose, ricordano momenti della loro lontana infanzia.
C'è anche un piccolo frangente oltreoceano, in un vecchio albergo del sud degli Stati Uniti, dove esiste un altro piccolo mondo, dove altri piccoli esseri umani hanno scavato il loro posto esatto, la loro vita perfettamente rodata e rassicurante.
C'è anche un piccolo frangente oltreoceano, in un vecchio albergo del sud degli Stati Uniti, dove esiste un altro piccolo mondo, dove altri piccoli esseri umani hanno scavato il loro posto esatto, la loro vita perfettamente rodata e rassicurante.
Non succede molto in Fair Play, anzi, tecnicamente non succede proprio niente, ma è straordinaria la voglia di vivere delle due protagoniste che a settant'anni sono ben lungi dall'adagiarsi sul fine vita, ma continuano a sognare, viaggiare e amarsi appassionatamente.
Ogni età della vita ha le sue velocità, l'importante, sembra dire Tove Jansson (che a sua volta aveva una compagna artista con cui visse fino all'ultimo) è ricordarsi di non rimanere immobili prima della fine. Il mondo può essere terribile, ma rimane, anche un grande e straordinario posto e decidere di rimanere fermi perché il traguardo finale è ormai vicino, non ha molto senso.
E' sempre meglio correre a perdifiato fino in fondo.
E' sempre meglio correre a perdifiato fino in fondo.
IL SILENZIO COPRI' LE TRACCE di Matteo Caccia ed. Baldini e Castoldi:
Per la prima volta in vita mia sono stata invitata a sorbire un brunch in una casa editrice. Immaginavo un evento gianfilipposo, ma quando mi si offre del cibo raramente so rifiutarmi.
Devo dire che, malgrado la bontà delle torte salate, non c'è stato molto di gianfilipposo e l'autore, Matteo Caccia, si è sottoposto a quasi due ore di incessante perorazione della sua causa.
Insomma, ci ero andata non proprio convinta, ma la sua abnegazione mi ha convinto a dargli una possibilità.
Intendiamoci, non è che pensassi male a priori del libro, semplicemente parla di un argomento che in genere mi interessa poco: la montagna e tutto ciò che le concerne.
Rudi uomini di montagna che parlano poco e conoscono il senso della vita, l'aspra natura che insegna l'esistenza e quella ruvida reticenza che vorrebbe mettere in risalto l'essenzialità dei rapporti umani, ma rischia di urtare seriamente chi la scambia per maleducazione.
Alla fine l'ho letto e devo dire che ci sono tanti temi in questo libro, forse troppi.
La storia è scritta bene, piacerà di certo agli appassionati di montagna e a chi ama la scrittura minimalista fatta da frasi brevi, impressioni decise e taglienti e, appunto, una certa essenzialità.
Il protagonista, Zambo, un (sembra) giovane uomo molto taciturno, vaga per le montagne dell'appennino ligure-toscano tra incontri, la ricerca di un amore, lupi che ripopolano le valli tra il terrore degli autoctoni (non solo gli esseri umani possono essere percepiti come una minaccia esterna, ma anche gli animali che pur non hanno mai attaccato l'uomo) e molti ricordi.
Il problema, credo, sono proprio quei ricordi che danno l'impressione di leggere due trame diverse non completamente fuse tra loro.
La prima, quella dell'uomo che cerca di intravedere un confine tra la civiltà e la natura, che lotta con sé stesso per riuscire a intuirne la portata e la forma potendo così infine decidere da che parte stare.
La seconda è legata ai numerosi ricordi che il protagonista ha del padre, eroe della resistenza, modello unico (la madre, staffetta partigiana scoperta e uccisa, mai conosciuta) e al contempo inarrivabile.
Ecco, è come se i due livelli di racconto avessero due protagonisti diversi, uno impegnato a liberarsi dalla civiltà per fondersi con la natura, l'altro ossessionato dai ricordi paterni al punto da anteporli ai propri.
Il continuo intersecarsi dei due piani toglie ritmo alla lotta principale: quella di un uomo che cerca di fondersi con le proprie spietate montagne.
La seconda è legata ai numerosi ricordi che il protagonista ha del padre, eroe della resistenza, modello unico (la madre, staffetta partigiana scoperta e uccisa, mai conosciuta) e al contempo inarrivabile.
Ecco, è come se i due livelli di racconto avessero due protagonisti diversi, uno impegnato a liberarsi dalla civiltà per fondersi con la natura, l'altro ossessionato dai ricordi paterni al punto da anteporli ai propri.
Il continuo intersecarsi dei due piani toglie ritmo alla lotta principale: quella di un uomo che cerca di fondersi con le proprie spietate montagne.
Piacerà ai molti che amano Corona e Cognetti, la montagna e gli amici cani.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaOcchio che Matteo è diventato Mattia su in alto! E niente, io per Cognetti ho proprio un debole, le otto montagne mi è piaciuto tanto. Fondamentalmente i suoi genitori mi ricordano i miei :) (scusa, prima ero loggata con l'account del mio compagno, per questo ho rimosso il commento)
RispondiEliminaAhahah ma infatti mi chiedevo: quante identità ha?? Grazie per la segnalazione. Non ho idea del perché mi sia venuto da modificargli il nome
EliminaMega OT: Mtv mandava TUTTO a ripetizione!
RispondiEliminaIo ci passavo i pomeriggi davanti e registravo i video più belli in delle vhs di 4 ore che... ma lasciamo perdere, è preistoria. Comunque, quando partiva un video che mi interessava me lo scrivevo su un foglio, tipo "15.37 Everybody hurts dopo Joshua tree" e potevo stare certa che 2 ore dopo rifacevano tutta la sfilza. Alle 17.37, dopo Joshua Tree, schiacciavo REC e beccavo dall'inizio Everybody hurts. Matematico.
Fine gigantesco OT.
E vediamo come va con questi fegatelli tra amici :D
PS: mi raccomando no "geishe", ché il giapponese non ha plurale. Le gheisha, i kimono, le katana, un origami e più origami, eccetera.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaComplimenti a me che per dirti di non fare un errore ne faccio un altro xD
Elimina"Le geisha" con un'acca sola!
...che poi in realtà si direbbe Geiko, se volessimo fare i puristi...
RispondiEliminaScusate, visto che in questo interessantissimo post si è citata Tove Jansson, che tra l'altro in tutto il mondo è famosa per aver creato i Munin, vorrei consigliare Il libro dell'estate e Il libro dell'Inverno (anche se Il libro dell'estate è molto, molto, molto più bello!).
Grazie