lunedì 29 gennaio 2018

Le incredibili avventure al di là del mare! Grandi esploratori del passato tra problemi astronomici, effemeridi, mare di gelatina, calcoli sbagliati e isole scoperte e perdute.

All'ultimo anno delle elementari, ricordo che l'antologia scolastica aveva una serie di exempla.
 O meglio, erano i pezzi di alcune autobiografie di grandi uomini e donne del passato, principalmente racconti di quando erano bambini.

 Mi rimase impresso un pezzo di Conrad Lorenz, uno di un tizio che poi credo andò a fare il medico in Africa ed era coinvolto in una qualche rissa tra ragazzi (la cosa che ricordo di più è che uno di loro si chiamava Gavin, un nome che credevo esistesse solo in Sardegna) e quello di Amundsen, l'esploratore norvegese.

 Da bambino il buon Amundsen aveva già deciso che sarebbe diventato un esploratore dei ghiacci, quindi, sfidando il buonsenso e la polmonite, per abituarsi alle temperature polari, dormiva tutte le notti con la finestra aperta.

 Tentai anche io qualche notte, pensavo che in fondo, rendersi resistenti al gelo esterno, prima o poi potesse tornare utile.
 Desistetti quasi subito e pensai che non sarei mai diventata un'esploratrice polare e, del resto, forse non mi interessava neanche.

 Tuttavia l'altra sera, dopo una serata passata al planetario ad ascoltare una conferenza sugli antichi metodi di esplorazione, mi è venuta l'idea per questo post sui grandi esploratori del passato, un'esperienza che, a scanso di lanci spaziali, è ormai preclusa al nostro tempo.

 Sappiamo già tutto, abbiamo visto già tutto. Che poi ne facciamo un pessimo uso, questa è un'altra storia.

 Questa è la prima parte, dedicata agli esploratori per mare, nella prossima i temibilissimi esploratori dei ghiacci!


PITEA E ANNONE OLTRE LE COLONNE D'ERCOLE:

 Più conosco parti sconosciute dell'età classica, più mi rendo conto che i greci erano in grado di dare una pista a tutti noi, anzi, sui loro pro-pro-pronipoti medievali regnavano completamente.

 Ben prima che Cristoforo Colombo compisse l'insano gesto dell'attraversamento delle colonne d'Ercole furono loro a spingersi oltre l'allora confine del mondo: Annone  verso sud, fino al golfo di Guineae Pitea verso nord, forse addirittura fino all'Islanda.

 Annone fu un navigatore cartaginese del V° sec. a.C. che con una flotta circumnavigò parte della costa africana.

 Partì da Cartagine con migliaia di coloni con l'intento di fondare nuove città nelle coste da lui esplorate e, in effetti, disseminò le 30.000 persone con sè, lungo le coste dell'Africa settentrionale, principalmente lungo le coste oceaniche del Marocco.

 Uscito dalle colonne d'Ercole, fece varie tappe fondando alcuni insediamenti ed entrando in contatto con nuove popolazioni, tra cui i lixiti e quelli che chiamava "etiopi", proseguì verso sud e, dopo un po', si accorse che il sole brillava a nord, cosa che spinse molti suoi contemporanei, ignari come lui dell'inclinazione dell'asse terrestre, a dubitare della sua storia (paradossalmente è ciò che invece spinge noi a considerarla vera).

 Nel suo periplo (splendida parola greca che indica una circumnavigazione e per mutuazione anche il racconto) racconta molte avventure, dall'eruzione di un vulcano, alle spaventose popolazioni che suonavano tamburi e accendevano fuochi.

 Risalì parte della foce del fiume Senegal e uccise tre donne di una popolazione assai pelosa che chiamò gorilla, riportandone poi la pelle (ignoto se fossero effettivamente scimmie o semplicemente una popolazione che usava portare i capelli lunghi).

 Infine giunse in un luogo dove la spettacolare eruzione in corso di un vulcano che riversava in mano laghi di fuoco, doveva averlo convinto di essere giunto letteralmente in capo al mondo.
 Tra quello e la fine delle vettovaglie, venne il momento di tornare indietro.

 Pitea fu invece un navigatore greco vissuto tra il 380 e il 310 a. C. che partì verso il nord Europa con una spedizione che fece ritorno e della quale scrisse un periplo andato però perduto.

