Quando lavoravo in libreria, una delle cose che più trovavo assurde, divertenti e moleste allo stesso tempo, era la collocazione dei libri di Fannie Flagg.
Il nome non dirà molto a tanti, ma se vi dico che è l’autrice del libro da cui è stato tratto il film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” forse riuscirete a inquadrare lei e il problema.
Fannie Flagg |
In verità i libri di Fannie Flagg sono scritti con piglio di certo ironico e hanno per protagoniste donne picaresche, ma che di rosa hanno ben poco. Sono donne, innanzitutto, che vivono in un contesto sociale molto preciso: quello del sud degli Stati Uniti, dove si mangia molto bene, sembra, per carità, ma il razzismo e il sessismo sono a livelli fuori controllo.
Il film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” non dà un’idea abbastanza veritiera del contenuto dei suoi libri.
Lo stesso film si prende un paio di licenze di trama così grosse da distruggere gran parte della portata eversiva della storia:
1) Un personaggio omosessuale diventa nel corso della vita eterosessuale.
2) La scomparsa dei gemelli di colore Jasper e Artie, diversissimi e speculari, specchio delle possibilità di vita di un afroamericano in un America intrisa di razzismo.
Alla fine, nel ridimensionamento generale, si evince solo che le due protagoniste hanno una specie di amicizia amorosa che è poi quella grande nebulosa dove vengono di solito ficcati i rapporti tra donne: amicizie intime, ma insomma, nulla di davvero serio. Ovviamente, pur mancando i gemelli, si parla di razzismo, ma il contesto quasi favolistico non rende i toni più drammatici e struggenti del libro.
Con questi presupposti potete facilmente evincere che non esiste alcun motivo logico e sensato per il quale un’autrice del genere dovrebbe avere copertine zuccherine vivacchiare negli scaffali della narrativa rosa. Meriterebbe ben altro trattamento e ragazzi, se l’autore fosse un uomo, senza per forza cercare il sessismo in ogni dove, lo avrebbe.
Eppure. Ho sempre trovato in qualche modo interessante l’idea di una specie di cavallo di troia tra gli scaffali. Una lettrice media (anche un lettore per carità, ma la statistica pende verso le donne in questo caso) va cercando una storia d’amore senza impegno e pem, si ritrova trascinata in una faccenda molto più grande, più complessa, più struggente. Considerando che non ho mai visto riportare indietro una copia di questo libro, il cavallo di Troia ha sempre discretamente funzionato, o almeno spero.
Perché questa solita lunga intro che sembra non c’entri molto con “Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe”?
Perché “Pomodori verdi fritti alla fermata di Whistle Shop”, in qualche modo è un’ideale preambolo di questo libro dal titolo altrettanto lungo.
L’autore, Grady Hendrix, spiega all’inizio di aver voluto mettere sua madre contro Dracula, in uno scontro evidentemente impari. Il motivo per il quale lo scontro è impari però non è tanto da attribuirsi a motivi sovrannaturali quanto all’humus nel quale lo scontro si sviluppa.
La protagonista, Patricia Campbell, è una casalinga di inizio anni ’90. Ha un marito medico poco presente e perennemente a lavoro, il tipico coniuge che non si rende conto che il motivo per il quale può stare 14 ore a lavoro e tornare in una casa pulita, con due figli che non barboneggiano abbandonati a loro stessi, il frigo è pieno, la tavola imbandita, le bollette pagate, la madre invalida accudita, non è per grazia divina, ma perché qualcuno se ne è occupato.
Anche i figli, un maschio e una femmina, sono il solito concentrato di odio adolescenziale. Non per colpa di qualcuno, ma bisogna forse venire a patti che ci sono degli anni in cui genitori e figli sono pianeti che orbitano vicini, ma che non possono mai sfiorarsi, pena una collisione disastrosa.
La sua unica gioia è un gruppo di lettura che ha con alcune altre donne del quartiere. In principio leggono libri impegnati, poi, grazie all’idea di una di loro, nasce un secondo gruppo dove si dedicano a letture ben poco da casalinghe: delitti atroci, cronaca nera, serial killer, omicidi efferati.
