Ebbene sì, è accaduto. L'Italia è fuori dal mondiale.
Una notizia, ne do atto al mondo, che insomma nel mare magnum del delirio a cui veniamo sottoposti giornalmente dalla politica internazionale, può fregare relativamente. Eppure.
Eppure i mondiali rendono le estati per chi non le ama troppo, come me, sopportabili, e per chi le adora, indimenticabili, tra gli ultimi baluardi dell'immaginario collettivo in un mondo liquido.
Non posso ovviamente avere memoria dei mondiali del 1986 perché avevo due anni e anche di Italia '90 ricordo a stento la canzone di Bennato e Nannini come una sorta di sogno nelle serate estive in Sardegna.
Ho più memoria di Usa 1994. Avevo dieci anni ed ero in Sardegna con mia madre e mia sorella, al solito. Come fossimo nel pieno negli anni '50, in una casa che non aveva elettrodomestico alcuno (esclusa la lavatrice), ascoltavo le partite alla radio tentando di capirci qualcosa da sola, visto che mio padre se ne stava dall'altra parte del Tirreno a lavoro.
Il 1998 me lo ricordo come un anno fiacco in cui vinsero oscuramente i francesi e nel 2002 ero completamente disinteressata, presa com'ero a scrivere, durante i pomeriggi caldissimi di partite con gol continuamente annullati, il romanzo che credevo mi avrebbe dato la gloria.
Il 2006, stranamente, è stato l'unico mondiale che ho seguito dall'inizio alla fine e ricordo benissimo dove fossi a ogni partita (compresa la volta in cui, durante Italia-Ucraina, vista in un centro sociale, rischiammo le botte di un raid di fascisti di Latina). Etcetera etcetera etcetera.
Perché vi racconto questi inutili spaccati di vite che non sono la vostra?
Per arrivare al vero punto della faccenda: per tutti gli italiani non usualmente appassionati di calcio, come me, che a stento ne capiscono le regole, i mondiali non sono tanto una gara sportiva quanto un insieme di ricordi. E' più semplice fissare nella memoria qualcosa legato a un momento comune.
E poi, siamo poi completamente certi che lo sport sia una sciocchezzuola senza veri legami col presente? Una distrazione dalle cose importanti, avulsa dal corso della storia?
Non proprio. Non sempre. Ho raccolto alcuni libri che dimostrano come calcio e storia si siano incrociati, dolorosamente, qui e lì.
Non ci credete? Let's go!
DALLO SCUDETTO AD AUSCHWITZ di Matteo Marani ed. Imprimatur:
In questi tempi di revisionismo storico, in cui si cerca di far passare nazisti e fascisti per poveri perseguitati della libertà di parola e non per gente che si rifà a regimi che hanno causato lo sterminio calcolato di milioni di persone, una guerra mondiale e un'Europa ridotta in macerie, fa bene ricordare la storia di Arpad Weisz.
Forse, infatti, non tutti sanno che l'allenatore più giovane a vincere uno scudetto italiano fu proprio lui, a trentaquattro anni, ex calciatore ungherese, con l'Ambrosiana.
Ma andiamo con ordine.
Il buon Arpad nasce nel 1896 in un paese vicino a Budapest. Crescendo dimostra di saper giocare a calcio, viene anche convocato in nazionale e inizia a giocare in alcune squadre italiane finché un infortunio lo blocca.
Scopre però di saper allenare e, sostenuto dalla moglie, iniziano i successi culminati nello scudetto dell'Ambrosiana. MA.
Ci sono, purtroppo, due MA grossi come una capanna nella vita di Arpad: è ebreo e in Italia c'è il regime fascista.
Quando vengono promulgate le leggi razziali (sì, proprio quelle che adesso qualcuno cerca di farci credere che furono uno scherzetto da niente), è costretto a riparare in Olanda assieme alla moglie ai figli. Lì ricomincia ad allenare, ma la mano lunga del nazifascismo lo raggiunge infine nel 1942.
Deportati ad Auschwitz, i figli e la moglie verranno subito uccisi nelle camere a gas, mentre lui vivrà ancora 15 mesi in un altro campo di concentramento prima di esservi riportato e assassinato nel gennaio del 1944.