 Proprio come il sole a nord di Annone, anche lui notò due particolari che sconvolsero i suoi contemporanei e li spinsero a dubitare delle sue storie: il sole a mezzanotte e il mare di gelatina.

 Pitea probabilmente circumnavigò Portogallo e Spagna e giunse sulle coste della Gran Bretagna che lui soprannominò isole Pritanniche (ebbene sì, state leggendo bene).

 Si spinse poi ancor più su in scandinavia e si dice abbia raggiunto l'Islanda. 

 Ora, pare sia improbabile, ma di certo deve essersi spinto parecchio su visto che vide il succitato mare di gelatina, ossia il mare in parte ghiacciato e il fenomeno del sole a mezzanotte, affermando di essere stato in un posto dove la notte durava solo poche ore.

 Isole FarOer? Coste della Norvegia? Chissà. Fu però sempre lui a coniare il leggendario nome Thule che da allora evoca l'idea di una meravigliosa terra ai confini del mondo.

 Non si sa a quale nordico paese si riferisse, ma già all'epoca aveva acceso idee di viaggi fantameravigliosi come nel romanzo di Antonio Diogene "Le incredibili meraviglie al di là di Thule".

 Incredibile a pensarlo, comunque, non fu il primo ad arrivare fin lassù. 
 Lo aveva preceduto un altro cartaginese: Imilcone, che per primo, si ritiene giunse nelle isole britanniche dal mediterraneo.
 Anche lui scrisse un Periplo di cui non rimangono che frammenti.
 Purtroppo non esistono molti libri sugli antichi navigatori. 

 Se siete curiosi esistono:
"De rebus nauticis. L'arte della navigazione nel mondo antico" di Stefano Medas ed. L'erma di Bretschneider.
 "Quando i romani andavano in America" di Elio Cadelo, Palombi editore, e "Le incredibili avventure al di là di Thule" di Antonio Diogene ed. La vita felice.


ALVARO DE MENDANA DE NEIRA E LE ISOLE SCOPERTE E PERDUTE:

 Di tante scoperte forse le Isole Salomone, chiamate così perché si sperava di aver trovato la mitica isola dove il biblico re Salomone aveva nascosto le sue enormi ricchezze, forse non meriterebbero particolar gloria.

 Tuttavia questo gruppo di isole a nord dell'Oceania è caratterizzato da una particolarità: fu scoperto due volte.

  La prima a metà del 1500 dal giovane esploratore spagnolo Alvaro de Mendana de Neira che nel 1568 trovò l'isola che ribattezzò San Isabel. 
 Una volta tornato in patria, ebbe denaro e navi per una nuova spedizione, ma di ritorno trovò un altro gruppo di isole che chiamarono Marchesi, ma non più quelle salomoniche che vennero "riscoperte" solo nel 1767 da Philip Carteret.

 Dov'erano finite?

 Nel bel saggio "Il viaggio del sestante"  di David Barrie si racconta come per millenni i navigatori abbiano faticato a ritrovare la rotta a causa di un infausto problema che venne risolto solo nel 1700: il problema della longitudine.

 Il problema della longitudine stava tutto nel fatto che, in un mondo privo di orologi, era impossibile da determinarla con la precisione necessaria a tracciare delle coordinate certe.

  Per secoli si era cercato un sistema per riuscire a determinare con ragionevole precisione l'ora esatta a seconda della posizione degli astri. 

 Galileo aveva proposto di affidarsi a Giove, ma pur essendo una soluzione valida,  richiedeva strumenti di precisione e calcoli matematici difficili da avere e ottenere su una nave da un semplice ammiraglio, mentre la luna iniziò a sembrare più semplice e convincente.

 La svolta si ebbe quando, nel 1707 una flotta inglese perse letteralmente la trebisonda e, sbagliando calcoli, si schiantò sulle isole Scilly.

 Il governo decise che era giunto il momento di risolvere la questione ed emise un bando che portò alla compilazione delle effemeridi lunari (le effemeridi sono delle tabelle sulle variazioni dei valori astronomici, es. "Il sole oggi sorge a tale ora e tramonta a tale ora" è un'effemeridi) e all'invenzione degli orologi portatili di precisione di John Harrison.