Il male cartaceo è in qualche modo catartico della frustrazione reale. Per giunta, il fatto che li leggano all’oscuro di mariti con un’apertura mentale degna degli anni ’50, dà quel gusto del proibito, del proprio pezzetto di vita segreta, che non guasta.
Tutto sembra scorrere più o meno normalmente fino al giorno in cui Patricia viene aggredita da una vicina in preda ad un’incomprensibile frenesia, quasi rabbiosa. E’ un’anziana del vicinato che muore lasciando la casa ad un suo lontano nipote, un uomo avvenente e ambiguo che Patricia prende immotivatamente in simpatia.
Da quel momento tutto prende una strana piega. Alcuni bambini del quartiere dove vivono a maggioranza persone di colore, iniziano a deperire e suicidarsi o scomparire e, quando Patricia decide di aiutare la badante della suocera a indagare, le cose peggiorano drasticamente.
Il male sovrannaturale in effetti c’è. Vampiri che succhiano il sangue di innocenti dei quali non interessa a nessuno (ennesima conferma che la colpa è sempre di chi muore), ma il vero orrore si annida nella presa di coscienza di Patricia.
Patricia si rende rapidamente conto che poco è cambiato dai tempi in cui i mariti internavano le mogli troppo vivaci o troppo intelligenti o troppo poco accomodanti. E capisce anche che la parola di una donna vale sempre meno di quella di un uomo, anche agli occhi delle persone a cui vogliamo più bene.
La vera trappola, che permette la morte seriale di innocenti, è un contesto sociale che cambia per non cambiare mai.
Ora le mogli sono laureate, ma lasciano comunque il lavoro per accudire la famiglia che altrimenti non avrebbe mezzi per andare avanti. Ora le mogli guidano, hanno un conto in banca, una vita sociale, ma mai che questa vita sociale sia eccessiva o tolga tempo all’accudimento della famiglia, soprattutto se questa cosa si connota nel campo dello svago fine a sé stesso (ah! Togli tempo alla tua famiglia per le tue amiche!).
L’isolamento cresce in proporzione al calo dell’autostima che non trova più conferme da nessuna parte: né in un lavoro che non c’è più, né nei figli che sono presi da altro, né dagli amici che si sono stancati di essere chiamati, a dire tanto, una volta al mese, né dal coniuge, preso da un mondo esterno dal quale sono escluse.
Il quadretto è anni ’50, ma riguarda vaste sacche molto trasversali del mondo odierno e ha conseguenze che si espandono a macchia d’olio. Il doppio carico di lavoro, la minor autorevolezza, la perenne sensazione condizione di minorità. Ed è in questa trappola che il male fa il nido.
E in questo caso è particolarmente parlante una delle peculiarità dei vampiri, una delle poche che Patricia cerca in "Dracula" per trovare conferma: i vampiri non possono entrare se non vengono invitati.
E il male è esattamente così, entra dove lo si invita.
Sa chi colpire, sa tra chi cercare sponda, sa svanire dopo aver seminato distruzione. Forse, col tempo, e con le serie tv che lo fanno sembrare una cosa molto più manichea e semplice e tutto sommato dai risvolti meno malvagi del previsto, ci siamo dimenticati quanto sottile e astuto possa essere il male.
Il finale è molto Stephen King vecchia maniera e in tono con un libro che vuole raccontare qualcosa di serio senza prendersi troppo sul serio.
Incredibilmente ironico e soddisfacente nonostante il prezzo da pagare. Un bell’horror scorrevole e gustoso, come non ne leggevo davvero da tempo.
Ho interrotto la lettura a "le cose peggiorano drasticamente." Mi segno il libro in lista, quando lo leggo ti lascio un commento.
RispondiEliminaFammi sapere!!
EliminaL'ho letto anche io questa estate e mi è piaciuto proprio per questa molteplicità di livelli di lettura: è un libro horror solo all'apparenza, in realtà al centro c'è proprio la condizione femminile nel Sud degli USA negli anni '90.
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