Esiste un libro con la sua storia, "Dallo scudetto ad Auschwitz" di Matteo Marani ed. Imprimatur e, proprio in questi giorni, è uscita una graphic novel a lui dedicata, "Arpad Weisz e il littoriale" di Matteo Matteucci ed. Minerva.
E' MOLTO BENE rinfrescarsi la memoria dei tempi andati e delle vittime che ha mietuto.
LA SQUADRA SPEZZATA di Luigi Bolognini ed. 66thand2nd:
Più dell'esclusione dal mondiale fu questo libro nello specifico a darmi l'idea per questo post (sì, parecchio e parecchio tempo fa, c'è un grande limbo dove galleggiano decine di post ipotetici).
Negli anni '50 la nazionale ungherese era fortissima, imbattuta per 28 partite e 4 anni fino alla finale dei mondiali del 1954 giocati in Svizzera.
Durante l'ultima partita, a Berna, persero 3 a 2 contro la Germania Ovest (praticamente lo smacco definitivo in tempi di guerra fredda) e non ci fu nessuna rivincita negli anni successivi.
Nel 1956 infatti i carri armati sovietici invasero Budapest per sedare l'insurrezione antisovietica causando morti, feriti e profondi strascichi politici e sociali nel paese magiaro antisovietico e socialista al tempo stesso (come anche lo stesso protagonista di questo romanzo di docufiction).
Cosa c'entra la rivoluzione con la nazionale ungherese?
Molti tra i giocatori migliori militavano nell'Hònved, squadra che nei giorni dell'insurrezione si trovava in Spagna per una partita della coppa dei campioni.
I giocatori, alla luce delle tristi notizie ad est, rifiutarono di tornare e rimasero in occidente nonostante l'Uefa finisse per squalificarli tutti per due anni.
Il più famoso di loro, Ferenc Puskàs, riuscì a tornare ai mondiali, nel 1962, nella nazionale spagnola dopo l'avvenuta naturalizzazione. Aveva troppi anni di più e la Spagna non andò oltre i gironi.
L'ULTIMO RIGORE DI FARUK di Gigi Riva ed. Sellerio:
Il Faruk del titolo era Faruk Hadzibegic, capitano della nazionale iugoslava che calciò (male) il calcio di rigore decisivo ai quarti di finale Argentina-Jugoslavia di Italia 1990.
La nazionale iugoslava perse e due anni dopo non esisteva più, assieme al paese, mai vero paese, che dopo la morte di Tito aveva iniziato ad agitarsi fino a correre verso la sanguinosissima guerra civile.
Non ricordo ovviamente nulla di questa partita e ho un'insieme di immagini angosciose della guerra civile nei balcani.
Ricordo le letture a scuola, i servizi al telegiornale, le signore che chiedevano l'elemosina in metropolitana dicendo di venire alla Bosnia e la confusa sensazione che un giorno le bombe sarebbero arrivate anche da noi.
Ma nel 1990 la Iugoslavia era ancora una nazione e aveva ancora una nazionale e l'interrogativo di Riva è: se Faruk non avesse sbagliato quel rigore, se la nazionale avesse vinto i mondiali, si sarebbe potuta evitare se non rimandare la guerra?
La nazionale, come anche il tifo degli ultras, era già frantumata in mille pezzi che non combaciavano: croati, serbi, bosniaci, montenegrini, musulmani, cristiani.
Ma in effetti se c'è una cosa che gli eventi sportivi e l'uso politico che molti ne hanno fatto (come si vedrà poi nel libro seguente) ci hanno insegnato è che c'è una stretta correlazione tra un evento sportivo nazionale e nazionalismo.
Una vittoria di una nazionale composta da tutte le parti di una nazione avrebbe contribuito a far rinascere un forte spirito nazionalista?
Ho i miei serissimi dubbi in proposito. Faruk, almeno a mio parere, può dormire tutti i sogni tranquilli che desidera.
I MONDIALI DELLA VERGOGNA di Pablo Llonto ed. Alegre:
1978. Argentina.
Due anni prima un colpo di stato militare aveva deposto Isabel Peròn, vicepresidente e moglie del defunto presidente Juan Domingon Peròn, e aveva instaurato una dittatura con a capo il generale Jorge Rafael Videla.