 In prima battuta vinsero le effemeridi, ma dopo che l'esploratore James Cook l'ebbe usato con successo nei suoi viaggi, fu l'orologio a trionfare.


GLI AMMUTINATI DEL BOUNTY:

 Il leggendario ammutinamento del Bounty lo conoscono tutti, ma in pochi sanno che cosa accadde davvero.

 Sostanzialmente nel 1787 una spedizione della Marina inglese partì alla volta di Tahiti con intenti naturalistici: dovevano riportare in patria alcuni esemplari di albero del pane.

 Tuttavia, una serie di sfortunati eventi, impedirono di doppiare capo Horn e costrinsero il capitano della spedizione, Bligh, a prendere la rotta più lunga, giungendo ad Haiti in ritardo rispetto alla maturazione dei famosi alberi. 

 Mentre attendevano si ritornasse la stagione giusta,  i marinai passarono cinque splendidi mesi tra palme, fanciulle locali e altre meraviglie, così, quando venne il momento di partire, non furono per niente entusiasti.

 Dopo la ripartenza, capeggiati dal marinaio Christian Fletcher, sedici di loro si ammutinarono, costrinsero alcuni dei non ammutinati a rimanere con loro per le loro competenze tecniche e misero il capitano Bligh coi suoi fedeli su una scialuppa lasciandogli un sestante e un po' di viveri per ritrovare la via del ritorno.

 La storia degli ammutinati, molto romanzescamente raccontata successivamente da molti, tra i quali Jules Verne, in realtà finì maluccio: un'isola australiana, Norfolk, è ancora abitata da loro discendenti, ma all'epoca il loro sogno di un paradiso terrestre si trasformò in un incubo fatto di tahitiani uccisi e donne rapite.
 Peraltro, alcuni di loro furono poi stati catturati e impiccati in patria per ammutinamento.

 Bligh invece compì un'impresa ancor oggi insuperata: in appena 47 giorni percorse 6000 km in mare aperto, partendo dall'isoletta di Tofua e giungendo a Timor, perdendo un solo uomo, ucciso da una popolazione di cannibali in un'isola dove avevano attraccato per far rifornimento.

 Il povero Bligh ebbe una lunga carriera successivamente costellata da una serie di successi navali e ammutinamenti: uno per nave e uno per terra, quando divenne nuovo governatore del Galles del sud e si ritrovò ad affrontare alcuni traffici illeciti di potenti uomini locali.

 Se riuscite a trovarlo da qualche parte all'usato, sappiate che esiste il diario di bordo di Bligh che racchiude gli eventi dal 1787 al 1790, "Gli ammutinati del Bounty", altrimenti potete dedicarvi al libro omonimo di Verne.


CRISTOFORO COLOMBO E L'ERRORE DELL'AMERICA:

 Va davvero citato l'esploratore più famoso della storia in un post di curiosità geografico-esplorativo-astronomiche?

 Sì, perché in realtà, non tutti sanno che l'esploratore di cui Italia-Spagna e Portogallo si litigano i natali (ma ricordo che persino il cartone animato giapponese a lui dedicato "Cristoforo Colombo l'uomo del nuovo mondo, Cristoforo Colombo siamo tutti con te!" sosteneva fosse genovese), in realtà riuscì a farsi finanziare il viaggio e ad arrivare in America per puro errore.

 Tutti sappiamo che Colombo voleva arrivare dall'Europa alle Indie aprendo una via verso occidente, e sappiamo anche che, imbattendosi nelle Americhe egli credeva effettivamente di essere giunto nelle Indie.

 Non tutti sanno però che questa sua convinzione derivava da un errore di calcolo astronomico: egli infatti credeva, da calcoli errati (e all'epoca grazie allo scienziato greco Eratostene che calcolò quasi perfettamente le dimensioni della sfera terrestre, molti già sapevano fossero errati) sulle effettive dimensioni dell'Europa e del globo terrestre.

 Sostanzialmente, ci stava che nessuno sapesse di un continente in mezzo all'Europa e all'Asia navigando da occidente, ma un buon esploratore, esperto di calcoli astronomici, proprio per questo non si sarebbe mai messo in viaggio in quella direzione perché avrebbe saputo che si trattava di una distanza troppo grande perché una nave riuscisse a farcela senza fare scalo da qualche parte.

