domenica 2 febbraio 2020

Piccole recensioni tra amici! "Red girls" di Sakuraba Kazuki e "Tra mostri ci si ama" di Viviana Fiorentino, un sì e un nì.

 Ed ecco un nuovo piccole recensioni tra amici.

 Un libro che dovevo recensire da mesi (maledetta me) e uno letto più di recente.

 Il mio trip per le biografie storiche intanto non accenna a diminuire, adesso sto cercando di passare dagli Asburgo agli zar, ma la storia russa più che romanticismo, mi ha sempre ispirato una forte angoscia (vai a capire perché).

 Cercherò di dirottare verso qualche nuova giapponesata, sento che è l'unico modo per uscire dalla maledizione di "Sissi!

 (Per farvi capire lo stato in cui verso, dopo aver finito di rivedere il terzo film, quello in cui lei e Franz vanno nel lombardo-veneto è vengono accolti malissimo, ho trascinato Dolcemetà al museo del risorgimento di Milano).

 Bene, bando alle ciance! Buona lettura!


RED GIRLS di Sakuraba Kazuki ed. E/O:

 Ho imperdonabilmente fatto passare troppi mesi dalla recensione di questa che è una delle più belle letture dello scorso autunno (un periodo peraltro di letture fortunate).

 Curiosissima la recensione che avevo letto su Internazionale che lo consigliava, ma poi diceva che insomma, applicare il realismo magico al Giappone era una scelta un po’ così, tra l’azzardato e il “ma perché?”.

In verità, mi sembra sia la scelta vincente di questo libro che riesce a coniugare lo stile di scrittura trasognato e scorrevole degli scrittori giapponesi, ad alcuni elementi tipici del realismo magico sudamericano, in una commistione vincente e interessantissima.

 La storia è quella di tre generazioni di donne: la nonna Man’yo, discendente da un’etnia montana giapponese (non viene specificato chi cosa come, ma dalla descrizione sembrano Ainu, anche se gli Ainu vivono in una specifica zona del Giappone), nomade e dedita a pratiche rituali antichissime, come la sepoltura dei suicidi.

 Abbandonata senza apparente motivo in un paese vicino Tottori, viene cresciuta da una giovane e povera coppia, e ha il dono di vedere nel futuro. Proprio per questo l’anziana matriarca di una delle due ricche famiglie locali, proprietaria di una fonderia, decide che suo figlio la sposerà. E così avviene.

 Dal poverissimo dopoguerra attraversiamo il boom economico nipponico, la grande crisi e infine i nichilisti tempi moderni. I passaggi epocali e sentimentali anche abbastanza simili (con le dovute cautele) a quelli del nostro paese, sono enormemente interessanti per chi ama la letteratura giapponese e il Giappone.

 Da un mondo contadino, con una fiducia disperata nel futuro, si passa alla ribellione della generazione successiva, quella di una dei figli di Man’yo: Kemari.

 Kemari è una ragazza selvaggia, indomita, che alle medie e superiori si unisce ai gruppi di teppiste motocicliste che imperversavano in Giappone negli anni ’60-‘70. Un flash quasi sconosciuto anche per chi legge spesso narrativa nipponica.

 Considerando l’immagine della donna giapponese, ancora così conservatrice e sottomessa all’uomo, è davvero incredibile credere che sia esistito un periodo di teppismo e female gang, dedite a minacce e a prove di fedeltà stile yakuza ma così è stato. 

 Si chiamavano sukeban ed erano una curiosa propaggine del femminismo e dello spirito di ribellione anni ’70 in salsa giapponese.

  Col senno del poi ne avevamo avuto un assaggio in Mimì e la nazionale di pallavolo, quando Mimì viene sfidata da un gruppo di teppiste e, cadendo sopra una delle loro moto contrae il tetano (!).

 La figura di Kemari è il cuore pulsante del libro. 

 Viene raccontata così bene la straordinaria e debordante vitalità di questa donna controcorrente, di una guerriera in motocicletta, poi imprigionata dai doveri della primogenitura, da farne davvero un grande personaggio.