Il regime, di stampo fascista, mirò con ogni mezzo alla soppressione di qualsiasi movimento democratico (con particolare repulsione verso le istanze comuniste), facendo un ampio uso di violenze, torture, rapimenti e uccisioni di oppositori (spesso mai più ritrovati, i famosi desaparecidos).
Per citare solo una delle sue innumerevoli vittime, cadde sotto i suoi colpi anche il fumettista Héctor Oesterheld, l'inventore de "L'Eternauta", rapito e ucciso come anche le sue quattro figlie (di cui due in avanzato stato di gravidanza).
Come ogni regime fascista che si rispetti, anche quello argentino faceva leva sempre sugli stessi capisaldi: nazionalismo esasperato e glorificato in primis.
E il mondiale che l'Argentina ospitò e vinse fu l'emblema sportivo del modo in cui il mondo si comportò con la dittatura argentina: accontentandosi di una verità di facciata che rendeva la vita più semplice a tutti.
Mentre i dissidenti continuavano ad essere catturati e uccisi, il mondo celebrava una festa sportiva che di festoso aveva ben poco, contribuendo a legittimare un regime la cui immagine usciva splendente.
Li chiamano i fascisti in doppiopetto, quelli che hanno la faccia pulita davanti e il manganello dietro la schiena.
E il mondo li applaudì molto quei mondiali del 1978 che contribuirono a un'ondata nazionalista di cui il paese non aveva certo ulteriore bisogno.
Del resto è semplice voltare le spalle all'orrore e fingere che non esista nessun centro di detenzione e torture nella Scuola meccanica dell'esercito, a poca distanza da uno stadio pieno ed entusiasta.
Per vergognarci un po' tutti insieme e metterci in guardia sulla deriva del nostro presente, si può leggere il libro "I mondiali della vergogna" di Pablo Llonto ed. Alegre.
E ora? Pensate ancora che i mondiali siano una facezia in confronto ai "veri problemi" del mondo?
Sui Mondiali di calcio consiglio anche il bellissimo "Perda il migliore" di Franco Rossi, ormai un po' invecchiato (mancano le ultime tre/quattro edizioni) ma che sa intrecciare cronaca sportiva e storie dei protagonisti in maniera meravigliosa.
RispondiEliminaIl problema è che il Calcio, così come i Mondiali in questo genere di romanzi/memorie sono solo il "contorno", una forma di scusante. L'evento storico, che sia la repressione in Ungheria o la persecuzione antisemita, sarebbe altrettanto avvincente e interessante anche senza l'argomento "calcistico".
RispondiEliminaPer le prime due storie hai ragione, ma per le seconde due no. Nel libro "L'ultimo rigore di Faruk" viene spiegato come gli ultras delle diverse squadre dell'allora campionato iugoslavo mettessero in atto già scontri che si sono poi tradotti nella guerra civile, di come alcuni esponenti di tali ultras siano poi diventati tristi personalità della guerra e di come molti calciatori non abbiano mai fatto davvero i conti con la loro storia. Per quel che riguarda i mondiali della vergogna invece, nel libro di Alegre si spiega come Videla con avesse tanto interesse per la manifestazione finché non gli fu fatto notare che non solo avrebbe rinfocolato lo spirito nazionalista, ma avrebbe anche dato lustro alla dittatura in ambito internazionale, cosa che in effetti avvenne.
EliminaLa risposta alla domanda che si fa Gigi Riva è decisamente no, e basta allargare lo sguardo ad altri sport per capirlo: proprio nel '90 la Yugoslavia vinse i mondiali di basket (altrettanto seguito, per nulla di nicchia) e proprio nei festeggiamenti dopo la finale esplosero le tensioni nazionalistiche
RispondiEliminahttp://www.basketuniverso.it/divac-e-petrovic-la-storia-di-due-amici-divisi-da-una-bandiera/
Scusate se metto il link ma è lunghetto da riscrivere: è anche molto bello il documentario "Once brothers" su Divac e Petrovic.
Forse sono un po' off topic, ma da appassionata di basket mi è venuto spontaneo pensare a quest'episodio, e a come risponda molto bene al "cosa sarebbe successo se" posto da Riva, visto che è successo! :)