 Colombo pensava che la distanza tra Giappone ed Europa fosse molto minore di quella che in effetti era e quindi contava che una nave, dopo aver fatto scalo alle isole Azzorre, riuscisse a reggere i giorni di navigazione. 

 Gli disse molto bene che a metà strada ci fosse un nuovo continente, altrimenti o sarebbe perito di stenti in mezzo al mare o, probabilmente, avrebbe fatto la fine di Bligh e i suoi uomini avrebbero finito per ammutinarsi e tornare indietro.

 Un'altra grande fortuna di Colombo che non era un grande esperto di calcoli, ma di metodi di navigazione sì, furono gli alisei costanti che, durante il viaggio di andata, gli consentirono una veloce e tranquillissima traversata (cosa che non fu al ritorno quando incappò in un uragano devastante).

 Se siete curiosi di saperne di più sappiate che il diario di bordo di Cristoforo Colombo ci è pervenuto nella redazione fatta dal missionario Bartolomeo de Las Casas.

 Fine della prima parte! La seconda andremo per freddissimi ghiacci!



10 commenti:

  1. Eccomi che torno a fare il pignolo: l'isola abitata dai discendenti degli ammutinati del Bounty non è Norfolk ma Pitcairn (sempre da quelle parti...).
    Ciao!

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    1. Sono preparata! Era Pitcairn, ma qualche anno fa li hanno trasferiti in massa a Norfolk (e metà di loro sono stati anche accusati di violenze private varie) :*

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  2. Ciao! Anche John Boyne ha scritto "Il ragazzo del Bounty", che racconta molto bene la vicenda con gli occhi di un mozzo, salvato da un destino orribile dal capitano Blight

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  3. Ciao - c'è una svista tipografica nella storia degli ammutinati del Bounty - prima dici che devono raggiungere Tahiti ma poi scrivi che arrivarono a HAITI perché non erano riusciti a doppiare capo Horn in tempo. Mi sa che Haiti è l'isola sbagliata in questo caso!
    Non sapevo granché di Bligh né di come fossero state fissate le effemeridi :)

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  4. uno di un tizio che poi credo andò a fare il medico in Africa ed era coinvolto in una qualche rissa tra ragazzi (la cosa che ricordo di più è che uno di loro si chiamava Gavin

    Albert Schweitzer, per caso? :D
    Anche nella mia antologia c'erano brani su di lui (ma raccontato in "adultezza": parlavano delle sue missioni, storie edificanti e tutto il resto).
    La coincidenza curiosa, a questo punto, è che anche il regista del biopic a lui dedicato uscito nel 2009, di nome fa Gavin (Millar)! XD

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  5. Effettivamente, chi cavolo glieli aveva fatti i calcoli a Colombo sulla dimensione della Terra? I greci sapevano già tutto. Già a quei tempi si notava il decadimento scolastico...

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    1. Pare che lui non fosse bravo nei calcoli (ma fosse un bravo navigatore) e che abbia seguito la cantonata diffusa di un cartografo contemporaneo: Paolo dal Pozzo Toscanelli!

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    2. E infatti a Cristoforo non gli dice niente, mica era matematico. Ma sto Toscanelli sì, secondo wiki. E se era riuscito Eratostene a calcolare in maniera quasi esatta, mi chiedo come in seguito siano riusciti a fare casini simili. Veramente, come dici tu, i greci davano una pista a tutti. O forse a Toscanelli piacevano le fake news.

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  6. Mi ricordo che ai tempi del cinquecentenario della scoperta dell'America su Radio3 hanno fatto una serie di puntate di ricostruzione storica, e in una di queste facevano un'ipotesi interessante. Pare che prima della spedizione alla ricerca delle Indie il buon Cristoforo fosse stato in Islanda. In Islanda i monaci avevano trascritto le saghe del Vinland, e Colombo avrebbe potuto venirne a conoscenza (cosa possibile ma non documentata), arrivando alla conclusione che la terra in cui erano sbarcati i vichinghi fosse il nord dell'Asia, e che tenendosi più a sud si potesse arrivare in luoghi più interessanti e ricchi di oro e spezie (nel Vinland c'erano soprattutto begli alberi dritti e una popolazione abbastanza bellicosa da ricacciare a mare i vichinghi).
    A quel punto Colombo sarebbe riuscito a presentarsi alla regina Isabella con tanto di bibliografia.

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