 Infine sua figlia Toko. Un personaggio davvero scialbo che conclude il libro non all’altezza del modo in cui è stato condotto.
 L’escamotage di darle una sorta di mistery da risolvere (la nonna morendo dice di aver ucciso un uomo) non riesce a dare un minimo di personalità a quella che è una ragazzetta indegna di sua madre e di sua nonna.

 Sta da una vita con uno che la tradisce, non ha interessi, non ha una direzione, si lamenta e basta.

 Non so se l’autrice volesse con lei rappresentare l’insopportabile nichilismo di alcuni membri delle giovani generazioni presi da un interminabile peana di lamentele e da un fastidioso fancazzismo da “tanto non serve a niente”. 
 Fosse quello il suo scopo c’è riuscita benissimo, ma credo il libro meritasse un finale meno insipido e più travolgente.

 In ogni caso è un bellissimo libro, forse un po’ penalizzato dalla copertina in stile manga. 

 Chi li legge abitualmente sa che ci sta benissimo, ma il più largo pubblico rischia di collegarlo a qualcosa di poco serio o per ragazzi. 

 Mentre invece, wow!


TRA MOSTRI CI SI AMA di Viviana Fiorentino ed. Transeuropa:

 E’ particolare questo libro di Viviana Fiorentino.

 La storia prende le mosse da una gelida Berlino dove la protagonista, Alice, un’expat siciliana, vive l’esistenza gelida di molti expat: bella la Germania, il lavoro, la civiltà, la pulizia, ma insomma, se non fossi costretta non ci vivrei.

 E però da un certo punto di vista forse non vivrebbe neanche più a Palermo (i mostri del titolo sono lei e la città sicula): viva, debordante, accecante, violenta e tracimante. E’ un limbo in cui si trova spesso chi se ne va e vorrebbe tornare, ma poi quando torna non ci si trova più tanto.

 La storia inizia con Alice che decide di iscriversi ad un corso di Aikido, una cosa che vorrebbe fare da sempre e che, incredibilmente scopre riuscirle facile. Qui incontra  Elisa, una ragazza ambigua (anche se sembra ambigua solo a chi non ha ancora chiaro di essere se non lesbica almeno bisessuale) che le smuove dentro sentimenti e molti ricordi.

 I ricordi la portano a Elena, amica liceale verso la quale provava tutto quel misto di sentimenti ambivalenti tipici di chi non ha il coraggio di ammettere di esserne innamorata: amicizia ossessiva, invidia, competizione, gelosia, una certa dose di simbiosi tipica del “Non so se vorrei essere te o se sono innamorata di te”.

 Di colpo le giunge una strana mail da costei, scomparsa da anni, e Alice decide di mettersi alla sua ricerca. 

 Qualcosa le dice che dietro quell’improvvisa comparsa ci sia una richiesta d’aiuto. Così, molla la donzella di Aikido (con la quale non ha ancora capito cosa fare) e torna in Sicilia.

 La parte siciliana, devo ammetterlo, è un po’ confusa. 

 Probabilmente nel tentativo di comunicare la spirale di follia nella quale Alice precipita, avvengono tantissime cose. Troppe cose. Gente che muore, incidenti, Palermo che sembra praticamente il Bronx ma con ‘o mare e ‘o sole.

 Ovviamente è la lente distorta di qualcuno sempre meno padrone di sé stesso, che crede persino di riconoscere nella vicenda di Ruby e della Olgettine (!) tracce di un suo vecchio gioiello che la legava all’amica.
 Tuttavia, c’è davvero troppo attaccato a questa trama, come il ramo di un albero sovraccarico di troppi frutti che finisce per spezzarsi.

 Alcune immagini rimangono impresse, l’andamento c’è, ma troppo spesso il focus è oberato di eventi che lo nascondono continuamente al lettore, confondendolo.
 Se non altro è una trama un po’ diversa.

 E’ un esordio comunque che lascia sperare in una maturazione dello stile, soprattutto se l'autrice sarà in grado di imparare a limare le proprie idee, pulsanti e tracimanti, proprio come la città mostro del titolo.


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