Un po’ come quando ci si avventura nelle storie
ambientate durante il nazismo. Sai che stai andando a toccare gli
abissi della malvagità e della bassezza umane e che la fiducia in
una tendenza fondamentalmente buona e civile dell’umanità sta per
subire l’ennesimo duro colpo.
Eppure
sono spesso storie di una bellezza incredibile, probabilmente per dar
ragione ad un vecchio adagio di Orson Welles: “Sai
che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni,
hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto
Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno
avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che
cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.”
Premettendo
che io preferirei gli orologi a cucù, “La ferrovia
sotterranea” si aggiunge ai tanti bei libri southern, come l’intera
bibliografia di Fannie Flagg (primo su tutti “Pomodori verdi fritti
alla fermata di Whistel Shop”, immotivatamente tenuto spesso nella
narrativa rosa), “Amatissima” di Tony Morrison, “Il cuore è un
cacciatore solitaraio” di Curson McCullers o il bel “La vita segreta delle api”, solo per citarne alcuni.
La
protagonista de “La ferrovia sotterranea” è la giovane Cora.
Siamo nella prima metà dell’800 e vive in Georgia, uno degli stati
più duri nei confronti delle persone di colore. C’è ancora lo
schiavismo ovviamente, si intravede la forte contrapposizione che porterà alla guerra civile americana e gli schiavi non sono neanche considerati
persone, ma semplici proprietà del latifondista di turno che decide
tutto: se farli vivere o morire, con chi farli sposare, a chi vendere
i loro figli.
Le condizioni di vita variano molto da piantagione a
piantagione, anche se sono generalmente pessime. I bianchi hanno il
terrore di una qualche rivolta degli schiavi di colore, ormai, in
alcuni stati del sud, maggioranza rispetto a loro.
Eppure gli schiavi
non si organizzano (anche perché non è difficile immaginare anche l'ora l'esito di un'eventuale rivolta da parte di un gruppo non armato e difficilmente coeso). Cercano in ogni modo di sopravvivere e di trarre
delle piccole gioie da una vita fondamentalmente infernale e molto
breve.
Ogni tanto qualcuno sogna di scappare negli stati del nord, dove le persone di colore sono trattate in modo non egualitario, ma più civile. Ogni tanto qualcuno ci prova, quasi nessuno ci riesce e chi viene catturato, assieme a chiunque lo abbia aiutato (bianco o di colore che sia) vengono puniti atrocemente.
Ogni tanto qualcuno sogna di scappare negli stati del nord, dove le persone di colore sono trattate in modo non egualitario, ma più civile. Ogni tanto qualcuno ci prova, quasi nessuno ci riesce e chi viene catturato, assieme a chiunque lo abbia aiutato (bianco o di colore che sia) vengono puniti atrocemente.
La
madre di Cora è tra i pochissimi che siano mai riusciti a scappare e
che, soprattutto, non siano mai stati riacciuffati da nessun
cacciatore di taglie. Forse, qualcuno ipotizza, è arrivata fino in
Canada che curiosamente è uno stato che gli statunitensi sembrano
sempre disprezzare vagamente eppure, risulta, si comporta spesso ben
più civilmente di loro.
Un
giorno un ragazzo della piantagione propone a Cora di fuggire e lei
accetta. Inizia da lì un’avventura che all’inizio è sfolgorante
poi, per ragioni che sarebbe interessante sapere da Colson Whitehead,
ad un certo punto sembra arenarsi.
Cora infatti scappa
attraverso una mitologica ferrovia sotterranea. Una ferrovia segreta
completamente interrata dove passano ogni tot treni pronti a portare
gli schiavi fuggiaschi verso gli stati del nord.
Sembra che esistesse
effettivamente un sistema di itinerari segreti per favorire la fuga
degli schiavi grazie a persone di buona volontà, sia di colore che
bianche, ma i documenti al riguardo sono ovviamente pochissimi. Come
si legge anche nel libro di Whitehead, chiunque venisse anche solo
sospettato di aiutare i fuggitivi rischiava dalla tortura alla morte
passando alla distruzione di tutti i propri beni.
Se
la prima parte del libro è davvero sfolgorante, dopo si arena
leggermente, soprattutto perché non è chiarissimo come mai Cora commetta nella
seconda parte lo stesso identico errore della prima: invece di capire
che una fuga è una fuga che rischia di non finire mai e proprio per
questo è sempre meglio andare il più lontano possibile, si ferma a oltranza nei luoghi in cui finalmente sente un anelito di libertà, salvo poi
essere brutalmente riportata alla realtà.
Ci
può anche stare eh, che, nati e vissuti in condizione di schiavitù il passaggio
all’idea che la vita possa essere davvero libera e non una sorta di
versione migliore del passato, sia qualcosa difficile da elaborare,
ma Cora non sembra mai riflettere davvero su questo suo personale
stato di sudditanza psicologica.
Sembra avere una
sorta di risveglio durante la prima parte, quando realizza che in
Carolina del sud sì, le persone di colore vengono trattate meglio,
ma per essere sottomesse in altri modi, più sottili, ma poi non
sembra far tesoro di questa sua condizione.
Intendiamoci è un
gran libro, ma ha pur sempre vinto il Pulitzer quindi credo fosse
lecito aspettarsi una tensione narrativa e un finale all’altezza.
Invece sembra quasi che Whitehead abbia deciso di voler insistere sulla sola brutalità dell’oppressione, che va anche bene, ma stona un po’ nel ritmo narrativo della storia che, proprio come il titolo, sembra un treno lanciato nel buio della notte, ansioso di vedere se non la luce accecante in fondo al tunnel, almeno la fine del tunnel.
Invece sembra quasi che Whitehead abbia deciso di voler insistere sulla sola brutalità dell’oppressione, che va anche bene, ma stona un po’ nel ritmo narrativo della storia che, proprio come il titolo, sembra un treno lanciato nel buio della notte, ansioso di vedere se non la luce accecante in fondo al tunnel, almeno la fine del tunnel.
Invece sembra
arenarsi su un binario morto e non per sfortuna, ma per lo stesso
identico errore che la protagonista compie, sensatamente la prima
volta, insensatamente la seconda.
Bisogna sempre
scappare il più lontano, il più lontano possibile e non fermarsi
mai a guardare indietro, altrimenti si rischia di rimanere statue di
sale, come la storia biblica.
Ed
è quello che succede al finale di questo libro. Invece di spingere sull'acceleratore e arrivare alla fine, bella o brutta che fosse,
ha preferito rimanere immobile.
In
ogni caso, un bel libro, assolutamente da leggere e sono molto curiosa di leggere "I ragazzi della Nickel".
Grazie della recensione!Avevo sentito parlare di questo libro e ne ero già molto incuriosita. Ho scoperto le vicende legate alla "ferrovia sotterranea", alla fuga degli schiavi e alla rete di persone disposte ad aiutarli dal libro L'ultima fuggitiva di Tracy Chevalieri: se non lo conosci te lo consiglio!
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